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Petralia Sottana, si prepara il concertone del 12 luglio con “La Cicciuzzi”, i “Taberna Mylaensis” e Mario Incudine

Petralia Sottana si prepara al concertone che il 12 luglio prossimo vedrà sul palco le band “La Cicciuzzi” e i “Taberna Mylaensis” e Mario Incudine.

Per l’occasione sarà riaperto il teatro della pineta comunale di Petralia Sottana che offrirà il suo splendido scenario a uno spettacolo affascinante e coinvolgente com’è nello stile degli artisti che si esibiranno.

Il filo conduttore dell’evento sarà Santa Rosalia e gli artisti canteranno anche i brani dedicati e collegati al culto di S. Rosalia che hanno scritto e cantato negli anni.

Scenario unico e inimitabile dello spettacolo saranno gli alberi secolari della splendida pineta di Petralia Sottana all’interno della quale è sito l’anfiteatro che ospiterà il concerto.

Sul palco lo storico gruppo dei “Taberna Mylaensis” che proporrà una musica caratterizzata da ritmi vivaci, melodie coinvolgenti e testi che narrano storie di vita, amore e tradizione. Con il loro talento e la loro energia contagiosa, Taberna Mylaensis porta il calore e la vitalità della Sicilia sul palco. Immersi nel verde della pineta sarà una un’esperienza musicale indimenticabile e autentica per tutti, pubblico e artisti. In particolare, per chi ama la musica che trasmette energia vitale come quella della band “La Cicciuzzi” i cui componenti incarnano gli elementi: acqua, aria, terra, fuoco, luce ed energia. La Sicilia che palpita nel cuore dal quale esce attraverso la musica con i suoi ritmi e con composizioni originali. Un mix eccezionale che esalterà la voglia di vita. La pineta sarà quindi la culla del “cantautore della Sicilia”, Mario Incudine. La sua voce potente e emozionale canterà canzoni che raccontano storie di vita, amore e tradizione. Il suo sound unico e coinvolgente, la sua presenza carismatica e le sue performance incanteranno il pubblico che affollerà la platea immersa nella natura.

Un concerto unico nel suo genere che ha anche lo scopo di rivitalizzare e far conoscere questo territorio dell’entroterra siciliano molto legato alla propria città di riferimento che è Palermo.

L’appuntamento, infatti, chiude l’evento storico, dedicato ai 400 anni del festino di Santa Rosalia, “Maria e Rosalia: il dono, la speranza e il futuro” che unisce Petralia Sottana a Palermo. Un collegamento anche religioso; infatti, le protagoniste del progetto sono due donne: Maria SS Bambina e Santa Rosalia. Due donne legate dal giglio che è simbolo di purezza e, allo stesso tempo, storico stemma di Petralia Sottana. Il giglio che mette insieme le due figure anche nel logo rappresentativo della manifestazione, disegnato dall’artista Loredana Sabatino.

Per l’ingresso al concerto è previsto il pagamento di un ticket di 10 euro che può essere acquistato presso l’ufficio turistico di Petralia Sottana o online su mailticket al seguente indirizzo: https://www.mailticket.it/manifestazione/BM39/

Tutti gli eventi del progetto “Maria e Rosalia: il dono, la speranza e il futuro” sono finanziati dalla città metropolitana di Palermo con un bando del settore cultura. L’organizzazione della manifestazione è a cura del Comune di Petralia Sottana e dalla Asc Production.

Per info ASC Production 0921 766342 e Ufficio Turistico Petralia Sottana 0921641811-3299394442

Cefalù, incontro con Adelmo Cervi figlio di Aldo, uno dei sette fratelli fucilati dai fascisti a Reggio Emilia nel 1943

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Venerdì 5 luglio alle ore 18 presso la sala Cinema Di Francesca di Cefalù si svolgerà un incontro con Adelmo Cervi, figlio di uno dei 7 fratelli Cervi. Giovanni Cristina, per gli Amici del Cinema Di Francesca e Antonio Franco, Assessore comunale alla cultura, dialogheranno con Cervi di cui viene presentato il libro “I miei Sette Padri”; un’ occasione fortemente voluta e sostenuta dall’Amministrazione Comunale con il coinvolgimento del Consiglio di Biblioteca. Dopo il saluto del Sindaco sono previsti gli interventi di membri della sezione Anpi Madonie e della comunità Masci di Cefalù.

«Questa è una storia dove prendo quello che mi hanno raccontato e ci attacco quello che non mi hanno raccontato, e che ho scoperto leggendo libri e parlando con parenti, amici, studiosi. Non è la mia storia, è la storia di un uomo che non c’è più, ma è più mia di qualunque altra storia mi venga in mente”.

Sono le parole che Adelmo Cervi pronuncia nel docufilm di Liviana Davi in cui si ripercorre la storia partigiana e umana dei  fratelli Cervi ad ottant’anni dalla loro uccisione a Reggio Emilia, per mano dei fascisti repubblichini. Il  documentario, presentato alla cineteca di Bologna, è direttamente basato sul libro di Cervi che la regista ha personalmente conosciuto grazie al fatto di aver lavorato proprio al Museo Cervi di Bologna.

Figlio del terzogenito Aldo Cervi, Adelmo ha da poco compiuto quattro mesi quando suo padre viene assassinato. La sua narrazione fa rivivere una delle più drammatiche e al tempo stesso emblematiche pagine della Resistenza italiana con l’intento, da parte dell’autore, di diffondere gli ideali di libertà che hanno animato le vite dei suoi “padri”, padri del paese intero, attivi contro la sopraffazione del capitalismo e le ingiustizie perpetrate dal regime fascista.

Agli inizi del ventennio La Famiglia Cervi é quasi un clan, come nella migliore tradizione della civiltà contadina: papà Alcide, mamma Genoeffa e 7 figli, tutti ricordati e descritti nelle pagine del libro con ricchezza di dettagli e in maniera coinvolgente. Accanto a loro un folto gruppo di parenti ma anche di compagni di lavoro e, successivamente, anche di rivendicazioni.

Attraverso il duro lavoro dei campi, da operai i Cervi divengono mezzadri e poi agricoltori autonomi. Con fatica nonno Alcide arriva ad essere tra i primi possessori di trattore della provincia di Reggio Emilia: sostituire il toro nel traino per livellare il terreno permetterà di renderlo più produttivo perché meglio irrigabile.

