Home Blog Page 170

Le “rovine circolari” di Sabucina (CL) e Mokarta di Salemi (TP)

0

Proseguiamo nell’itinerario degli importanti resti in impianti a base circolare che meritano attenzione. I reperti archeologici più interessanti si possono vedere al Museo Archeologico di Caltanissetta. Sulla base del solo dato museale o di scavo gli archeologi prudentemente si limitano a sostenere che sono “basi di capanne”. Resta la domanda fondamentale: ma insomma questi indigeni al centro delle complesse culture del Mediterraneo non costruivano “edifici religiosi non capannicoli?”

In risposta alla domanda lecita occorre riscoprire la verità di fondo: la differenza fra il “Sacro” ed il “Profano”, come dimostrato ampiamente dalla storia delle religioni o dall’antropologia, è “invenzione” molto recente. Tutto in antico era dimensione del “Sacro”, nei suoi variegati aspetti anche pratici, specie nella forma simbolica e negli orientamenti degli impianti architettonici monumentali o delle stesse forme urbane. Fustel de Coulanges ne “La Città antica” (1868) lo ha scolpito in forma lapidaria: “Tutte le città antiche sono ‘Sante’ perchè costruite attorno ad un Altare.” Il resto è spesso presunzione.

Carmelo Montagna

Foto 1 e 2 Strutture di fondazione circolari (fonte web), Sabucina (CL).

A Mokarta gli scavi della Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani, sono iniziati dal 1994 e a più riprese hanno portato alla luce le strutture abitative. Datazioni dal XIII al X sec. a.C. Le strutture presentano tutte una forma circolare di grande regolarità, con una caratteristica che le rende finora uniche per tipologia in Sicilia: presentano un ingresso con vestibolo “a forcipe” o “a tenaglia”. L’alzato e la copertura era quasi certamente a thòlos con foro centrale.

Foto 3 e 4 Strutture di fondazione circolari ed impianto planimetrico (fonte web).

 

Cefalù, si presenta il libro “Il viaggio più lungo. Piccole-Grandi Italie nella Mitteleuropa” di Teresa Triscari

0

Organizzato da BCsicilia, in collaborazione con il Comune di Cefalù, si presenta martedì 31 ottobre 2023 alle ore 18,00, presso la Sala delle Capriate in Piazza Duomo a Cefalù, il libro di Teresa Triscari “Il viaggio più lungo. Piccole-Grandi Italie nella Mitteleuropa”. Dopo i saluti di Francesco Calabrese, Presidente del Consiglio comunale, di Daniele Tumminello, Sindaco di Cefalù e di Antonio Franco, Assessore alle politiche culturali, dialogheranno con l’autrice Valentina Portera, Presidente BCsicilia Sede di Cefalù e Leszek Kazana, Storico e italianista. Letture a cura di Enzo Giannone. Coordina Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale BCsicilia. Per informazioni: Email [email protected], Tel. 320.6468568. F.b. BCsicilia Cefalù.

Un libro che prende le mosse dal vissuto: memoria di luoghi, paesaggi, persone, tradizioni, stili di vita, mutamenti storici. Riflessioni su momenti complessi e coinvolgenti, sulla Storia che cambia. Narrazioni dell’essere prima di tutto viaggiatori dell’anima. Considerazioni sulle stagioni della cultura contemporanea, delle trasformazioni politiche che avvengono sotto i nostri occhi quasi senza accorgercene, dei tanti drammi che ci circondano. Compresenza di presente e passato; epifania dell’attimo; ritorno in sé stessi e nei luoghi dove hai vissuto e convissuto. Trasmigrazioni in altri contesti e in altre sensibilità.

Un itinerario fra romanzo e saggio che racconta cultura e culture, retaggi di italianità rimasti in vari Paesi della Mitteleuropa; un percorso di vita che diventa ben presto una forma di gratitudine nei confronti di quei luoghi che hanno dato all’autrice una lezione di umiltà e le hanno permesso di immergere tutto il suo essere nella cultura dei luoghi dove ha vissuto.

Un girovagare sull’Atlante della Vecchia e della Nuova Europa; un labirinto interno di pensiero; una spirale di emozioni; un vortice di sogni non sognati.

Uno sguardo a Donne di potere e di sapere – da Bona Sforza a Beatrice di Napoli – che, in periodo rinascimentale, hanno avuto il coraggio di gettare il seme del cambiamento in vari Paesi europei dando impulso alla formazione di tante Piccole-Grandi Italie in terre lontane ma sempre vicine e complici. Un seme che, oggi, è stato raccolto da Donne che hanno sfidato e rischiato molto di più: dal Premio Nobel Herta Müller, alla poetessa Ana Blandiana, alla cantante Marta Kubišová, alle mille donne ucraine che fuggono dalla guerra con i loro bambini: tutta una filigrana di linguaggi e di tessiture politiche.

Uno sguardo ad un passato che ci riporta al presente: l’europeismo e il femminismo dell’italiana Bona Sforza in periodo rinascimentale; l’europeismo e il mecenatismo del re polacco (italiano nell’anima) Augusto Stanislao Poniatowski nel secolo dei Lumi.

Un volo su Odessa, città italiana al massimo, oggi vittima di eventi che ci attanagliano l’animo. Un romanzo-saggio, uno snodarsi di storie vissute con la consapevolezza, da parte dell’autrice, di essere stata fortunata protagonista di una irripetibile pagina di Storia.

Teresa Triscari, studi classici, autrice di saggi, racconti, poesie, narrazioni autobiografiche.

È stata Direttore di Istituti Italiani di Cultura all’estero nell’area dell’Europa Centro Orientale. Ha collaborato con Rai Educational, con Rai Cultura e con il Primo Canale della TV Slovacca. È membro della Giuria del Premio Letterario Elsa Morante. Attualmente interviene su varie riviste culturali pubblicando saggi di critica d’arte e critica letteraria.

Tiene seminari e conferenze di letteratura comparata presso le Università Italiane e polacche.

Pubblicazioni recenti: ‟C’era una volta … e c’è ancora” (Casa editrice Tracce di Pescara 2018); ‟La Sicilia tra Storie e Miti – La grande koinè mediterranea” (Torri del Vento ed., Palermo, 2019­); ‟Il Moscone e altri racconti” (Medinova editore, 2020).

Vive e opera tra Roma e Cefalù.

Termini Imerese, avevano rapinato 70.000 euro ad anziana lo scorso 22 giugno: Arrestati in due

0

I Carabinieri del Reparto Territoriale di Termini Imerese hanno arrestato un 49enne e un 54enne, già noti alle forze dell’ordine, destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Termini Imerese, su richiesta della Procura della Repubblica. I due uomini sono indagati in concorso per il reato di rapina pluriaggravata.

