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Al via al Liceo Classico “Ugdulena” di Termini Imerese un corso di Educazione Civica

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Al via un progetto annuale di Educazione Civica presso il Liceo Classico “G. UGDULENA”.

Un liceo che mette al centro della sua offerta formativa la formazione di cittadini attivi nel corpo sociale. “Attraverso questo progetto – afferma il Dott. Catalin Dioguardi ne è formatore – vi è l’obbiettivo di far entrare i giovani studenti a contatto con il Diritto, la Costituzione Italiana e l’agenda 2030“.

Un percorso volto a far acquisire una coscienza civica ed ha un motto ben preciso: “I Care: mi prendo cura dei miei diritti e dei miei doveri”. Percorrendo il diritto per una cittadinanza responsabile.

“Con questo progetto -afferma il dirigente scolastico Patrizia Graziano – la nostra istituzione scolastica si impegna a fornire ai nostri studenti la promozione della partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”.

A tenere il progetto è il Dott. Catalin Dioguardi che ne é formatore che sarà supportato dalle professoresse Maria Tardio e Marcella Di Vittorio.

Termini Imerese, nave ancorata al porto rompe gli ormeggi dirigendosi, senza controllo, fortunatamente verso nuovo molo sottoflusso

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Questa notte a causa del forte vento la nave “Plutus” ancorata al porto Termini Imerese, ha rotto gli ormeggi dirigendosi, senza controllo, fortunatamente verso il nuovo molo sottoflusso, e non si è orientata, probabilmente a ragione del cambio di direzione del vento, verso l’approdo da diportismo, dove in quel caso poteva causare danni molto gravi. La nave Plutus, cargo di 140 metri battente bandiera della Repubblica di Palau, è dal 22 luglio di quest’anno ospitata nel porto di Termini Imerese a seguito del sequestro di un grosso carico di cocaina e all’arresto dell’intero equipaggio composto da 15 persone. Nella mattinata rimorchiatori venuti da Palermo hanno riportato la nave sulla diga foranea.

Termini Imerese, la Chiesa di S. Caterina d’Alessandria tra agiografia, storia, arte e geoarcheologia

La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria Egiziaca di Termini Imerese, ad aula rettangolare, è ubicata nella parte alta della cittadina, a breve distanza da Piazza Duomo, che sin dal medioevo fu la platea publica, il fulcro commerciale di un importante centro marittimo, aperto agli scambi a vasto raggio con i principali scali del Mediterraneo, grazie alla possibilità di esportazione del surplus granario proveniente dai depositi del Caricatore.

Lo storico locale sac. don Vincenzo Solìto (m. 1656), curiosamente fa rimontare la costruzione dell’edificio agli inizi del XVI secolo: «nel medesimo tempo fù [sic] ornata la città di Termini di due belle Chiese, una dedicata alla Gloriosa Vergine, e Martire S. Catherina e l’altra sotto il patrocino del Precursore di Christo S. Gio[vanni] Battista. Et entrambe sono adesso Confraternite, ò [sic] Compagnie» (cfr. V. Solìto, Termini Himerese Citta [sic] della Sicilia posta in Teatro, 2 tomi, II, Bisagni, Messina 1671, p. 99).

E’ probabile che il Solìto sia stato tratto in inganno dalla data 1546, legata ad un intervento di “restauro”, sui ben noti affreschi tardo-quattrocenteschi, di cui ci danno testimonianza il poligrafo termitano Baldassarre Romano nel 1830 e monsignor Gioacchino Di Marzo nel 1899. Ricordiamo che recentemente abbiamo attribuito tali affreschi ad un ignoto “Maestro del ciclo di S. Caterina d’Alessandria in Termini Imerese”, attestando l’inconsistenza della tradizionale attribuzione ai fratelli Graffeo [cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, nuovi riscontri documentali sulla famiglia Graffeo (XIV – XVI sec.): non sono gli autori degli affreschi di S. Caterina, “Esperonews”, 7 Agosto 2019, in questa testata giornalistica on-line].

La facciata della chiesa di S. Caterina d’Alessandria Egiziaca si connota per l’ingresso che reca un bel portale archiacuto, opera di ignoti lapicidi, costituito da elementi lapidei in biocalcarenite, dai caldi toni giallastri, di provenienza non locale, lavorati ad intaglio a faccia vista e solcati da modanature svolgentesi concentricamente alla linea d’intradosso. Le fasce dell’archivolto sono racchiuse da una continua cornice aggettante, seguente la linea dell’estradosso, che poggia su due peducci con motivi fitomorfi. Il culmine dell’ogiva è sormontato da un apparato scultoreo a bassorilievo che attesta come gli anonimi artisti-artigiani medievali erano dotati di una certa perizia, tanto da creare un lavoro popolare nella forma, dotto nei riferimenti iconografici e teologici. Questa apparato scultoreo è stato sinora descritto in maniera alquanto sbrigativa, per cui ci soffermiamo su di esso, dettagliando ogni particolare che riteniamo degno di nota. Alla base l’intaglio esibisce due figure antropomorfe che reggono una struttura monumentale di aspetto templare. Quest’ultima appare ornata ai lati da due colonne monocilindriche lisce, che poggiano su una base formata da un plinto quadrangolare sormontato da modanature (toro inferiore, scozia e toro superiore). Le colonne terminano superiormente con robusti collarini, seguiti da capitelli a foglie d’acqua (caratterizzati da due giri sovrapposti ed alternati di fogliame) con abaco sovrastante, ed una trabeazione di coronamento. La struttura architettonica, sorretta ai lati da due figure angeliche, al suo interno presenta ieraticamente la megalomartire alessandrina. Quest’ultima è rappresentata in posizione frontale con il capo ornato da una corona e con la chioma fiorente (simbolo virginale, tanto che le donne nubili erano dette virgo in capillis), apparendo vestita in abbigliamento aulico, per sottolineare la sua origine nobiliare, avvolta in un lungo ed ampio mantello che arriva fino a terra. La palma che tiene con la destra, simboleggia il suo martirio, mentre il libro nella sinistra ricorda la sua sapienza, nonché la sua funzione di protettrice degli studi, degli insegnanti e degli ordini religiosi come i Domenicani e gli Agostiniani. Sul lato sinistro, a tergo della Santa è intagliato lo strumento del suo primo supplizio, cioè una ruota dentata, a simboleggiare l’efferato congegno, composto di ben quattro ruote con chiodi e ferri di lancia, anche se infine ebbe il martirio della decollazione.

Nella sua ubicazione attuale, il portale appare assemblato malamente a conferma che di certo non è la sua primaria collocazione. Poiché la chiesa ha una orientazione NO–SE, con ingresso odierno a SE, è plausibile ritenere che sia stata riorientata dovendo originariamente esibire l’abside rivolta verso levante.

A nostro avviso, l’opera rispecchia senz’altro un habitus gotico ancora trecentesco, per cui siamo propensi a proporre per l’intero portale una datazione alla seconda metà del XIV secolo. In particolare, ci sembra emblematica nell’apparato scultoreo la presenza della decorazione dei capitelli a foglie d’acqua che ebbe larga diffusione in ambito italiano centro-meridionale, proprio nella seconda metà del XIV secolo, attardandosi fino al quarto decennio del Quattrocento. Del resto, la datazione da noi proposta appare congruente con quello che, allo stato attuale delle ricerche, risulta dall’analisi delle fonti documentarie disponibili. Infatti, la più antica menzione di questo luogo di culto risale all’anno indizionale 1407–8, allorchè un certo Paolino di Budura fece testamento in notar Giuliano Bonafede di Termini, il primo Dicembre Ia Indizione 1407, disponendo diversi legati in favore di vari edifici di culto, la maggior parte dei quali storicamente già documentati nel secolo precedente. Uno di tali legati fa riferimento proprio alla nostra chiesa di Santa Caterina che, evidentemente, doveva preesistere già da parecchi decenni.

