Il femminile ferito: la violenza sessuale fra biologia e cultura

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Di violenza sessuale sentiamo parlare ormai quotidianamente. Senza infingimenti, è chiaro che si tratta di un problema sociale dalla rilevanza enorme, sulla cui lettura si sono cimentati specialisti di ogni ordine e tipo, sia dalle facili platee televisive, sia dai palcoscenici, sicuramente più riservati, delle riviste scientifiche. La domanda di fondo, sulla quale si spreca la materia grigia di tanti performers è ovviamente: perché esiste? Quali sono le cause di un fenomeno talmente brutale? Un tempo la soluzione sembrava quasi ovvia: la repressione sessuale, la difficoltà della trasgressione, una società sessuofobica e le conseguenti fantasie frustrate portavano il maschio ad agire le medesime in maniera violenta. Una sorta di compensazione, insomma. Mi prendo con la forza ciò che non è possibile, o perlomeno difficile, ottenere con altri mezzi. E la colpa era tutta della società.

Interpretazione che oggi appare molto discutibile, se non ridicola. Viviamo in una società dalla libertà sessuale assoluta, forse addirittura eccessiva. Il rapporto demografico tra uomini e donne è sproporzionato, tanto che esistono difficoltà obiettive alla creazione di nuovi rapporti monogamici: gli uomini sono troppo pochi. Una bella donna italiana, guida turistica, che abitava a San Francisco mi raccontò, durante un mio soggiorno in California, che aveva impiegato otto anni per trovare un uomo. Il che appariva anche ovvio, visto che peraltro la città californiana è la patria dei gay… La pornografia è, praticamente, liberalizzata. Internet provvede a fornire agganci per rapporti sicuri anche sul piano emotivo. La possibilità di rapporti sessuali occasionali è talmente alta da rappresentare uno dei maggiori fattori di rischio per la propagazione di malattie sessualmente trasmesse.

Sembrerebbe, insomma, che le motivazioni classiche della violenza sessuale siano tutte cadute. Eppure il fenomeno, nella sua brutale drammaticità, continua ad esistere. Alcuni dati anche se non recenti sono illuminanti. Da una inchiesta fatta nel 1992 tra le donne americane dai diciotto anni in su, il 13 per cento riportava di essere stato oggetto di violenza, ovvero di essere stato costretto a rapporti orali, anali o vaginali non desiderati e comunque ottenuti con la forza. E se, nel mondo, la violenza sulle donne riguarda una donna su tre, i dati ISTAT rivelano che il 31,5 delle donne tra 16 e 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale. In genere gli autori delle violenze sono esercitate da partner, parenti e amici, e gli stupri sono stati commessi nel 62,7 % da partner. Numeri da far paura. Ma perché questi dati? Come si spiegano?

Esistono ‘antiche’ teorie; la violenza sessuale sarebbe il massimo atto di dominio e prevaricazione del maschio, che non rispetta la donna e la vuole subordinata. Le motivazioni della violenza sessuale sarebbero pertanto da ricercare in un comportamento simbolico, e non tanto in qualcosa che ha a che vedere col desiderio sessuale, per quanto brutale e brutalmente agito. Se dovessimo allora decidere (posto che ciò abbia importanza) se la violenza sessuale è natura o cultura, dovremmo decisamente optare per la cultura. La guerra tra i sessi continua, e la violenza sessuale è un atto prioritariamente ‘culturale’. Ma esistono anche interpretazioni più inquietanti, come quella fornita da due studiosi americani, Randy Thornbill, un biologo evoluzionista dell’Università del New Mexico, e Craig T. Palmer, antropologo evoluzionista dell’Università del Colorado , con un articolo apparso nel 2000 su The Sciences, la rivista ufficiale della New York Academy of Science. La definizione di ‘evoluzionista’ è dovuta al fatto che essi seguono un orientamento socio-biologico, che tenta quindi la lettura di comportamenti, fatti sociali, eventi politici e quant’altro alla luce della teoria darwiniana. L’approccio in questione, che ha fatto molto discutere, si fonda su un ridimensionamento delle letture psicologiche o sociologiche fortemente ideologizzate, per mezzo di un’attenta lettura biologica evoluzionistica. Fuori l’ideologia, dentro la scienza. Zitti e mosca. Bene, ma da questo punto di vista che hanno da dire Thornbill e Palmer?  Essi citano dei fatti, abitualmente non analizzati. Ne riportiamo alcuni. Anzitutto il fatto che il massimo numero delle donne violentate è in età fertile; in molte culture lo stupro è considerato come un crimine nei confronti del marito della vittima e non della vittima stessa; le vittime della violenza sembrano avere minore sofferenza psichica quando sono soggette a più violenze; la violenza sessuale non è esclusiva della specie umana; donne sposate e donne in età fertile manifestano maggiore stress dopo un episodio di violenza sessuale che non ragazze, donne singles e donne in età menopausale.

