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Storici pruriti: il rapporto psicologico fra uomo e parassiti

Pochi sanno, forse, della vocazione giovanile di George Washington per le lettere. Il futuro fondatore e primo presidente degli Stati Uniti d’America non disdegnava scrivere e non, come si può pensare, versi d’amore: a quattordici anni elaborò niente meno che un “galateo”, anticipando di un paio di secoli l’attuale moda del Bon Ton. Il suo Rules of Civilization (Le regole del vivere civile) conteneva però anche norme un po’ insolite per i nostri tempi: “Non si uccidono – scriveva in un capitolo – parassiti come pulci, pidocchi, zecche, ecc., davanti ad altre persone”. Il che, naturalmente, era un invito, implicito, a provvedere a certe necessità in privato. Necessità che se oggi ci appaiono orripilanti per molti secoli e sino a pochi decenni fa non lo erano affatto; tanto che si racconta che Luigi XI abbia premiato riccamente un cortigiano che gli aveva tolto una pulce dal colletto, fustigandolo quando, la seconda volta, si accorse che l’agire del suo suddito non era dettato da devota cortesia, ma da avidità.

I parassiti e i batteri, insomma, hanno sempre accompagnato l’uomo e non sono affatto associabili – specialmente i primi – ai cosiddetti tempi bui del medioevo o, tutto sommato, dei periodi immediatamente successivi, quando le scarse abitudini igieniche di Isabella regina di Spagna diedero origine a un particolare “colore” sul caffellatte, quello della sua sottoveste

Nel 1970, infatti, in piena èra atomica, un sondaggio effettuato in una scuola inglese rivelò che il 15% degli alunni era infestato dai pidocchi. E già nel 1980 l’ISTAT accertò 26.192 casi di “pediculosi delle collettività” in Italia, il che implica che le scorribande dei pidocchi non sono sicuramente retaggio del passato, tenendo naturalmente presente che i casi reali sono stati certamente molto più numerosi di quelli denunciati e riportati nell’annuario di statistiche sanitarie.

La realtà è, insomma, che i parassiti continuano tranquillamente a proliferare nel loro habitat, un sistema ecologico strettamente interconnesso a quello umano. Per non parlare di lieviti, funghi e batteri.

“La verità, per quanto spiacevole – scrive M. Andrews, autore di un simpatico “vademecum” ai parassiti che convivono con l’uomo (Amici sulla pelle, red./studio relazionale, Como, 1982) – è che ognuno di noi ha sulla pelle tanti batteri e lieviti quanti sono gli abitanti della terra; lungi dall’essere puliti dopo il bagno, scopriremmo, a contarli, che il numero degli organismi sulla nostra pelle aumenta poiché l’acqua calda li fa uscire dagli angoli e dalle fessure in cui si moltiplicano.

Osservando anche solo il dorso della nostra mano, si può comprendere che la pelle è l’habitat di una vasta flora e fauna di creature che si sono evolute con noi attraverso i millenni”.

Una convivenza, questa, che come i costumi di corte settecenteschi dimostrano, non era poi considerata particolarmente sgradevole: nella Francia dell’età dei Lumi vigevano, per esempio, regole molto rigide che impedivano di schiacciarsi i pidocchi in società, tranne che non si fosse tra amici intimi…

Senza contare i batteri e i funghi, circa 200 specie di parassiti devono passare almeno una parte della loro vita in associazione con un vertebrato e l’uomo è uno dei possibili ospiti di questa microfauna. Il che diventa ancora più comprensibile se si pensa che l’organismo umano, durante la filogenesi, è stato “colonizzato” da diverse specie di parassiti che hanno trovato in esso adeguate nicchie ecologiche. Non tutti questi microorganismi, naturalmente, sono patogeni e molti sono rimasti a lungo del tutto sconosciuti; sino a quando, per puro caso, alcuni scienziati dilettanti non hanno avuto la felice idea di scrutare questo mondo in miniatura.

Le prime ipotesi

Prima dell’invenzione dei mezzi che potenziassero l’acuità visiva (lenti d’ingrandimento, microscopi, etc.) una esplorazione obbiettiva era impossibile, anche se non mancavano le teorie sulla struttura del mondo degli insetti e dei parassiti ai quali erano accumunati. E non sempre erano teorie sbagliate: Omero nell’Iliade dice che le mosche sono pericolose in quanto possono depositare le uova nelle ferite e infettarle. È un’idea giusta, ma sarà dimenticata già all’epoca di Ovidio, il quale sosteneva tranquillamente che le vespe si generano dai cavalli morti e gli scarafaggi dalle carcasse degli asini. Anche Plinio, autore della celebre Historia Naturalis e sicuramente buon spirito scientifico, era convinto che alcuni insetti fossero generati dalla sporcizia mediante l’azione dei raggi solari, mentre gli insetti alati nascevano dalla polvere umida che si depositava negli angoli. All’epoca di Sant’Agostino, invece, si riteneva che le api nascessero dal sudore che colava dalle sopracciglia degli schiavi negri. Il problema era naturalmente quello dell’osservazione, spesso sostituita dal semplice commento alle frottole altrui, come nel caso di Mandeville che, nel quattordicesimo secolo, sosteneva di aver visto una pianta con frutti a forma di meloni contenenti un agnello. Quando i frutti maturavano e cadevano a terra, ne fuoriuscivano le zampe dell’agnello che, piantandosi per terra, originavano una nuova pianta. Inutile dire che Mandeville non aveva visto proprio nulla, ma si era limitato a prestar troppo credito alle fantasie di qualche altro autore. D’altra parte sarebbe un errore credere che queste ingenuità fossero frutto della mancanza di un genuino spirito di indagine: Bacone, uno dei fondatori del moderno metodo scientifico, sosteneva che le mosche nascono dalla paglia e dalle stuoie.