Relativamente alla vicenda agiografica della Santa Megalomartire Caterina d’Alessandria, nelle proto-vite pervenuteci il suo martirio è riferito all’anno 305/306 d. C. e sarebbe avvenuto sotto l’imperatore Massenzio, mentre la sua festa appare già istituzionalizzata al 25 Novembre.

Le varie versioni della proto-vita greca di S. Caterina, sono state classificate dal canonico francese Joseph–Eugène Viteau (1859–1949), ellenista, con le prime quattro lettere maiuscole dell’alfabeto. A (Biblioteca Vaticana, Codex Palatinus n. 4),  B (vari codici), C  (vari codici) e D. Il codice A si caratterizza per la sua brevità; invece, B e C appaiono tra loro comparabili (cfr. J. Viteau, ed., Passions de saints Écaterine et Pierre d’Alexandrie, Barbara et Anysia: Publiées d’après les manuscrits grecs de Paris et de Rome avec un choix de variantes et une traduction latine, Buillon, Paris 1897, in particolare, pp. 1-65 ((il testo è consultabile on-line nel sito della Biblioteca Nazionale di Francia); A. H. Ilka, Zur Katharinenlegende: Die Quelle der Jugendgeschichte Katharinas, insbesonderein der mittelniederdeutschen Dichtung und in der mittelniederländischen Prosa, in “Archiv für das Studiumder neueren Sprachen und Literaturen”, 140, 1920, pp. 171–184; E. Klostermann, and E. Seeberg, Die Apologie der Heiligen Katharina, “Schriften der Königsberger Gelehrten Gesellschaft”, 2, 1924, pp. 31–87). L’ultimo proto-codice della passio di S. Caterina, risalente alla metà del X secolo, fu scritto da Simone Metafraste (morto dopo il 985), teologo bizantino. Una collazione delle passioni greche e latine si deve a Giovanni Battista Bronzini (Matera, 4 Settembre 1925 – Bari, 17 Marzo 2002), antropologo e storico delle tradizioni popolari (cfr. G. B. Bronzini, La leggenda di Santa Caterina di Alessandria. Passioni greche e latine, “Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei”. Memorie, Classe di Scienze Morali, 8/IX, 1960, pp. 257–416).

Sulla Santa esiste una vasta bibliografia, per cui ci limitiamo soltanto a segnalare al lettore le opere fondamentali, nel caso desideri approfondire l’argomento (cfr. J. P. Migne, Patrologiæ Cursus Completus. Series Græca, CXVI, coll. 276–301; A. N. Didron, P. Durand, ed., Manuel d’iconographie chretienne grecque et latine, Imprimerie Royale, Paris 1845, pp. 372–375; Société des Bollandistes, ed., Bibliotheca hagiographica graeca seu Elenchus vitarum sanctorum graece typis impressarum, Apud editories, Brussels 1895, s.v. Aecaterina; H. Varnhagen, Zur Geschichte der Legende des Katharina von Alexandrien, F. Junge, Erlangen 1891, V+51 pp.; D. Balboni, G. B. Bronzini, M. V. Brandi, Caterina di Alessandria, santa, “Bibliotheca Sanctorum”, III, coll. 954-978; G. S. Giamberardini, S. Caterina d’Alessandria, Quad. de la Terra Santa, Franciscan Prov., Jerusalem 1978, 45 pp.; R. Tollo, Santa Caterina d’Alessandria: icona della teosofia, Biblioteca Egidiana, 2015, 128 pp.; R. Coursault, Sainte Catherine d’Alexandrie: le Mythe et la Tradition, Paris, Editions Maisonneuve Larose, 1984, 134 pp.; Ch. Walsh, The Cult of St Katherine of Alexandria in Early Medieval Europe, Routledge, London 2007, 244 pp.; C. Caserta, a cura di, Sulla scia di Pantaleone da Nicomedia. I santi taumaturgi Cosma e Damiano venerati a Ravello: storiografia e culto. Atti del IV Convegno di Studi – Ravello, 24–25 luglio 2007. Caterina d’Alessandria tra culto orientale e insediamenti italici. Atti del V Convegno di Studi – Ravello, 24-25 luglio 2008, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2012, 316 pp.).

La diffusione del culto cateriniano in occidente ricevette un notevole impulso a seguito della prima crociata, anche se non è da escludere una preesistenza legata alle repubbliche marinare ed ai loro frequenti contatti commerciali con l’Oriente.

In Francia sono documentate alcune varie vetrate che raffigurano episodi agiografici riguardanti proprio la Santa alessandrina (Cattedrale di Angers, XII–XIII sec.; Chartres, attribuita agli anni 1220–27). Nella più antica iconografia plastica trecentesca, relativa alla Santa ed attualmente nota, che si conserva nella chiesa di Saint–Florentin (département de Yonne, Bourgogne–Franche–Comté), essa è raffigurata reggente con la destra una piccola ruota dentata (cfr. J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, introduzione di K. Clark. traduzione di M. Archer, edizione italiana a cura di N. Forti Grazzini, Longanesi & C., 1983, 430 pp., in particolare, pp. 221–222 e 380–381). Similmente, ma in controparte, è effigiata nella statua in marmo di Carrara, opera di André Beauneveu, della Chapelle des Comtes nella chiesa di Notre-Dame di Courtrai (1374–1386).

Relativamente all’ambito palermitano, nella capitale del Regno di Sicilia, per volontà della casata dei Mastrangelo, tra il 1312 e il 1313 fu edificata la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, con annesso monastero femminile, sotto la regola di Sant’Agostino e l’attenta cura dei frati predicatori, comprensiva di una struttura ospedaliera [cfr. P. Sardina, Il monastero di Santa Caterina e la città di Palermo (secoli XIV e XV), Quaderni – Mediterranea. Ricerche storiche, 29, Associazione Mediterranea, Palermo 2016, p. 29]. Nella penisola italiana, inoltre, vi sono degli esempi del culto di S. Caterina d’Alessandria in relazione ad ambiti marinari (ad es. ad Alassio in Liguria).

Tornando alla chiesa di S. Caterina d’Alessandria Egiziaca in Termini Imerese, ci preme chiarire l’invalidità di una affermazione del poligrafo Mariano De Michele e De Michele dei baroni di S. Giuseppe (Termini Imerese, 27 Febbraio 1770 – Palermo, 9 Gennaio 1848), accademico euraceo con lo pseudonimo di Laurillo Signoresio. Il De Michele fu autore  di un discorso inedito, del quale si ignora quando sia stato pubblicamente recitato, che si conserva manoscritto presso la Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese (d’ora in poi BLT), con il titolo L’Ebreismo di Termini Imerese. Il manoscritto fu edito nel 1950 dall’ASCI di Termini, sotto forma di testo ciclostilato, con la trascrizione curata dal benemerito notaio Ignazio Candioto. In tale discorso accademico sono condensati i risultati di una ricerca archivistica, basata soprattutto sui rogiti notarili del XV secolo, relativa alle vicissitudini della locale comunità giudaica e del loro luogo di culto (sinagoga), denominato Moschita, termine mutuato dalla lingua araba, che egli correttamente collocò nel sito del monastero delle clarisse sotto il titolo di S. Marco Evangelista, prospettante sulla Ruga. Ci preme qui sottolineare che la strada (ruga) per antonomasia di questo settore dell’area urbana, limitato dalle mura civiche, era l’attuale Via Garibaldi, a quel tempo chiamata Ruga Barlachiorum o Ruga Barlaxiorum, che prendeva nome dal quartiere dei Barlaci, a sua volta da Parlasci o Barlasci, derivato dal greco perilasion ‘anfiteatro’ (cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale), Giambra, Terme Vigliatore, Messina 2019, p. 47).

