L’(improbabile) evidenza della medicina basata sull’evidenza

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Se ne discute ormai da anni, e non è forse del tutto errato dire che il concetto di ‘medicina basata sull’evidenza’ è uno dei più ‘trendy’, come si dice, della storia della medicina moderna. Questo per due motivi: primo, essa si riferisce alla medicina quasi come ad una scienza esatta, in questo soddisfacendo pienamente esigenze epistemologiche mediche mai prima soddisfatte; secondo, utilizza, a piene mani, tutti i più moderni ritrovati della tecnologia: computer, modem, reti, soprattutto la rete delle rete, l’imperatrice delle connessioni mediatiche: Sua Maestà Internet.

Volete mettere? Volete mettere assieme la mai realizzata pretesa della medicina di essere una scienza, se non esatta la più esatta possibile, e l’uso spropositato di tutte le nuove tecnologie informatiche? Una ambizione epistemologica ed un uso raffinatissimo del meglio della tecnologia comunicativa, ed il gioco è fatto, il piatto forte (anzi fortissimo) è servito. Magari flambé. E’ il massimo.

Forse è per questo che la Evidence Based Medicine (EBM) ha affascinato e intrigato o stregato chiunque vi si sia imbattuto, suscitando dibattiti, sollecitando pubblicazioni a mai finire, stimolando soprattutto discussioni talmente lunghe da avere un vago sapore di eternità. La EBM ha sbancato tutti. Ha messo in crisi il povero medico con formazione scientifica tradizionale, facendolo talvolta sentire assolutamente inadeguato, antiquato, insomma un dinosauro della scienza. Ha messo nel pallone sistemi di assistenza ospedaliera o territoriale, suggerendo mirabilie. Ma ha soprattutto  imposto nuovi schemi di riferimento, ed ha creato una élite di superspecialisti in grado di manipolare fondamentali fonti d’informazione. Una specie di Mission Impossible. Va bene. Ma come stanno davvero le cose?

La Evidence Based Medicine è un movimento di pensiero medico che nasce negli anni ’90, con la sua massima espressività nella sua seconda metà. E’ un primo fatto non casuale, infatti è proprio nel periodo successivo al 1995, che le comunicazioni via Internet vengono raffinate e potenziale, con la possibilità di accessi in rete sempre più vasti e al contempo ‘selezionati’. In che cosa consiste? Non è poi così facile definirlo. Anzitutto infatti esiste un problema linguistico. In soldoni, infatti Evidence Based Medicine significherebbe Medicina basata sull’evidenza, nel senso di prova o testimonianza, ovviamente scientifica. Qualcuno ha voluto forzare questa semplice definizione linguistica, traducendo l’espressione con “Medicina basata sulle prove d’efficacia”, il che è forse intrinsecamente vero dal punto di vista epistemologico, ma non ha alcun equivalente linguistico. Non solo, ma è anche fuorviante come definizione, in quanto l’EBM non è una pratica ‘basata sulle prove d’efficacia’, ma semplicemente il tentativo di ‘fare’ medicina basata sul massimo numero di evidenze scientifiche disponibili.  Non è cosa da poco. Se io dico che voglio fare una medicina fondata sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, faccio soltanto una dichiarazione d’intenti; se io dico di fare una medicina basata sulle prove d’efficacia sto semplicemente facendo esercizio d’ideologia, sto a priori collegando pratica e ricerca clinica, affermando che questo modo di fare medicina è quello più efficace. Il che è tutto da dimostrare. Si vede subito, allora, quanto questo concetto sia viziato in partenza. La migliore definizione è comunque quella fornita da S.E. Strass e D.L. Sackett, due pionieri in questo campo, in un celebre articolo apparso sul British Medical Journal: “L’evidence based medicine (EBM) è un “movimento culturale” che si propone di guidare le decisioni cliniche mediante l’integrazione tra l’espertise del singolo medico e le migliori evidenze disponibili”. In sostanza, un tentativo di creare una metodologia scientifica per gli interventi medici, fornendo un adeguato trasferimento di dati della ricerca (quella d’eccellenza o comunque qualitativamente rilevante) alla pratica clinica. Insomma un modo per orientare la pratica medica in base alle migliori evidenze scientifiche disponibili sul piano diagnostico, ma soprattutto sul piano terapeutico. L’EBM, per ottenere questo risultato, può essere considerata fondata u un metodo che si snoda in cinque punti: la formulazione di quesiti clinici assolutamente precisi e strutturati; una ricerca bibliografica condotta con l’ausilio delle banche dati più attendibili ed aggiornate del mondo; una valutazione critica estremamente efficiente della validità e applicabilità dei dati della letteratura; utilizzazione dei dati riscontrati nella clinica; atteggiamento estremamente autocritico del medico, che deve porre costantemente in discussione la qualità e validità delle proprie performance professionali.