Fu intorno al XVI secolo che cominciarono a sorgere le prime ipotesi che collegavano microbi, parassiti e batteri alle malattie; o meglio, che ipotizzavano che alla base delle malattie vi fosse qualcosa di infinitamente piccolo, invisibile e patogeno. Fracastoro da Verona ipotizzò che certe malattie nascessero da semina, “semi” di morbosità, aprendo la strada alla microbiologia ante-litteram. Poi, nel 1651, William Harvey sostenne in un volume che in natura tutto nasce dall’uovo. Le basi teoriche erano state gettate, ancora senza nessuna dimostrazione, e fu in quello stesso periodo che i primi esploratori cominciarono ad addentrarsi nei territori sconosciuti della micro-ecologia.

L’olandese curioso

Furono gli Arabi a introdurre in Europa l’uso della lente d’ingrandimento, che usavano già dal nono secolo; e intorno al diciassettesimo secolo l’arte di costruire strumenti ottici per sopperire a difetti della vista si era ormai diffusa nel Vecchio Continente. Il primo ad utilizzare questa arte e questi strumenti per un “incontro ravvicinato” col mondo dei batteri e dei parassiti non fu, però, uno scienziato, bensì un commerciante olandese, Anton van Leeuwenhoek. Nato nel 1632 a Delft, in un centro fiammingo, possedeva un negozio di tessuti e di articoli per merceria, e non aveva di certo problemi economici. Tra l’altro, era anche ispettore dei vini, dei pesi e delle misure della sua città. Il suo hobby era il microscopio, uno strumento per il quale aveva una vera passione. Egli stesso ne costruì circa duecento, limando personalmente le lenti e apportando delle modifiche per potenziarli. Molava le lenti in modo talvolta bizzarro, eppure le sue modifiche tecniche non furono indifferenti: i suoi microscopi avevano lenti piccole, montate su una base di metallo e un sistema di regolazione a vite che permetteva una buona messa a fuoco; l’oggetto da osservare doveva essere tenuto sulla punta di uno spillo. Aveva costruito anche dei sistemi a 3 lenti, e la loro ridotta lunghezza focale aumentava la potenza dell’ingrandimento. Arrivò ad ottenere ingrandimenti di centosessanta (secondo alcuni persino 200!) volte il diametro, con una lunghezza focale di 5 mm. sono cifre che oggi fanno sorridere, di fronte alle mirabilie dei moderni microscopi elettronici a scansione, ma che, per quell’epoca, erano da capogiro. Con questo strumento, van Leeuwenhoek osservava più o meno tutto quello che gli capitava a tiro. Aveva una curiosità praticamente inesauribile, che si estendeva a tutto. Le sue osservazioni microbiologiche cominciarono proprio per capire un fenomeno apparentemente banale, cioè il motivo per cui il pepe aveva un gusto piccante. Lasciò ammorbidire, allora, alcuni grani di pepe nell’acqua per tre settimane e poi osservò il liquido al microscopio, descrivendo con stupore il risultato di tale osservazione: “ Vi ho visto dentro, con mia grande meraviglia, un numero incredibile di piccoli animaletti di diversi tipi”.

Erano protozoi. Naturalmente, gli risultava difficile stabilire delle misure per descrivere la grandezza degli “animaletti” che osservava, ma non per questo si perse d’animo: utilizzò come unità di misura quella di un granello di sabbia, grande in media 0,8 millimetri. Riuscì a calcolare che cento degli animaletti osservati studiando il pepe, messi in fila, non avrebbero raggiunto nemmeno questa grandezza. Altre volte, trovandosi nella necessità di servirsi di unità di misura più piccole, utilizzò l’occhio del pidocchio…

Eppure, anche con questi metodi poco “ortodossi”, van Leeuwenhoek fece scoperte che rivoluzionarono l’anatomia microscopica. Scoprì i globuli rossi umani, notandone la differenza di forma con quelli dei pesci e degli anfibi; evidenziò le striature delle fibre muscolari; descrisse l’occhio composto degli insetti e gran parte della fauna microscopica degli stagni. Ma la sua scoperta fondamentale fu quella dei batteri e dei protozoi, che nessuno prima di lui aveva descritto con tanta accuratezza, essendo stati solo ipotizzati. Anche questa, come molte altre nella storia della scienza, fu una scoperta casuale. Analizzando al suo microscopio la patina bianca che si era depositata sui denti, vide un intero popolo in movimento, “piccoli animali, più numerosi di tutto il popolo dei Paesi Bassi, che si spostavano nel modo più grazioso”. In un altro periodo storico simili scoperte sarebbero state del tutto dimenticate o, addirittura, avrebbero procurato all’ingegnoso commerciante olandese dei problemi. Invece, proprio in quel periodo si stava organizzando in Inghilterra una società scientifica su basi internazionali, la Royal society. Nel 1662 essa tenne la prima riunione, nel Gresham college. I suoi fini erano quelli di fare progredire le conoscenze scientifiche, in special modo mediante l’osservazione e gli esperimenti, e di portare ad “un ulteriore sviluppo delle scienze naturali e delle arti umane”.

