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Termini Imerese, “L’Immacolata Concezione” del Museo civico: una inedita opera di Giuseppe Spatafora II junior

Abbiamo già tratteggiato in precedenza la figura del pittore manierista termitano Giuseppe Spatafora II junior (n. 26 Aprile 1603), ultimo rampollo noto di una fiorente casata artistica siciliana, essendo figlio di Antonino Spatafora (Palermo, c. 1552/53 – Termini Imerese, 22 Giugno 1613), architetto civile (capomastro delle fabbriche della cittadina imerese almeno dal 1593-94), militare ed idraulico, pittore, cartografo, scenografo, nonché nipote di Giuseppe Spatafora senior, architetto (capomastro delle fabbriche della città di Palermo dal 1564–65), pittore, scultore e plasticatore. Il corpus delle opere di Giuseppe Spatafora II junior, comincia oggi a delinearsi. Due opere palermitane (Strage dei Santi Innocenti e La Crocifissione dei tre Beati Gesuiti del Giappone, Paolo Miki, Giovanni Soan di Gotó, Giacomo Kisai, per la cappella dei Santi Martiri a Casa Professa, 1654–55), erano note, essendo la loro paternità attestata su base documentaria. Più recentemente al nucleo costituito dalle due opere palermitane, si sono affiancate due dipinti caccamesi attribuiti al nostro artista dallo storico dell’arte Antonio Cuccia (la Madonna in gloria tra  S. Stefano Protomartire e S. Lorenzo Martire, della chiesa della Badia e la Santissima Trinità e Santi in Santa Maria degli Angeli). Infine, il primo dipinto scoperto nella sua città natale è stato rintracciato ed attribuiti dagli scriventi (S. Giuseppe col Bambino Gesù in S. Maria di Porto Salvo sotto il titolo di S. Anna).

Il nostro Giuseppe dovette compiere il suo apprendistato presso i due cognati architetti e pittori: Vincenzo La Barbera (Termini Imerese, 1576/77 c. – Palermo 30 Marzo 1642), marito di Elisabetta Spatafora ed il caccamese Nicasio Azzarello (doc. 1613–1623), sposo di Grazia Spatafora. Il 28 Agosto 1638, Giuseppe Spatafora di Termini et habitatore di Palermo, della parrocchia di S. Giovanni li Tartari, sposò nella chiesa parrocchiale palermitana di S. Antonio di Padova, Elisabetta Federico, mentre la benedizione sponsale fu loro impartita in S. Nicolò all’Albergheria (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera Architetto e Pittore Termitano. Presentazione di M. C. Di Natale. GASM, Termini Imerese 1998, 150 pp., in particolare, p. 187).

L’artista prediligeva nelle sue opere soggetti a marcata valenza catechetica, caratterizzate da silenti orchestrazioni sceniche dominate da ruderi di strutture architettoniche,  oppure scorci urbani quasi metafisici spesso in fuga prospettica che inquadrano umbratili brani paesaggistici con frondose quinte arboree che si aprono esibendo fondali collinari e rocche alpestri. Si tratta, di richiami derivati da modelli desunti dal paesaggismo nordico, allora molto in voga e, in particolare, dai dipinti e dalle stampe dell’artista di origine fiamminga Paul Bril (1554 – 1626) o del suo entourage. L’ambientazione scenica dei dipinti dell’ultimo rampollo di casa Spatafora, appare avvolta in una sorta di “sospensione temporale” che esalta il senso di decadenza, accentuato dai ruderi architettonici e, talvolta, da cupi contesti meteorologici. Particolare attenzione mostra il nostro artista nel deciso contrasto tra le ombre rese corpose e le luci sapientemente marcate, che si intensifica nelle più mature opere palermitane, esaltando la tridimensionalità delle figure.

A questo scarno corpus di opere di Giuseppe Spatafora II junior riteniamo debba  aggiungersi un’altra tela, dipinta ad olio che, a nostro giudizio esibisce le medesime coordinate culturali e che si conserva proprio nella città natale. Il dipinto in questione, che qui, per la prima volta, proponiamo di attribuire al pennello del minore degli Spatafora, tratta un soggetto iconografico ampiamente diffuso nella pittura del Seicento, cioè il tema sacro della Immacolata Concezione di Maria SS.  L’opera è attualmente esposta presso il museo civico di Termini Imerese, provenendo dall’importante lascito del pittore, storico dell’arte e direttore di detta struttura museale, il termitano cav. Ignazio De Michele e De Michele (1810-1888), che magnanimamente volle che fosse acquisita la sua variegata collezione privata.

Allo stato attuale delle ricerche, la fonte più antica che menziona, sia pure en passant, questa tela è Giuseppe Patiri, il quale nel citare le opere conservate nel museo civico termitano, rammenta senza descriverlo «un dipinto dello Zoppo di Ganci» (cfr. G. Patiri, Termini Imerese Antica e Moderna, Stab. Tip. a vapore Fratelli Marsala, Palermo 1899, 120 pp., in particolare, p. 75). Del resto, la medesima attribuzione della nostra tela appare anche negli inventari della struttura museale, essendo infatti riferita proprio a Giuseppe Salerno, uno dei due pittori manieristi noti con lo pseudonimo di “Zoppo di Gangi”. L’attribuzione deriva precipuamente da certe reminiscenze che riecheggiano le tele del Salerno, soprattutto del primo quindicennio del Seicento; però,  a parte le affinità tematiche e stilistiche, appare manifesto che il dipinto termitano è lontanissimo dall’espressività della produzione autografa del gangitano e ciò ci induce a rigettare decisamente la vecchia ipotesi attributiva ottocentesca ritenendola del tutto inconsistente. Del resto, l’attribuzione al Salerno, era legata alle conoscenze del tempo ed alla notorietà dell’artista madonita e ciò aveva orientato la critica ottocentesca verso il gangitano, tanto più che il nostro Giuseppe Spatafora II junior era praticamente misconosciuto, mentre oggi nuove prospettive sono intervenute, orientandoci proprio verso l’ultimo rampollo della casata artistica degli Spatafora.