Sembrano pezzi sbilenchi di un puzzle, sembrerebbero cioè indicare che la violenza sessuale è un retaggio di una antica tendenza biologica, che provvede all’accoppiamento mediante la forza, prioritariamente con finalità riproduttive, e che il maggiore o minore stress legato alla violenza sessuale è funzione non solo della violenza subita, ma soprattutto del rischio di una gravidanza indesiderata. Intorno a questo fatto è possibile costruire una specie di storia filogenetica della violenza sessuale.

Tutte le specie animali hanno come finalità evolutiva la produzione di figli sani, che perpetueranno il loro patrimonio genetico. Il sesso serve in natura prioritariamente a questo. Il problema sta nella diversa visione del sesso e nel diverso ‘peso’ che il sesso può avere per i maschi e per le femmine. Per i maschi tutto è enormemente facile: un attimo di piacere, una eiaculazione et voilà, la perpetuazione della specie è servita. Per la femmina il discorso è diverso. Perpetuare la specie significa infatti affrontare nove mesi di gravidanza, per millenni rischiosissima, significa accudimento dei figli, dall’allattamento ai bisogni quotidiani sino alla fase dell’autonomia e anche dopo, significa ridimensionamento del piacere in virtù del ‘rischio’ della perpetuazione della specie: orgasmo maschile e femminile, per millenni, hanno avuto pesi completamente diversi. Un maschio perpetua la propria specie godendo, e più amanti ha meglio è; una donna perpetua la propria specie soffrendo, e l’avere partners multipli è rischio assai spesso insostenibile. Nel tempo l’evoluzione favorì i maschi che avevano molti accoppiamenti, e, contemporaneamente, femmine che si rivelavano quanto mai selettive per un accoppiamento, visto il costo dell’atto medesimo. Il che spiegherebbe la differenza nelle scelte, l’alto valore dato al sesso dalle donne, e, al contrario, il valore assolutamente istintuale spesso dato al sesso dall’uomo. E’ insomma un conflitto di interessi, riguardo al quale nessuna par condicio sembra ipotizzabile.  Naturalmente molti comportamenti sessuali biologicamente indotti sono assolutamente inconsapevoli. Gli uomini sono in genere attratti per esempio da donne molto giovani, perché semplicemente in un lontano passato, le donne giovani avevano un potere riproduttivo più alto delle donne più attempate. Gene dopo gene, e generazione dopo generazione, questo comportamento si è perpetuato, anche se oggi non se ne comprende più la motivazione ad onta di tutte le emancipazioni femminili di questo mondo. E questo è anche il motivo perché le donne trovano più attrattivo l’uomo di successo, che da sicurezza, perché in passato questa sicurezza riservava vantaggi nella perpetuazione della specie. La donna sceglie sicurezza e stabilità, per poter meglio crescere i figli. A questo complesso puzzle evoluzionistico apparterrebbero pure le tessere dei rituali sessuali sociali, per esempio il corteggiamento, che in genere nella specie umana è gestito dal maschio. Ma quanti modi di corteggiare esistono? Se si escludono alcune specie di uccelli che addirittura rischiano la vita per le performances che tirano fuori per sedurre una femmina, in quasi tutte le specie si utilizza il sistema della carota e del bastone. Gli scorpioni, per esempio possono corteggiare gentilmente  (offrendo alla ‘fidanzata’ un grumo di saliva indurita, o, al limite, un insetto morto) o saltare direttamente addosso alla scorpioncina. I maschi possiedono una specie di ganascia sull’addome, che sembra serva solo ad impedire che la femmina scappi durante l’accoppiamento. Studi molto dettagliati dimostrano che comunque l’accoppiamento preferito è quello consensuale. Ma se ciò non è possibile, allora lo scorpione maschio ‘violenta’ lo scorpione femmina.