Ma il potere brutale ed oppressivo incombe, e, quando non danneggia direttamente e praticamente, ostacola il riscatto dei contadini con il suo fare prepotente, ad esempio alimentando dicerie che tolgono fiducia e credito.

Il giovane contadino Aldo Cervi aveva avuto modo di riflettere sui valori della giustizia e della libertà durante il periodo di prigionia scontato nel carcere di Gaeta. Quell’ingiusta carcerazione era stata l’occasione in cui maturare l’idea di opporsi fermamente al regime in nome del progresso civile le cui basi vengono chiaramente individuate da Cervi nell’affrancamento dei contadini e degli umili in genere dall’ignoranza e dal bisogno che fa abbassare la testa.

Così, gli anni successivi alla sua scarcerazione saranno densi di impegno civile, con la conseguenza di procurare alla famiglia grandi dolori e difficoltà. Nelle pagine del libro l’autore denuncia con fermezza i soprusi subiti dai suoi, le violenze fisiche e l’incendio della casa di sua nonna, Genoeffa,

Quindi la guerra, spartiacque storico, che, come vediamo anche oggi, confonde bene le idee.

Ma Aldo e i suoi fratelli sanno bene da che parte stare. Una scelta la loro che è un frutto spontaneo, maturato grazie agli studi da autodidatti e alla militanza politica. La loro lotta è fondata su una certezza: la patria, quella terra nella quale hanno faticato per affrancarsi dalla miseria e dall’ ignoranza, va difesa e i suoi figli dovranno essere liberi e non schiacciati da governi che non si fanno scrupolo di acquistarsi privilegi al prezzo del sangue dei deboli.

In questo prezioso libro la memoria storica si combina alla ricerca personale di Adelmo che guarda verso il padre, mai veramente conosciuto : una ricerca che non è quindi solo storica e men che meno agiografica ma piuttosto umana ; la ricerca di un genitore nella propria dimensione intima e quotidiana, avvertito dal figlio come presente pur nella sua “invincibile mancanza”.

“I miei sette padri” è una storia di ingiustizie ma anche di solidarietà e voglia di riscatto. Il libro può definirsi l’affresco di un tempo e di una civiltà contadina in definitiva scomparsi eppure il monito a non arrendersi e a non rinunciare a lottare è più che mai attuale e vivo nelle intenzioni dell’ autore.

Il 25 aprile, in occasione dell’anniversario della Liberazione, Adelmo Cervi è solito ricordare le vicende dolorose che hanno segnato la sua esistenza, ma soprattutto parlare a tanti giovani per fare loro comprendere l’opportunità che hanno di impegnarsi contro le disparità sociali contribuendo alla creazione di un mondo migliore, che ripudi la guerra, la povertà e lo sfruttamento.

“Ritengo che i miei cari non siano stati eroi, ma semplici contadini che lottarono per difendere la vita e i diritti dei più deboli e bisognosi, perché questo significa essere antifascisti”.

Nel merito acquistano un valore più alto ed universale le parole con cui Adelmo si rivolge direttamente al padre Aldo: “Grazie per “Avermi voltato”, insieme a tanti compagni di ieri e di oggi. Grazie per quelli che “volterai” domani. C’è ancora tanto per cui lottare, in questo mondo”.

Barbara De Gaetani

Primo Veneroso e la Gurfa di Alia

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Nel segmento di Storia dell’Architettura antica siciliana ancora (quasi) totalmente ignoto al pubblico più attento le ipotesi diventano sorta di testimoni per un’indagine da compiere assieme al lettore. E’ quello che stiamo cercando di raccontare per questa inedita “Via della Thòlos” verso il “Pantheon dei Sikani” della Gurfa di Alia, con aspetti di grande fascino e bellezza della Sicilia sconosciuta, che era già “archeologia” in età coloniale Greca. Illuminanti per il viatico risultano le indicazioni del compianto Primo Veneroso (1933-2014), amico studioso ed importante ricercatore-collezionista del “Bicchiere Campaniforme” siciliano, che mi venne a cercare e sostenne in queste ricerche appena seppe delle mie prime pubblicazioni e discussioni pubbliche.

Nel corso di più sopralluoghi che facemmo assieme alla Gurfa, assieme agli amici Luciano Rizzuti e Ignazio Alessi, ebbe modo di parlarmi con competenza anche degli aspetti di “percezione sottile” che sono “scolpiti con gli Ipogei” diceva. Furono lunghe e appassionate discussioni di “orientamento” su rituali di culto e significati, che continuammo a casa sua a Sciacca; si premurò di raccomandarmi a più riprese, assieme a bibliografie e testi, ricordando che il nostro sito, con il suo monumentale ambiente tholoide è situato proprio in zona liminare e di confine dell’areale di diffusione dalla Sicilia occidentale, almeno quella conosciuta ad oggi, del Bicchiere Campaniforme (Fig.1).

Fig. 1 – Areali del Bicchiere Campaniforme in Sicilia, da: S. Tusa, Sicilia preistorica, ed. Flaccovio, 1994, p. 114

Questo ne aveva scritto di importante: “Alla mescolanza di tecniche, forme e decori vascolari, corrisponde (p. 469) il sincretismo dei culti funerari, dimostrato dalla costante presenza di ceramiche, monili ed oggetti riferibili alla cultura del vaso campaniforme, in tombe dinastiche a grotta ‘di tipo Castellucciano’, accanto ed in commistione con ceramiche ed elementi di corredo sicuramente appartenenti alle culture siciliane del tempo. … Proprio nel carattere rigorosamente esoterico dei rituali funerari deve ricercarsi il sostegno più attendibile della tesi secondo la quale la costante intrusione nelle tombe dinastiche protosicane di elementi culturali campaniformi può trovare una logica spiegazione sol se si ammette la syncrasis dei culti e dei rituali importati dalla civilizzazione del vaso campaniforme con quelli delle popolazioni locali. La commistione delle tecniche ceramiche del beaker con quelle indigene – che si manifesta nelle reciproche ‘traduzioni’ dei motivi ornamentali- è una chiara prova e nello stesso tempo una conseguenza materiale dell’avvenuto sincretismo religioso. … il fenomeno della diffusione della cultura del bicchiere campaniforme costituisce probabilmente –a dottando la accezione Spengleriana del termine ‘zivilisation’ – il più remoto episodio documentabile di espansione civilizzatrice di dimensioni continentali nella Europa antica, nel cui ambito la mitica origine iberica delle popolazioni Sicane – riportata da Tucidide e Filisto – sembrerebbe trovare una ulteriore suggestiva conferma. (p .470)

(P. Veneroso, Osservazioni tecniche sulle ceramiche campaniformi siciliane, in: AA.VV., La preistoria del Basso Belice e della Sicilia meridionale nel quadro della preistoria siciliana e mediterranea, edito dalla Società per la Storia Patria di Palermo, 1991, pp. 461-481.)