L’indagine, condotta dalla Sezione Operativa del Reparto Territoriale di Termini Imerese, ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario a carico dei due uomini, individuati quali autori materiale di una rapina commessa in danno di una donna di 89 anni.

Il reato, preceduto da diversi sopralluoghi, è stato perpetrato lo scorso 22 giugno. La vittima, aggredita e imbavagliata all’interno della propria abitazione, sita nel centro termitano, è stata costretta ad aprire la cassaforte che conteneva 70.000 euro in contanti.

Termini Imerese, una inedita opera di Giuseppe Spatafora: “Il San Giuseppe e Gesù Bambino” della Chiesa di S. Anna

Il 26 Aprile I Indizione 1603, il sac. Bernardino Romano nella maggior chiesa di Termini Imerese battezzò Giuseppe, figlio dei coniugi Antonino Spatafora e Clara Antonia, avendo come padrino don Giovanni Battista Romano e Ventimiglia, barone di Resuttano e della Favarotta, esponente di spicco del locale patriziato urbano. Iniziava così la vita cristiana del futuro pittore termitano Giuseppe Spatafora II junior il cui corpus delle opere, come vedremo, è sinora alquanto scarno, annoverando dipinti recentemente a lui attribuiti a Caccamo, oltre a due opere già note a Palermo e la cui paternità è attestata su base documentaria.

Giuseppe Spatafora II junior fu l’ultimo rampollo noto della casata artistica siciliana degli Spatafora. Il padre, Antonino Spatafora (Palermo, c. 1552/53 – Termini Imerese, 22 Giugno 1613), architetto civile (capomastro delle fabbriche della cittadina imerese almeno dal 1593-94), militare ed idraulico, pittore, cartografo, scenografo, va sicuramente annoverato tra le personalità di spicco del manierismo siciliano del tardo Cinquecento e del primo Seicento (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, Antonino Spatafora e il modello ligneo seicentesco della maggior chiesa, “Esperonews”, 27 Novembre 2021, on-line in questa testata giornalistica). Antonino, era nato a Palermo da Giuseppe Spatafora senior, architetto (capomastro delle fabbriche della città di Palermo dal 1564–65), scultore e plasticatore e da Elisabetta (detta familiarmente Bettuccia), della quale sinora si ignora il cognome. Giuseppe Spatafora II junior, quindi, apparteneva ad una famiglia che da più generazioni era dedita all’arte. Egli ebbe imposto il medesimo nome del fratello maggiore premorto, Giuseppe Spatafora I junior (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera Architetto e Pittore Termitano. Presentazione di M. C. Di Natale. GASM, Termini Imerese 1998, 150 pp., in particolare, pp. 61–62 e nota n. 213 a p. 61) quasi a voler colmare il vuoto lasciato dalla precedente perdita, continuando così a perpetuare il nominativo del ben noto nonno paterno che fu l’artefice delle fortune del casato in campo artistico ed economico. Essendo rimasto orfano del padre all’età di dieci anni, è probabile che abbia fatto il suo apprendistato presso i due cognati architetti e pittori: Vincenzo La Barbera (Termini Imerese, 1576/77 c. – Palermo 30 Marzo 1642), marito di Elisabetta Spatafora ed il caccamese Nicasio Azzarello (doc. 1613–1623), sposo di Grazia Spatafora. Nel 1622, con le sorelle ed i cognati si trasferì verosimilmente a Palermo, dove la famiglia Spatafora possedeva immobili nel quartiere dell’Albergheria. Del resto, un rogito del 27 Settembre VIa Indizione 1623 lo vede testimone di un contratto che coinvolgeva il cognato La Barbera (cfr. A. Contino, S. Mantia, Architetti e Pittori… cit., pp. 53–54). Del resto, come ebbe a scoprire il pittore e studioso d’arte Giuseppe Meli (Palermo, 18 Novembre 1807, – ivi, 29 Marzo 1893), egli lavorò nel Palazzo reale di Palermo, negli anni tra il 1624 ed il 1638 (cfr. G. Meli, Documenti intorno a Giuseppe Spatafora pittore siciliano (16241638) in “Archivio Storico Siciliano”, n. s., II, 1877, pp. 87–89; si veda anche R. Calandra, Palazzo dei Normanni, Novecento, Palermo 1999, 320 pp., in particolare, p. 143). Il giovane pittore ebbe vari incarichi di esecuzione di lavori di decorazione a guazzo legati ad interventi di recupero di precedenti opere. Alcuni di tali lavori furono eseguiti assieme ad Antonino La Barbera, da identificare con il nipote, figlio di Vincenzo ed Elisabetta, nato a Termini Imerese nel 1609. Nel 1638, ad es., riprese il dipinto preesistente della Madonna del Rosario sopra la porta del corpo di guardia. Il 28 Agosto di tale anno, Giuseppe Spatafora di Termini et habitatore di Palermo, della parrocchia di S. Giovanni li Tartari, sposò nella chiesa parrocchiale palermitana di S. Antonio di Padova, Elisabetta Federico, mentre la benedizione ai novelli sposi fu impartita in S. Nicolò all’Albergheria (cfr. A. Contino, S. Mantia, Architetti e Pittori…cit., p. 187).

La coppia, allo stato attuale delle ricerche archivistiche effettuate da Antonio Contino e Salvatore Mantia, ebbe i seguenti figli: Pietro Angelo Antonino (b. 21 Maggio 1640, padrino il pittore monrealese Pietro Novelli, madrina soro Caterina Marchisi); Agata Anna Antonia (b. 5 Febbraio 1642, padrino il dottor Paolo Pizzuto, protomedico del Regno, madrina Agata Spatafora); Agata Anna (b. 23 Settembre 1643, padrino don Pietro Vanni, madrina soro Caterina Marchisi); Bartolomea Rosalia (b. 27 Agosto 1650, padrino don Marco Mancini Terzo marchese dell’Ogliastro, oggi Bolognetta, madrina Laura La Placa, mammana, cioè ostetrica); Agnese (b. 20 Aprile 1653, padrino Vincenzo Bonello, madrina soro Agnese Spatafora).

Nel 1654–55, Giuseppe Spatafora II junior dipinse due tele dall’impianto compositivo di tipo manieristico e dal marcato intento catechetico relativamente ai due episodi di martirio, che dovevano fare da pendent, per la cappella dei Santi Martiri, ubicata nella terza campata della navata destra, nella chiesa palermitana del Gesù detta di Casa Professa. Da notare che nel 1660 il sac. Francesco La Barbera, figlio di Vincenzo e nipote ex sorore del detto Spatafora, eseguì i disegni preparatori della decorazione lapidea della cappella, poi realizzata dallo scultore palermitano Francesco Scuto (cfr. M. C. Ruggieri Tricoli, Costruire Gerusalemme: il complesso gesuitico della Casa professa di Palermo dalla storia al museo, Lybra immagine, Milano 2001, 270 pp., in particolare,  p. 107).