Da ciò risulta allora che ogni intervento “di provata efficacia” debba essere riproducibile, aderire al modello teorico che lo motiva ed essere trasferibile nella pratica clinica quotidiana (non deve essere insomma qualcosa che è possibile fare in centri superspecialistici). Per ottenere interventi “di provata efficacia” bisogna cioè avere la capacità di trasferire nella pratica clinica le acquisizioni scientifiche hard tratte dal meglio della letteratura internazionale. Il medico non può e non deve più essere un artigiano, ma un tecnico specializzato. Ma da dove nasce questo nuova, dirompente tendenza della medicina moderna? Forse una rivoluzione scientifica? No, direi proprio di no.

Motivazioni sociali

Le motivazioni alla nascita della EBM sono sostanzialmente tre: una economica (fortissima), una sociale (forte), una pragmatica (debole). La motivazione fortissima alla nascita della medicina basata sull’evidenza proviene direttamente dalle grandi compagnie assicurative americane. Come è noto negli USA, nella totale assenza di un welfare state, la salute dei cittadini è affidata alle assicurazioni private, che, quando ricevono denunce di malpratiche, sono costrette a sborsare cifre enormi per il risarcimento. Dopo anni di questo andazzo, hanno tentato, almeno, di porvi rimedio. Per cui hanno incominciato a pretendere che i trattamenti medici fossero sempre e comunque conformi al top della ricerca scientifica. Ne è derivata una frenetica corsa all’attendibilità terapeutica, anche da parte dei medici. Diciamocelo pure: in una situazione nella quale se tu, medico clinico, prescrivi un farmaco che sai (per tua esperienza, per i tuoi studi) che è innocuo, ed invece quel farmaco fa venire l’orticaria al paziente, e il paziente ti chiede un milione di dollari di risarcimento, ed a pagare è la tua assicurazione, stai pure tranquillo che il responsabile della tua assicurazione farà fiamme e fuoco, per far si che la prossima volta prima che tu prescriva un farmaco abbia tutte le carte a posto, nel senso che dovrai accertarti che in tutta (ma proprio tutta) la letteratura internazionale non ci sia un solo caso possibile di quel tipo. In caso contrario, pazienza, non si smolla un centesimo che sia un centesimo.

La motivazione forte è quella sociale. In contesti culturali nei quali la medicina è affidata a finanziamenti privati, e al privato assicurativo pagato dall’utente, è sempre più facile, direi quasi ovvio, trovare nell’utente medio una forte motivazione alla richiesta di rimborsi per terapie improprie. Se io pago fiori di quattrini per una assicurazione privata, ho anche il diritto di una assistenza a prova di bomba. E se il medico sbaglia, paga. Come può fare il medico a discolparsi? Afferendo, ovviamente, alle fonti disponibili, alle banche dati, a quanto è stato pubblicato, di autorevole, nell’ambito della comunità scientifica internazionale. La terza motivazione, quella debole, è in verità quella più propriamente epistemologica: il tentativo, cioè, di fare pratica medica affidandosi ai risultati di ricerche obiettive, epidemiologiche, cliniche, farmacologiche.

Nuovi scenari terapeutici

Gli intenti sono insomma encomiabili, ed è proprio per questo che la Evidence Based Medicine ha suscitato grande interesse e grande scalpore. Di fatto, e fuor di metafora, oggi sarebbe giocoforza che prima di prescrivere un farmaco, strutturare un protocollo terapeutico o comunque impostare una terapia, il medico si confronti non solo con la propria esperienza clinica, ma anche con quanto di più aggiornato esista nel mondo dell’informazione scientifica. Oltretutto, la possibilità di utilizzare la rete Internet, consente teoricamente un accesso a banche dati di rilevanza internazionale, e quindi l’accesso a contributi di rilevanza per così dire obiettiva. Nella da eccepire. Come progetto, quello della EBM è sicuramente un trampolino di lancio per il futuro.

Immaginiamoci lo scenario. Un paziente ha il raffreddore. Il medico tradizionale prescriverebbe un antinfiammatorio, un mucolitico, forse un antibiotico di uso comune nel caso di rischio di complicanze.