In una scarna recente scheda, relativa a questa opera, redatta dalla studiosa Anna Virzì, la tela è riferita ad un ignoto artista della prima metà del secolo XVII, senza ulteriori specificazioni d’ambito, menzionando sommariamente come possibile fonte d’ispirazione una delle «tante incisioni in circolazione». In aggiunta, la Virzì ritiene che le «due schiere angeliche che circondano la Vergine», sarebbero «vicine per certi aspetti, ma con le dovute differenze stilistiche e formali» a quelle dell’omonimo soggetto del 1627 di Pietro Novelli per la cappella di giuspatronato della casata dei Bruno (poi pervenuta ai Solìto, committenti dell’opera) in S. Maria di Gesù-La Gancia, attualmente esposto nello stesso museo civico (cfr. A. Virzì, Pittura del XVII secolo a Termini Imerese, GASM, Termini Imerese 2004, scheda n. 26,  pp. 118–119).

Le dimensioni relativamente contenute ed il tema effigiato nella tela, Immacolata Concezione di Maria SS., farebbero propendere per una committenza devozionale in ambito privato, cosa alquanto plausibile vista la provenienza dalla quadreria di casa De Michele. Allo stato attuale delle ricerche, non è noto né da chi né quando l’opera fu commissionata all’autore che, con il suo estro, interpretò e riprodusse sulla tela il messaggio catechetico–devozionale della concezione virginale di Maria, fondata sulla S. Scrittura (Genesi, 3, 15; Luca, 1, 28) ed ampiamente confermata dalla tradizione cristiana sia latina, sia greca (cfr. Eadmerus, Tractatus de conceptione sanctae Mariae, Herder, Friburgi Brisgoviae 1904, XL+104 pp.; A. Ballerini, Sylloge monumentorum ad mysterium Conceptionis Immaculatae Virginis Deiparae illustrandum, 2 voll., apud Jacobum Lecoffre et socios, Romae 1855-1857, I, XCII+III+573 pp.; II, 830 pp.; A. Schaefer, Die Gottesmutter in der Heiligen Schrift. Biblisch-theologische Vorträge, Münster 1887, X+260 pp.; G. Arendt, De protoevangelii habitudine ad immaculatam deiparae conceptionem analysis theologica, Ex Off. Typ. Artificum A S. Joseph, Romae 1904, XII+230 pp.; Th.-M.-J. Gousset Archevêque de Reims, La croyance générale et constante de l’Église touchant l’Immaculée Conception de la bienheureuse Vierge Marie prouvée principalement par les constitutions et les actes des papes, par les lettres et les actes des évêques, par l’enseignement des pères et des docteurs de tous les temps, Jacques Lecoffre et C.ie, Paris 1855, XVI+820 pp.; Th. Livius, The blessed Virgin in the Fathers of the first six centuries, Burns and Oates, London 1893, XXVIII+482 pp.; E. Neubert, Marie dans l’Église anténicéenne, Gabalda, Paris 1908, 280 pp.; M. Jugie, L’Immaculée-Conception dans l’Écriture Sainte et dans la tradition orientale, Bibliotheca Immaculatae Conceptionis, 3, Office du livre catholique, Rome 1952, 490 pp.). La festa liturgica della Conceptio sanctae Mariae diffusa in Oriente, fu introdotta nell’Italia meridionale attorno al IX secolo. A Napoli un calendario liturgico  marmoreo pone la festività il 9 dicembre (cfr. S. De Fiores, Il dogma dell’Immacolata Concezione. Approccio storico-teologico dal Quattrocento al Settecento, in G. Morello, V. Francia, R. Fusco, Una donna vestita di sole…cit., p. 22).

Del resto, questo soggetto ebbe una notevole diffusione nel campo delle arti visive, soprattutto nei domini spagnoli, in relazione alla devozione verso l’Immacolata Concezione, sin dalla seconda metà del Quattrocento. Tale devozione si estese anche attraverso diverse iniziative da parte della corona, di concerto con il papato, dapprima di riconoscimento del culto e, successivamente, volte alla promulgazione del dogma. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo il lettore alla seguente bibliografia essenziale: S. Stratton, La Inmaculada Conceptión en el arte espanol,  “Cuadernos de arte e iconografía”,  Tomo I- 2, Fundación Universitaria Española, Madrid 1988, pp. 3-128; G. Morello, V. Francia, R. Fusco, Una donna vestita di sole: l’Immacolata Concezione nelle opere dei grandi maestri, Catalogo della mostra, Roma, 12 Febbraio-13 Marzo 2005, F. Motta, Roma 2005, 312 pp.; A. Anselmi, a cura di, L’immacolata nei rapporti tra l’Italia e la Spagna, De Luca, Milano 2008, 544 pp.

Nel Seicento, lo sviluppo del culto e dell’iconografia raggiunse l’apice della diffusione nei domini ispanici, tanto da indurre i curatori di una dettagliata indagine, a definirlo «el siglo de la Inmaculada Conceptión» (cfr. M. Martinez Alcalde, S. Yago Soriano, J. J. Ruiz Ibañez, cur., El Siglo de la Inmaculada,  Vestigios de un mismo mundo, 12, Universidad de Murcia, Murcia 2018, 570 pp.). Del resto, nel 1616 per perorare l’approvazione del culto, grazie anche all’attività diplomatica spagnola presso la Santa Sede, nacque la Real Junta de la Inmaculada Conceptión [cfr. J. Meseguer Fernandez, La Real Junta de la Inmaculada Conceptión (1616-1817/20), “Archivo Iberoamericano”, XV, 1955, pp. 621-686]. L’anno seguente, la Monarchia Cattolica introdusse il votum sanguinis, il giuramento pubblico di fedeltà all’Immacolata Concezione per tutti i ministri del sovrano che, successivamente, fu esteso in tutti i domini asburgici, dalle università degli studi alle municipalità, dalle confraternite agli ordini cavallereschi (cfr. M. Meluzzi, G. Sabatini, F. Tudini, a cura di, La Vergine contesa: Roma, l’Immacolata Concezione e l’universalismo della Monarchia Cattolica (secc. XVII-XIX), Studi e ricerche – Università Roma Tre, Dipartimento di Studi umanistici, Area di studi storici, geografici, antropologici, 38, Viella, Roma 2022, 466 pp.). Papa Alessandro VII (al secolo il senese Fabio Chigi Marsili, 13 Febbraio 1599 – Roma, 22 Maggio 1667) con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum del giorno 8 Dicembre 1661, rinnovò i decreti favorevoli alla devozione verso l’Immacolata Concezione, già concessi da Sisto IV, Paolo V e Gregorio XV, essendo pienamente conscio della vetustà e della diffusione nella Chiesa cattolica.