Nella trascrizione del manoscritto demicheliano, edita dal Candioto (pp. 26–28) si legge che il quartiere giudaico si estendeva «sino alla Chiesa di S. Caterina, la quale Chiesa però non era in quel sito, dove si trova adesso un’altra Chiesa di S. Caterina, ma vicino al presente monastero di S. Marco, come appresso vi farò vedere». Ed infatti, poco oltre il De Michele riferisce di «un atto di N.[ota]r Giuliano Bonafede del 1412 ai [lacuna] di Luglio» che «fa menzione d’una casa nel quartiere di Caltigegne, contigua da un lato alla chiesa di S. Caterina, e dall’altro lato alla Moscheta de’ Giudei». Ed indi sostiene che «la Chiesa di S. Caterina di que’ tempi e nominata in quest’atto di N.[ota]r Giuliano Bonafede, non era la stessa, che noi veggiamo adesso ed ora passo a provarvelo come già dissi. Avvi un atto di N.[ota]r Enrico La Tegera del 1478 a [lacuna] 8bre in cui si nomina la Chiesa di S. Caterina nuovamente fabbricata nel piano de’ Barlaci. Da quest’atto chiaramente si scorge primo, che dovea esservi o esservi stata un’altra chiesa di S. Caterina, mentre dice essere stata nuovamente fabbricata; secondo, che questa S. Caterina nuovamente fabbricata, non può essere affatto quella nominata dal N.[ota]r Bonafede, mentre che quella vien situata nel quartiere di Caltigegne, e questa nel piano de’ Barlaci.  Ecco che resta senza alcun dubbio provato, che la Chiesa di S. Caterina nominata da N.[ota]r Bonafede Giuliano era diversa di questa presente nominata da  N.[ota]r Enrico La Tegera, e che quella poteva essere situata benissimo vicino alla Moscheta de’ Giudei, ancoché essa fosse stata come vi ho dimostrato, nel luogo stesso, ove adesso veggiamo il Monastero di S. Marco. Se poi questo luogo della Moscheta apparteneva al piano de’ Barlaci, od al quartiere di Caltigegne, io non so deciderlo, il certo si è ch’era ne’ confini dell’uno e dell’altro, poiché la Moscheta da un lato aveva una casa intermedia tra essa e la Chiesa di S. Caterina, situata nel quartiere di Caltigegne, come vidimo [sic] nell’atto sopra citato di  N.[ota]r Giuliano Bonafede».

Nonostante il presunto supporto delle fonti notarili, che dovrebbe essere ineccepibile, le asserzioni del De Michele, relative all’esistenza di una primitiva chiesa di S. Caterina d’Alessandria, presso la giudecca degli ebrei, quest’ultima nel sito del ex monastero di S. Chiara sotto il titolo di S. Marco, e di una successiva tardo quattrocentesca, corrispondente all’attuale luogo di culto eponimo, sono totalmente prive di fondamento e legate ad un errore.

Infatti, il rogito di notar Giuliano Bonafede di Termini Imerese, citato dal De Michele, è stato da noi rintracciato tra i registri del detto notaio (conservati presso la sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo, fondo notai defunti, vol. 12829), ma dalla sua lettura non si ricava alcun sostegno alle curiose asserzioni del detto poligrafo termitano. Si tratta, infatti, di un lascito testamentario, disposto dal giudeo Xanono de Brachio (o de Bracca), datato 24 Luglio Va Indizione 1412. In esso, il testatore dispose di fare dono alla Miskita (giudecca) di una casa di sua proprietà confinante (muro comune mediante) con la chiesa di S. Caterina ed altri confini. Nell’atto notarile appare in tutta la sua lampante evidenza che è l’abitazione donata ad essere sita a tergo della chiesa di S. Caterina d’Alessandria, non la Miskita, alla quale era destinata in elargizione!

Curiosamente, anche la studiosa Angela Scandaliato, purtroppo fidandosi acriticamente delle affermazioni del De Michele, ha finito per perpetuare l’errore del poligrafo termitano che è entrato così nella moderna storiografia giudaica di Sicilia: «Una prima Sinagoga, com’è stato chiarito dal De Michele, si trovava nel quartiere Celtigegne vicino la chiesa di S. Caterina, dopo l’espulsione trasformata in Badia» (cfr. A. Scandaliato, La Giudecca di Termini Imerese nel XV secolo: il divorzio tra Lazzaro Sacerdoto e Perna, in “Atti della Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo”, s. V, vol. XIV, anno accademico 1993–94, parte seconda: Lettere, pp. 9-26, in particolare, p. 10 e nota n. 4 a p. 24: «ll De Michelis trae la notizia sulla prima sinagoga da un atto dcl Not. Giuliano Bonafede  del 9 Novembre l411 in cui si parla del legato di Xanono de Bracha alla Meschita di Termini, c da un altro in cui si parla d’una casa posta nel quartiere Celtigegne confinante da un lato con la Chiesa di S. Caterina e dall’altra con la Meschita»).

In realtà, non vi sono dubbi che la chiesa di S. Caterina, come già accennato in  precedenza, sia documentata agli esordi del Quattrocento. La chiesa era chiaramente ubicata nel piano che prendeva nome dal detto luogo di culto, dove si apriva la porta civica detta di Caltigegne, inserita nella cinta muraria medievale, con l’omonimo quartiere, come attestano due rogiti di notar Giuliano Bonafede del 6 Ottobre IIIa Indizione 1409 e 20 Aprile XIIa Indizione 1419 (cfr. G. M. Sceusa Provenzano, Termini Imerese Splendidissima, e Fedele Città Della Sicilia, suo Nome, sua Origine, suo culto, e Suoi progressi, sotto i Dominij che il nostro Regno han governato, ms. 1796, BLT, ai segni AR d β 22, f. 47r e v). La chiesa è ancora menzionata in un rogito del detto notaio datato 6 Ottobre IVa Indizione 1410 (cfr. G. M. Sceusa Provenzano, Termini Imerese Splendidissima, e Fedele Città Della Sicilia…cit., f. 48r).

Rimane incerta, invece, la sua esatta collocazione topografica, non fornendo i rogiti sufficienti informazioni a tal proposito, anche se è chiaro che non era isolata, avendo abitazioni confinanti. Relativamente alla Porta di Caltigegne, i rogiti notarili, forniscono indicazioni soltanto sulla sua vicinanza alle rocche del Castello e, in particolare, a quella che agli inizi del Cinquecento appare menzionata come Rocca dell’Orologio, poi inglobata nelle fortificazioni castrensi cinquecentesche (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, attività militare ed evoluzione del paesaggio: l’esempio della “Rocca dell’Orologio antiquo” tra medioevo e Settecento, “Esperonews”, 20 Dicembre 2020, in questa testata giornalistica on-line). E’ possibile che la porta, avendo un eminente carattere funzionale e difensivo–militare, fosse a un solo fornice e disposta in una rientranza, non nella linea del muro, in modo che l’ingresso potesse essere opportunamente sorvegliato e difeso. Un indizio di ciò si ha dall’esistenza, ancora nella prima metà del Cinquecento, del toponimo lagnuni, cioè dell’angolo, del cantone, relativo al quartiere, prospiciente sul Piano di S. Caterina, che sorgeva sul fianco nord-occidentale della Rocca dell’Orologio. La strada di S. Basilio (Ruga Sancti Basilii), conduceva poi dal detto piano inerpicandosi sino al Castello sulla vetta della rocca, dove era la chiesa castrense dedicata al santo di Cesarea, contigua con la torre mastra della fortezza medievale (cfr. P. Bova, A, Contino, Geomorfologia antropogenica legata ad attività militari: l’esempio della Rocca del Castello di Termini Imerese dall’Antichità al 1950, “Esperonews”, 14 Settembre 2020, on-line in questa testata giornalistica). Un rogito del 15 Febbraio Va Indizione 1412, sempre in notar Bonafede, rammenta le tre chiese di S. Giovanni Battista, S. Basilio e SS. Salvatore (cfr. G. M. Sceusa Provenzano, Termini Imerese Splendidissima, e Fedele Città Della Sicilia…cit., f. 48r), legate dal fatto che prospettavano sugli omonimi assi viari che rappresentavano le principali arterie di questo settore urbano.