Il nuovo medico che usa la prassi dell’EBM consulta tutte le banche dati sceglie l’antinfiammatorio con minori e dimostrati effetti collaterali, l’antibiotico più adeguato. Valuta le meta-analisi disponibili, valuta il carico di effetti collaterali, valuti gli indici di significatività degli studi riportati in metanalisi, e in base a tutto questo prescrive la terapia. Per fare tutto questo utilizza linee guida internazionali. Comincia col formulare un quesito clinico ben strutturato, che comprende la descrizione della malattia o della condizione clinica di un particolare soggetto; ipotizza l’interventi principale tenendo ben presente l’esposizione ad un fattore di rischio; valuta l’eventuale intervento comparativo e descrive l’esisto atteso o prevenuto. Poi accende il computer e trasforma il suo quesito in una domanda, sceglie le parole chiavi adeguate per interrogare la banca dati (se del caso trasformando la domanda in diverse parole chiavi), e costruisce la strategia della ricerca, combinando cioè, con la strategia degli operatori booleani, e in maniera adeguata le varie parole chiavi. La ricerca nelle banche dati, persino in quelle più ricche e articolate, inevitabilmente ci pone a confronto con una mole di dati impressionanti. Come valutarli? Ovvero: quali sarebbero le fonti di informazioni più o meno attendibili? La EBM ha catalogato severamente una gerarchia di attendibilità delle fonti di informazione scientifica. Ha cioè stabilito (vedi tabella) quale tipologia di studio è più o meno valida.

SCALA GERARCHICA DELLE EVIDENZE SCIENTIFICHE

  1. Revisioni sistematiche e metanalisi;
  2. Studi clinici randomizzati confermati e dai risultati definitivi;
  3. Studi clinici randomizzati, ma con risultati ancora non definitivi:
  4. Studi di coorte:
  5. Studi caso-controllo;
  6. studi osservazionali trasversali;
  7. Casi clinici.

In pratica la EBM prevede il rispetto sostanziale, da parte del medico, di almeno otto punti, elencati accuratamente da Greenhalgh nel 1997:

  1. l’identificazione e l’elencazione dei problemi clinici, tenendo sempre presente il punto di vista del paziente;
  2. una valutazione adeguata e completa, che consenta la valutazione delle probabilità relative alle diagnosi possibili.
  3. La considerazione di problemi e fattori di rischio che richiedano una attenzione specifica.
  4. Il reperimento di tutte le evidenze disponibili riguardanti i problemi in oggetto.
  5. La valutazione di “completezza, qualità e forza delle evidenze raccolte.
  6. L’applicazione nella pratica clinica di queste evidenze selezionale in modo ragionevole:
  7. L’illustrazione al paziente in modo comprensibile dei pro e contro delle varie possibilità terapeutiche e il tener conto delle sue necessità?
  8. La previsione di appropriate visite di controllo per il paziente.

In fondo, la filosofia di base della EBM può essere riassunta nell’assioma che un intervento di qualità è esclusivamente un intervento di ‘dimostrata efficacia’. Tutti gli altri interventi sono da considerare o dimostrabilmente inefficaci, o quelli non ancora verificati sperimentalmente. La prassi medica è tanto più scientifica, quanto più riesce ad offrire interventi di provata efficacia. E sin qui possiamo – dobbiamo – essere tutti d’accordo. La Evidence Based Medicine potrebbe rendere sempre più attendibili gli interventi medici, sempre più efficaci le terapie prescritte e quindi, sostanzialmente sempre più scientifica la pratica medica. Dov’è, allora, il problema? Penso che di problemi ne esistano due. Il primo potrebbe consistere nel fatto che apparentemente non esistono problemi, cioè proprio nella razionalità eccessivamente lineare di un metodo di valutazione troppo severo. Il secondo nel modello di rivoluzione concettuale e professionale che la EBM implica.