Per completezza di informazione, ricordiamo che, finalmente, a coronamento di un plurisecolare percorso non privo di alterne vicende, la definizione dogmatica fu pronunziata da Pio IX nella bolla Ineffabilis Deus del giorno 8 Dicembre 1854, con la quale si dichiarava «dottrina cattolica rivelata da Dio» il privilegio, tutto proprio della Vergine Maria, «di essere stata, fin dal primo istante del suo concepimento, in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, preservata immune da ogni macchia del peccato originale». Per ulteriori approfondimenti rimandiamo il lettore alla seguente bibliografia, in parte disponibile on-line: V. Sardi, La solenne definizione del dogma dell’immacolato concepimento di Maria SS. Atti e documenti pubblicati nel cinquantesimo anniversario della stessa definizione da mons. Vincenzo Sardi, 2 voll., Tip. Vaticana, Roma 1904-5, I, X+964 pp., II, 724 pp.; P. Tacchi Venturi, Gli atti e documenti della definizione dell’Immacolata, “Civiltà Cattolica”, IV, 1905, pp. 52-63; G. Perrone, De Immaculato B.V. Mariae Conceptu an dogmatico decreto definiri possit disquisitio theologica Ioannis Perrone, Ioannes Marini et Bernardus Morini, Romae MDCCCXLVI, VIII+278 pp.; J-B. Malou, L’Immaculée Conception de la Bienheureuse Vierge Marie  considérée comme dogme de foi, H. Goemaere, Bruxelles 1857, XXVIII+436 pp.; W. B. Ullathorne, The immaculate conception of the Mother of God, 2ª ed., Art and Book Co., Westminster MDCCCCIV, IX+ 223 pp.; A. M. Lepicier, Tractatus de B. V. Maria matre Dei, II, P. Lethielleux, Parisiis 1901, XXXII+484 pp.; X.-M. Le Bachelet, L’immaculée conception, Science et Religion, Blod et C.ie, Paris 1909, 140 pp.; S. M. Cecchin, L’Immacolata Concezione. Breve storia del dogma, Pontificia Accademia Mariana Internazionale, Roma, Città del Vaticano, 2003, IX+248 pp.). Da notare che ventiquattro anni prima della proclamazione del dogma, il 27 Novembre 1830, la mistica Zoe Labouré (Fain-lès-Moutiers, 2 Maggio 1806 – Parigi, 31 Dicembre 1876), allora novizia nel monastero della Compagnia delle Figlie della Carità sito in Rue du Bac, poi divenuta suora con il nome di Catherine Labouré, canonizzata nel 1947 da papa Pio XII, aveva avuto una visione della SS. Vergine Maria nella quale tra l’altro era apparsa la preghiera «O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che abbiamo ricorso a Voi» (Ȏ Marie, conçue san péché, priez pour nous qui avons recours à vous), ricevendo l’incarico di far coniare una apposita medaglia come poi avvenne due anni dopo, avendo ottenuta l’autorizzazione dall’arcivescovo di Parigi, Monsignor Hyacinthe-Louis de Quélen (Paris, 8 Ottobre 1778 – ivi, l31 Dicembre 1839). Quattro anni dopo la proclamazione del dogma, il 25 Marzo 1858, la mistica Marie Bernarde (Bernadette) Soubirous (Lourdes, 7 Gennaio 1844 – Nevers, 16 Aprile 1879), poi religiosa francese, proclamata santa da papa Pio XI nel 1933, riferì che nella sedicesima apparizione nella grotta di Massabielle, sui Pirenei, la SS. Vergine si era presentata a lei dicendo: «Sono l’Immacolata Concezione» (nella lingua locale, l’occitano: Que soy era Immaculada Councepciou).

Tornando al dipinto termitano, la tela del civico museo, dal punto di vista teologico e iconografico si ricollega chiaramente alla diffusione nell’orbe cattolico della grande devozione nei confronti dell’Immacolata Concezione che, come abbiamo visto, ebbe il suo apogeo proprio nel Seicento. L’olio raffigura la SS. Vergine Maria Immacolata, in una collocazione centrale in seno all’orchestrazione scenica, all’impiedi, posta frontalmente, nella sua armoniosa bellezza spirituale, in una atmosfera di sospensione spazio-temporale,  avvolta da una raggiera di luce dorata (ocra) quale «donna vestita di sole» (mulier amicta sole, et luna sub pedibus eius, et super caput eius corona stellarum duodecim, Ap. 12,1), che si intensifica con una vivida luminosità attorno al capo scoperto e coronato da dodici stelle. L’alone di luce dorata si riflette sulle figure di angioletti che circondano la Vergine creando forti contrasti chiaroscurali.

La Vergine, in atteggiamento contemplativo, rivolge gli occhi, verso l’alto in direzione della bianca colomba che si libra sopra di Lei, simboleggiante lo Spirito Santo. Maria SS., infatti, è perenne Santuario ineffabile dello Spirito Santo, il quale in Lei «voleva operare la concezione e la nascita di Colui dal quale egli stesso procedeva» (cfr. S. Anselmo, De Conceptu Virginali, cap. XVIII). Nel contempo, Ella è Colei che diede il suo cordiale assenso alla sua virginale concezione del Salvatore: «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc. 1,38). Le braccia della Vergine sono spalancate e le mani aperte in un atteggiamento di amorevole accoglienza. Ella indossa una tunica rossastra lunga sino ai piedi, chiusa in vita da una cintura ed un ampio e lungo mantello bluastro, colori tradizionali volti a simboleggiare che, pur avendo la natura umana, ha ricevuto il singolare privilegio della pienezza della grazia celeste, della purezza della vita divina.

In questa opera, la figura di Maria, appare effigiata ritta sul globo terracqueo sostenuto da tre cherubini che nel reggere il grave esibiscono torsioni e caratteristiche movenze. La Vergine schiaccia sotto i piedi la testa del serpente demoniaco (cfr. il protovangelo, in Genesi 3, 15) ed è accompagnata dalla falce lunare con le punte rivolte in alto. La luna, quale astro che non splende di luce propria, ma riflette quella che riceve dal sole, simboleggia Maria Santissima, riflesso della perfezione divina. Tra le nubi, a formare un ovale in una coralità intorno alla figura centrale, appaiono degli angioletti festanti che recano vari simboli di matrice mariana: la palma (alludente alla redenzione, cfr. E. Kirschbaum, a cura di, Lexikon der christlichen Ikonographie,  8 voll., Freiburg, 1971, III, col. 364-365); serti di rose (Rosa Mistica); i gigli, emblemi per eccellenza dell’Annunciazione, etc.