La prima tela, raffigura la Strage dei Santi Innocenti, che fa riferimento all’evento ricordato nel Vangelo di S. Matteo, dell’uccisione per un insano ordine di Erode, di «tutti i bambini che erano in Betlemme e in tutti i suoi dintorni, dai due anni in giù» (Mt. 2, 16–18). Nel Martirologio Romano si festeggiano il 28 Dicembre. Il culto ai piccoli martiri betlemmiti fu tributato dapprima in Palestina, dove nella basilica di Betlemme, esisteva una cappella a loro dedicata, mentre in Occidente furono venerati come martiri fin dal tempo di S. Ireneo (Adversus haereses, III, XVI, 4) e di S. Cipriano (Epistulae, 58, 6) e la loro festa è documentata sin dal V sec. d. C. (cfr. F. Spadafora, P. Cannata, Innocenti, Santi Martiri, in “Bibliotheca Sanctorum”, d’ora in poi “BS”, Istituto Giovanni XXIII – Pontificia Università Lateranense, Roma 1961–1969, vol. VII, 1968, coll. 819–832; F. Scorza Barcellona, Magi, infanti e martiri nella letteratura cristiana antica, a cura di Tommaso Caliò e Elena Zocca, collana Sacro/santo, 29, Viella, Roma 2020).

L’orchestrazione scenica è dominata da strutture architettoniche che appaiono in parte crollate, ingenerando un senso di decadente desolazione. L’artista, utilizza l’espediente di dividere l’ambientazione scenica in due settori distinti contrassegnati dal contrasto nettissimo tra un ritmo concitato ed un lirismo inquieto, da una parte, ed una quiete assoluta che ingenera una sorta di sospensione temporale, dall’altra. Nel settore destro dell’opera, infatti, appare in tutta la sua crudezza, la concitata e serrata iconografia della strage, nella quale una nerboruta soldataglia trucida gli innocenti senza alcuna pietà per loro e per le povere madri. Le strutture architettoniche in gran parte crollate, che richiamano la caducità dello sfarzo dei potenti della Terra, si aprono mostrando un umbratile brano paesaggistico con le frondose quinte arboree che si allargano esibendo un fondale collinare, dominato dalla poliedrica mole di una rocca sormontata da una città turrita. Si tratta, di richiami fortemente mutuati da modelli del paesaggismo nordico e, in particolare, dai dipinti e dalle stampe dell’artista di origine fiamminga Paul Bril (1554 – 1626) o del suo entourage. Nel settore sinistro, invece, il loggiato archivoltato in fuga prospettica, si apre su uno scorcio di paesaggio urbano, anticipando quasi le ambientazioni metafisiche. La fatiscenza del  loggiato architettonico è esaltata dalla presenza di elementi lapidei decorativi caduti: un capitello, una cornice modanata, un rocchio di colonna.

La seconda tela, sempre in un contesto scenografico monumentale, ma ancora più fatiscente,  raffigura La Crocifissione dei tre Beati Gesuiti del Giappone, Paolo Miki, Giovanni Soan di Gotó, Giacomo Kisai (cfr. L. Frois, R. Galdos, Relacion dei martirio de los 26 cristianos crucificados en Nagasaki el 5 de febrero de 1597, Roma 1935; D. Pacheco S. J., Martires en Nagasaki, Héroes del apostolado católico, Editorial El Siglo de las Misiones, Tokyo 1961; G. D. Gordini, Giappone, Martiri, in “BS”, vol. VI, Istituto Giovanni XXIII – Pontificia Università Lateranense, Roma 1968, coll. 434–441). Ricordiamo che questi protomartiri giapponesi, uccisi agli inizi di Febbraio del 1597 sulla collina Tateyama di Nagasaki, per ordine del signore feudale (daimyō) Toyotomi Hideyoshi (Nakamura, 2 Febbraio 1537 – Kyoto, 18 Settembre 1598), qualificato dai cristiani Taicosama.

I tre Gesuiti baciarono il legno dello strumento del loro imminente martirio, si distesero ognuno sulla propria croce, venendo legati con funi dai loro aguzzini. Questi ultimi, issarono contemporaneamente le tre croci rivolgendole verso la città, in modo da poter essere osservate dalla popolazione, mentre i martiri intonavano canti di ringraziamento, e li trafissero brutalmente con delle lance.

Questi martiri furono beatificati da Urbano VIII nel 1627 (cfr. G. D. Gordini, Giappone, Martiri…cit.). Divennero compatroni della città di Palermo nel 1629 (cfr. A. Giannino S. J., La chiesa del Gesù a Casa Professa. Palermo, terza ristampa a cura di P. F. Salvo S. J., Palermo 2003, 64 pp., in particolare, p. 9;  M. C. Ruggieri Tricoli, Costruire Gerusalemme…cit.,  p. 225, nota n. 370).

La scena, anche qui appare divisa in due settori attraverso dei ruderi di un colonnato in fuga prospettica. Nel settore sinistro è raffigurato il martirio per crocifissione dei tre Beati Gesuiti del Giappone (la dicitura Santi Gesuiti del Giappone utilizzata sinora dagli storici dell’arte è errata essendo stati canonizzati da Pio IX nel 1862, cfr. G. D. Gordini, Giappone, Martiri…cit.), mentre tre angioletti recano loro la palma. L’ambiente appare avvolto in una sorta di “sospensione temporale” dell’atto disumano che esalta il senso di decadenza accentuato dai ruderi architettonici e dal cupo contesto meteorologico.

Ci preme qui sottolineare che la scoperta della paternità di Giuseppe Spatafora II junior delle due opere, si deve alle instancabili ricerche archivistiche portate avanti dal compianto padre Francesco Salvo S. J. (cfr. A. Giannino S. J., La chiesa del Gesù…cit., p. 11; M. C. Ruggieri Tricoli, Costruire Gerusalemme…cit., p. 231).

Lo storico dell’arte Antonio Cuccia ha dedicato alle due opere una puntuale trattazione critica (cfr. A. Cuccia, La pittura del Seicento a Termini Imerese e nel suo territorio in “Bollettino d‘Arte”, n. 143, Gennaio–Marzo 2008, pp. 49–92, in particolare, pp. 52–54). Il Cuccia, attraverso un prezioso e calzante anacronismo, ravvisa nelle due tele «un partito concettuale “moderno” che nell‘angosciosa interpretazione “muta” dei paesaggi urbani e naturalistici trova un parallelo, seppur con diversa valenza […] nella problematica contemporanea di un De Chirico o di un Sironi». Secondo lo studioso, il linguaggio espresso da questo artista, «seppur legato ancora al retaggio manierista, si aggiorna ai parametri seicenteschi nel rendere la scena reale attraverso una sapiente orchestrazione luministica che varia l‘intensità delle note cromatiche nella resa sintetica delle figure», con una peculiare «marcata espressività, funzionale ad un linguaggio diretto».