Nelle more della realizzazione della novella cinta bastionata cinquecentesca, scomparve la porta civica medievale di Caltigegne e fu realizzato un nuovo ingresso civico che, tra l’altro prese anche il nome di Porta di S. Caterina. Tale toponimo, ad esempio, è attestato nella planimetria delle fortificazioni di Termine e nella Pianta del Castello di Termine, inserite nell’opera ms. della Biblioteca Nacional de España in Madrid, Plantas de todas las plaças y fortaleças del Reyno de Sicilia sacadas de orde[n] de Su Mag[esta]d el Rey D[on]. Phelippe Quarto anno de CIƆIƆCXXXX (pp. 93–93) ai segni Mss 1. Tali piante recano la firma autografa del valente disegnatore, incisore e cartografo Francesco Negro, ma i rilievi furono realizzati grazie all’indispensabile contributo scientifico di Carlo Maria Ventimiglia Ruiz (1576–1662), letterato, filosofo, matematico, astronomo e geodeta siciliano.

La porta civica medievale di Caltigegne, pur essendo ubicata nel Piano di S. Caterina, doveva essere collocata ad una certa distanza dalla chiesa eponima, poiché la documentazione archivistica giammai le collega direttamente, bensì attraverso il pianoro. Questo ingresso, in quanto elemento inserito nelle mura di recinzione, era parte fondante dell’identità civica della comunità, costituendo un passaggio che aveva la funzione eminente di collegare ciò che era extra moenia con ciò che era intra moenia, in uno spazio condiviso ben circoscritto da una barriera fisica, percezione che da quando è scomparsa la Termini murata è definitivamente tramontata (cfr., a tal proposito, J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata: un programma di riflessione e di ricerca, in C. De Seta, J. Le Goff, a cura di, La città e le mura, Laterza, Bari-Roma 1989, pp. 1–10). Questa porta civica era particolarmente strategica, visto che era attraversata da una via di transito che permetteva l’accesso in ambito urbano, attraverso la scomparsa caletta della Fossola, dal livello del mare sino ad una settantina di metri di quota. La porta di Caltigegne, inoltre, era collocata in corrispondenza di un avvallamento, lungo la direttrice di deflusso preferenziale delle acque di ruscellamento, avendo le mura incorporato nell’area urbana la zona di testata del Vallone della Fossola. Questo assetto geomorfologico favorì l’origine dell’abitudine di smaltire attraverso il torrente i rifiuti, provenienti soprattutto dai vicini macelli (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, un mulino a vento tra S. Caterina e S. Giovanni nel Cinquecento, “Esperonews”, 15 Novembre 2022, on-line in questa testata giornalistica).

Diversi dati geognostici, derivanti da indagini dirette eseguite nell’area dell’antico Piano di S. Caterina (oggi Piazza S. Giovanni), attestano l’esistenza di spessori di ben oltre 4 m di materiali di riempimento legati alle opere di colmata, tardo-cinquecentesche dell’antica zona di testata del Vallone Fossola che si addentrava all’interno dell’area urbana e che dovette costituire una importante linea di deflusso naturale delle acque superficiali sin dall’antichità (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit. p. 181). Tracce tangibili relative ad opere di smaltimento (canali e canalette) di epoca romana, appaiono documentate nei saggi archeologici effettuati nel 1996 proprio all’interno della nostra chiesa di S. Caterina d’Alessandria (cfr. A. Burgio, Saggio archeologico nella Chiesa di S. Caterina d’Alessandria di Termini Imerese, in AA.VV., Archeologia e Territorio, Palumbo, Palermo 1997, pp. 237–249). Esse, a nostro avviso, trovano la loro giustificazione proprio nella regimazione delle acque in relazione alla presenza dell’antica zona di testata torrentizia intra moenia del Vallone della Fossola.

La porta medievale di Caltigegne, che separava questa zona dalla restante parte dell’alveo torrentizio, fu sacrificata a seguito delle operazioni di ammodernamento delle ormai obsolete strutture difensive, rese necessarie dal progresso tecnico raggiunto nel campo dell’arte militare delle tecniche di assedio (poliorcetica), tramite l’inserimento di strutture bastionate, capaci di contrastare la diffusione sempre più massiccia delle micidiali armi da fuoco. Strutture fortificate della nuova cinta muraria di Termini che furono poi realizzate nel 1556–1591, mentre quelle castrensi furono edificate nel 1553–1580.

Il vasto e contiguo Piano delli Barlaxi, aveva come estremi, da un lato la detta chiesa di S. Caterina e dall’altro quella di S. Antonio Abate (oggi distrutta, collocata grossomodo all’imbocco dell’attuale Via Castellana nel Viale Belvedere Principe di Piemonte). Ciò risulta dagli atti di notar Antonio Bonafede del giorno 8 Febbraio VIIa Indizione 1474, dove si protesta di non poter produrre suoli di case in detto piano, che comprendeva anche un settore extra moenia, restando di esclusiva pertinenza dei Giudei, per loro sepoltura, come da ordine viceregio (cfr. G. M. Sceusa Provenzano, Termini Imerese Splendidissima, e Fedele Città Della Sicilia…cit., ff. 48v–49r).

Dai rogiti sappiamo che, ancora poco dopo la metà del Cinquecento, accanto alla chiesa di S. Caterina vi era una pertinenza di detto edificio di culto, nello specifico un giardino recintato di una certa estensione visto che appare designato come xilba seu Territorio (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, un mulino a vento tra S. Caterina e S. Giovanni nel Cinquecento, “Esperonews”…cit.). Ebbene, il lemma xilba/xirba o chirba/ghirba deriva dall’arabo ḫirba ‘edificio in rovina’ (cfr. G. Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, Palermo, 1983, s.v. chirba, pp. 187–189; D. A. Agius, Siculo Arabic, Library of Arabic Linguistic, n.° 12, Routledge, New York 2012, 588 pp., in particolare, p. 266), praticamente sinonimo di casalinu ‘edificio abbandonato’ (cfr. A. Giuffrida, G. A. Rinaldi, a cura di, Il “Caternu” dell’abate Angelo Senisio: l’amministrazione del Monastero di San Martino delle Scale dal 1371 al 1381, Collezione di testi siciliani dei secoli XIV e XV, vol. XVIII, Centro di studi filologiche e linguistici siciliani, 1989, p. 10). Pertanto, si doveva trattare di un edificio preesistente o piuttosto di un complesso di edifici,  che, nel loro insieme, dovevano avere una certa estensione areale, ed erano ormai in rovina, tanto che per coalescenza, si era creato un grande giardino d’inverno di pertinenza della chiesa di S. Caterina. Nasce il sospetto che proprio nel sito di questa insula, trasformata a giardino, sorgesse la primitiva chiesa di S. Caterina d’Alessandria Egiziaca, mentre quella attuale corrisponderebbe all’edificio di culto “nuovamente fabbricato” cui allude il rogito di notar Enrico La Tegera di Termini, dell’Ottobre 1478, ricordato dal De Michele. Nelle more di tale ipotesi, il portale trecentesco apparterrebbe proprio al diruto edificio di culto ed avrebbe subito un ulteriore spostamento, oltre alla riorientazione già citata. La questione, allo stato attuale delle ricerche, appare comunque aperta, non disponendo di ulteriori dati probanti.

Concludendo, questa nostra ricerca ha permesso di chiarire alcuni aspetti storici, artistici e geoarcheologici relativi alla chiesa di S. Caterina d’Alessandria Egiziaca in Termini Imerese. Purtroppo, la mancanza di fonti documentarie antecedenti al 1407–8, allo stato attuale delle ricerche, determina il perdurare di alcune zone d’ombra nell’affascinante storia di questo antico luogo di fede, le cui origini affondano nella seconda metà del Trecento, ancora da riscoprire e, soprattutto, da rivalutare.

Patrizia Bova e Antonio Contino

 

Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, rispettivamente, al direttore ed al personale della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese e della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo.

 

 

Albero caduto a Termini Imerese a causa del forte vento, tragedia sfiorata in Via Palermo

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Il forte vento di maestrale che si è abbattuto già dalla serata di ieri, sta creando diversi disagi in buona parte del nostro Comprensorio.