Nel registro inferiore della tela si apre un paesaggio sul quale incombe un cielo nuvoloso. Il panorama, dagli spunti nordici, ricco di contrasti chiaroscurali che fanno risaltare la silhouette delle strutture architettoniche inserite in un luogo immerso in un’aurea di sospensione temporale, è elaborato espressamente per suscitare nel fedele la contemplazione,  la meditazione e la preghiera, relativamente ai misteri mariani.

Nello specifico, da sinistra a destra (dello spettatore), nel paesaggio sono presenti i seguenti simbolismi mariani: 1. Una scalinata che sale sino alla sommità di una rupe rocciosa, a rappresentare Maria quale mistica scala, attraverso cui «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv. 1,14); 2. La Porta del Cielo (Janua Coeli, Gen. 28,17), raffigurata sotto forma di una grande arcata coronata da una trabeazione spezzata, che si staglia sul cielo, al culmine della scalinata, alludente alla Vergine che, con materna protezione e tenerezza accompagna, il fedele nel suo cammino verso la patria celeste; 3. Una sorgente zampillante sgorga dalla rocca, riversando le sue traboccanti acque, allusione alla purezza di Maria della sua  vicinanza a Dio (Fons hortorum, Ct. 4,15); 4. La vera dalla forma ovale, sormontata da una elegante struttura metallica, raffigura il pozzo delle acque vive (Puteus aquarum viventium, Ct. 4,15), richiamo al limpido candore della Vergine ed alle grazie che Ella dispensa; 5. Un tempio circolare coronato da una cupola, ornato esternamente da colonne, simboleggia Maria come Tempio dello Spirito Santo (Templum Spiritus sancti, cfr. I Cor. 6,19), essendo Ella totalmente e perennemente avvinta allo Spirito Santo; 6. Il giardino sacro recintato (Hortus Conclusus, Ct. 4, 12) simboleggia l’inviolabile purezza e, quindi, la perenne verginità di Maria SS.; 7. La Torre di Davide (Turris Davidica, cfr. Ct. 4,4), svetta al di sopra di una salda base rocciosa, terminando con una guglia, quale prefigurazione della Vergine Maria: «Come la torre di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza», simbolo di bellezza e fermezza nella fede; 8. Una grande città, con tanto di fortezza, allude alla Vergine Maria, mistica città di Dio.

La fonte principale di ispirazione di questo dipinto, che non è stata pedissequamente seguita dall’artista, il quale ha liberamente e variamente reinterpretato la scena (ad es. modificando la posa della Vergine) secondo il proprio estro artistico, è stata da noi rintracciata e viene qui resa nota per la prima volta. Si tratta di una incisione calcografica del 1615, di cui esiste copia di proprietà dell’Accademia dei Lincei, raffigurante L’Immacolata Concezione, opera dell’incisore francese (di Troyes) attivo a Roma, Philippe Thomassin (b. 1562 – 1622), tratta da un dipinto del pittore genovese Bernardo Castello (1557 c. – 1629). A tal proposito, si veda nel sito dell’Istituto Centrale per la Grafica del Ministero dei Beni Culturali. Per completezza di informazione, ricordiamo che lo stesso soggetto fu inciso anche da Raffaello Schiaminossi da Sansepolcro (1572-1622). L’autore del dipinto, inoltre, ha utilizzato anche un’altra incisione calcografica di Thomassin, realizzata a bulino, sempre raffigurante L’Immacolata Concezione, datata 1591, traendo ispirazione per riprodurre la simbologia mariana inserita nel brano di paesaggio. Per ulteriori approfondimenti sull’incisore Thomassin, cfr. A. Gallottini, a cura di, Philippe Thomassin. Antiquarum statuarum Urbis Romae Liber Primus 1610-1622,  “Bollettino d’Arte”, volume speciale,  Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – Archivi di Stato, Roma 1995, XV+173 pp.

Il confronto tra la tela in oggetto, le due opere documentate e le tre sinora attribuite, evidenzia marcate coincidenze espressive nella costruzione pittorica, legate ad un comune lessico, incisivo ed immediato, nonché una voluta accentuazione delle figure nei valori tonali e luministici. Infatti, l’orchestrazione luministica è qualificata da forti contrasti chiaroscurali, con le ombre rese in maniera corposa, in modo da esaltare plasticamente l’essenzialità delle figure, dando altresì origine ad una sorta di sospensione spazio-temporale. Anche l’orchestrazione del brano di paesaggio posto nel registro inferiore presenta marcate corrispondenze con le opere già note, esibendo una comune predilezione per il gusto antiquario (con le consuete rovine della romanitas, quali capitelli e rocchi di colonne), ma anche per gli aspetti naturalistici, come ad es. appare nella resa di sproni rocciosi più o meno alpestri, della vegetazione rigogliosa, del peculiare contesto meteorologico, con frequenti richiami alla pittura nordica di genere.

L’autore di questo dipinto, a nostro avviso, era legato alla cerchia labarberiana (si veda ad es. la resa degli angioletti che reggono il globo), pertanto possiamo avvedutamente ritenere che si tratti di un allievo che ha ben assimilato la lezione del maestro, facendola propria secondo la sua personale sensibilità artistica. Un allievo sodale con il maestro, tanto da assimilare anche la propensione per la ricerca di variegate fonti di ispirazione, l’ampio raggio di interessi ed il disinvolto sperimentalismo, attraverso l’uso di incisioni di artisti della tarda maniera, con una particolare predilezione per quelli europei centro-settentrionale.

Concludendo, riteniamo che il dipinto, raffigurante L’Immacolata Concezione di Maria SS., che abbiamo qui illustrato, debba aggiungersi all’esiguo catalogo di Giuseppe Spatafora II junior. Questo studio appartiene ad un filone di ricerca che si prefigge la riscoperta delle opere sconosciute o misconosciute degli artisti termitani, costituendo un contributo alla ricostruzione del percorso artistico di Giuseppe Spatafora II junior, la cui cifra stilistica, pur essendo non eccelsa, a nostro avviso, si presenta indubbiamente dignitosa.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo palesare la nostra più viva e sincera gratitudine nei confronti dell’amico Fabio Lo Bono, per la consueta disponibilità e per l’immagine fotografica del dipinto.