Mi piace ricordarne l’impegno coraggioso a sostegno delle mie ricerche con questi stralci di un suo scritto inedito: “La Sicilia si venne…a trovare al centro delle due rotte mediterranee principali, foriere di scambi di merci e di diverse culture: una proveniente dall’ovest iberico, che…diffuse…una ideologia – forse la più antica, fra quelle conosciute, di portata paneuropea – detta del “bicchiere campaniforme” (da un reperto-guida, che è un bicchiere a forma di campana rovesciata); l’altra, proveniente dal Medio e dal Vicino Oriente, in prevalenza dall’area “egeo-micenea”, interessata alle risorse minerarie ed alle derrate che la fertile Isola offriva in abbondanza. …Le ceramiche e le suppellettili del “corredo campaniforme” si sono insinuate nelle sepolture sicane, accostandosi, con reciproci scambi di forme, tecniche e decori, ai corredi rituali indigeni, ma senza influire sul tipo di sepoltura collettiva in ingrottamenti, caratteristico delle culture locali… I Micenei hanno invece lasciato evidenti e talvolta monumentali tracce del loro passaggio modificando il sepolcro “in grotta” indigeno ed introducendo in Sicilia l’idea della cupola, la “tholos”, tipica della propria ideologia funeraria…Prima dell’arrivo dei Greci, il bacino dell’Alikòs – l’odierno Platani – costituì l’effettiva linea di separazione, al centro della Sicilia, fra l’area degli indigeni “Sicani”, permeata dalle influenze culturali iberiche (simboleggiate dal “bicchiere campaniforme”) – ad ovest della vallata- e, ad est, l’area occupata dai Siculi, influenzata dai portatori delle correnti culturali Egeo-Micenee, che hanno lasciato nelle “tholoi” la traccia più evidente del loro passaggio. … Di recente è stata valorizzata nei dintorni di Alia (Montagna , Alessi et alii)  una gigantesca struttura “a cupola”, scavata nella roccia, le cui monumentali dimensioni gareggiano vittoriosamente con  la “Tomba di Atreo”  di Micene, la “tholos” di gran lunga più famosa  di tutto il  continente Europeo. …..E’ stato detto che la Tholos di ALIA poteva essere stata, in origine la  tomba di un sovrano, nel nome di Minosse, morto nella reggia di Kokalos, il leggendario re dei Sicani.  Anche  la mancanza di prove su questa circostanza pareggia il conto con  la “tholos“ di Micene, dato che nessuno ha potuto – né riteniamo potrà mai  –  provare che essa sia in effetti appartenuta ad Atreo. Ma la attribuzione  a Minosse potrà esercitare un fascino  di  non minore intensità.  …..”

Sono gli estratti da un suo scritto del 2005, che ho fra le mie carte, per una idea/progetto di Distretto Culturale che pensammo proprio di chiamare “Via delle thòloi”. Regolarmente scritta e proposta ufficialmente in forma adeguata agli “addetti ai lavori”, come capita a tante altre buone idee, è rimasta lettera morta nel sistema istituzionale siciliano, preso nelle “cose urgenti” al punto tale che nessuno ha il tempo di occuparsi delle “cose importanti”.

E’ sempre stata questa la via maestra per la pianificazione del sottosviluppo. Questo è il motivo principale, vero “mistero della Gurfa” (!) per cui i nostri ipogei protostorici di “Tradizione Dedalica” sono ancora “invisibili” nel capitolo imbarazzante della Grande Architettura Clandestina (G.A.C.) che prima o poi saremo costretti ad esporre con clamore nella elaborazione della necessaria “Dottrina del Risveglio”.

Primo Veneroso (1933-2014), con uno dei suoi Bicchieri Campaniformi.

Carmelo Montagna

Termini Imerese, come prevenire le truffe agli anziani: incontro con i Carabinieri alla Matrice

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Come prevenire le truffe ai danni degli anziani? Domani, mercoledì 3 luglio, alle ore 16,30 presso il salone della Parrocchia San Nicola di Bari (Maggior chiesa) di Termini Imerese avrà luogo, a cura dell’Arma dei Carabinieri, un incontro sull’uso delle buone pratiche da adottare per non cadere nei raggiri delle truffe domestiche.

Sicilbanca apre a Palermo: inaugurata la filiale “Gino Morici”

Sicilbanca, banca di credito cooperativo del Gruppo Cassa Centrale, ha inaugurato la sua prima filiale a Palermo, dedicata all’eclettico artista palermitano “Gino Morici”. Con questa apertura, la BCC raggiunge il traguardo di 22 sportelli operativi in Sicilia, supportati da 102 dipendenti e una base sociale di 4.000 soci.

La cerimonia di inaugurazione si è tenuta oggi nei nuovi uffici situati in viale Lazio numero 9. Il taglio del nastro ha visto la partecipazione del Presidente di Sicilbanca Giuseppe Di Forti, del Direttore Michele Augello e dell’Amministratore Delegato del Gruppo Cassa Centrale Sandro Bolognesi.

La comunità palermitana avrà adesso a disposizione prodotti finanziari all’avanguardia offerti da una banca profondamente radicata nel territorio che, in linea con i valori del Credito Cooperativo, pone al centro delle sue attività le persone e il servizio alle comunità.
La filiale “Gino Morici” si sviluppa su una superficie di 215 m² su un unico livello, con sette vetrine. Gli spazi, progettati per essere contemporanei e funzionali, riflettono l’impegno della banca nel marketing culturale, valorizzando arte e letteratura.

A partire da lunedì, la sede di Palermo della BCC Sicilbanca, diretta dal preposto Alessandro Cosentino, sarà già operativa, con un open day dedicato ai 600 soci palermitani e ai potenziali clienti.

La sede di Palermo si distingue per l’integrazione di cultura, ambiente e salute nella sua struttura e nelle sue attività.