La storica dell’arte Teresa Pugliatti, ha ulteriormente puntualizzato l’inquietante palese contrasto che connota l’orchestrazione scenica nelle due tele, essendo l’azione del tutto concentrata su un lato della composizione [cfr. T. Pugliatti, Pittura della tarda Maniera nella Sicilia occidentale (15571647), Kalós, Palermo 2011, 492 pp., in particolare, pp. 185–188].  Si veda anche V. Vario, I santi martiri giapponesi della Compagnia di Gesù, tra Namban Art e pittura tardo-manierista, “In Folio”, Rivista del Dottorato di Ricerca in Architettura, Arti e Pianificazione – Università degli Studi di Palermo, n. 32, pp. 21–22).

Recentemente, tenendo conto degli stilemi presenti nelle due opere precedenti, Antonio Cuccia ha attribuito a Giuseppe Spatafora II junior, due pale d’altare di Caccamo. La prima, raffigura la Madonna in gloria tra  S. Stefano Protomartire e S. Lorenzo Martire, della chiesa della Badia «caratterizzato da un‘espressività marcata e ostentata che tradisce il tono propagandistico proprio in direzione della cultura figurativa gesuitica». Condividiamo pienamente tale attribuzione, sottolineando, inoltre, come sia evidente la dipendenza del pittore dal cognato La Barbera, arrivando addirittura a riprendere, sia pure con una resa differente, lo stilema dei puttini paffuti e nasuti.

Secondo Cuccia, la pittura di Giuseppe Spatafora II junior si connota per «la corposità data alle ombre» che esaltano «il partito luministico», caratteristica che «prelude al più marcato contrasto dei tardi dipinti palermitani», dando «incisività ai personaggi, non più sognanti ma presenti e diretti», con una datazione «al primo quarto del secolo XVII, proprio per l‘adesione alla politica culturale di Casa Professa». La seconda opera è la Santissima Trinità e Santi in Santa Maria degli Angeli, sempre a Caccamo, secondo lo studioso appare «sommario ma incisivo non solo per i caratteri marcati ma per la complessità del messaggio sacrale».

Appare sicuramente curioso che sino ad ora non sia stata rintracciata alcuna opera di Giuseppe Spatafora II junior, proprio nella città che gli diede i natali. A tale lacuna riteniamo di aver posto qui rimedio, attribuendo a questo artista la tela raffigurante S. Giuseppe col Bambino Gesù che si conserva nella chiesa di S. Maria di Porto Salvo sotto il titolo di S. Anna, in Termini Imerese, sita in Via Felice Cavallotti, l’antica Strada della Piscarìa, fondata dai frati del terzo ordine francescano, con annesso convento. Il 27 Maggio II Indizione 1589, si ebbe la prima petizione per far insediare a Termini Imerese i detti frati in un magazzino diruto, ubicato presso la chiesa di S. Bartolomeo (cfr. Atti dei Magnifici Giurati, 1587–89, ms. della Biblioteca Comunale di Termini Imerese ai segni III 10 a 14).

Secondo lo storico locale seicentesco don Vincenzo Solìto (cfr. V. Solito, Termini Himerese citta [sic] della Sicilia posta in teatro, II, Bisagni, Messina 1671, pp. 107–108), la concessione fu definitivamente ratificata nel 1610, mentre nel 1623 sorse l’attuale chiesa e convento di S. Maria di Porto Salvo sotto il titolo di S. Anna: «Nel 1610. vennero nella Città di Termini ad habitare li Padri del terzo Ordine di S. Francesco, e vi fondorno [sic] il loro Convento, il che così successe: il Padre Maestro Fra Francesco Lobello delegato del P. Maestro Р. Cherubino Мontifredi Provinciale dell’Ordine, in virtù di lettere date nel Convento della Zisa di Palermo à 29 d’Aprile  1610. venne nella Città di Termini, e gli fù [sic] concessa dalli Giurati, e dalli Pescatori la Chiesa di S. Bartolomeo coll’assenso del Signor Arcivescovo di Palermo in virtù d’atto fatto à 18. di Decembre [sic] 9. indit[ione]. del medesimo anno, et in quello luogo vi habitorno [sic] questi Padri alcuni anni, insin’a tanto, che dорро [sic] nel 1623. si trasferirono da quello ad un’altro [sic] più convenevole, fondando ivi il Convento nuovo, e la Chiesa sotto il titolo di S. Maria di Porto Salvo, dove adesso si ritrovano. Si può legere [sic] della fondatione del detto Convento il P. Francesco Bordono [sic, Bordoni] in Cronologia Fratrum, et Sororum Tertij Ordinis Sancti Francisci cap. 25. de Provincia Sicula nu[mero]. 17.». Il P. Maestro Francesco Bordoni da Parma († 1671), nel suo Cronologium fratrum, et sororum tertij ordinis S. Francisci tam regularis quam secularis,  typis Marij Vignæ, Parmae 1658, pp. 432–433, precisa che i frati rinunziarono alla chiesa di S. Bartolomeo Apostolo, in favore del beneficiale Marco Antonio Tilesino (nel volume erroneamente si legge Silesino), avendo completato l’edificio della chiesa e convento di S. Maria di Porto Salvo, come attesta l’atto relativo, redatto il 12 Aprile VI Indizione 1623 presso notar Giovanni Matteo Comella di Termini, estratto poi da Tommaso Comella.

Ulteriori fonti d’archivio permettono di completare le informazioni riferite dal Solìto e dal Bordoni. Il 18 Dicembre XII Indizione 1613, i rettori della congregazione dei marinai e pescatori, con sede in S. Bartolomeo, Andrea La Rosa, Antonio Comella e Vincenzo Sansone, ottennero di poter continuare a svolgere le loro riunioni in detto luogo di culto, nonostante fosse stato concesso dai Giurati (amministratori civici) ai francescani del terzo ordine. Inoltre, nel caso che i detti frati, per edificare il loro convento, avessero preso la decisione di demolire il muro di tale edificio di culto dove era dipinta, probabilmente a fresco, l’immagine del SS. Crocifisso, fu concesso ai componenti della detta congregazione di salvare e far trasportare la detta immagine (cfr. Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, fondo notai defunti, notar Giovanni Matteo Comella di Termini Imerese, vol, 1495, bastardello, 1608–13, s. n.). Il 5 Aprile V Indizione 1622, per rogito del detto notaio termitano, i francescani del terzo ordine,  per lascito testamentario di Mastro Domenico Di Amaturi, ricevettero dei magazzini in eredità sui quali gravava il censo di onze 5 dovuti alla cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini Imerese, ubicati nella Strada della Piscarìa, quasi di rimpetto il Piano degli Xilbi, l’attuale Piazza S. Anna (cfr. Libro d’Assento della Cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini, ms. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, ai segni B α 2, f. 51). In seguito a tale lascito, i francescani decisero poi di demolire i detti magazzini per edificarvi il loro convento, con annessa chiesa di S. Maria di Porto Salvo sotto il titolo di S. Anna.