Direttrice del Pittsburg Historical Museum in visita alla Casa Museo Joe Di Maggio di Isola delle Femmine

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La Casa Museo Joe Di Maggio ha avuto l’onore di ricevere in visita Rena Rountree, Direttrice del Pittsburg Historical Museum (California), e la sorella Ragna Rostad. Ad accoglierli Agata Sandrone Presidente di BCsicilia Isola delle Femmine e curatrice del Museo e Antonino Scala, Presidente dell’Associazione “Isola Pittsburg Forever”.

La dottoressa Rena si è complimentata per come viene mantenuta viva la memoria di Joe Di Maggio, il più grande campione di baseball di tutti i tempi, e soprattutto l’impegno per ricordare i tanti emigranti che hanno lasciato la propria terra di origine per cercare fortuna altrove. Durante l’incontro è stata raggiunta una intesa per favorire scambi culturali tra le strutture e valorizzare i legami fra le due cittadine gemellate.

La direttrice del Museo di Pittsburg ha donato al Museo Joe Di Maggio un bellissimo arazzo che raffigura i monumenti più importanti di Pittsburg, tra questi la statua del Pescatore di cui esistono due copie, una posta a Isola delle Femmine in Piazza Pittsburg, l’altra a Pittsburg nella Piazza, denominata appunto, Isola delle Femmine.

Nella foto Direttrice Pittsburg Historical Museum Rena Rountree, Antonino Scala e Agata Sandrone.

Il concetto di “altro” fra natura e cultura

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L’idea della diversità si origina nella storia umana in epoche antichissime, presumibilmente protostoriche. Essa sembra nascere dall’esigenza dei gruppi umani primitivi di riconoscersi come unità economica e sociale e di proteggere le proprie risorse da nemici esterni. Sembra che questa sia stata la conseguenza di quella che Gordon Childe ha chiamato rivoluzione neolitica e che è consistita nel passaggio da forme di nomadismo centrate sulla caccia e sulla ricerca di cibo a forme stanziali strettamente connesse alla scoperta dell’agricoltura i cui frutti potevano così essere immagazzinati, usati per la comunità ed anche, se in eccesso, scambiati con altri gruppi. Nei gruppi caratterizzati da un alto grado di nomadismo questo significava, per esempio, difendere le strade percorse – o percorribili – da altri gruppi umani, anch’essi in continuo spostamento; con il procedere dell’evoluzione verso la stanzialità divenne necessario controllare i propri territori e proteggere i propri stanziamenti da chiunque non appartenesse al clan, alla comunità, alla tribù.

Con la stanzialità si rafforza pesantemente l’idea di alterità, vissuta come diversità, come pericolo, come estraneità. È su questa base puramente economica che nascono i primi miti dell’identità che forniscono una prima trama teorica alla legittimazione della difesa sociale contro l’alterità. I miti dell’identità sono in realtà i primi strumenti di formalizzazione delle differenze mediante speculazioni, affabulazioni, convenzioni scientifiche e norme sociali, che stabiliscono le motivazioni della supremazia dell’io rispetto all’altro. Storici della preistoria, paleoantropologi, etnologi e archeologi hanno trovato ampie conferme di questo costrutto, lungo un percorso che va addirittura dai primi gruppi di ominidi alla fondazione della prime città. Esempi ne sono i miti delle origini dei singoli popoli, il totemismo, l’endogamia, le religioni fortemente etnicizzate (per esempio il monoteismo ebraico) con i loro riti di appartenenza (circoncisione), le prime monarchie teocratiche, il passaggio da dispositivi bellici di tipo difensivo a dispositivi di tipo offensivo in grado di sostenere i primi esperimenti espansionistici.

Lo stigma dell’alterità

Se in una prima fase protostorica e storica la concezione della diversità era stata fondata su giustificabili tentativi difensivi, successivamente, il diverso divenne qualcosa da cui difendersi attivamente, da attaccare e distruggere perché aprioristicamente pericoloso e potenzialmente nemico. Questa aggressione necessitava di chiari modelli di identificazione e, vista la progressiva complessità sociale (in termini economici, demografici, culturali), anche di una serie di distinzioni.

L’altro può essere nemico, ma troppo pericoloso per poter essere attaccato oppure può essere ritenuto inferiore ma troppo utile per poter essere distrutto. È la nascita di quella che potremmo definire mediazione sociale sulla diversità, che può essere accettata perché utile o tollerata perché troppo pericolosa. Questo porta a distinguere tra differenti possibili diversità e ad un perverso processo di astrazione: non solo si cominciano a distinguere le diversità immediatamente aggredibili da quelle tollerabili, anche se obtorto collo, ma le diversità aggredibili divengono metafora di tutte le diversità, anche di quelle più innocue e su di esse si va a ridirezionare l’aggressività deviata da altri obiettivi, temuti ma non aggredibili. Il ridirezionamento è sostanzialmente frutto di una paura dell’invasione, al tempo stesso militare, psicologica, religiosa ed economica, paura di una contaminazione inarrestabile e pericolosa sia per il singolo che per il gruppo. In parole povere, si vanno ad identificare forme di alterità che siano la quintessenza di tutte le alterità possibili, che vadano ad incarnare, cioè, tutti gli aspetti negativi, putrescenti, pericolosi e indesiderabili di un contesto sociale e culturale. L’alterità comincia a diventare metafora stessa della diversità assoluta, intollerabile, dalla quale doversi difendere. È un processo che riguarda individui, gruppi, etnie, e via via religioni, forme di pensiero, visioni del mondo. Il concetto di alterità si circoscrive e si definisce, si precisa, diventa capro espiatorio di tutte le alterità possibili. Perché ciò possa avvenire, occorre però che la diversità sia così evidente, così marcata, così facilmente identificabile da essere immediatamente riconoscibile. Occorre quindi che presenti delle caratteristiche altamente specifiche, variamente individualizzabili e definite. E quali? Un diverso colore della pelle, una religione differente, le pratiche e gli orientamenti sessuali (è il caso biblico di Sodoma e Gomorra), gli usi e i costumi di un popolo o di un gruppo umano.