Questa mattina a Termini Imerese, proprio a causa del forte vento, è caduto un albero in Via Palermo. In zona, proprio nel momento del crollo vi erano diverse persone che stazionavano, quando un albero si è sradicato a seguito delle folate di vento. Per fortuna le persone presenti sono riuscite a scappare in tempo, perchè proprio in quegli istanti l’albero in questione è caduto sopra una Fiat Idea, e altre auto posteggiate.

Sul posto i tecnici del comune, le forze dell’ordine e i vigili del fuoco che stanno provvedendo a ripristinare il danno in questione.

Termini Imerese, ANPI esprimere propria vicinanza alla famiglia di Giulia Cecchettin

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In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne l’ANPI di Termini Imerese intende esprimere la propria vicinanza alla famiglia di Giulia Cecchettin per il brutale omicidio commesso ai danni della ragazza dal giovane Filippo Turetta. Giulia è la centocinquesima vittima di femminicidio avvenuto in Italia dall’inizio del 2023, e in Sicilia, le donne uccise da uomini, spesso i propri partner, sono 12, senza contare i numerosi casi di stupri, violenze fisiche e psicologiche subite da molte altre donne.
Le cause di questo fenomeno sono ascrivibili ad un sistema patriarcale di dominio e sopraffazione del “maschio” sulle donne, e che legittima ogni forma di violenza nei loro confronti.
E’ necessario quindi che avvenga un radicale cambiamento culturale di tale sistema nel nostro paese, mettendo in discussione pregiudizi e stereotipi di genere a partire dalla condanna verso tutte quelle forme di rappresentazione della donna come oggetto di piacere sessuale propagandata dalla pubblicità e dai mass media, e promuovere, attraverso i maggiori mezzi di informazioni e le fondamentali Agenzie educative, quali scuola e famiglia, una cultura del rispetto delle identità di genere, del diverso orientamento sessuale, e delle pari opportunità.
Bisogna agire sempre di più contro la violenza, l’odio e ogni forma di discriminazione per educare alle relazioni affettive e alla parità dei sessi.
Pertanto l’ANPI intende valorizzare il percorso di molte donne che, fin dalla lotta per la liberazione del nostro Paese dal nazifascismo ad oggi, hanno combattuto per la conquista delle liberta e per l’emancipazione, raggiungendo importanti traguardi in campo sociale, economico ed istituzionale, contribuendo così al progresso della democrazia.
Ma non bisogna mai abbassare la guardia, visto che molte conquiste civili e culturali vengono minacciate a causa dell’ attacco ad alcuni fondamentali diritti, quali: il diritto di sciopero, il diritto alla salute, alla vita, e alla pace.
È fondamentale dunque impegnarci tutti, donne e uomini, affinché si abbia la piena attuazione delle norme costituzionali, garanzia delle libertà democratiche, per costruire una società più giusta e una convivenza pacifica, annullando la cultura dell’odio, della violenza di genere e della guerra.

Giornale di Cefalù: Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti

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Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti: quali iniziative si svolgono a Cefalù. Intervista all’assessore comunale Salva Mancinelli (nella foto). Comune di Cefalù, 2 milioni 700 mila euro da investire: interventi del Sindaco Daniele Tumminello e del consigliere di minoranza Simona Vicari. Il libro magico: le filastrocche per l’infanzia. Interventi di Cinzia Pitingaro e Santa Franco, Presidente della Biblioteca. Festival Filosofie, le declinazioni della democrazia: intervento del prof. Luciano Canfora.
Il Giornale di Cefalù – n. 1770 anno 40 – notiziario video-web diretto e condotto da Carlo Antonio Biondo; da giovedì 23 novembre 2023 può essere seguito e rivisto su facebook adrianocammarata e sul canale you tube (https://youtu.be/jcjgJk5CRho) Carlo Antonio Biondo al quale ci si può iscrivere per essere sempre aggiornati. Archivio Giornale su cammarataweb; link su tutti i social.

Donne vittime di violenza chiedono Microcredito per aprire un’impresa: Fidimed di Palermo ha erogato il primo finanziamento

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Sono più numerose le donne vittime di violenza, assistite dai Centri antiviolenza o ospiti di Case rifugio e aiutate da tutor qualificati, che hanno richiesto all’Ente nazionale per il Microcredito l’accesso al progetto imprenditoriale “Microcredito di libertà”, che consiste in un finanziamento a tasso zero garantito dallo Stato per l’80% e per la restante parte da Fidimed. Il progetto è istituito dal Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri in collaborazione con Abi, Federcasse e Caritas, per consentire alle vittime di violenza di avviare un’attività con cui affrancarsi dalla dipendenza economica.

Il primo finanziamento da 40mila euro (una seconda tranche da 10mila euro sarà successiva) è stato erogato da Fidimed, intermediario finanziario siciliano 106 vigilato da Bankitalia con rete sull’intero territorio nazionale, che è il primo player in Italia ad avere aderito al progetto di imprenditoria sociale gestito dall’Ente nazionale per il Microcredito.

La signora, coperta da anonimato, ha commentato: “Sono una donna vittima di violenza di genere, iscritta ad un centro antiviolenza da diversi anni. Il centro mi ha messo in contatto con Fidimed, e grazie a tutto il suo staff, efficientissimo e professionale, sono riuscita ad ottenere un finanziamento a tasso zero per aprire l’attività dei miei sogni che mi permetterà di essere finalmente indipendente economicamente per mantenere me e i miei figli.
Grazie all’Ente per il Microcredito e a tutti i partner del progetto, grazie a Fidimed, grazie all’amministratore delegato e a tutti i suoi componenti che, oltre ad essere estremamente competenti, hanno un profondo senso umano e di solidarietà, fattori essenziali per potere superare le problematiche generate dalla violenza di genere e dai conseguenti troppo frequenti femminicidi che purtroppo si verificano. Grazie”

Gli altri progetti di nuova attività economica, attualmente in istruttoria da parte dei tutor, sono stati presentati da aspiranti imprenditrici di diverse regioni (i dati vengono mantenuti riservati per tutelare l’incolumità delle vittime) e verranno valutati non appena sarà terminato il percorso di affiancamento.

Il “Microcredito di libertà” promuove l’inclusione sociale e finanziaria delle donne vittime di violenza che si trovano in difficoltà economica, mettendole nelle condizioni di ricominciare scommettendo su se stesse e su un’idea che vogliono realizzare, per lasciarsi alle spalle il passato. Il finanziamento fino a 50mila euro può essere utilizzato per acquisto di beni e attrezzature, materie prime e servizi, per pagare gli stipendi di nuovi dipendenti soci lavoratori e sostenere spese per corsi di formazione.

Per accedere alla misura le donne devono fare domanda ad uno dei Centri antiviolenza o alle Case rifugio riconosciuti dalle Regioni, i quali la trasmettono all’Ente nazionale per il microcredito, che a sua volta incarica un tutor specializzato nel fornire i servizi di assistenza e monitoraggio, mentre Fidimed istruisce la pratica di finanziamento e l’Enm si fa carico del tasso di interesse.

“E’ per noi motivo di particolare orgoglio e speranza – dichiara Fabio Montesano, A.d. di Fidimed – il fatto che sia stato un confidi siciliano, terra particolarmente esposta al fenomeno della violenza sulle donne, a erogare il primo ‘Microcredito di libertà’ e a farlo in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Infatti, siamo particolarmente turbati – aggiunge Montesano – dalle recenti tragiche notizie di femminicidi e siamo, quindi, estremamente felici di potere restituire ad una donna che ha sulle spalle un passato di terribili e inaccettabili violenze la possibilità di riscattarsi e di crearsi una nuova vita”.