Nel 1776, Jean Hoüel (Rouen, Normandia, 28 Giugno 1735 – Parigi, 14 Novembre 1813), viaggiatore, pittore, architetto e naturalista francese, nel suo soggiorno a Termini Imerese fu ospite nel piccolo convento dei frati del terzo ordine francescano, questi ultimi ormai ridottisi a tre componenti compreso il priore (cfr. P. Bova, A. Contino, La Splendidissima nel Grand Tour. 1776: Jean Hoüel a Termini Imerese, “Esperonews”, 5 Maggio 2021, on-line in questa testata giornalistica).

In tale edificio di culto, negli anni 20’ del XX secolo il sac. Rocco Cusimano rammentava sommariamente l’opera: «un quadro sopra tela con S. Giuseppe ed il Bambino» (cfr. R. Cusimano, Brevi cenni di storia termitana, Tipografia pontificia, Palermo 1926, p. 85). A parte questa eccezione, la tela appare ignorata tanto dalla storiografia locale, quanto dalla letteratura artistica, sino al 2001, allorché Antonio Contino e Salvatore Mantia la riferirono “alla cerchia del La Barbera, forse ad un suo discepolo (Silvestre Di Blasi?)” (cfr. A. Contino, S. Mantia, Architetti e Pittori… cit., p. 180).

Tre anni dopo, la studiosa Anna Virzì ha riferito la tela ad un ignoto artista del secolo XVII, pur ammettendo che “l’ambito del La Barbera può anche essere accettato, ma come generico carattere di una pittura che ne conosceva gli esiti e vi si accostava per suggestione, più che per specifico ambito di scuola” (cfr. A. Virzì, Pittura del XVII secolo a Termini Imerese, GASM, Termini Imerese 2004, scheda n. 46,  pp. 193–194).

Il tema effigiato nella tela, S. Giuseppe col Bambino Gesù, e la sua collocazione in questa chiesa francescana fa trasparire l’origine del contesto iconografico in cui nacque l’opera commissionata all’autore che, con il suo estro, interpretò e riprodusse sulla tela il messaggio didattico–devozionale del Verbo, incarnato attraverso la Maternità divina di Maria, che crebbe grazie alla bonaria e laboriosa guida paterna di S. Giuseppe, mettendo in risalto la prefigurazione del sacrificio di Cristo volto alla redenzione dell’Umanità. Del resto, i teologi francescani, ebbero una particolare attenzione verso il culto giuseppino, come ad es. traspare dagli scritti di S. Bonaventura da Bagnoregio (Bagnoregio, 1217/1221 – Lione, 15 Luglio 1274) che, tra l’altro, ebbe a dedicare al nostro anche un apposito sermone (cfr. J. de Calasanz Vives y Tutó, Summa Josephina ex patribus, doctoribus, asceticis et poetis qui de eximia dignitate S. Ioseph scripserunt, Ex Typographia Pontificia, Roma 1907, in particolare, XXIV, Sermo S. Bonaventurae Episcopi. Varia de S. Ioseph, pp. 430–432). Inoltre, il Beato Giovanni Duns Scoto (Duns, Edimburgo 1266 – Colonia, 8 Novembre 1308), fu autore del trattato teologico De matrimonio inter B.V. Mariam et sanctus Joseph. Bernardino da Siena, al secolo Bernardino degli Albizzeschi (Massa Marittima, 8 Settembre 1380 – L’Aquila, 20 Maggio 1444) compose un apposito sermone, il Sermo de Sancto Joseph Sponso B. Virginis (cfr. E. Reghenzi, San Giuseppe: La vita nello spirito dello sposo di Maria, Gilgamesh Edizioni, 2021, 448 pp.). Nel 1479, papa Sisto IV, il francescano Francesco della Rovere (Celle Ligure, 21 Luglio 1414 – Roma, 12 Agosto 1484), istituì la festa di S. Giuseppe, il 19 Marzo, da celebrarsi a Roma. Su richiesta dei Minori Conventuali, lo stesso pontefice approvò una messa dedicata al Santo con rito semplice, elevata poi da Innocenzo VIII (Cosimo de’ Migliorati, Sulmona, 1336 c. – Roma, 6 Novembre 1406) a rito doppio. Il giorno 8 Maggio 1621, Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, Bologna, 9 Gennaio 1554 – Roma, 8 Luglio 1623) decretò l’estensione di tale festa a tutta la chiesa universale, ribadita da Urbano VIII (Maffeo Barberini, Firenze, 5 Aprile 1568 – Roma, 29 Luglio 1644) nel 1642 (cfr. T. Stramare, M. L. Casanova, Giuseppe sposo di Maria, in “BS”, VI, 1965, coll. 1251–1292).

L’iconografia della tela si ricollega chiaramente alla diffusione nell’orbe cattolico della grande devozione ed adorazione nei confronti di Gesù Bambino, che ebbe il suo apogeo proprio nel Seicento, con l’istituzionalizzazione del culto, soprattutto come “Piccolo Re di Gloria”, aspetto che è stato particolarmente sottolineato dalla studiosa di antropologia storica, Sandra La Rocca. Già alla fine del medioevo si ebbe una notevole diffusione della devozione privata di Gesù Bambino, come attestano le numerose opere in legno, stucco e cera, realizzate in questo periodo (cfr. S. La Rocca, L’enfant Jésus: Histoire et anthropologie d’une dévotion dans l’occident chrétien, Presses Universitaires du Mirail, Toulouse 2007, 328 pp., in particolare, pp. 47–48).

Nella prima metà del Seicento, appare emblematica l’iconografia di S. Giuseppe e di Gesù Bambino, realizzata da Jacques Callot (Nancy, 1592 – ivi, 1635) tra il 1632 ed il 1635. S. Giuseppe è effigiato mentre regge con la destra il bastone fiorito e con la sinistra tiene per mano il Pargol Divino che, con la sinistra, regge il globo (cfr. J. Callot, S. Joseph, in Les images de tous les saints et saintes de l’année suivant le martyrologe Romain, Henriet, Paris 1636, 19 Mars). Per ulteriori approfondimenti sulla tradizione iconografica relativa a Gesù Bambino, rimandiamo al saggio dello storico dell’arte Carlo Bertelli [cfr. C. Bertelli, Il Piccolo Gesù. Vicende della tradizione iconografica del Bambin Gesù in R. Ramos Sosa (coord.), El Niño Jesús y la infancia en las artes plasticas, siglos XV al XVII, Actas del Coloquio Internacional, IV centenario del Niño Jesús del Sagrario, 1606-2006, Pontificia Archicofradía del Santísimo Sacramento del Sagrario de la Catedral de Sevilla, Sevilla, 22–24 de Noviembre de 2006, Hermandad Sacramental del Sagrario, Sevilla 2010, pp. 23–39].