L’insieme di queste caratteristiche costituisce lo stigma, un segno indubitabile di differenza. A creare lo stigma dominante sono ovviamente i gruppi sociali, culturali ed etnici più forti, dalle economie più floride, dagli eserciti più potenti. La rinuncia all’endogamia e la scelta dell’esogamia (la ricerca di partner sessuali non appartenenti al proprio gruppo sociale o alla propria etnia) per esempio, favorisce i contatti tra diverse comunità fino a quel momento isolate e chiuse a qualsiasi tipo di contatto esterno. Tra di esse verranno stigmatizzate quelle più facilmente identificabili e più deboli: i forti ebrei stigmatizzeranno gli abitanti di Sodoma per le loro abitudini sessuali, ma saranno a loro volta stigmatizzati dalle altre culture più potenti perché circoncisi e monoteisti o perché, in epoche successive, traditori di Gesù. Quando i Romani, sempre più forti, diverranno monoteisti saranno stigmatizzati a loro volta per avere tradito i loro antichi dei. I Romani, a loro volta, stigmatizzeranno i barbari perché privi di civiltà; al crollo dell’Impero Romano d’Occidente saranno a loro volta stigmatizzati dai barbari (ora più forti) perché considerati molli ed effeminati, omosessuali. Quando le armate arabe si scateneranno contro l’Occidente cristiano, lo stigmatizzeranno perché incolto ed infedele; gli arabi saranno a loro volta duramente stigmatizzati, perché di altra fede e di altro colore di pelle, da un Occidente cristiano vincitore.

Figure paradigmatiche come l’ebreo, l’omosessuale, il barbaro (non tanto nel senso greco di straniero, bensì in quello latino comune di selvaggio), il negro, l’infedele cominciano allora a percorrere faticosamente la storia della cultura occidentale. Sono i “diversi”, le cause di ogni male, gli elementi pericolosi da espungere, sempre e comunque, dal tessuto sociale, oppure da convertire, modificare, integrare. A queste figure se ne aggiungeranno via via altre, sino alla strutturazione di una vera e propria tipologia della diversità.

Verso una scienza della diversità

È nel Medioevo che, probabilmente, si strutturò in maniera stabile e formalizzata una “scienza” della diversità, nel senso che, per la prima volta nella storia dell’umanità, le alterità possibili vennero (più o meno esplicitamente) catalogate e descritte, mentre si codificarono le modalità, la prassi della loro repressione. E si trattò di una tipologia talmente salda da resistere per secoli, al tempo, agli eventi storici, ai mutamenti sociali, semplicemente riadattandosi, con una specie di sinistro upgrading, ai cambiamenti storici. Nel Medioevo è già pienamente avvenuto l’incontro tra cultura cristiana, ebraismo, islam, culture del nord Europa, culture orientali (tartari, cinesi, indiani), con il loro carico di convinzioni, filosofie, visioni del mondo, spesso in conflitto tra loro. Alcune di queste culture acquisirono un carattere di dominanza, contemporaneamente confinando culture meno vaste e potenti in un’area di subalternità e questo avvenne in ampie aree del mondo, in particolar modo in Occidente e in  Oriente; culture diverse entrarono fra loro in contatto, ma anche in conflitto. Furono questi incontri ˗ scontri a determinare le prime tipologie della diversità, con la quale vennero definite e stigmatizzate le forme di alterità e, conseguentemente le prime forme di normalizzazione, seguendo una linea concettuale semplice, nella sua brutalità: chi è diverso deve diventare normale, o essere eliminato. La ferocia di questa normalizzazione variava in base alla tolleranza della cultura che la imponeva. Una delle culture che si mostrò più intolleranti fu quella cristiana. Dopo aver subito secoli di persecuzione, nel tardo Impero Romano, il Cristianesimo assunse un ruolo progressivamente dominante e con l’imperatore Costantino I, fu riconosciuto come vera religione primaria dell’Impero. Costantino convocò due Concili, il primo ad Arles nel 314 – nel quale venne riconosciuta e condannata la prima eresia (quella donatista) e il secondo a Nicea nel 324 che condannò invece l’eresia ariana. In realtà il Concilio di Nicea ebbe una funzione ‘normalizzatrice’ delle molteplici istanze dottrinarie che caratterizzavano il movimento cristiano, stabilendo delle regole comportamentali e dei principi teologici ai quali, da quel momento in poi, i cristiani si sarebbero dovuti adeguare. Stabilì, insomma, cosa era norma e cosa era devianza all’interno della Chiesa cristiana. La Chiesa, a sua volta, ormai religione dominante in Occidente, avrebbe usato da allora in poi i propri principi come strumento di misura di ogni forma di alterità religiosa, politica e sociale, da correggere o da reprimere. Costantino inoltre aveva sancito una alleanza inalienabile fra religione e potere politico: la prima forniva il crisma dell’autorevolezza e della legittimità al secondo. Il secondo riconosceva la caratteristica dell’infallibilità alla prima. Era così sancita l’esistenza di un inevitabile, invincibile connubio fra il potere della Chiesa e il potere politico. La frittata era fatta. Sarebbe stata mangiata per secoli da tutto l’Occidente cristiano.

Ma sarebbe stata una frittata dal sapore amaro. Stabiliti dei principi inalienabili, in quanto sostenuti sia dallo Stato, sia dalla religione, è inevitabile trovare chi non li accetta e li condivide. E il potere dominante deve cercare di normalizzare i recalcitranti, mediante la conversione, l’abiura, o, in caso di resistenza, reprimendo o annientando chi trasgredisce. Esempi simili sono ovviamente estensibili a tutti i grandi sistemi religiosi e politici, in particolare a quelli dell’asse ebraico-cristiano-islamico, ma anche, più genericamente, a tutti i gruppi – anche quelli rigorosamente laici –  in grado di esercitare il potere e di imporre delle norme etiche e sociali, finalizzate al mantenimento e alla difesa del potere stesso. Ogni forma di potere, ed ogni cultura, insomma ha un proprio sistema normativo, e impone un proprio sistema di regole, programmando contemporaneamente le modalità di repressione della trasgressione. Il problema della relazione con l’altro da sé, si inscrive perfettamente in questo modello. Il problema centrale delle società umane – dal gruppo, alle etnie, agli Stati, è la difesa di una norma interna e la repressione dell’alterità. Una società infatti è un ‘omeostato’, una macchina che deve stare in un dato equilibrio, per mantenere il quale o si ‘normalizza’ il diverso, per renderlo compatibile con il sistema, o lo si allontana, o lo si isola, o lo si reprime. L’intensità della repressione è direttamente proporzionale alla forza del potere che la impone e la pratica. Le modalità di repressione dipendono dal sistema di riferimento valoriale e dalla complessità della società che reprime. I tipi di alterità da reprime, di volta in volta, sono in genere sempre gli stessi.