Una simile istituzione (patrocinata dallo stesso Carlo II, che comunque si divertiva all’idea che esistessero persone interessate a pesare l’aria) era l’ideale per divulgare le scoperte di van Leeuwenhoek e per aprire un dibattito scientifico. Le sue osservazioni furono quindi tradotte e discusse oltre Manica. Egli divenne ben presto noto nel mondo scientifico (nel 1680 fu nominato membro della Royal Society) e anche nella buona società dell’epoca. Le signore sembra che facessero a gara nel volere osservare quelle strane creature che il microscopio ingigantiva, non senza, talvolta, reazioni poco “scientifiche”: “Molte signore perbene – scrive lo studioso olandese alla Royal Society – vengono a casa mia spinte dalla curiosità di vedere i piccoli vermi dell’aceto; ma alcune restano tanto disgustate dallo spettacolo che giurano di non usare più aceto in vita loro. Che farebbero allora se sapessero che ci sono più esseri viventi nella loro bocca che in tutto il regno?”. Probabilmente si sarebbero comportate come quella donna di servizio alla quale il batteriologo Theodore Rosebury, durante una dimostrazione per gli studenti, prelevò un campione di tartaro dentario e glielo mostrò al microscopio: la donna, impressionata, si fece cambiare tutti i denti…

Le scoperte di van Leeuwenhoek avevano delle implicazioni mediche evidenti; egli per esempio aveva notato che gli “animaletti” erano presenti in maggior quantità nelle persone che si lavavano poco i denti e che essi erano uccisi dall’aceto. Nello stesso tempo, le sue osservazioni avevano aperto la strada alla comprensione delle malattie infettive. Dopo che ebbe riportato le sue osservazioni sulle creature che vi erano in una goccia d’acqua (calcolò che fossero circa 8 milioni), sulle Philosophical Transactions della Royal Society, un altro corrispondente aveva osservato: “Tali scoperte sono un po’ troppo curiose e possono indurci a pensare che anche l’aria sia infestata da questi vermetti, e soprattutto durante i periodi di bonaccia, o quando spirano i venti dall’est, o in primavera quando vi è umidità nell’aria, e insomma in tutte le stagioni di maggior incidenza di infezioni nell’uomo e negli animali”. La lettera fu dimenticata, ma l’intuizione che conteneva era esatta. Leeuwenhoek fece numerose altre scoperte (per esempio quella degli spermatozoi: nel comunicarla a Henry Oldenburg, segretario della Royal Society, si scusò però della sgradevolezza dell’argomento…) e perfezionò l’uso del microscopio: sembra che abbia scoperto il sistema di illuminazione su fondo scuro, il che gli consentì osservazioni che per più di un secolo e mezzo rimasero insuperate. Lasciò in eredità alla Royal Society ventisei microscopi montati in argento, contenuti in una speciale cassa per trasportarli agevolmente, e ognuno dei quali con un esemplare diverso. Naturalmente, andarono persi, ma gli studiosi inglesi ebbero l’accortezza di smarrirli dopo aver misurato la potenza d’ingrandimento delle lenti. Si apriva l’era della microscopia.

I successori

Gli studi di Leeuwenhoek influenzarono la concezione della natura della sua epoca. Tra gli altri impressionarono anche la fantasia di Jonathan Swift, che descrisse il suo Gulliver, caduto in mano ai Lillipuziani, con l’accuratezza di un microscopista, mettendone in evidenza gli aspetti più insoliti:”…mi confessò che la mia faccia era una vista davvero disgustosa. Disse che sulla mia pelle gli apparivano fori larghissimi, e che i peli della mia barba erano dieci volte più grossi delle setole di un cinghiale, e il colorito veramente spiacevole”. E quando incontra i pidocchi di Brobdingnac ne descrive le varie parti del corpo, che vedeva “molto meglio che quelle di un pidocchio europeo attraverso il microscopio”. Insomma col microscopio era cambiata un’epoca. Anche se il merito fondamentale fu del modesto e laborioso commerciante-scienziato fiammingo, i suoi studi vennero presto affiancati da quelli di altri scienziati. Che  Kircher, per esempio, che insegnava filosofia nell’Università di Wurzburg, aveva esaminato il sangue di appestati, trovandovi “innumerevoli grovigli di piccoli  vermi, non visibili a occhio nudo”. Naturalmente, egli non aveva scoperto i bacilli della peste, perché le lenti che usava nell’osservazione non erano tanto potenti, bensì globuli rossi impilati. Comunque aveva dedotto che le malattie contagiose fossero trasmesse da organismi microscopici. Sembra comunque che il primo in assoluto ad aver utilizzato il microscopio in medicina sia stato Pierre Borel, medico di Luigi XIV, autore nel 1655 del Centuria Observatorum Microscopiarum, un volume che descrive tra l’altro minuscoli insetti presenti nell’aria che causerebbero la peste e dei “vermi” nel sangue degli appestati. Si tratta probabilmente delle prime evidenze della connessione tra microbi e malattie. Sempre tra i contemporanei di van Leeuwenhoek, bisogna ricordare Jan Swammerdam, autore di un’opera iconograficamente stupenda, pubblicata postuma, Bybel deer Nature, la Bibbia della natura, che riporta le sue osservazioni microscopiche. O Robert Hooke, microscopista inglese autore di una celebre e raffinata Micrographia, e coniatore del termine “cellula” derivato dalle sue osservazioni sulla struttura del sughero. Insomma tra il Sei e il Settecento numerosi pionieri aprirono la strada dell’esplorazione microscopica.

Eppure per trovare le prime applicazioni pratiche di queste scoperte alla biologia e alla medicina bisognò aspettare il XIX secolo, esattamente sino al 1839, quando Matthias Jacob Schleiden e Theodor Schwann enunciarono la “teoria cellulare”, poi elaborata da Goodsir e Virchow, che rappresenta uno dei cardini della moderna biologia. Per quanto riguarda invece più strettamente la batteriologia e la parassitologia, bisognò attendere che Pasteur dimostrasse l’esistenza di queste microscopiche creature e il loro ruolo nelle infezioni. Da allora in poi, la storia dei batteri e dei parassiti è ampiamente nota. Meno note sono, forse, le implicazioni psicologiche che ebbero su Pasteur le sue stesse scoperte. Il celebre scienziato che riuscì a mettere in relazione i “vermetti” di Leeuwenhoek con le malattie, sviluppò una morbosa preoccupazione per la sporcizia e le infezioni. Evitava, per esempio, di stringere la mano per paura di contrarre qualche morbo infettivo. Prima di accingersi a pranzare puliva accuratamente piatto e bicchiere col tovagliolo ed esaminava scrupolosamente il pane per toglierne eventuali corpi estranei “contaminanti” (fili di stoffa, resti di insetti, e via dicendo).