L’autore del dipinto termitano, prendendo le mosse dall’iconografia tradizionale, mostra, in un contesto en plain air, l’ammirabile Padre Putativo che conduce per mano il piccolo Gesù, Figlio Unigenito di Dio. Il pater familias S. Giuseppe, casto sposo di Maria SS. (Mt. 1,16–19; Lc. 1,27), è effigiato con indosso un camice (intĕrŭla) con maniche lunghe fino ai polsi, una tunica lunga e mantello. Il Santo mostra una fluente barba e capelli canuti, il capo affetto da calvizie, ornato da una sottile aureola. Egli con la sinistra regge un bastone, tipico attributo iconografico, mentre con la destra tiene premurosamente la manina sinistra di Gesù Bambino, a sottolineare il suo ruolo di amorevole guida e protettore. La crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc. 2,52) avvenne in seno alla Sacra Famiglia sotto la tutela di S. Giuseppe che, per l’appunto, nel rito gallicano vede a lui dedicato l’inno «Salve, pater Salvatoris» (sec. XVII) a sottolineare il suo specifico ministero (Mt. 1,21), unico e grandioso, in seno al grande mistero della Redenzione.

Il Divin Figliolo, dal capo irradiante una vivida luminosità, indossa un camice (intĕrŭla) con maniche lunghe fino ai polsi, una tunica chiusa in vita da una cintura ed una mantellina scura con maniche, annodata sul davanti, mentre ai piedi calza sandali legati alle caviglie. Gesù con la destra levata tiene per le zampe un cardellino, prefigurazione della sua passione. L’ampio movimento in avanti della gamba sinistra del Bambino materializza l’incedere della coppia.

Alle spalle della scena principale è dipinto un paesaggio roccioso. L’alta rupe, alla base presenta una scalinata, ad andamento leggermente tortuoso, suddivisa in varie rampe, prefigurazione dell’incarnazione di Gesù Cristo, Mediatore tra Dio ed i credenti, come scala innalzata tra il Cielo e la Terra. La scalinata si inerpica sino a raggiungere il prospetto di un’imponente struttura monumentale, in parte rovinata, che si apre con un grande portale archivoltato, sormontato da un oculo circolare e duplice cornicione, coronato dai ruderi di una volta a pianta curvilinea. Il portale richiama le parole di Gesù su sé stesso nel Vangelo di S. Giovanni (10, 9): «Io sono la porta: chi entrerà attraverso me sarà salvo…». La struttura monumentale funge anche da basamento di un edificio cilindrico torreggiante. Quest’ultimo, a nostro avviso, appare ispirato dalle incisioni di Paul Bril, in particolare dai torrioni ritratti in quella raffigurante un Paesaggio fluviale con i viaggiatori (cfr. P. Bril, River Landscape with Travelers, acquaforte su carta vergata, 1590, National Gallery of Art di Washington DC https://www.nga.gov/collection/art-object-page.55840.html). Teologicamente, la struttura torreggiante richiama la Turris Davidica, che simboleggia la pienezza della regalità di Cristo, discendente di Davide. Quest’ultimo, re di Giuda e Israele, aveva ricevuto l’unzione, segno dell’elezione divina (cfr. I Reg. 16, 1–13), la promessa che la sua discendenza avrebbe regnato per sempre (cfr. II Reg. 7, 16) nonché che dalla sua stirpe sarebbe nato il Messia atteso dagli israeliti (Is. 11). Gli evangelisti S. Matteo e S. Luca, a parte le divergenze nel filo genealogico, concordano nell’evidenziare la discendenza di Gesù della stirpe di Davide (Mt. 1, 1–17; Lc. 1, 27; 2, 4; 3, 23–31). S. Luca, nell’episodio dell’Annunciazione, riferisce le parole dell’angelo Gabriele rivolto a Maria SS., con le quali le annuncia la nascita di Gesù che «sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc. 1, 32–33). La discendenza davidica di Gesù, che come Davide è l’unto del Signore, è il compimento delle profezie veterotestamentarie (cfr. L. Sabourin, Il Vangelo di Luca: introduzione e commento, Pontificio Istituto Biblico, Casale Monferrato, Piemme, Roma 1989, pp. 63–64; E. Schweizer, Il vangelo secondo Luca,  Paideia, Brescia 2000, p. 49). Nel Cantico dei cantici vi è altresì la prefigurazione della Vergine Maria: «Come la torre di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi» (4,4) e ciò ha dato origine all’attributo mariano di Turris Davidica.

In ultima quinta, appare un cielo crepuscolare, di chiara ascendenza nordica, sia pure mutuata dallo stile labarberiano, con il progressivo digradare del cielo scuro verso il chiarore dell’orizzonte.

Curiosamente, la studiosa Anna Virzì (cfr. A. Virzì, Pittura del XVII secolo a Termini Imerese, p. 194),  sostiene che «l’inserto paesaggistico raffigurante una rupe, sotto cui si erge una costruzione architettonica simile ad un castello, potrebbe essere una diretta citazione del paesaggio termitano, e per la precisione del monte un tempo denominato Euraco oggi S. Calogero, e del castello della stessa cittadina». Purtroppo per la studiosa, né la rupe, con le sue guglie rocciose, né le strutture monumentali, esibiscono alcuna allusione, nemmeno remota, al Monte S. Calogero od al Castello di Termini Imerese, essendo del tutto dissonanti dal punto di vista morfologico.

Un rigoroso confronto stilistico tra la tela termitana e quelle palermitane e caccamesi, mette in evidenza marcate coincidenze espressive nella costruzione pittorica, legate ad un comune linguaggio incisivo che si propone nella sua immediatezza. Altrettanto coincidente appare l’orchestrazione luministica che si connota per le ombre rese in maniera corposa, al fine di ottenere con accortezza dei contrasti cromatici e chiaroscurali che esaltano l’essenzialità delle figure.

Il paesaggio, del resto, presenta marcate corrispondenze con le opere palermitane e caccamesi, come la predilezione per il gusto antiquario per le rovine architettoniche, nonché naturalistico, come appare dalle raffigurazioni di rocche alpestri e dalla vegetazione minutamente rappresentata che richiama la pittura nordica di genere. Similare appare anche il dispiegarsi delle nubi nel cielo fosco.

L’autore di questo dipinto, a nostro avviso, esibisce non solo una generica conoscenza ed assimilazione della cultura figurativa del La Barbera, ma appare fortemente conforme ad essa, pertanto possiamo ragionevolmente ritenere che si tratti di un allievo, strettamente legato al pittore termitano, che ha ben assimilato la lezione del maestro, sia pure trasfigurandola secondo la propria sensibilità artistica.