Nessuna esperienza, ma molta competenza

Per quanto riguarda la severità del metodo, la Medicina Basata sulle Evidenze non sembra tenere in gran conto l’esperienza clinica individuale del medico. Per quanto piovano da ogni dove rassicurazioni sulla rilevanza data dalla EBM alla ‘espertise’ clinica soggettiva, basta dare un’occhiata alla gerarchia degli studi da prendere in considerazione per rendersi conto di quanto questa variabile sia tenuta in scarsissimo conto. Questo è un problema. La medicina è scienza, ma è anche arte, ed esiste una importante variabilità soggettiva, psicologica, relazionale ed anche di esperienza nell’esercitare la clinica. Il medico agisce secondo scienza e coscienza, è vero, ma anche in base alla sua personale esperienza, che non sempre è corroborata da dati scientifici formali. Non solo, ma soprattutto nella prescrizione e nell’uso di farmaci il medico può servirsi della propria esperienza personale – purché ovviamente le sue scelte o le sue decisioni siano supportate dalla pratica, e siano sostanzialmente attendibili, in quanto condivisibili ( ma non necessariamente condivisi) dall’esperienza comune. Questo tipo di esperienza comune è generalmente non contemplata nella letteratura internazionale, o dalle banche dati, che si riferiscono a studi condotti in ambiti diversi; il medico pratico, non ha tempo o voglia, o mezzi per dedicarsi alla ricerca, e quindi gli unici dati disponibili e utilizzabili nella EBM provengono da contesti scientifici selezionati, che non devono necessariamente essere attendibili.

Il secondo problema riguarda il modello di rivoluzione concettuale. L’utilizzazione routinaria della EBM implicherebbe nel medico conoscenze raffinate, uso disincantato e facile degli strumenti informatici, conoscenza approfondita della statistica, e modalità di riconoscimento dei metodi utilizzati negli studi. Allora, diciamocelo pure, non prendiamoci in giro. Non si può pretendere che il medico, di base o specialista non avvezzo alla ricerca, sia in grado di comprendere cosa sia una metanalisi, quali siano gli indici di significatività attendibili, o quale disegno di progetto sperimentale possa essere considerato valido, esattamente come non si può prendere che un esperto di metanalisi abbia anche una minima idea di cosa significhi la prassi clinica quotidiana.

Nuovi medici o vecchi aforismi?

Di che tipo di medico ha bisogno l’EBM? Di un medico supertecnologico, che conosca le lingue, la statistica, il metodo della ricerca, l’uso approfondito dell’informatica (peraltro spesso a pagamento: le banche dati più prestigiose hanno abbonamenti dai prezzi esorbitanti…), la logica stessa della ricerca epidemiologica. Insomma, un medico medio che non esiste (e che fa bene a non esistere in quanto ha specificità differenti e problematiche). Eppure l’EBM è una prassi interessante e intelligente. Un bel problema. Quale è la soluzione?

Non credo che, oggi, esista. La verità è che, come la stessa Evidence Based Medicine ci ha insegnato, non sappiamo affatto bene che cosa significhi guarigione. Esistono in essa tanti fattori aspecifici: la remissione spontanea, la regressione verso la media (cioè il fatto che esiste un universo statistico all’interno del quale, in alcune aree si collocano gli elementi indipendentemente dagli interventi attuati), l’effetto placebo, la personalità terapeutica del medico. Non esiste allora una medicina obiettivamente efficace: come affermarono saggiamente nel 1990 M. Dubinsky e J.M. Ferguson, solo il 21% di 126 modalità terapeutiche o diagnostiche selezionate al National Institute of Health negli Stati Uniti risultava scientificamente provato. E già nel 1983 l’Office for Technology Assessment of the Congress of United States aveva stabilito che solo fra il 10 e il 20 % delle procedure mediche ufficialmente accreditate avevano efficacia scientificamente dimostrata.  Bene, diamoci allora una calmata. E’ difficile stabilire quali siano le terapie universalmente efficaci. Eppure c’è il medico che guarisce, e il medico che non guarisce, vecchio problema nella storia della medicina. Da cosa questo dipende non si sa e probabilmente la Evidence Based Medicine non potrà aggiungere nulla alle nostre conoscenze al riguardo. Certo, si tratta di una prassi stimolante, di un metodo scientificamente auspicabile, di una prassi comunque futuribile. Ma per il resto, e attualmente, la medicina clinica resta, per molti versi un’arte, la cui efficacia è talmente misteriosa da sembrare talvolta inafferrabile.

Lo aveva perfettamente capito George Groddeck, insolito medico e psicologo eretico, che riassunse la sua comprensione in un aforisma dal quale trasse anche il titolo di un suo celebre libro: Natura Sanat, Medicus Curat.

Groddeck stabilì così una priorità che, sino ad ora, nessuna Medicina Basata sull’Evidenza è riuscita a modificare.

Giovanni Iannuzzo