Cultura. All’interno della filiale è ospitata la collezione Sgadari, una selezione esclusiva di disegni in copia anastatica firmati da Gino Morici. All’esterno, è stato creato un angolo denominato “Art Space”, espressione del concetto di arte in&out. Quest’area, sempre aperta, offre un luogo di relax per la lettura, grazie a una cassetta per il book sharing posizionata all’ingresso della banca. Uno schermo LED di ultima generazione trasmette quotidianamente opere d’arte e sequenze, raccontando la bellezza dell’Isola e dei suoi artisti, creando così un piccolo museo all’aperto accessibile a tutti. Inoltre, sarà presto completata la scultura “Hidalgo con lilium”, un omaggio a Santa Rosalia, che verrà posizionata lateralmente all’entrata della banca.

Ambiente. La nuova sede è un chiaro modello di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico. Attraverso il Consorzio BCC Energia, la struttura facilita la transizione energetica, con l’obiettivo non solo di ridurre i costi energetici, ma anche di consumare meno e aumentare la quota di energia da fonti rinnovabili. Si tratta di energia 100% green.

Salute. Grande attenzione è stata data alla salute e al benessere della comunità, con l’installazione di dispositivi salvavita all’esterno della sede. La filiale Gino Morici è una struttura cardioprotetta, garantendo sicurezza e protezione per dipendenti, clienti e l’intera comunità.

Con questa nuova filiale, Sicilbanca continua a rafforzare il suo impegno nel supportare e sviluppare il tessuto sociale, culturale ed economico della Sicilia, consolidando la sua presenza e i suoi valori cooperativi sul territorio.

Collesano, “Museo della Targa Florio” festeggia i 20 anni di fondazione

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La Targa Florio è stata voluta, creata, finanziata e organizzata da Vincenzo Florio, un imprenditore palermitano di ricca famiglia, affascinato dal nuovo mezzo di locomozione e già noto nell’ambiente per aver partecipato ad alcune competizioni di inizio secolo e per aver istituito, nel 1905, la Coppa Florio (una corsa automobilistica in quel di Brescia).

Nel 1906 dal rettilineo di Buonfornello parte la prima Edizione della Targa Florio vinta da Alessandro Cagno su Itala. La gara si è disputata 61 volte, praticamente senza soluzione di continuità (se si eccettuano gli anni delle due guerre mondiali), dal 1906 al 1977. Teatro della corsa sono sempre state le strade siciliane e in particolare quelle strette e tortuose che percorrono la catena montuosa delle Madonie: solo in poche occasioni la corsa è stata abbinata al Giro di Sicilia e si è svolta lungo il periplo dell’isola.

La Targa Florio entrò subito nella leggenda per le enormi difficoltà insite nella durezza del tracciato al punto che, specialmente nei primi anni, anche il solo riuscire a completare la corsa significava compiere un’impresa titanica. Naturalmente anche le case costruttrici che sono scese in campo con successo nel corso degli anni hanno sempre messo in risalto le prestazioni ottenute dalle autovetture di propria costruzione, pubblicizzandole senza risparmio, tra queste la Porsche e la Ferrari dove hanno conseguito grandi successi.

Nel 1955, e negli anni che vanno dal 1958 al 1973, la Targa Florio è stata tra le gare titolate ai fini dei Campionati Internazionali o Mondiali riservati alle vetture Sport o Gran Turismo, assumendo quindi un’importanza rilevante, testimoniata dalla discesa in campo di nomi altisonanti, sia di piloti che di case costruttrici. Dopo l’edizione 1973, contrassegnata da una numerosa serie di incidenti abbastanza gravi che dimostrava come l’ormai anacronistico circuito delle Madonie poco si confacesse a ospitare competizioni per vetture molto potenti, la Targa Florio veniva esclusa dal circuito delle grandi prove internazionali. La gara ebbe ancora tre edizioni non troppo entusiasmanti, poi, nel 1977 a causa di un gravissimo incidente la Targa Florio chiuse il ciclo definitivamente e nel 1978 la gara veniva trasformata con la  formula rally.

Oggi la Targa viene ricordata al “Museo della Targa Florio di Collesano”, porta naturale del Parco delle Madonie, riconosciuto da Aci Italia. Il traguardo è stato raggiunto, per la passione, la dedizione per l’automobilismo sportivo di un collesanese illustre figlio ideale di quel culto, l’ideatore e fondatore lo storico Giacinto Gargano a cui oggi viene attribuito il merito per la realizzazione del Museo, poi nominato (Conservatore) della struttura dall’amministrazione di allora Sindaco Nino Rotondi che non volle lasciare nell’oblio quel rombo di motori e di uomini, cosi accogliendo l’idea progettuale. Oggi il Museo è guidato dal figlio il Conservatore Michele Gargano. Ospitato in un ex convento domenicano, adiacente la casa comunale, in un ambiente raffinato ed elegante, il Museo della Targa Florio farà ripercorrere lungo un percorso ideale con l’ausilio di immagini inedite (foto, cartoline commemorative, documenti ed oggetti, particolari di auto, set di gara dei Piloti).

Tra i reperti più rappresentativi ed esclusivi, sono esposti le Targhe in bronzo degli Anni 1921/32/37/50, e la Targa del 1965 vittoria conseguita dal famoso Nino Vaccarella (in coppia con Lorenzo Bandini con la Ferrari), vincitore di tre edizioni, è nominato Presidente onorario del Museo. Così come sono esposti i caschi di, Elford, Hezemans, Giunti, Scarfiotti, Pucci. I set di gara di Vaccarella, Giunti, Merzario, Muller, Baghetti, De Adamich, Galli, Maria Teresa De Filippis, Munari, al personaggio Ing. Mauro Forghieri (ex Direttore tecnico della Ferrari, dagli Anni 1960 fino agli Anni 1980).

Della nuova (Aula Moderna Formula Rally): i set di gara dei Campioni Italiani Rally e vincitori di dieci Edizioni della Targa Florio Paolo Andreucci e Anna Andreussi; Longhi, Deila, Riolo, Nucita, Campedelli, Crugnola. L’ Aula officina meccanica di Palermo, dedicata ai fratelli (Vito ed Elio Lombardo) attrezzatura utilizzata dopo il termine della seconda guerra mondiale fino agli Anni 1970. L’ Aula Multimediale, dove i visitatori potranno immergersi in un viaggio suggestivo di filmati inediti dell’epoca. Lungo il circuito storico di Collesano, in un Museo a cielo aperto, vi sono ubicati dei pannelli tematici in ceramica, che raffigurano Edizioni memorabili della Targa Florio.