E non è detto che vi fossero realmente. “Cercavo anch’io – racconta un suo assistente – nella mia porzione che proveniva dalla stessa pagnotta i corpi estranei che Pasteur trovava, ma non scoprivo mai nulla”.

Da Pasteur in poi uno degli obiettivi fondamentali della medicina è stato la realizzazione di metodi di antisepsi e disinfestazione sempre più efficaci. Se questo ha avuto indiscutibili effetti positivi sulle condizioni igieniche e sanitarie, ha anche avuto una conseguenza negativa: quella cioè di annientare indiscriminatamente un intero sistema ecologico che non sempre è patogeno per l’uomo. Basta pensare ai deleteri effetti del DDT o ai fenomeni di resistenza agli antibiotici evidenziati in numerose specie batteriche. Probabilmente l’ossessione dell’asepsi e della disinfestazione più radicale è dovuta al senso di disgusto che si prova al pensiero di avere addosso milioni di animaletti microscopici e brulicanti.

Talvolta questo senso di disgusto assume le caratteristiche di un disturbo psichiatrico (come nel caso dell’entomofobia, o paura degli insetti, o nel caso della paura di essere “infetti”, un chiaro sintomo ossessivo), ma a parte questi casi estremi il nostro rapporto con microbi e parassiti è mediato dalla cultura dominante in un dato momento storico; ora si inorridisce per fatti che, all’epoca di Washington, erano considerati normali, come la banale presenza di pidocchi nell’incipriato crine di una dama.

D’altra parte, l’idea di sterminare tutti i batteri e i parassiti è, oltre che assurda, fantascientifica: nel 1971 gli astronauti dell’Apollo 12 recuperarono una macchina fotografica lasciata sulla Luna due anni prima. Gli scienziati di Houston scoprirono che era ancora contaminata dagli stessi batteri terrestri che la abitavano prima del viaggio spaziale e dei due anni di permanenza sul satellite, ai quali erano sopravvissuti. Batteri e parassiti, infatti, sono specie resistenti e antichissime. Come afferma il più antico poema in lingua inglese (On the antiquity of parasites, Sull’antichità dei parassiti) “Adamo li aveva”. E anche noi, nell’ era dei computer, continuiamo ad averli.

Giovanni Iannuzzo

“Occhi” antichissimi per approdi eroici oltre la percezione ordinaria

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Il “trofeo taurino” rimovibile del tempietto tholoide da Monte Jato, in uso alla fine del VI sec. a.C. (Fig. 1), ci da la certezza filologica di genealogie antichissime che associano ambienti di culto a tholos, usi funerari, ritualità misterica per il post-mortem ed architetture ipetrali, a quella particolare “figura” ancestrale. Un intrigante reperto ceramico di “stile Polizzello-Sant’Angelo Muxaro” esposto al Museo Archeologico di Marianopoli si presta a considerazioni vertiginose. E’ il “Vaso con protome taurina” (VII sec. a.C.) (Fig. 2) che colpisce per l’inquietante sguardo “allucinante” con occhi decorati a cerchiatura concentrica e pupilla vistosamente dilatata (Fig. 3, particolare). Oltre noi, chi e cosa guarda, cosa deve “vedere”? Domanda che non può avere risposte certe ma che si ripropone in maniera simmetrica e spettacolare negli “occhi cerchiati” dei misteriosi Giganti di Mont’e Prama, in Sardegna, (circa X sec. a.C.) (Fig. 4). Questi “occhi” portano a intriganti ragionamenti per approdi a stati di coscienza “sottile/altra” dalla percezione ordinaria; per accedere al piano germinativo e archetipale della realtà.

Il grande J. L. Borges nella sua poetica cecità visionaria ce ne racconta un brano ne “La Casa di Asterione”. Asterione è il nome del Minotauro. …Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. … La casa è grande come il mondo. … raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna vi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo. Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male….. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. …Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. … Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me? Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue. ‘Lo crederesti, Arianna?’ disse Teseo. Il Minotauro non s’è quasi difeso”.

Il seguito leggendario è la fuga di Dedalo dal Labirinto, il suo approdo fortunoso in Sikania, la caccia del Minos/Re del Mondo/Minosse per riprenderselo, la morte e deposizione del Minos nella chora di Kamikos in una grandiosa Tomba/Tempio/Santuario, che le fonti danno per certa ed ubicata da qualche parte nell’entroterra della Valle del Platani, verso Himera….

Per la nostra indagine sulla “Via della Thòlos” ritorna quindi dalla narrazione mitica la realtà del posizionamento geopolitico e strategico, fra il Canale di Sicilia e la costa del Tirreno, degli Ipogei della Gurfa di Alia.

Carmelo Montagna

 

Campofelice di Roccella. “30 Libri in 30 Giorni”: si presenta il libro di Nadia Nicolosi “Per dire addio ho dovuto scriverlo”

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Nell’ambito dell’iniziativa “30 Libri in 30 Giorni” promossa da BCsicilia si presenta domenica 24 Marzo 2024 alle ore 17,00 al Salotto letterario “A casa di Anna” in Viale Italia, 1 a Campofelice di Roccella, il volume di Nadia Nicolosi “Per dire addio ho dovuto scriverlo”. Dopo la presentazione di Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale BCsicilia e di Ignazio Maiorana, Direttore del giornale l’Obiettivo, è previsto l’intervento di Anna Laurà, Presidente della Sede di BCsicilia di Campofelice di Roccella. Letture  a cura di Mariadele Raniolo. Sarà presente l’autrice. L’incontro è organizzato da BCsicilia, dalla Casa Editrice Don Lorenzo Milani, dall’Associazione Culturale L’Isola possibile e dal giornale L’Obiettivo, Per informazioni: email [email protected] – Tel. 340.1775806.