Concludendo, riteniamo che il dipinto raffigurante S. Giuseppe col Bambino Gesù (del quale sarebbe certamente auspicabile un restauro conservativo), che abbiamo qui illustrato, debba aggiungersi all’esiguo catalogo di Giuseppe Spatafora II junior. La tela rappresenta un primo tassello volto alla riscoperta della fase iniziale “termitana”, del nostro artista, costituendo un contributo alla ricostruzione del percorso artistico del pittore dalla cifra stilistica, pur non eccelsa, ma con una sua indubbia dignità.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo palesare la nostra più viva e sincera gratitudine nei confronti dei direttori e del personale dell’Archivio di Stato di Palermo, Sezione di Termini Imerese e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità. Vogliamo esprimere la nostra riconoscenza alle suore cappuccine dell’Immacolata di Lourdes per averci permesso di osservare de visu l’opera studiata e di fotografarla. Un ringraziamento particolare va a don Antonio Todaro per averci permesso, con squisita gentilezza, di effettuare fondamentali ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.

Si presenta il libro “Le ville della Piana dei Colli a Palermo” di Fabrizio Giuffrè

0

Si presenta sabato 28 ottobre 2023 alle ore 17,00, presso la sala delle carrozze di Villa Niscemi, in piazza dei Quartieri 2, a Palermo, il libro di Fabrizio Giuffrè “Le ville della Piana dei Colli a Palermo: storia, conservazione e valorizzazione (Edizioni Salvare Palermo).

Interverranno alla presentazione il prof. Giuseppe Barbera, esperto di colture arboree e paesaggio, e il prof. Sergio Troisi, storico dell’arte. Sarà presente l’autore.

Nel panorama dell’architettura civile siciliana, un ruolo di rilievo assume il complesso di ville edificate dalla nobiltà terriera, nei dintorni di Palermo, tra ‘600 e ‘700, da Bagheria alla Piana dei Colli, poco fuori dal centro cittadino. Ad oggi, molte di queste ville si trovano in stato di abbandono, segno di un mancato riconoscimento, ignorate dalla collettività e, data l’esiguità dei vincoli, dagli organi preposti alla tutela, mentre altre stanno rinascendo grazie ad impegnative opere di restauro. La pubblicazione di Giuffrè, partendo  da un nuovo  censimento delle ville della Piana  dei  Colli che permette di inquadrare, sia quantitativamente sia qualitativamente, la consistenza di questo cospicuo patrimonio, affronta il tema della villa palermitana, in relazione alle caratteristiche tipologico-architettoniche e decorative, restituendo altresì, in virtù di nuove ricerche di archivio, i nomi dei progettisti. Il censimento, riportato in una apposita tavola allegata, dà contezza anche della residua viabilità storica, un tempo a servizio della campagna, ed oggi fagocitata dall’espansione della città. Sulla base della conoscenza, il volume illustra poi le dinamiche legate allo stato di conservazione ed alle destinazioni d’uso attuali delle ville, tra progetti e finanziamenti in atto, attività associazionistica, esperimenti di rifunzionalizzazione compatibili ed utilizzi in chiave commerciale.

L’ultimo capitolo è dedicato ad un caso studio di rilievo: villa Raffo, oggi inserita nel quartiere periferico dello ZEN, realizzato sugli ex terreni agricoli attorno l’edificio. La morfologia della villa, la cui storia il volume vuole per la prima volta documentare attraverso sistematiche ricerche d’archivio, è l’esito di più fasi costruttive, di cui l’attuale cantiere di restauro sta fornendo preziose informazioni. Per la villa ed il suo immediato intorno si propone quindi, in linea con la disciplina del restauro, una possibile strategia di rifunzionalizzazione e valorizzazione – non trascurando le tensioni sociali che caratterizzano il quartiere in cui l’edificio insiste – volta a ricollegare il complesso alla città contemporanea.

Termini Imerese. Reddito di cittadinanza, assolti mafioso e due donne pur avendo dichiarato il “falso”. Per il giudice non c’è stato dolo

0

Alla fine è passata la linea difensiva degli avvocati Giovanni Mannino, Jimmy D’Azzò e Onofrio Barbaria. I tre imputati Gerlando Spinnaccio, condannato per mafia, e le mogli del boss di Bagheria, Gioacchino Mineo e di Francesco Pretesti, pure lui mafioso bagherese, Angela D’Amato e Francesca Di Salvo, sono stati assolti pur avendo dichiarato il “falso”.  Per il giudice dell’udienza preliminare di Termini Imerese Valeria Gioeli non c’è stato dolo, e ha quindi ha scagionato i tre imputati accusati di avere violato le regole per ottenere il reddito di cittadinanza. I tre hanno incassato sostegni economici per duemila, 12 mila e seicento e 16 mila euro.

Percepiva indebitamente il RDC e istigava alla corruzione, arrestato un uomo e sequestrate somme per 600mila euro

0

I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza con la quale il G.I.P. del Tribunale del capoluogo, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti di un soggetto e il sequestro preventivo di un CAF, nonché di disponibilità finanziarie per un valore complessivo di 620.402 euro, quale profitto dei delitti ipotizzati.

I reati contestati, allo stato, sono truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falso materiale e ideologico in atto pubblico e istigazione alla corruzione.
Le indagini condotte dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Palermo (Gruppo Tutela Spesa Pubblica), originate dalla denuncia di un dipendente del Comune di Palermo, avrebbero permesso di accertare numerose condotte illecite realizzate attraverso la predisposizione e l’utilizzo di documentazione ideologicamente e/o materialmente falsa (dichiarazioni di residenza, dichiarazioni di iscrizione anagrafica ai fini TARI, contratti di locazione) inviata telematicamente alle postazioni territoriali dell’anagrafe comunale deputate al servizio di cambio domicilio.

La necessità di ottenere l’approvazione di tali variazioni sarebbe stata funzionale alla fittizia creazione dei requisiti per la percezione della misura del reddito di cittadinanza che, come noto, erano legati al mancato superamento di specifiche soglie reddituali da parte del nucleo familiare, nonché all’assenza di soggetti condannati per gravi reati.

In particolare, il soggetto destinatario della misura cautelare, peraltro impiegato presso una società partecipata dalla Regione Siciliana, attraverso lo schermo giuridico di un CAF, avrebbe predisposto la documentazione falsa a beneficio di un’ampia platea di “clienti”, ricevendo per ogni pratica un compenso economico pattuito, cercando, inoltre, di corrompere dipendenti comunali con regali e somme di denaro per tentare di velocizzare l’iter amministrativo per il cambio di domicilio.