Oggi il Museo della Targa Florio di Collesano è meta di turisti appassionati dell’automobilismo sportivo, dove  orbitano Club Nazionali ed Internazionali. E’ un susseguirsi di Eventi nella promozione Turistica, Culturale, Enogastronomica del nostro territorio.

Ogni Anno il Museo organizza un evento denominato “Dedicato a… “, ad un  Pilota e/o Personaggio che ha fatto la storia dell’automobilismo sportivo internazionale legato alla gara leggendaria la “Targa Florio”, a riguardo, nell’ultimo decennio è stato attribuito questo evento a figure di alto profilo sportivo, come: Arturio Merzario, Hans Herrmann, il Barone Antonio Pucci di Benisichi, Lorenzo Bandini, Lodovico Scarfiotti, Piero Taruffi, Herbert Muller, Ugo Sivocci.

Termini Imerese, compie 100 anni la signora Antonina Alduino

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La signora Antonina Alduino compie 100 anni. Ad augurarle buon compleanno, questa mattina, insieme a parenti e amici, c’era il Sindaco di Termini Imerese Maria Terranova che ha consegnato una pergamena a nome dell’Amministrazione. “La sua storia è certamente un esempio di vita per tutti noi – ha affermato il Sindaco Maria Terranova – la sua serenità ci incoraggia ad andare avanti con sempre più decisione nonostante gli ostacoli della vita quotidiana. Sono felice di condividere questa straordinaria meta con la signora Alduino alla quale auguro, a nome di tutta la comunità termitana, tanta felicità”.

Cibo e cultura: i disturbi del comportamento alimentare

Nella storia della cultura occidentale, le prime descrizioni di anomalie dell’alimentazione o comunque di condizioni analoghe a quelle che oggi consideriamo Disturbi della Condotta Alimentare (DCA) risalgono a centinaia di anni fa. Ma si tratta di descrizioni sporadiche, incerte, spesso inappropriate, senza alcuna rilevanza nemmeno dal punto di vista storico. Di certo non possono in alcun modo essere considerate delle descrizioni di un disturbo, ma semplicemente qualcosa di assai simile a storie inattendibili, o ad osservazioni di ‘stranezze comportamentali’ non dissimili dalla ‘malattia d’amore’ descritta accuratamente dallo stesso Ippocrate. D’altra parte, anche gli attacchi di fame vorace ed insaziabile sono presenti nella antica letteratura greca ed ebraica, ma non possono affatto essere considerati descrizioni di un quadro patologico.

È invece nel basso Medioevo che i disturbi dell’alimentazione divengono oggetto di cronache dettagliate ed attente, in particolare modo per quanto attiene alle manifestazioni di essi in sante o comunque in donne particolarmente pie e devote. Bell ha addirittura suggerito che molte sante del tredicesimo secolo fossero affette da anoressia (una ‘santa anoressia’, come l’Autore la definisce) Uno degli esempi più eclatanti di tale comportamento è quello di Santa Caterina da Siena che, secondo Rampling era affetta da una severa forma di anoressia nervosa. Scriveva Santa Caterina da Siena, per esempio:

“Vi assicuro, davanti a Dio… che una o due volte al giorno mi sforzo di assumere del cibo… Ho preso accuratamente in esame questa infermità e ho pensato che Dio, nella sua bontà, me la desse per correggermi dal vizio della gola”.

D’altra parte basta pensare che la grande magrezza era in qualche modo connessa, nell’immaginario sociale di altre epoche, come il Medioevo, al desiderio di trascendere il corpo, di mortificarlo in favore dello spirito. Ma pur essendo comportamenti noti sin dall’antichità, i disturbi dell’alimentazione non sono stati per lungo tempo considerati delle condizioni di rilevanza clinica, non insomma delle vere e proprie malattie. Questo è stato dovuto, probabilmente, non tanto alla irrilevanza clinica del disturbo, o alla sua assenza, quanto probabilmente al fatto che i DCA erano culturalmente mascherati, la magrezza in particolare divenendo epifenomeno di una weltanschauung che vendeva alla spiritualità mistica ed all’ascetismo, passando attraverso la mortificazione della corporeità. Ciò avveniva non solo attraverso il rifiuto del cibo, e quindi l’enfatizzazione della magrezza estrema come negazione della corporeità stessa, ma anche attraverso i sintomi secondari indotti da questa scelta, anch’essi evidente espressione del rifiuto/negazione del corpo. Si pensi, per esempio, al vissuto della mancanza di cicli mestruali nell’anoressia nervosa, come espressione simbolica della negazione della sessualità, ed al rapporto di questo fenomeno – al tempo stesso culturale e patologico – con l’ascetismo (nella fattispecie cattolico).

D’altra parte, una visione dell’anoressia come condizione femminile purificata da ogni altra contaminazione corporea mediata dal cibo (e della sua funzione “eccitante”) è presente ampiamente nella concezione medioevale. Il problema dei disturbi del comportamento alimentare si pone storicamente, quindi, quasi come categoria comportamentale atta a modificare non solo o non tanto il corpo femminile, quanto le possibilità di espressione reale e di potenzialità simbolica del medesimo, in assoluta aderenza con un ideale estremo di incontaminazione mistica, che rendeva pertanto indispensabile il rifiuto di qualunque forma di istintualità e comunque il privilegiare al corpo femminile come ‘natura’ un corpo femminile come ‘cultura’.

In epoca moderna, la prima descrizione clinica dell’anoressia nervosa venne fornita da Sir William Gull a Londra nel 1868, che propose per questo quadro clinico proprio il termine di ‘anoressia nervosa. Ulteriore descrizione venne poi data a Parigi dal francese Lasègue, ne1 1873. Precedentemente c’erano state altre descrizioni del quadro clinico: una abbastanza approssimativa di John Reynold nel diciassettesimo secolo, che riferisce di una ‘prodigious abstinence’, e una invece molto più dettagliata di Richard Morton che, nel 1680 e nel l694 rilevò le caratteristiche essenziali della sindrome, dal rifiuto del cibo ai disturbi mestruali che poi si evidenziò essere associati pressoché costantemente a questo quadro clinico. Sebbene, pertanto, Morton possa essere considerato il medico che ha propriamente ‘scoperto’ l’anoressia nervosa Gull e Laségue furono certamente i primi non solo a descriverne con precisione ‘moderna’ il quadro clinico, ma anche a suggerire un approccio terapeutico. L’anoressia nervosa fu quindi descritta quasi contemporaneamente nella seconda metà de1l’800 in due grandi aree metropolitane.