“Il ‘Microcredito di libertà’ – sottolinea Marco Paoluzi, Responsabile coordinatore dell’area Credito e Banche dell’Ente nazionale per il Microcredito – agisce su quella particolare forma che è la violenza economica, ovvero il controllo esercitato sull’autonomia di una persona al fine di renderla completamente dipendente dal soggetto violento, come accade quando un uomo impedisce alla donna di lavorare, di gestire il proprio denaro o la costringe a sottoscrivere impegni economici. Dunque, offriamo una occasione di riscatto alle donne assistite dai Centri antivolenza o ospiti delle Case rifugio, che non troverebbero facilmente accesso al tradizionale credito bancario”.

nella foto, da sx, Marco Paoluzi e Fabio Montesano.

Madonie, al via progetto strategico unico in Italia sulla gestione del servizio idrico

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L’Unione Madonie avvia i lavori di un progetto strategico, unico in Italia, sulla gestione del servizio idrico nelle Madonie. Il progetto è unico nel suo genere perché vede coinvolti 14 Comuni per la mappatura, modellizzazione, distrettualizzazione, manutenzione e ripristino delle reti di approvvigionamento idrico nei comuni in regime di salvaguardia per un importo di 17 milioni di euro provenienti dal PNRR.

Una scommessa vinta dall’Unione delle Madonie che sta gestendo tutto il percorso, dall’idea alla realizzazione di quello che sarà sicuramente un modello di gestione virtuoso di un servizio al cittadino che condurrà anche ad una nuova cultura gestionale, improntata sull’asset e project management unitario di tutte le infrastrutture e gli interventi nei territori dei 14 comuni, coordinati e centralizzati dalla struttura tecnica di supporto istituita presso l’Unione con il coordinamento dell’Agenzia di Sviluppo SO.SVI.MA S.P.A..

Elemento caratterizzante di tutta l’operazione è quindi la logica unitaria della gestione degli interventi nei 14 comuni dell’Unione Madonie che sono in salvaguardia e cioè quei comuni ai quali è stata riconosciuta l’autonomia di gestione dell’acqua potabile e l’organizzazione del servizio: Caltavuturo, Castelbuono, Campofelice di Roccella, Collesano, Gangi, Geraci Siculo, Gratteri, Isnello, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Polizzi Generosa, Pollina, Scillato e Sclafani Bagni.

Dopo tre anni di procedure, la realizzazione del progetto unitario che si compone di 8 unità funzionali e l’espletamento di 37 gare di appalto, ieri (20 novembre), nell’aula consiliare del Comune di Castellana Sicula, si è proceduto alla consegna dei lavori alle imprese affidatarie che dovranno realizzare i lavori previsti. Si tratta di tre impianti di potabilizzazione (Castelbuono, Gangi, Geraci Siculo), di un serbatoio (Pollina), del ripristino funzionale e l’ottimizzazione delle reti (Caltavuturo, Pollina, Scillato, Sclafani Bagni, Campofelice di Roccella, Collesano, Gratteri, Isnello, Petralia Soprana, Petralia Sottana e Polizzi Generosa), del rifacimento e la sostituzione di tratti di rete idrica ammalorati o inefficienti e la manutenzione straordinaria in tutti i comuni interessati.

Tutto ciò sarà realizzato sulla base dei risultati delle attività di mappatura, finalizzata alla ricerca delle perdite e al controllo delle pressioni, che verrà coordinata da un gruppo unitario di progetto per la definizione degli interventi e del monitoraggio del funzionamento del sistema acquedottistico attualmente funzionante nei vari Comuni.

“E’ una giornata importante per i comuni interessati – afferma il presidente dell’Unione Madonie Luigi Iuppa – perché questo progetto consentirà una gestione ottimale del servizio e ci farà fare un salto di qualità anche dal punto di vista organizzativo. Saranno realizzate opere di miglioramento e soprattutto avremo un monitoraggio continuo delle reti che consentirà di non avere perdite e quindi un uso parsimonioso di questo bene che è l’acqua. Altro elemento da sottolineare – dice Iuppa – riguarda il ruolo dell’Unione delle Madonie che si consolida sia dal punto di vista politico che amministrativo portando a compimento un progetto che andrà a migliorare anche la qualità ambientale del territorio.”

“Il progetto – aggiunge Alessandro Ficile, Amministratore Unico della SO.SVI.MA. Spa che su incarico dei 14 comuni in salvaguardia ha curato la progettazione dell’intervento ed ha assunto il ruolo di Project Manager nella fase attuativa – ha come obiettivo principale quello di dotare i gestori di un adeguato bagaglio di informazioni, opportunamente implementate su sistema web GIS che fornirà gli input al programma di mappatura delle reti, al fine di poter individuare le criticità presenti sulle infrastrutture del servizio e/o sullo schema di funzionamento delle reti e dei relativi distretti e quindi poter svolgere una successiva pianificazione degli interventi basata su criteri di modellistica idraulica e distrettualizzazione, attivando al contempo un sistema di asset management informatizzato.

Pietro Conoscenti RUP del progetto, spiega “che un ulteriore obiettivo del progetto è quello di contribuire ad una prima significativa riduzione delle perdite (fisiche e amministrative), ad oggi stimate come molto elevate, sia attraverso le attività di conoscenza delle reti (con installazione di strumentazioni di controllo anche permanente sulla rete) sia attraverso le correlate campagne di ricerca perdite dirette “in campo” che consentiranno di verificare e correttamente dimensionare interventi di ripristino avviabili a breve termine oltre ad un pacchetto di attività di manutenzione straordinaria urgente conseguibili nei tempi del progetto che dovrà concludersi entro il 31 marzo del 2026”.

“Un ringraziamento particolare  – conclude Luigi Iuppa – lo voglio rivolgere ai sindaci dei 14 comuni che, con impegno e costanza, hanno in questi tre anni profuso enormi sforzi per poter mantenere l’autonoma gestione della risorsa idrica, a tutti i componenti  della Struttura Attuativa del progetto che da mesi sono impegnati nel porre in essere gli adempimenti utili e necessari al concreto avvio dei lavori ed alla struttura tecnica dell’Assemblea Territoriale Idrica di Palermo per la proficua collaborazione”.

Il femminile ferito: la violenza sessuale fra biologia e cultura

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Di violenza sessuale sentiamo parlare ormai quotidianamente. Senza infingimenti, è chiaro che si tratta di un problema sociale dalla rilevanza enorme, sulla cui lettura si sono cimentati specialisti di ogni ordine e tipo, sia dalle facili platee televisive, sia dai palcoscenici, sicuramente più riservati, delle riviste scientifiche. La domanda di fondo, sulla quale si spreca la materia grigia di tanti performers è ovviamente: perché esiste? Quali sono le cause di un fenomeno talmente brutale? Un tempo la soluzione sembrava quasi ovvia: la repressione sessuale, la difficoltà della trasgressione, una società sessuofobica e le conseguenti fantasie frustrate portavano il maschio ad agire le medesime in maniera violenta. Una sorta di compensazione, insomma. Mi prendo con la forza ciò che non è possibile, o perlomeno difficile, ottenere con altri mezzi. E la colpa era tutta della società.

Interpretazione che oggi appare molto discutibile, se non ridicola. Viviamo in una società dalla libertà sessuale assoluta, forse addirittura eccessiva. Il rapporto demografico tra uomini e donne è sproporzionato, tanto che esistono difficoltà obiettive alla creazione di nuovi rapporti monogamici: gli uomini sono troppo pochi. Una bella donna italiana, guida turistica, che abitava a San Francisco mi raccontò, durante un mio soggiorno in California, che aveva impiegato otto anni per trovare un uomo. Il che appariva anche ovvio, visto che peraltro la città californiana è la patria dei gay… La pornografia è, praticamente, liberalizzata. Internet provvede a fornire agganci per rapporti sicuri anche sul piano emotivo. La possibilità di rapporti sessuali occasionali è talmente alta da rappresentare uno dei maggiori fattori di rischio per la propagazione di malattie sessualmente trasmesse.