Dicevamo delle donne che sceglierebbero il partner in base alla sua affidabilità. Ma se le donne sono state fatte da madre natura per scegliere, l’uomo deve trovare evoluzionisticamente un modo per essere scelto. I modi possono essere tre: l’aspetto fisico, (se armonioso e simmetrico per le donne va bene, è ancestralmente collegato ad una buona salute); la vittoria in una competizione fra altri maschi; la violenza. E perché? Quest’ultima strategia può essere scelta quando la donna è altrimenti inarrivabile, per condizione sociale, status, intelligenza o altro. Alternativamente, l’uomo può ricorrere alla violenza sessuale quando il suo costo sembra basso, se per esempio una donna è sola e non protetta; oppure quando può essere facilmente messo in atto un controllo fisico sulla donna. O ancora la violenza sessuale può essere una strategia d’adattamento, con la quale l’uomo che non possiede caratteristiche appetibili può comunque accoppiarsi con una varietà di donne.

Come gli scorpioni, l’uomo può accoppiarsi con donne non consenzienti, ed alla base di questa possibilità c’è probabilmente anche il fatto che. l’uomo è in grado di fare sesso impersonale. E’ un fenomeno di adattamento? Se lo fosse, gli uomini dovrebbero possedere geni specifici, che esisterebbero perché la violenza sessuale incrementa il successo riproduttivo.

Questo dovrebbe implicare, sul piano dell’osservazione empirica, il fatto che tra le vittime di violenza sessuale, le donne in età riproduttiva dovrebbero essere molto più rappresentate di donne giovanissime o in età menopausale, il che sembra essere statisticamente vero. Inoltre, se la violenza sessuale fosse un prodotto della selezione sessuale, e quindi un modo, ancorché anomalo, per procreare dovrebbero essere abbastanza limitati i casi di violenza che metterebbero in pericolo la gravidanza. Ed in effetti, la percentuale di donne picchiate o maltrattate durante un episodio di violenza sessuale oscillerebbe, secondo le diverse ricerche, tra il 15 e il 22 per cento. Le donne,  in massima parte vivono il dolore soprattutto nel campo dei loro interessi riproduttivi. Le donne sposate ed in età fertile vivono peggio l’esperienza della violenza, temendo una gravidanza indesiderata da un maschio che non hanno scelto per l’accoppiamento.

Tra i dati più curiosi citati dai due studiosi americani c’è quello relativo al dolore psicologico, che sembrerebbe inversamente proporzionale alla violenza dell’attacco. Le donne sulle quali il violentatore ha esercitato meno violenza, sarebbero le più sconvolte. In un contesto evoluzionistico tutto questo può avere un senso: una donna che esibisce maggiori segni di violenza fisica può convincere più facilmente il proprio partner che l’accoppiamento è stato forzato, e che non c’era alcuna accondiscendenza. Ciò può rassicurare il maschio della coppia che si è trattato di un fatto unico, isolato e non di un rapporto continuativo con altri partners ai fini della paternità. Inoltre, e infine, la violenza sessuale è molto più stressante quando coinvolge il rapporto vaginale e non altri rapporti, nelle donne in età fertile, mentre in età molto giovanile o più anziana, il rapporto vaginale non è più traumatizzante di altri rapporti. Il che implicherebbe che il ‘centro’ del trauma sia proprio la possibilità di una gravidanza indesiderata.