Una storia coinvolgente con argomenti forti e da tanti magari non condivisibili, con quel pizzico di sregolatezza che guida i personaggi verso una direzione del tutto inaspettata. Il racconto è narrato in prima persona da Nadia, la quale descrive i fatti vissuti e analizzati dal suo punto di vista, non sempre del tutto lucido e sobrio. Questo ci porta a un approccio ravvicinato con storie di alcol, droga, sesso, ambiguità, incidenti stradali, che sembrano dare un’idea chiara dello svolgersi delle cose, almeno nei primi capitoli, sorprendendoci drasticamente con l’arrivo di un piccolo personaggio che sembra diventare il collante di tutto. Sentimenti completamente nuovi e puri portano Nadia e gli altri a rallentare con la vita frenetica e per niente salutare, a fare i conti con se stessi, anche se non in maniera del tutto definitiva, alternandosi tra scelte giuste e sbagliate fino alla fine.

Nadia Nicolosi è nata e vive a Corleone. Ha fatto molti lavori precari, non ha terminato gli studi quando avrebbe dovuto e non ha mai investito su se stessa prima d’ora. Dopo il primo lockdown del 2020 dovuto al Covid-19, decide di riprendere a studiare, di scrivere il suo primo libro e di investire anche in un’altra delle sue passioni: la fotografia.

Il libro della Casa editrice Don Lorenzo Milani, si può trovare a Palermo presso la Mondadori Point in via Mariano Stabile, 233, oppure a Termini Imerese presso la Libreria Faso in Piazza La Masa, 5, o si può riceverlo direttamente a casa telefonando allo 091.8141329, inviando una email a: [email protected] o richiedendolo attraverso la pagina Facebook Antica Cartolibreria Faso.

Sondaggio nelle scuole della provincia: 1 studente su 5 soffre di disturbi alimentari

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Su un campione di 1.470 giovani, più di un adolescente su cinque ha risposto a un sondaggio sul tema della nutrizione e dei disturbi alimentari ottenendo un punteggio che, secondo gli esperti, può essere letto come un primo campanello d’allarme. Si tratta di casi per i quali un intervento preventivo permetterebbe di scongiurare un’evoluzione patologica del problema ed evitare di arrivare per esempio all’anoressia o alla bulimia. Il dato statistico è emerso dal questionario sottoposto in numerose scuole secondarie di secondo grado tra Palermo e provincia nell’ambito di una ricerca condotta grazie a un lavoro sinergico tra l’Ordine degli psicologi della Regione Siciliana, il Dipartimento di scienze psicologiche, pedagogiche, dell’esercizio fisico e della formazione dell’Università degli Studi di Palermo e l’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche. I dati sono stati presentati all’Ars, durante un convegno organizzato dall’Oprs in occasione della Giornata del fiocco lilla istituita nel 2012 e dedicata a questa tematiche.
“Un soggetto su cinque può essere considerato potenzialmente a rischio”, spiega Salvatore Gullo, professore di psicologia clinica di Unipa che ha condotto la ricerca insieme alla dottoressa Silvia Ruggeri del Cnr. “Il 10% dei partecipanti – aggiunge – ha ottenuto punteggi tipici dei soggetti che hanno dei disturbi alimentari. I risultati sono andati oltre le aspettative ed è la ragione per cui consideriamo allarmanti questi numeri. Ecco perché l’Organizzazione mondiale della sanità ha utilizzato l’espressione epidemia nascosta”. Nella strutturazione della ricerca sono stati considerati anche numerosi fattori fra i quali l’utilizzo dei social network, il bullismo e altri più tecnici come l’Imc, l’indice di massa corporea. “Circa il 40% dei giovani intervistati – prosegue il professore Gullo – aveva un Imc al di sotto o al di sopra della soglia del range normopeso. Di questi, il 10% addirittura si trovava al di sotto del 17,5 che indica invece una condizione di sottopeso già preoccupante”.
Stando agli ultimi dati disponibili in Italia (estrapolati dai report clinici sui Dna del 2023) ci sono circa 3 milioni di persone (il 5% della popolazione) che hanno un disturbo della nutrizione. Ogni anno vengono diagnosticati 8-9 casi ogni 100 mila abitanti. Dati parziali perché legati alla formalizzazione di un percorso terapeutico e dunque all’ospedalizzazione del paziente. “E’ necessario – afferma Rosalba Contentezza, psicologa e psicoterapeuta coordinatrice del Gruppo di lavoro dell’Oprs – fare un lavoro integrato perché, come Ordini delle professioni sanitarie, si possa fornire un contributo nei tavoli tecnici per analizzare il fenomeno e strutturare gli investimenti di spesa in chiave preventiva. Uno studio inglese ha analizzato l’impatto diretto del disagio psicologico sull’economia. Il risultato è stato la triplicazione delle risorse pubbliche per giocare d’anticipo e prevenire ulteriori spese, fra le tante cose, per indennità di occupazione, farmaci e cure. L’Italia oggi si colloca agli ultimi posti come spesa sostenuta per la sanità mentale. Con questa ricerca, e grazie alla collaborazione con le famiglie e le associazioni, sono state raccolte storie di sofferenza e numeri spendibili perché la politica sappia come muoversi”.
Secondo la presidente dell’Ordine degli psicologi della Regione Siciliana, Gaetana D’Agostino, la ricerca condotta in sinergia con Unipa e Cnr “introduce alcune interessanti novità su un fenomeno che coinvolge sempre più frequentemente anche preadolescenti e bambini rappresentando un’enorme sfida per la salute pubblica. Stando agli ultimi dati ministeriali, in Sicilia le persone affette da disturbi dell’alimentazione sono aumentate del 30% rispetto al 2018. Bisogna intervenire tempestivamente per contribuire a fermare questa epidemia nascosta. Ecco perché i dati raccolti grazie a questa ricerca rivestono un’importanza considerevole poiché forniscono uno sguardo approfondito sul fenomeno non limitato alle sole ospedalizzazioni, dove la patologia è già evidente, ma includono anche dati di difficile reperimento, offrendo così una prospettiva più completa e articolata del problema”.