Alterità di genere sessuale. Di questa categoria hanno parte, ubiquitariamente, omosessuali, trans-sessuali, bisessuali, le donne e gli uomini con comportamenti sessuali non consoni alla morale religiosa o comunque non accettati dalla cultura cui si appartiene. Dello stigma dell’alterità di genere sono storicamente vittime molto più le donne che subiscono da sempre discriminazioni sociali a qualsiasi livello (non solo sessuale, lavorativo, economico, comportamentale, persino religioso).

Alterità razziale. Questa categoria comprende tutti gli individui estranei al gruppo sociale dominante, in un dato momento storico e in una specifica cultura. La base concettuale di questa alterità è spesso compendiata dal concetto di “razza” e spesso è rafforzata da valutazioni economiche e culturali, oltre che estetiche (colore della pelle, caratteristiche somatiche o usi igienico-culturali, come la circoncisione per gli ebrei). Oggi comprende tutti gli extracomunitari afro-asiatici, facilmente riconoscibili già dal colore della loro pelle. E’ la forma di discriminazione più diffusa, forse per la sua semplicità nell’essere riconosciuta, una forma di razzismo semplice, brutale, elementare, primitivo che non tiene conto delle caratteristiche psicologiche, culturali, morali di un individuo, ma semplicemente del suo naturale aspetto fisico, classificato come segno inequivocabile dell’appartenenza ad una razza. C’è qualcosa di spaventoso in questa modalità di classificazione, perché essa non accetta deroghe o scusanti, nemmeno di fronte alle più grandi capacità etiche o intellettuali.

Alterità religiosa. Comprende tutti gli individui e gruppi che praticano religioni o aderiscono a confessioni religiose diverse da quelle del gruppo socio-culturale dominante. Implica la limitazione di espressione o di culto, sino alla repressione violenta.  Comprende anche tutte le forme di eresia come tali definite dalle diverse religioni dominanti. Molto diffusa in passati periodi storici (basti pensare alle guerre di religione, alla evangelizzazione di massa di interi popoli, alle conversioni forzate al ruolo dell’Inquisizione nei Paesi di religione cattolica, o dei tribunali religiosi islamici), oggi è meno diffusa, ma pur sempre presente.

Alterità patologica. Comprende coloro che sono affetti o ipotetici portatori da malattie ritenute socialmente pericolose perché contagiose ed epidemiche (storicamente la peste, la lebbra o il colera per citarne solo tre), ma anche i malati di mente (perché destabilizzanti e difficilmente controllabili). In epoca recente si sono aggiunte la tossicodipendenza, l’AIDS e le infezioni virali di origine ‘esotica’, come quelle nate nella foresta pluviale africana (l’Ebola, per esempio: non è forse convinzione che sia contagiato dai negri?) o da luoghi ancora più remoti – come la Cina nel caso clamoroso del Covid 19.

A queste categorie di alterità, le più evidenti, se ne potrebbero aggiungere tante altre, di natura politica, economica, persino alimentare. Il problema è che si può considerare alterità tutto e il contrario di tutto, se si accetta l’idea che esistano idee, gusti, sistemi di pensiero e di potere giusti o sbagliati e non semplicemente diversi. Ma accettare l’idea che le diversità possano coesistere e arricchirsi vicendevolmente è difficile, perché la diversità è da sempre considerata pericolosa per la società e quindi da combattere in qualsiasi modo possibile.

Alla base di una teoria dell’alterità c’è infatti sempre un forte mito identitario. Per essere parte di una società ideale devi avere, cioè, delle caratteristiche specifiche che non sono sindacabili, non ammettono deroghe, perché sono le sole in grado di definire una identità che sia ‘giusta’ rispetto ad una ‘alterità’ che, per definizione, è “sbagliata”. E’ un modello unico di ‘appartenenza’, non modificabile. E’ un modello semplice e sarebbe molto rassicurante, se non fosse, semplicemente, in contraddizione con non solo con la società reale, ma con lo stesso divenire storico.

Giovanni Iannuzzo

Termini Imerese: chiuso per 30 giorni un internet point, videoterminali non conformi usati come postazioni “indirette di gioco”

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La Polizia di Stato in esecuzione di una Ordinanza – Ingiunzione, emessa dall’Agenzia delle Dogane e Monopoli, ha sottoposto a chiusura, per la durata di 30 giorni, l’attività di internet point di un bar di Termini Imerese e confiscato 2 p.c., (già oggetto di precedente sequestro amministrativo).

L’attività, che ha visto impegnati i poliziotti del Commissariato di P.S. di Termini Imerese, in operazione congiunta con personale dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli di Stato, chiude l’iter sanzionatorio di un accesso ispettivo, effettuato nel novembre del 2019. In quella circostanza, i funzionari dell’A.D.M., congiuntamente ai poliziotti appartenenti al suddetto Commissariato di P.S., nell’ambito di servizi volti alla prevenzione e repressione di illeciti sulla gestione delle sale gioco/scommesse, avevano effettuato un controllo amministrativo presso un esercizio commerciale del centro imerese, a seguito del quale veniva riscontrata e contestata la violazione dell’art.110 commi 6-7-9 quater del T.U.L.P.S. Il titolare dell’attività commerciale, infatti, aveva in uso 2 apparecchi videoterminali non conformi, utilizzati dagli avventori come postazioni “indirette di gioco”.

Al titolare, per le irregolarità emerse, era stata comminata una sanzione amministrativa di importo pari a 10.000 euro per ognuna delle postazioni irregolari, mentre i relativi apparecchi erano stati sottoposti a sequestro amministrativo.

L’esecuzione dell’ordinanza di chiusura per 30 giorni operata nei giorni scorsi, trae origine dal mancato pagamento, da parte del titolare dell’esercizio commerciale, delle sanzioni comminategli nel corso del controllo del 2019.

“La Donna è l’altra metà del Cielo”: a Tusa una settimana contro la violenza di genere

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Si è conclusa sabato 2 dicembre con una tavola rotonda presso l’incantevole sito archeologico di Halaesa Arconidea “La Donna è l’altra metà del Cielo”, l’intensa settimana che il comune di Tusa ha dedicato alle celebrazioni afferenti al 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Gli eventi hanno avuto inizio il 22 novembre con l’apposizione, da parte degli ospiti del progetto SAI di Tusa, di un banner sulla magnifica Torre Civica che ha voluto ribadire con forza il NO di tutta la comunità a qualunque forma di violenza. Si sono susseguiti, nei giorni successivi, in collaborazione con lo Sportello “Diana” COTULEVI operante nella cittadina, installazioni artistiche tematiche illuminate da quel profondo rosso divenuto purtroppo simbolo riconoscibilissimo che da tanto, troppo tempo colora mestamente le celebrazioni e la posa di due targhe accanto alle Panchine Rosse di Tusa e Castel di Tusa da parte degli studenti del locale Istituto Comprensivo, con incise delle frasi da loro scelte e composte a testimonianza della sensibile consapevolezza che alberga già nell’animo di giovani appena affacciati alla vita.