BULIMIA

A differenza dell’anoressia, nota agli ambienti psichiatrici e medici da oltre un secolo, la bulimia nervosa nasce come entità nosografica autonoma solo nel 1980; prima di allora fu considerato solo un sintomo, sfumato nel quadro clinico dell’anoressia. In realtà di tale disturbo si trova menzione nella letteratura medica francese; in un articolo del 1772 veniva definita come “bulimia emetica” e descritta come consumazione forzata, con successivo rigurgito di quantitativi maggiori di quelli che possono essere digeriti. Verso la fine del secolo scorso (1899) la bulimia era descritta come “una fame patologica osservabile specialmente tra gli idioti e i maniaci, che induce i pazienti a mangiare in modo cosi sfrenato da causare il rigurgito e il vomito, dopo il quale essi riprendono a riempirsi”.

Da quest’ultima data al 1975, la bulimia viene quasi de1 tutto dimenticata, facendola in qualche modo rientrare all’interno della sindrome anoressica, o una reazione psicologica gastrointestinale, oppure una variante dell’obesità. Russell fu colui che per primo nel 1979 propose la definizione di “bulimia nervosa” in cui incluse oltre agli episodi bulimici altre caratteristiche psicopatologiche quali il terrore di ingrassare, il vomito autoindotto e l’abuso di purganti. La bulimia acquistò vasta notorietà presso il pubblico statunitense in seguito ad una invasione di articoli divulgativi sulla stampa, tra cui un pezzo apparso ne1 1981 sul New York Times che descriveva una ricerca condotta su una vera e propria epidemia del disturbo insorta in un campus della State University di New York, in cui un buon 33% dei soggetti iscritti, di cui 1’87% era costituito da donne, rispondeva ai criteri diagnostici per la bulimia, dichiarando cioè un passato di eccessi alimentari seguiti da vomito volontario.

EPIDEMIOLOGIA

Da quando l’esistenza di disturbi del comportamento alimentare venne identificata come problema psichiatrico, essi hanno modificato diverse loro caratteristiche. Anzitutto è stato osservato un aumento nell’incidenza dell’anoressia nervosa. Il fenomeno è stato evidenziato per la prima volta dallo psichiatra Theander, che rilevò a Malmo, in Svezia, un aumento dell’incidenza tra gli anni ‘30 e gli anni ‘50. Questa rilevazione fu successivamente confermata da una serie di altri studi, nel Regno Unito, in Scozia, negli Stati Uniti, e in Svizzera. Un solo studio, realizzato negli Stati Uniti, ha negato l’aumento di incidenza dell’anoressia nervosa, analizzando i dati disponibili alla Mayo University e relativi al periodo tra il 1955 e il 1979. Si tratta de1l’unico studio discrepante, e la differenza nei dati sembra poter essere attribuita al fatto che la popolazione sulla quale lo studio venne condotto era più caratterizzata da registrazioni mediche generali che da registrazioni psichiatriche. I dati disponibili, insomma, sembrano tutti concordare in direzione di un sicuro aumento dell’incidenza di disturbi del comportamento alimentare, come è stato anche confermato da studi su popolazioni studentesche, relativi in particolare alla bulimia.

Alcuni autori (Masloney e Klykylo, nel 1985 e Vandereycken e Meerman nel 1984 hanno palesemente espresso l’opinione che il fenomeno della diffusione dei disturbi alimentari nella popolazione giovanile stesse aumentando con un vero andamento epidemico, dato riportato anche in altri studi. I dati relativi a questa tendenza nella valutazione epidemiologica dei disturbi della condotta alimentare sembrano derivati talvolta da una eccessiva enfatizzazione – forse – dei dati disponibili, ma bisogna anche ammettere che dati epidemiologici fondati derivano da studi sulle ammissioni in ospedale di giovani donne con quadro clinico di anoressia nervosa, ma anche sulle condizioni cliniche di pazienti non ricoverati e appartenenti ad una popolazione giovanile, o da casistiche derivate da registri epidemiologici. Gli studi epidemiologici non hanno comunque mostrato alcun incremento dei casi maschili di anoressia nervosa. È il caso anche di rilevare come recenti studi epidemiologici abbiano messo in evidenza non solo la mancanza di dati sufficienti a suffragare l’ipotesi di un aumento nell’incidenza in particolare dell’anoressia nervosa, ma anche il cambiamento nei criteri diagnostici (per esempio il fatto non irrilevante che per una diagnosi di anoressia nervosa negli anni’70 si richiedesse una diminuzione di peso del 25%, mentre negli anni ‘90 tale percentuale fu ridotta al 15%, aggiungendo però la mancanza di tre cicli mestruali consecutivi, modificando in tal modo inevitabilmente – anche se magari in maniera non rilevante – i tassi di anoressia mentale diagnosticati nei vari studi). L’evidenza maggiore del fatto che l’anoressia nervosa abbia subito notevoli cambiamenti è l’emersione recente della bulimia nervosa. In effetti – e questo giustifica la sua connessione nosografica con l’anoressia – si tratta di un fenomeno dalle uguali determinanti, solo che assume caratteristiche più ‘violente, nel senso che il mantenimento di un adeguato peso corporeo è stabilito mediante il vomito o l’uso di lassativi da parte dci soggetti affetti. Non si tratta di un dato storico-nosografico legato all’anoressia nervosa, tanto che resoconti più antichi relativi al disturbo in aumento, come quello di Kay e Lcigb del 1954, non dicono alcunché di rilevante su queste pratiche di induzione del vomito o di abuso finalizzato di purganti. L’evidenziazione de1 fatto che queste prassi avevano connotazioni patologiche, risale solo agli anni ’7O. Nel 1959, Stunkard coniò l’espressione ormai entrata nell’uso comune – di ‘binge eating syndrome’, riferendosi a pazienti obesi che vomitavano per mantenere un certo grado di ‘forma’ fisica.