Cefalù, al “Cicero” quattro proposte di teatro contemporaneo

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Prosegue domenica 24 marzo la rassegna di teatro a cura di Tiziana Giordano dal titolo Cosa Porta il Vento che l’amministrazione comunale di Cefalù ha fortemente voluto e che ha preso il via domenica 3 marzo. Quattro pomeriggi e due matinèes di prosa presso il teatro ‘Cicero’ che conferma la propria funzione di contenitore di una offerta culturale a scopo di crescita e partecipazione. Teatro per tutti grazie ad una offerta varia con la costante della qualità; il cartellone presenta infatti nomi di prestigio del teatro italiano contemporaneo: attori, registi e drammaturghi che hanno collaborato con prestigiose istituzioni aggiudicandosi importanti premi teatrali e nell’ambito del cinema. Due esempi fra tutti: la candidatura ai David di Donatello del 2016 di Valerio Binasco quale migliore attore non protagonista per il film di Claudio Cupellini Alaska, mentre l’opera teatrale Nunzio (1994), scritta da Spiro Scimone in dialetto messinese e interpretata insieme a Francesco Sframeli con la regia di Carlo Cecchi, ha ispirato il film Due amici (2002), vincitore del Leone d’oro come migliore opera prima alla 59ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Dopo il primo appuntamento che ha visto sulla scena la compagnia Scimone – Sframeli con Il Cortile, testo di Spiro Simone vincitore del premio UBU 2004 (miglior testo italiano), sarà la volta di A Cirimonia di Rosario Palazzolo in qualità di autore e regista. Lo spettacolo è realizzato insieme al Circo dell’Avvenire ed è stato premiato con il primo premio al Festival Internazionale del Teatro di Lugano e la menzione speciale inbox 2010. Nel 2020 lo stesso testo, interpretato da Enzo Vetrano e Stefano Randisi, ha vinto il premio ANCT. Nel 2016 Palazzolo è stato insignito del Premio Nazionale della Critica per la sua attività di drammaturgo. Il suo più recente lavoro, Se son fiori moriranno, ha debuttato al Teatro Biondo di Palermo a febbraio 2023. Negli anni la sua scrittura è stata oggetto di studio presso alcune università italiane e europee, con approfondimenti monografici e tesi di laurea. Tra le opere narrative edite due sono state proposte per il Premio Strega del 2020. A Cirimonia è un dramma sull’impossibilità della verità ovvero sull’incapacità di ricostruire forse per la scelta volontaria del disordine mentale rispetto alla verità scomoda che irrompe solo per un attimo nella confusione (e apparente stupidità) dei protagonisti per poi lasciare il posto alla ripresa  del rito del ripescaggio di ricordi in una eterna ripetizione che offusca la coscienza.

Dopo il pomeriggio di domenica (ore 18.30) A Cirimonia sarà ripetuto lunedì 25 marzo alle 11 per gli studenti delle scuole superiori.

La stessa cosa avverrà con il terzo spettacolo della rassegna, L’ Uomo che piantava gli Alberi, in cui il cinema di animazione incontra il teatro con voci e suoni dal vivo; lo spettacolo programmato per il 21 e 22 Aprile è realizzato ancora dal Circo dell’ Avvenire in co-produzione con l’associazione per la conservazione delle tradizioni popolari – museo internazionale delle marionette “Antonio Pasqualino”. Una fiaba moderna, delicata e poetica, sulla possibilità di cambiamento di cui ciascun individuo è portatore, che mira a sottolineare l’importanza dell’operato dei singoli mostrando la portata delle imprese apparentemente più modeste, che iniziano da un piccolo gesto ma sono in grado di generare il futuro per un’intera comunità. La Compagnia Circo dell’Avvenire nasce dall’incontro di alcuni artisti palermitani (Gianfrancesco Traina, l’attore Anton Giulio Pandolfo e la coreografa Daniela Donato) con Etienne Regnier, del Teatro Equestre Zingarò, ed in seguito con Stèphane Drouard, acrobata del Cirque du Soleil coi quali vengono realizzati progetti che fondono i valori delle arti teatrali e della tradizione circense, con l’attività di valorizzazione dell’ambiente naturale.

Unica data infine, il 12 maggio, per A mà, progetto teatrale di Sabrina Petyx realizzato dalla compagnia M’Arte (movimenti d’Arte) insieme alla Compagnia dell’Arpa, con la regia di Giuseppe Cutino. M’Arte nasce proprio dal sodalizio artistico fra Petyx, esperta e docente di tecnica vocale nella Scuola dei Mestieri dello Spettacolo del teatro Stabile Biondo di Palermo ma anche scrittrice e drammaturga, con Giuseppe Cutino, attore e regista teatrale diplomato in recitazione e regia alla scuola di teatro Teates con 21 regie teatrali al suo attivo ed un premio Scenario nel 2003.