Sembrerebbe, insomma, che le motivazioni classiche della violenza sessuale siano tutte cadute. Eppure il fenomeno, nella sua brutale drammaticità, continua ad esistere. Alcuni dati anche se non recenti sono illuminanti. Da una inchiesta fatta nel 1992 tra le donne americane dai diciotto anni in su, il 13 per cento riportava di essere stato oggetto di violenza, ovvero di essere stato costretto a rapporti orali, anali o vaginali non desiderati e comunque ottenuti con la forza. E se, nel mondo, la violenza sulle donne riguarda una donna su tre, i dati ISTAT rivelano che il 31,5 delle donne tra 16 e 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale. In genere gli autori delle violenze sono esercitate da partner, parenti e amici, e gli stupri sono stati commessi nel 62,7 % da partner. Numeri da far paura. Ma perché questi dati? Come si spiegano?

Esistono ‘antiche’ teorie; la violenza sessuale sarebbe il massimo atto di dominio e prevaricazione del maschio, che non rispetta la donna e la vuole subordinata. Le motivazioni della violenza sessuale sarebbero pertanto da ricercare in un comportamento simbolico, e non tanto in qualcosa che ha a che vedere col desiderio sessuale, per quanto brutale e brutalmente agito. Se dovessimo allora decidere (posto che ciò abbia importanza) se la violenza sessuale è natura o cultura, dovremmo decisamente optare per la cultura. La guerra tra i sessi continua, e la violenza sessuale è un atto prioritariamente ‘culturale’. Ma esistono anche interpretazioni più inquietanti, come quella fornita da due studiosi americani, Randy Thornbill, un biologo evoluzionista dell’Università del New Mexico, e Craig T. Palmer, antropologo evoluzionista dell’Università del Colorado , con un articolo apparso nel 2000 su The Sciences, la rivista ufficiale della New York Academy of Science. La definizione di ‘evoluzionista’ è dovuta al fatto che essi seguono un orientamento socio-biologico, che tenta quindi la lettura di comportamenti, fatti sociali, eventi politici e quant’altro alla luce della teoria darwiniana. L’approccio in questione, che ha fatto molto discutere, si fonda su un ridimensionamento delle letture psicologiche o sociologiche fortemente ideologizzate, per mezzo di un’attenta lettura biologica evoluzionistica. Fuori l’ideologia, dentro la scienza. Zitti e mosca. Bene, ma da questo punto di vista che hanno da dire Thornbill e Palmer?  Essi citano dei fatti, abitualmente non analizzati. Ne riportiamo alcuni. Anzitutto il fatto che il massimo numero delle donne violentate è in età fertile; in molte culture lo stupro è considerato come un crimine nei confronti del marito della vittima e non della vittima stessa; le vittime della violenza sembrano avere minore sofferenza psichica quando sono soggette a più violenze; la violenza sessuale non è esclusiva della specie umana; donne sposate e donne in età fertile manifestano maggiore stress dopo un episodio di violenza sessuale che non ragazze, donne singles e donne in età menopausale.

Sembrano pezzi sbilenchi di un puzzle, sembrerebbero cioè indicare che la violenza sessuale è un retaggio di una antica tendenza biologica, che provvede all’accoppiamento mediante la forza, prioritariamente con finalità riproduttive, e che il maggiore o minore stress legato alla violenza sessuale è funzione non solo della violenza subita, ma soprattutto del rischio di una gravidanza indesiderata. Intorno a questo fatto è possibile costruire una specie di storia filogenetica della violenza sessuale.

Tutte le specie animali hanno come finalità evolutiva la produzione di figli sani, che perpetueranno il loro patrimonio genetico. Il sesso serve in natura prioritariamente a questo. Il problema sta nella diversa visione del sesso e nel diverso ‘peso’ che il sesso può avere per i maschi e per le femmine. Per i maschi tutto è enormemente facile: un attimo di piacere, una eiaculazione et voilà, la perpetuazione della specie è servita. Per la femmina il discorso è diverso. Perpetuare la specie significa infatti affrontare nove mesi di gravidanza, per millenni rischiosissima, significa accudimento dei figli, dall’allattamento ai bisogni quotidiani sino alla fase dell’autonomia e anche dopo, significa ridimensionamento del piacere in virtù del ‘rischio’ della perpetuazione della specie: orgasmo maschile e femminile, per millenni, hanno avuto pesi completamente diversi. Un maschio perpetua la propria specie godendo, e più amanti ha meglio è; una donna perpetua la propria specie soffrendo, e l’avere partners multipli è rischio assai spesso insostenibile. Nel tempo l’evoluzione favorì i maschi che avevano molti accoppiamenti, e, contemporaneamente, femmine che si rivelavano quanto mai selettive per un accoppiamento, visto il costo dell’atto medesimo. Il che spiegherebbe la differenza nelle scelte, l’alto valore dato al sesso dalle donne, e, al contrario, il valore assolutamente istintuale spesso dato al sesso dall’uomo. E’ insomma un conflitto di interessi, riguardo al quale nessuna par condicio sembra ipotizzabile.  Naturalmente molti comportamenti sessuali biologicamente indotti sono assolutamente inconsapevoli. Gli uomini sono in genere attratti per esempio da donne molto giovani, perché semplicemente in un lontano passato, le donne giovani avevano un potere riproduttivo più alto delle donne più attempate. Gene dopo gene, e generazione dopo generazione, questo comportamento si è perpetuato, anche se oggi non se ne comprende più la motivazione ad onta di tutte le emancipazioni femminili di questo mondo. E questo è anche il motivo perché le donne trovano più attrattivo l’uomo di successo, che da sicurezza, perché in passato questa sicurezza riservava vantaggi nella perpetuazione della specie. La donna sceglie sicurezza e stabilità, per poter meglio crescere i figli. A questo complesso puzzle evoluzionistico apparterrebbero pure le tessere dei rituali sessuali sociali, per esempio il corteggiamento, che in genere nella specie umana è gestito dal maschio. Ma quanti modi di corteggiare esistono? Se si escludono alcune specie di uccelli che addirittura rischiano la vita per le performances che tirano fuori per sedurre una femmina, in quasi tutte le specie si utilizza il sistema della carota e del bastone. Gli scorpioni, per esempio possono corteggiare gentilmente  (offrendo alla ‘fidanzata’ un grumo di saliva indurita, o, al limite, un insetto morto) o saltare direttamente addosso alla scorpioncina. I maschi possiedono una specie di ganascia sull’addome, che sembra serva solo ad impedire che la femmina scappi durante l’accoppiamento. Studi molto dettagliati dimostrano che comunque l’accoppiamento preferito è quello consensuale. Ma se ciò non è possibile, allora lo scorpione maschio ‘violenta’ lo scorpione femmina.

Dicevamo delle donne che sceglierebbero il partner in base alla sua affidabilità. Ma se le donne sono state fatte da madre natura per scegliere, l’uomo deve trovare evoluzionisticamente un modo per essere scelto. I modi possono essere tre: l’aspetto fisico, (se armonioso e simmetrico per le donne va bene, è ancestralmente collegato ad una buona salute); la vittoria in una competizione fra altri maschi; la violenza. E perché? Quest’ultima strategia può essere scelta quando la donna è altrimenti inarrivabile, per condizione sociale, status, intelligenza o altro. Alternativamente, l’uomo può ricorrere alla violenza sessuale quando il suo costo sembra basso, se per esempio una donna è sola e non protetta; oppure quando può essere facilmente messo in atto un controllo fisico sulla donna. O ancora la violenza sessuale può essere una strategia d’adattamento, con la quale l’uomo che non possiede caratteristiche appetibili può comunque accoppiarsi con una varietà di donne.

Come gli scorpioni, l’uomo può accoppiarsi con donne non consenzienti, ed alla base di questa possibilità c’è probabilmente anche il fatto che. l’uomo è in grado di fare sesso impersonale. E’ un fenomeno di adattamento? Se lo fosse, gli uomini dovrebbero possedere geni specifici, che esisterebbero perché la violenza sessuale incrementa il successo riproduttivo.