Bruch descrisse nel 1974 le persone che vomitavano dopo ampie ingestioni di cibo con una espressione caratteristica, e difficilmente traducibile in senso letterale: parla infatti di ‘ thin fat people’, qualcosa di simile a ‘gente magra-grassa’. Solo nel 1979 Russell introdusse il termine di ‘bulimia nervosa’ per descrivere pazienti caratterizzate da un abuso episodico e compulsivo di cibo (le ‘abbuffate’) e dalla successiva e volontaria induzione di vomito per limitare gli effetti ‘ingrassanti’ del cibo. Russell dedusse che questo comportamento non differiva da quello tipico delle pazienti anoressiche, e che quindi poteva esserne considerato una variante.

L’IMPORTANZA DELLA CULTURA

È stato suggerito che i disturbi della condotta alimentare abbiano forti connotazioni culturali, nel senso che essi sembrano fortemente caratterizzati dalla loro presenza in certi contesti specifici culturali e sociali ed in certi momenti storici, per motivazioni che possono essere connesse con uno specifico assetto sociale e con uno specifico significato etnologico – per esempio di inconscia protesta contro una conflittualità implicita nel ruolo femminile moderno (donna autonoma/donna asservita a ruoli domestici tradizionali). Esistono dati relativi a questa connotazione dei disturbi dcl comportamento alimentare: essi sono evidenziati quasi esclusivamente in Occidente, e riguardano tipicamente giovani donne di classe sociale elevata o comunque agiata. Bartocci e Paoletti hanno per esempio fornito una suggestiva sinossi delle caratteristiche culturali del disturbi del comportamento alimentare, con specifico riferimento comunque all’anoressia nervosa: l’assenza del disturbo nelle cosiddette popolazioni ‘primitive’, l’esistenza di disturbi simili, anche se non sovrapponibili all’anoressia mentale in popolazioni non bianche nei Paesi in via di sviluppo; una incidenza massima nella società Occidentale industrializzata; una bassa incidenza del disturbo in popolazioni di colore emigrate da tempo in Occidente. Nelle culture non occidentali il concetto di peso corporeo femminile nei suoi risvolti estetici e sessuali è sicuramente considerato in maniera molto differente che in Occidente. I valori vengono anzi assai spesso ribaltati, nel senso che la magrezza, che in Occidente è ritenuta attrattiva sessuale desiderabile, in altre contrade è ritenuta fattore negativo dell’attrazione sessuale femminile. L’essere abbastanza grosse è stato considerato un fattore di grande attrazione sessuale. È un dato di fatto che ogni cultura ha il proprio concetto di femminilità e di estetica del femminile. Nella cultura araba la magrezza è considerata indesiderabile, e l’idea stessa di grassezza è considerata simbolica di femminilità e di maternità. Al contrario, nella società occidentale moderna la femminilità è inevitabilmente associata ad una idea di magrezza, secondo modelli che trovano nella mitica bambola americana Barbie il loro ideale e la loro più compiuta espressione estetica. Non a caso è stato rilevata una correlazione inversa tra lunghezza del periodo di esposizione ai valori della società americana e obesità.

UNA TERAPIA SOCIALE?

Ciò che appare insolito, inopportuno, limitativo e problematico è l’approccio a questa sindrome nella moderna medicina occidentale. Si ha talvolta l’impressione che, in effetti, tutti concordino sul fatto che la bulimia, così come, in genere, i disturbi del comportamento alimentare, siano espressione della cultura occidentale dominante anche perché dissentire da questo punto di vista significherebbe saltare a piè pari tutti i dati epidemiologici disponibili ed una serie di contributi clinici e teorici di indubitabile valore scientifico. Il problema non è, però, questo. È che a fronte di un riconoscimento necessario, la prassi terapeutica comune di recupero psicologico e psichiatrico non tiene in alcun conto questo dato di fatto obiettivo. È presumibilmente rilevante il fatto – squisitamente medico – che individuata una patologia la terapia adottata sia tanto più precisa quanto più essa sia eziologica, quanto più, cioè, essa tenda ad agire sulla causa della patologia medesima. È, questo, un dato di fatto che contraddistingue teoreticamente la storia stessa della medicina occidentale.

Il problema è, probabilmente, che viene sottovalutata proprio la dimensione culturale. La bulimia affonda le sue radici nella cultura occidentale, nella visione del mondo suggerita da una società consumistica, dove anche il sesso e l’immagine della donna è insana e mercificata; essa trova le sue origini in un mondo dominato, per dirla con Erich Fromm, assai più dall’avere che dall’essere, dall’apparire più che dal concretizzarsi come persona. È ovvio che di questo meccanismo le pazienti anoressiche e bulimiche sono vittime inconsapevoli. Ed è altrettanto ovvio che una strategia terapeutica non può non tenere conto di questo fattore. Si ha l’impressione, invece, che una eccessiva attenzione verso gli aspetti neurochimici o psicoterapici nasconda in fondo la rimozione stessa del problema, la determinazione pervicace ad eliminare l’idea di questa malattia, che è al contempo fonte del nostro disagio sociale. Disagio nei confronti di un disturbo che, con le sue caratteristiche, con il suo modo di porsi come critica disperata al consumismo, ad una società dell’apparenza e della forma (è un caso di coincidenza linguistica che la bulimia sia proprio patologia della forma?), pone in crisi le fondamenta stesse della cultura occidentale contemporanea.

Giovanni Iannuzzo

 

Castelbuono, ecco la Giuria della 24° edizione del Concorso Nazionale di Fotografia

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Altra tappa importante sull’iter della 24° edizione, che coincide con il 25° anniversario del lancio della prima edizione anno 2000, del Concorso Nazionale di Fotografia Città di Castelbuono, legato al “Premio giovani Momò Calascibetta”, la scadenza dei termini per la presentazione delle opere, domenica 30 giugno.

Il Concorso quest’anno parla di “bellezza”, di “arte”. Il tema che non è una novità, ma che è già stato affrontato nell’anno 2004, quest’anno sarà dedicato al “Teatro” ovvero all’ “Arte  del Teatro” insomma tutto ciò che potrà riguardare questa forma d’arte.

Tema che si accompagna con quello “Libero” e “Castelbuono ed i suoi volti sia fisico che paesaggistico tra passato e presente”.

Vincenzo Cucco, presidente di Fotoriflettendo, ha convocato per sabato 6 luglio la commissione giudicatrice composta dallo stesso, nella qualità di presidente, da Sergio Siano – fotogiornalista / il Mattino di Napoli, Maria Antonietta Spadaro – critica d’arte, Rosario Neri – regista e direttore di fotografia Cinema e TV/ Fotografo, Fabio Savagnone – fotografo, Giuseppe Gerbasi – fotografo, Franco Lannino – fotoreporter.