Dalla comune formazione alla scuola di Michele Perriera i fondatori di M’Arte hanno elaborato “una drammaturgia caratterizzata da atmosfere Pirandelliane e Pinteriane che si affiancano comunque ad una personalissima impronta rivolta all’evocazione di universi emotivi dai confini biografici incerti, portatori di drammi senza luogo e senza tempo, come la lotta per la sopravvivenza o la fuga da guerre e naufragi; dolori senza risarcimento ritratti con l’ironia e la musicalità di una lingua intonata sulla metrica palermitana” (M’arte. I teatri di Giuseppe Cutino e Sabrina Petyx a cura di C. Valenti. Editoria & Spettacolo. Collana Spaesamenti. 2008).

Barbara De Gaetani

Padre Salvatore Vacca nominato bibliotecario della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia

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Il Rev.do Padre Salvatore Vacca O.F.M. Cap., già Guardiano del Santuario Maria SS.ma di Gibilmanna e Docente di Storia della Chiesa nella Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia è stato nominato bibliotecario della medesima Università da parte del Gran Cancelliere S.E.R. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo, carica che ricoprirà per un triennio.

A darne notizia è la Diocesi di Cefalù, la quale sulla pagina Facebook così scrive: “S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante, Vescovo di Cefalù, e la Comunità diocesana augurano a Fra Salvatore Vacca ofmcap. un proficuo lavoro a servizio della cultura come nuovo bibliotecario della Facoltà Teologica di Sicilia “S. Giovanni Evangelista”.

Padre Vacca, classe 1959, da anni insegna presso la FATESI, nel 2010 è stato chiamato a rivestire l’impegnativo compito di Vice Preside della Facoltà da parte del Cardinale Paolo Romeo, succedendo a Mons.Calogero Peri, oggi vescovo di Caltagirone.

La redazione di Esperonews porge a Padre Salvatore Vacca vivissime felicitazioni e l’augurio di operare con profitto nel suo nuovo incarico.

Giovanni Azzara

Incontro sul porto di Termini Imerese e le Aree di interazione

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Oggi pomeriggio, venerdì 22 marzo, dalle ore 17,00, si terrà in incontro organizzato dal Comitato Città-Porto per un futuro sostenibile sulle prospettive del porto, sull’inquinamento, con un particolare focus sulle c.d. “Aree di interazione città-porto”. Queste ultime sono le aree intorno al bacino commerciale che hanno mantenuto una destinazione urbana e la cui pianificazione rimane nella competenza del Comune. Si tratta di tre aree: la zona Nord del porto, che comprende la spiaggia, il lungomolo e la banchina S. Veniero; la zona retrostante alla banchina di riva, ovvero la Via C. Colombo e la c.d. “area dei circhi”, prospiciente l’area termale; la zona Sud, dalla foce del torrente Barratina ai laghetti.

Si affronteranno inoltre le tematiche dell’inquinamento delle navi, in vista dell’avvio della valutazione ambientale del nuovo Piano Regolatore Portuale, da parte dell’Autorità di sistema portuale e verranno spiegate le ragioni che ci hanno portato a promuovere una raccolta firme per una proposta di iniziativa popolare per una delibera del Consiglio Comunale sulle suddette tematiche.

Termini Imerese, ex Blutec: lunedì riunione decisiva al ministero delle Imprese

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«Lunedì potrebbe essere un momento decisivo per il territorio di Termini Imerese e per tutta la Sicilia. Siamo stati convocati al ministero delle Imprese e del Made in Italy per una riunione che potrà segnare le sorti dell’area, dopo che lo scorso 28 febbraio si sono chiusi i termini per la presentazione delle offerte relative allo stabilimento ex Blutec». Queste le parole dell’assessore regionale alle Attività Produttive, Edy Tamajo, che questa mattina ha fatto un sopralluogo nel Comune del Palermitano. Presenti anche il commissario ex Blutec Giuseppe Glorioso, il direttore generale del dipartimento regionale delle Attività Produttive Carmelo Frittitta e il commissario dell’Irsap Marcello Gualdani.

«È fondamentale – prosegue l’assessore – che questa vicenda, che interessa il territorio per il grande impatto economico che determina sulla comunità, trovi una soluzione positiva al più presto. A Termini Imerese l’unico segno tangibile dell’industria automobilistica è ormai uno stabilimento fantasma, che copre 44 ettari di zona industriale e che rimane ben tenuto solo grazie all’importante lavoro svolto dai commissari ex Blutec. Oggi, durante la visita, ho notato all’interno della fabbrica un pannello, dal titolo “La nostra storia a colori”, in cui erano esposte le diverse tipologie di auto costruite in passato. Da diverso tempo, ormai, sia da parte del governo Schifani sia da parte del ministro Urso, c’è il massimo impegno per poter scrivere una nuova storia a colori per il comprensorio di Termini Imerese, per troppo tempo rimasto tradito».

Nella foto un momento del sopralluogo.

Termini Imerese, nell’ambito dell’iniziativa di BCsicilia “30 libri in 30 giorni” presentazione del volume “I Siculi” e visita guidata al Dolmen e al Muro megalitico

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Organizzato da BCsicilia, Università Popolare e Casa Editrice Don Lorenzo Milani, nell’ambito dell’iniziativa “30 libri in 30 giorni”, sarà presentato, sabato 23 marzo 2024 alle ore 18 presso la Chiesa di S. Maria della Misericordia in via Mazzini  a Termini Imerese, il volume di Claudio D’Angelo “I Siculi. Indoeuropei della penisola italica”. Sono previsti gli interventi di Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale BCsicilia e di Francesco Torre, Presidente del Consorzio Universitario della provincia di Trapani. Sarà presente l’Autore. La presentazione sarà preceduta da una visita guidata al Dolmen e al Muro megalitico. L’appuntamento è alle ore 15,00 in Piazza S. Antonio a Termini Imerese. La visita sarà effettuata con mezzo proprio. E’ obbligatoria la prenotazione.  Per informazioni: [email protected] – Tel. 346.8241076. Fb BCsicilia.