Questi dati, in realtà, riguardano solo aspetti parcellari del problema della violenza di genere di cui forniscono solo una chiave di lettura molto superficiale, senza approfondire le questioni psicologiche e sociali ad esso legate. La visione evoluzionistica, per quanto intrigante, è anche brutale nella sua disarmante semplicità e non può in alcun caso essere una giustificazione di un comportamento che è comunque fortemente connesso a fatti e situazioni culturalmente indotte. La violenza sulle donne è il risultato della subalternità sociale nella quale la donna è stata relegata per secoli da una società maschilista. Ne è emblematico esempio la soluzione proposta degli autori per la prevenzione della violenza sessuale. Thornhill e Palmer non hanno dubbi. Se la violenza sessuale è un fatto legato a comportamenti riproduttivi, alla scelta di una femmina, è chiaro che diventa importante la riduzione degli stimoli di ‘provocazione sessuale’. Eccessivi segnali seduttivi, ancorché generici, incoraggerebbero l’uomo che è alla ricerca di femmine con cui accoppiarsi. Abbigliamento eccitante, comportamenti di disponibilità (anche malintesa), libertà nei costumi (passeggiate in macchina, inviti a casa, uso di sostanze disinibenti) sono tutte condizioni ‘conducive to rape’, favorenti la violenza sessuale. E i fattori sociali e culturali? Sono, secondo gli autori, quasi del tutto inutili, Nell’interpretazione del fenomeno. Le scienze sociali hanno fallito – è la conclusione degli Autori – perché troppo fondate sull’ideologia. La scienza empirica, come la biologia evoluzionistica, consentirebbe invece una visione obiettiva della realtà, della conoscenza, l’unica che possa con strategie altrettanto empiriche eradicare il fenomeno della violenza sessuale dal mondo moderno.

Queste opinioni sono pericolose, come sempre accade quando la scienza si allea con una ideologia. Dico opinioni e non fatti, perché è già una semplificazione senza valore scientifico proporre un paragone fra il comportamento degli scorpioni a quello degli esseri umani, lontani anni luce sulla scala evolutiva. Inoltre non viene fornita alcuna valutazione del cambiamento storico e culturale dei costumi sessuali umani e di come essi abbiano potuto influire sul comportamento del violentatore: si pensi per esempio all’uso degli anticoncezionali orali, che hanno enormemente diminuito la possibilità di gravidanze indesiderate, quindi hanno anche modificato, presumibilmente il comportamento e le reazioni anche delle donne oggetto di violenza.  I due autori hanno fornito nel loro articolo una serie di suggerimenti per evitare la violenza sessuale, ma questi suggerimenti sono eminentemente centrati su eventuali modifiche nel comportamento delle donne. E perché non degli uomini? La risposta è ovvia. Perché in una società dove il maschio è in una posizione culturale dominante, la donna è in una condizione di subalternità e può quindi e quasi legittimamente essere oggetto di violenza e di prevaricazione. Lo stesso avviene per le mutilazioni sessuali femminili, per gli obblighi e i divieti sociali (si pensi alla condizione sociale della donna nell’Islam integralista), per le violenze domestiche o le discriminazioni nel mondo del lavoro. E’ il prezzo che le donne pagano ai dogmi dell’alterità. Ma è triste pensare che talvolta anche la scienza, nelle sue forme più strambe – e solo apparentemente – raffinate possa fornire un supporto a popolari quanto banali opinioni sessiste. Non c’era bisogno di studiare gli scorpioni per avvalorare la vecchia, stupida storia della differenza sessuale fra donne e uomini, per loro stessa natura: prede le prime e cacciatori i secondi…

Giovanni Iannuzzo