La Giuria, così composta, avrà il compito di selezionare le fotografie da ammettere alla mostra dopo che il pubblico si sarà espresso nel merito attraverso il contest, ed inoltre sceglierà le opere da premiare secondo criteri tecnici ed artistici.

Le opere selezionate saranno esposte all’interno dello spazio “Auditorium Crucis”, con l’allestimento curato dall’arch. Michele Puccia, dal 29 luglio (inaugurazione)  al 4 agosto, il tutto guidato dalla direzione artistica dell’attrice, prof.ssa Clelia Cucco.

La premiazione si svolgerà sabato 3 agosto alle ore 19,00 nel suggestivo “Atrio” dell’ex Convento Santa Venera, nel contesto di improvvisate performance teatrali.

“Fotoriflettendo” ringrazia l’Assemblea e la Presidenza della Regione Sicilia, l’Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo, ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Il Comune di Castelbuono, la Città Metropolitana dai Palermo, l’Università di Palermo, l’Accademia di Belle Arti di Palermo, Museo Civico, MomòArt, Gi.Bi. Auto, Ceramiche De Simone, Cangemi Ottica, CTA Fauni / Comunità Terapeutica Assistita, Mediolanum Banca, D.L.F. Palermo, rivista Espero, Tumminello, Relais S. Anastasia, Paradiso delle Madonie, Masseria Rocca di Gonato, Printandgo, Il Fiore, per i loro apporti per poter realizzare quest’ultima edizione.

Il Concorso Nazionale di Fotografia Città di Castelbuono, con l’A.P.S. Fotoriflettendo, continua a sostenere l’Associazione “A Cuore Aperto Onlus”, presidente prof. Giovanni Ruvolo (Direttore U.O.C. Policlinico Tor Vergata di Roma) per l’iniziativa “Un cuore per Ipogolo” in Tanzania (articolo SOS Tanzania nel sito www.fotoconcorsolagrua.it.)

Tutti i dettagli per la partecipazione sono contenuti nel “Regolamento” che può essere visionato e scaricato direttamente dal sito www.fotoriflettendo, nella sua nuova veste espositiva. Info: dott. Vincenzo Cucco – cell. 3294516427 – [email protected].

Foto:  23° ediz / 2023 “Scherzo,satira,ironia…” bianco/nero, 1°classif. “Lui e gli altri” di Domenico Giampà – Satriano (CZ).

Caccamo, al via l’anno giubilare di “San Nicasio”

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La chiesa e la città di Caccamo, si legge in una nota dell’Ufficio Stampa dell’Arcidiocesi di Palermo, si apprestano a vivere l’Anno Giubilare in onore del Patrono San Nicasio, si tratta di un particolare periodo concesso dalla Penitenzieria Apostolica dal 1° luglio 2024 al 1° settembre 2025 per poter celebrare il IV centenario della liberazione di Caccamo dalla peste (1624) e della elezione di San Nicasio a Patrono della Città (31 maggio 1625). L’indulgenza si potrà lucrare visitando la Parrocchia SS. Annunziata e venerando le reliquie di San Nicasio.

Domenica 30 giugno alle ore 19.00 la solenne Celebrazione Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice (che ha avviato l’iter presso la Penitenzieria Apostolica) per l’apertura dell’Anno Giubilare; lettura della preghiera a San Nicasio composta da Mons. Lorefice. Il Sindaco di Caccamo offrirà simbolicamente una lampada votiva che arderà per tutto l’anno giubilare

Le iniziative per l’Anno Giubilare sono promosse dalla Parrocchia SS. Annunziata di Caccamo, guidata dal Parroco don Claudio Antonio Grasso, e dalla Confraternita San Nicasio Martire, guidata dal Superiore Roberto Pagoria. Per l’occasione è stata realizzata un’icona, scritta a mano da p. Efraim, parroco ortodosso a Palermo, che raffigura san Nicasio secondo l’iconografia di un affresco presente presso la Cappella della Palazzo Magistrale dello Sovrano Ordine Militare di Malta a Roma.

Dopo secoli è stata questa l’occasione propizia per riannodare i legami tra l’Ordine di Malta e la devozione a san Nicasio: questa iniziativa da parte dell’Ordine si inserisce nel solco della riforma che Papa Francesco ha voluto per l’Ordine di Malta con diversi decreti pontifici. Particolarmente degno di nota l’impegno in tal senso di S.E. Fra’ Nicolò Custoza de’ Cattani, Gran Priore dell’Ordine di Malta di Napoli e Sicilia, e del Commissario della Delegazione della Sicilia Occidentale, Baronessa Virginia Martinez Tagliavia di San Giacomo. Per queste ragioni all’interno dell’anno giubilare l’Ordine di Malta ha organizzato quattro iniziative di particolare importanza: un segno di carità da parte dello SMOM nei confronti delle famiglie bisognose di Caccamo, in ossequio al motto dell’ordine “tuitio fidei et obsequium pauperum” (difesa della fede e servizio ai poveri); il Pellegrinaggio nazionale dell’Ordine di Malta nei giorni 20 e 21 settembre 2024; l’emissione di un francobollo postale del valore commerciale di €2,90, con la possibilità di un annullo filatelico speciale il 21 settembre, durante il Pellegrinaggio dell’Ordine a Caccamo; il conio di una medaglia commemorativa del Giubileo e sarà annoverata tra le medaglie dei santi dell’Ordine giovannita.

Durante l’anno giubilare l’Ordine di Malta promuoverà due feste estive in onore di San Nicasio che rappresenteranno un’occasione di riflessione e di condivisione oltre che di attenzione ai piccoli (giochi estivi per i ragazzi), agli ammalati (peregrinatio della reliquia presso gli ammalati) e ai bisognosi (raccolta viveri per la Caritas parrocchiale). Inoltre l’anno giubilare sarà impreziosito da celebrazioni giubilari mensili, attività culturali e ricreative che avranno la finalità di promuovere il culto per San Nicasio e l’imitazione della sua vita nell’aderire alle beatitudini evangeliche che sono rappresentate nelle otto punte della croce di Malta sotto la cui effige san Nicasio ha dato la vita per difendere la Fede. Prevista infine una Peregrinatio della reliquia presso le comunità che lo richiederanno a partire dal mese di ottobre 2024.