Il libro. Con questo volume Claudio D’Angelo ha inteso percorrere, insieme al lettore, il cammino dell’uomo fin dai suoi primi passi, rivivendo i momenti più salienti della sua storia. Dal Paleolitico al Neolitico fino all’età dei metalli, un viaggio affascinante e misterioso che vede quei primi uomini, in continuo movimento alla ricerca della selvaggina, abbandonare il nomadismo e raggrupparsi in centri legati all’agricoltura e al matriarcato. Negli anni, queste comunità ebbero la sventura di imbattersi nelle drammatiche vicende vissute con il diluvio universale, ma la loro fuga verso nuovi e più sicuri territori consentì la loro diffusione dando origine a nuove entità culturali. Sarà la volta delle varie ondate migratorie indoeuropee, esse giunsero nell’antica Europa fondendosi con le genti matriarcali presenti nella penisola balcanica; quando queste nuove stirpi, con due differenti ondate migratorie varcarono i territori della penisola italiana, dettero origine a un popolo che gli storici dell’antichità indicarono con il nome di “Siculi”. Nella prefazione di questo testo il Prof. Francesco Torre scrive: ‹‹Questo ultimo impegno di Claudio D’Angelo nasce dopo tantissimi anni di ricerca su lavori di grande interesse pubblicati dai maggiori studiosi di Preistoria, Protostoria, dell’Età dei metalli e studiosi di Etruscologia. Cosa non semplice da compattare in sole 300 pagine. Un libro con tantissime foto e con una descrizione chiara e semplice, tale da poterla leggere sia lo studente delle medie, sia lo studente universitario e sia lo studioso››.

L’autore. Claudio D’Angelo è nato a Trapani nel marzo del 1956, dopo avere vissuto per molti anni a Macerata (Marche) e San Biagio Platani (Agrigento), oggi vive a Trapani, sua città di origine. Appassionato della storia e delle radici della sua terra, dopo avere intrapreso un percorso di apprendimento della lingua siciliana e un’esperienza nel mondo della poesia siciliana, si è dedicato allo studio e alla ricerca del popolo dei Siculi. A lui si deve il volume “La Storia dei Siculi fin dalle loro origini” uscito nel 2018, unico nel suo genere, dove emerge un’indagine e un’analisi densa di riscontri che mettono in luce la peculiarità di questo popolo. Notevoli i successivi saggi “Epopea dei Siculi” e “Gli Shekelesh e la rivoluzione dei Popoli del Mare”. Il primo dei due testi, scritto a quattro mani unitamente al geoarcheologo prof. Francesco Torre e al glottologo prof. Enrico Caltagirone, e con la preziosissima prefazione da parte del compianto dr. Sebastiano Tusa, si pone lo scopo di restituire ai Siculi il posto che meritano nella storia. Il secondo saggio è uno studio di notevole spessore storico e archeologico, esso si avvale in modo prioritario dei riferimenti che provengono dai mondi Ittita, Cananeo, Mitanno e Miceneo, differenziandosi notevolmente dalle ipotesi espresse dalla quasi totalità dei ricercatori che hanno trattato l’argomento sui Popoli del Mare e che hanno seguito quasi esclusivamente i riferimenti Egizi. Con il volume “I Siculi – Indoeuropei della penisola italica”, Claudio D’Angelo ci parla dell’arrivo degli indoeuropei nella nostra penisola, stirpi che gli storici antichi indicano come legate al popolo dei Siculi.

Sciara, tutto pronto per l’edizione 2024 della “Via Crucis” vivente

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Anche per questo 2024 torna il consueto appuntamento con la storica “Via Crucis Vivente”. Si tratta, di un evento fortemente sentito dalla cittadinanza del paese della Valle del Torto, e per questa edizione ci saranno delle novità importanti per quanto riguarda l’aspetto tecnico.

«Questo appuntamento – dichiara Padre Nunzio Pomara, Arciprete di Sciara – rappresenta per tutta la comunità un momento di grande gioia. Allo stesso tempo, ci offre un momento di riflessione, e riesce a coinvolgere anche chi talvolta è lontano da un cammino di fede. Lo spettatore, riuscirà ad entrare dentro questo “mistero”, portandoci a contemplare la fine di quella sofferenza che è nella gloria della Resurrezione»

Rispetto agli scorsi anni, per questa edizione ci saranno oltre 90 figuranti, parlanti e non, ognuno con un compito ben preciso così da rendere più realistica l’intera rappresentazione. È un momento che vede coinvolta buona parte della cittadinanza sciarese, impegnata anche nella realizzazione delle varie scenografie che verranno installate durante tutto il percorso che attraverserà buona parte del paese, partendo dalla Parrocchia dove verrà inscenata l’Ultima Cena, fino ad arrivare nell’area adiacente l’acquedotto comunale dove avverrà la Crocifissione. Quest’anno, ci sarà una novità, oltre al percorso nuovo infatti, sono stati realizzati i nuovi costumi dei soldati, e con essi anche tutta l’armeria in maniera del tutto artigianale.

«Le tradizioni sono, – dichiara il regista Erasmo Muscarella – le nostre radici. Siamo noi, il nostro sangue, la nostra cultura, la nostra identità, il nostro mondo. Un popolo senza tradizioni è un popolo privo di anima. Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questo importante evento, Comune, Parrocchia, Regione Siciliana, e quindi ai tanti che hanno lavorato dietro le quinte, dalle sarte agli artigiani».

La “Via Crucis Vivente” avrà luogo mercoledì 27 marzo 2024 alle ore 19:30 con inizio davanti il sagrato della Parrocchia “Sant’Anna” (parte bassa del paese).