Nell’ambito delle indagini che vedono complessivamente 93 indagati, sarebbero stati individuati 53 soggetti indebitamente beneficiari del Reddito di Cittadinanza, che avrebbero percepito somme non dovute per un ammontare complessivo di 620.402 euro.

Cerda, domani ciclo di incontri per presentare i nuovi bandi dello Sviluppo Rurale

0

Secondo appuntamento del ciclo di incontri dell’assessore all’Agricoltura Luca Sammartino per illustrare i nuovi bandi della Regione Siciliana per lo sviluppo rurale. Domani (25 ottobre) alle 18 a Cerda, nel Palermitano, all’interno dell’aula consiliare del plesso comunale di via Roma 133, saranno illustrate alle associazioni di categoria, insieme a dirigenti dell’assessorato ed esperti, le nuove iniziative del governo Schifani nel settore. All’evento, insieme all’assessore Sammartino, saranno presenti il dirigente generale del dipartimento Sviluppo rurale, Fulvio Bellomo, il dirigente generale del dipartimento Agricoltura, Dario Cartabellotta, il dirigente dell’Ispettorato dell’agricoltura di Palermo, Fabrizio Viola, e il presidente provinciale dell’Ordine dei dottori agronomi e forestali, Salvatore Fiore.

L’iniziativa rientra nel ciclo di incontri “L’assessore informa: i nuovi bandi per lo sviluppo rurale”, le cui prossime tappe in programma sono: Agrigento (8 novembre); Siracusa (9 novembre); Trapani (22 novembre); Messina (23 novembre).

Concorso Corpo forestale, via alle prove scritte, Schifani e Pagana: «Si volta pagina, in bocca al lupo ai candidati»

0
«In bocca al lupo ai tantissimi giovani che oggi aspirano a diventare agenti del Corpo forestale della Regione Siciliana». È l’augurio del governatore Renato Schifani ai circa 20 mila candidati chiamati da questa mattina a sostenere le prove scritte del concorso pubblico per l’assunzione di 46 unità a tempo pieno e indeterminato, categoria B. «Dopo tanti anni – prosegue Schifani -, questa selezione è il primo passo per aumentare il numero di uomini e donne in forze al Corpo, oggi decisamente sottodimensionato rispetto alla pianta organica e alle esigenze legate alle molteplici attività da svolgere sul territorio per la salvaguardia dell’ambiente, dei cittadini e delle imprese. Andremo avanti in questa direzione anche grazie alla revisione dell’accordo con lo Stato che ci consentirà di procedere a ulteriori nuove assunzioni».
«Oggi la Sicilia volta pagina – afferma l’assessore al Territorio e all’ambiente, Elena Pagana – avviando quel processo di rigenerazione del Corpo forestale che una visione miope di qualche anno fa aveva drasticamente interrotto, innescando conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Il mio pensiero – prosegue l’assessore – va alle ragazze e ai ragazzi, non solo siciliani, che hanno raggiunto Catania e Siracusa per sottoporsi alle prove. A tutti in bocca al lupo anche da parte mia, nella consapevolezza di averli al più presto accanto a noi per fronteggiare le tante emergenze che vedono il Corpo Forestale in prima linea».
Sono circa 20 mila gli aspiranti agenti forestali ammessi alle selezioni (1348 gli esclusi). Le prove scritte, che andranno avanti sino a venerdì 27 ottobre, prevedono due sessioni giornaliere e consistono nella risoluzione di un test di 60 quesiti a risposta multipla.
I residenti in altre regioni italiane o in Paesi esteri, nelle province di Agrigento, Catania e Messina, sostengono la prova al centro Fiere Bicocca di Catania (via Passo del Fico), mentre chi risiede nelle province di Palermo, Trapani, Siracusa, Enna, Caltanissetta e Ragusa è chiamato a sostenere la selezione al Centro Fiera del Sud di Siracusa (viale Epipoli, 250).

“Marietta”, opera di Vincenzo Muscarella, è il secondo romanzo della trilogia “Tri Matri”

0

“Marietta”, opera di Vincenzo Muscarella, è il secondo della trilogia di romanzi “Tri Matri” dedicati a Maruzza, Marietta e Antunina, madri delle tre ragazze di Cerda (Giuseppina Del Castillo, Santina Salemi e Rosina Cirrito) arse vive nell’incendio delle Triangle Shirtwaist Factory avvenuto a New York il 25 marzo del 1911 in cui perirono 146 persone di cui 126 donne.

Attraverso le vicissitudini delle tre madri, si racconta il contesto sociale, economico e politico della nostra terra sul finire del secolo XIX che spinse queste tre donne coraggiose e orgogliose ad emigrare, con i figli al seguito, verso l’America.

Se in “Maruzza” – il primo – si evidenzia lo scontro tra due famiglie di opposti ceti sociali in “Marietta” sono il suo coraggio e la sua determinatezza di giovane donna ribelle contro l’ingiustizia, la povertà̀ e la sopraffazione a intramezzarsi, quasi anticipandoli, con i tragici accadimenti storici e politici della Sicilia nell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo in cui nasce l’epico movimento dei “Fasci dei Lavoratori” spento dalla crudele repressione del governo Crispi.

Il romanzo, del tutto frutto della fantasia, è ambientato a Cerda, piccolo paese in provincia di Palermo, negli anni a cavallo del 1900 e racconta di Marietta, appartenente ad una famiglia della piccola borghesia, che insieme a Giacuminu, giovane fabbro che sposa contro il volere del padre, e il cognato Vitu si mettono alla testa dei contadini e degli artigiani , fondano “La Fratellanza”, una Società̀ di Mutuo Soccorso, e con il sostegno dei futuri dirigenti dei Fasci dei Lavoratori, intraprendono una battaglia contro i latifondisti , i galantuomini e i loro campieri.

Il romanzo vuole essere una storia di gente umile, “storia vera”, quella che i libri di scuola non hanno mai raccontato, quella che la cultura egemone del tempo ha colpevolmente eluso, quella che i grandi letterati hanno evitato di raccontare perché́ troppo distanti da quei bisogni e da quelle tragedie o perché́ essi stessi facenti parte di quella borghesia miope e arretrata che preferì̀ voltarsi dall’altra parte.

“Marietta” vuole essere un tenue tentativo di far emergere un piccolo pezzo di quella “memoria” per troppo tempo “negata”.

L’autore, Vincenzo Muscarella, nato nel 1947 a Cerda, padre e nonno, vive con la famiglia a Palermo. Ha compiuto gli studi scientifici presso l’ I.T.I. VE III di Palermo. Ha sempre amato leggere e da un po’ di tempo ha scoperto che scrivere piace e lo diverte. Con Edizioni Arianna di Geraci Siculo ha pubblicato nel 2017 il primo romanzo “Damiana” e nel 2020 “Maruzza”.