Questo dovrebbe implicare, sul piano dell’osservazione empirica, il fatto che tra le vittime di violenza sessuale, le donne in età riproduttiva dovrebbero essere molto più rappresentate di donne giovanissime o in età menopausale, il che sembra essere statisticamente vero. Inoltre, se la violenza sessuale fosse un prodotto della selezione sessuale, e quindi un modo, ancorché anomalo, per procreare dovrebbero essere abbastanza limitati i casi di violenza che metterebbero in pericolo la gravidanza. Ed in effetti, la percentuale di donne picchiate o maltrattate durante un episodio di violenza sessuale oscillerebbe, secondo le diverse ricerche, tra il 15 e il 22 per cento. Le donne,  in massima parte vivono il dolore soprattutto nel campo dei loro interessi riproduttivi. Le donne sposate ed in età fertile vivono peggio l’esperienza della violenza, temendo una gravidanza indesiderata da un maschio che non hanno scelto per l’accoppiamento.

Tra i dati più curiosi citati dai due studiosi americani c’è quello relativo al dolore psicologico, che sembrerebbe inversamente proporzionale alla violenza dell’attacco. Le donne sulle quali il violentatore ha esercitato meno violenza, sarebbero le più sconvolte. In un contesto evoluzionistico tutto questo può avere un senso: una donna che esibisce maggiori segni di violenza fisica può convincere più facilmente il proprio partner che l’accoppiamento è stato forzato, e che non c’era alcuna accondiscendenza. Ciò può rassicurare il maschio della coppia che si è trattato di un fatto unico, isolato e non di un rapporto continuativo con altri partners ai fini della paternità. Inoltre, e infine, la violenza sessuale è molto più stressante quando coinvolge il rapporto vaginale e non altri rapporti, nelle donne in età fertile, mentre in età molto giovanile o più anziana, il rapporto vaginale non è più traumatizzante di altri rapporti. Il che implicherebbe che il ‘centro’ del trauma sia proprio la possibilità di una gravidanza indesiderata.

Questi dati, in realtà, riguardano solo aspetti parcellari del problema della violenza di genere di cui forniscono solo una chiave di lettura molto superficiale, senza approfondire le questioni psicologiche e sociali ad esso legate. La visione evoluzionistica, per quanto intrigante, è anche brutale nella sua disarmante semplicità e non può in alcun caso essere una giustificazione di un comportamento che è comunque fortemente connesso a fatti e situazioni culturalmente indotte. La violenza sulle donne è il risultato della subalternità sociale nella quale la donna è stata relegata per secoli da una società maschilista. Ne è emblematico esempio la soluzione proposta degli autori per la prevenzione della violenza sessuale. Thornhill e Palmer non hanno dubbi. Se la violenza sessuale è un fatto legato a comportamenti riproduttivi, alla scelta di una femmina, è chiaro che diventa importante la riduzione degli stimoli di ‘provocazione sessuale’. Eccessivi segnali seduttivi, ancorché generici, incoraggerebbero l’uomo che è alla ricerca di femmine con cui accoppiarsi. Abbigliamento eccitante, comportamenti di disponibilità (anche malintesa), libertà nei costumi (passeggiate in macchina, inviti a casa, uso di sostanze disinibenti) sono tutte condizioni ‘conducive to rape’, favorenti la violenza sessuale. E i fattori sociali e culturali? Sono, secondo gli autori, quasi del tutto inutili, Nell’interpretazione del fenomeno. Le scienze sociali hanno fallito – è la conclusione degli Autori – perché troppo fondate sull’ideologia. La scienza empirica, come la biologia evoluzionistica, consentirebbe invece una visione obiettiva della realtà, della conoscenza, l’unica che possa con strategie altrettanto empiriche eradicare il fenomeno della violenza sessuale dal mondo moderno.

Queste opinioni sono pericolose, come sempre accade quando la scienza si allea con una ideologia. Dico opinioni e non fatti, perché è già una semplificazione senza valore scientifico proporre un paragone fra il comportamento degli scorpioni a quello degli esseri umani, lontani anni luce sulla scala evolutiva. Inoltre non viene fornita alcuna valutazione del cambiamento storico e culturale dei costumi sessuali umani e di come essi abbiano potuto influire sul comportamento del violentatore: si pensi per esempio all’uso degli anticoncezionali orali, che hanno enormemente diminuito la possibilità di gravidanze indesiderate, quindi hanno anche modificato, presumibilmente il comportamento e le reazioni anche delle donne oggetto di violenza.  I due autori hanno fornito nel loro articolo una serie di suggerimenti per evitare la violenza sessuale, ma questi suggerimenti sono eminentemente centrati su eventuali modifiche nel comportamento delle donne. E perché non degli uomini? La risposta è ovvia. Perché in una società dove il maschio è in una posizione culturale dominante, la donna è in una condizione di subalternità e può quindi e quasi legittimamente essere oggetto di violenza e di prevaricazione. Lo stesso avviene per le mutilazioni sessuali femminili, per gli obblighi e i divieti sociali (si pensi alla condizione sociale della donna nell’Islam integralista), per le violenze domestiche o le discriminazioni nel mondo del lavoro. E’ il prezzo che le donne pagano ai dogmi dell’alterità. Ma è triste pensare che talvolta anche la scienza, nelle sue forme più strambe – e solo apparentemente – raffinate possa fornire un supporto a popolari quanto banali opinioni sessiste. Non c’era bisogno di studiare gli scorpioni per avvalorare la vecchia, stupida storia della differenza sessuale fra donne e uomini, per loro stessa natura: prede le prime e cacciatori i secondi…

Giovanni Iannuzzo

Dopo “Medi Cavalli” torna a Palermo la “Fiera Mediterranea del Cavallo”, domani l’inaugurazione

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Prenderà il via domani, venerdì 24 novembre, la quinta edizione della “Fiera Mediterranea del Cavallo”, organizzata dalla Regione Siciliana con il supporto tecnico di Fieracavalli. Palcoscenico della manifestazione il campo ostacoli della Favorita di Palermo, che riapre i cancelli dopo gli interventi di recupero e di messa in sicurezza finanziati dalla Regione. L’inaugurazione della manifestazione è prevista alle 9,30: a tagliare il nastro saranno il governatore Renato Schifani e il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.
Nello stesso luogo saranno ospitati anche il Concorso Internazionale di Sicilia (da venerdì 24 a domenica 26) e la Coppa degli Assi (da giovedì 30 novembre a domenica 3 dicembre), il più longevo concorso ippico internazionale d’Italia, dopo Piazza di Siena a Roma, che torna a Palermo dopo 12 anni. Nel capoluogo siciliano arriveranno campioni e atleti da tutto il mondo: tra i più attesi il numero uno del ranking italiano Emanuele Gaudiano, vincitore proprio delle ultime due edizioni che si sono tenute a Palermo. Ci saranno anche Giulia Martinengo Marquet, Francesco Correddu, Roberto Previtali e il belga Loris Berrittella, recente vincitore di una prova di Coppa del mondo. E ancora, i calabresi Bruno ed Elisa Chimirri padre e figlia, oltre a tanti siciliani.
Si tratta di un evento di grande richiamo per il pubblico, non solo sportivo. Sono previste, infatti, anche rassegne allevatoriali, convegni, degustazioni di prodotti dell’enogastronomia siciliana in aggiunta alle competizioni di salto ostacoli, endurance, gare western, pony games, carrozze sportive, ai quali si aggiungeranno diversi momenti di intrattenimento con l’esibizioni di gruppi musicali. Il programma della prima giornata, venerdì 24, si articolerà soprattutto nel campo intitolato a Giuseppe Di Matteo, il bimbo ucciso dalla mafia che era un appassionato di equitazione. Su questo campo si terrà il battesimo della sella “in monta western e inglese” e quello dei rapaci (ore 9), l’esibizione di cavalli indigeni siciliani e sanfratellani e un gala equestre. Dalle 9,30 alle 17 nell’area bambini laboratori con gli asini, giochi e attività ludiche. Dalle 17,30 alle 20 nell’area della biodiversità esposizioni di equini, bovini e ovini autoctoni siciliani.

Il Programma

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