Il 25 novembre ha visto l’inaugurazione di una mostra fotografica ospitata, sino a domenica 3 dicembre, all’interno dell’aula consiliare dal titolo che ha richiamato la femminilità in molte delle sue accezioni “Essere Donna, tra doveri, convenzioni sociali, genio e creatività”, una carrellata di immagini tanto suggestive quanto veritiere hanno abbracciato il mondo imperfetto di donne e ragazze che da sempre cercano e combattono per la propria libertà e autodeterminazione. A seguire una superba performance del Laboratorio Teatrale Tusano ‘M. Turrisi’, “Neanche con un dito” che con delicata determinazione è riuscita a dare voce al dolore narrando storie difficili con una presenza scenica femminile di altissimo livello.

A compendiare l’impegno di una intera collettività che ha fatto suoi i valori imprescindibili di inclusione, solidarietà, attenzione alle persone e che ha partecipato numerosa ai singoli momenti delle giornate caratterizzate da cosciente commozione, la rotonda di sabato 2 dicembre, “Donne, voci silenziate…in coro si alzano” in un luogo simbolo, emotivamente senza pari perché è lì, tra le meraviglie dell’antica città di Halaesa, che nascono le radici di Tusa e della sua comunità.

Un confronto aperto, a più voci, ove relatori di diversissime competenze e funzioni hanno gettato le basi per una riflessione profonda sul tema partendo dal titolo stesso dato all’evento, estratto da una delle frasi scritte dagli studenti, per una ideale condivisione di intenti e programmi con le nuove generazioni, affinché ciascuno possa divenire fiero e fattivo testimone della bellezza della vita e depositario di una nuova narrazione culturale scevra da qualsivoglia configurazione di pericoloso disagio.

A chiudere, il magnifico quintetto d’archi che con le sue note vibranti d’emozione ha accompagnato le arie del Coro Lirico Siciliano, riempiendo di concreta speranza, quella stessa che lega tenacissima le sorti di ognuno in ogni anfratto della Terra, le splendide volte della Chiesa di Santa Maria delle Palate.

Maria Piera Franco

Castelbuono, viaggio nella memoria dell’essenza musicale promosso da BCsicilia

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Suggestione ed incanto si sono alternati sabato 2 dicembre, nell’antica atmosfera della chiesa di San Francesco a Castelbuono, all’ascolto delle note e delle vibrazioni emanate dall’organo più antico della Sicilia sotto il tocco delicato e sapiente di Fabiana Ciampi, organista e clavicembalista, interprete di grande rilievo nell’ambito della musica rinascimentale e barocca.
Si è concluso così il terzo appuntamento all’interno dell’iniziativa “Percorsi nella memoria dell’essenza musicale” promosso e realizzato da BCsicilia di Castelbuono.
Dopo i saluti del Presidente Giuseppe Rotondo, che ha presentato l’iniziativa, la magia delle antiche melodie si è diffusa creando un’atmosfera di intenso coinvolgimento e interiorizzazione.
Grande l’apprezzamento mostrato dal numeroso pubblico presente per i brani eseguiti con raffinatezza tecnica e con innegabile capacità interpretativa.
L’iniziativa, facente parte della rassegna organistica regionale “In tempore organi”, si è svolta sotto la direzione artistica del maestro Diego Cannizzaro che ha sapientemente intrattenuto il pubblico curando l’introduzione ai brani musicali.
Stella Albanese

Geraci Siculo, nasce la Consulta Giovanile: eletto Presidente Benny Corradino

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Nella giornata di ieri ha preso  vita la Consulta Giovanile di Geraci Siculo. Si tratta di una nuova realtà all’interno del Comune, che conta più di 100 giovani iscritti e desiderosi di far parte di una grande famiglia. Dopo la sua istituzione avvenuta tramite delibera del Consiglio Comunale, è stata convocata la prima assemblea dei soci, per la votazione della Presidenza e del Consiglio direttivo.

All’unanimità, il ruolo di Presidente è stato affidato a Benny Corradino, affiancato dai Consiglieri Enrico Sergi, Giacomo Attinasi, Tiziana Alfonzo, Giuseppe Corradino, Marianna Alaimo, Giacomo Arata e Virginia Carapezza.

“Oggi ha vinto tutta Geraci – ha dichiarato il Presidente Benny Corradino – Sono innanzitutto grato a tutti per l’affetto e la fiducia dimostratami. Rappresentare un numero così importante di ragazzi e ragazze è una responsabilità importante, che mi stimola a lavorare per coinvolgere il maggior numero di giovani, affinché ciascuno si senta protagonista del proprio futuro. Diventeremo presto un fiore all’occhiello dell’associazionismo, dimostrando impegno e voglia di garantire un futuro luminoso al contesto madonita, tramite una fitta collaborazione con le altre consulte del territorio”.

 

Gangi: la terapia riabilitativa si fa a cavallo con “Zia Clelia” e “Bambola”

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Sono 16 i disabili, dai 4 ai 16 anni, provenienti dai 9 nove comuni delle alte Madonie, del distretto socio sanitario 35, che in queste settimane stanno effettuando delle sedute di riabilitazione equestre in contrada Santo Pietro a Gangi. Ad occuparsi del progetto è l’Associazione Horse Division A.S.D , centro riabilitazione equestre in collaborazione con il Comune di Gangi.

Il progetto, finanziato dal piano di zona del Distretto Socio Sanitario 35, prevede la realizzazione di varie attività con un approccio terapeutico sul cavallo per soggetti con disabilità di varia entità, ma con un adeguato livello di autonomia, nel campo dell’agonismo e dello sport. Si tratta di soggetti con disturbi comportamentali o della personalità, disturbi nell’apprendimento e nel linguaggio, o ancora disturbi neuro motori ma anche non disabili che presentano condizioni di svantaggio sociale o situazioni di deprivazione affettiva o cognitiva. Il progetto si avvale di un’istruttore federale di equitazione Alessandra Lombardo e un’educatrice Maria Amoroso.

Sono previsti dei veri e propri piani personalizzati con l’indicazione delle attività da svolgere su due cavalli in particolare, Zia Clelia e Bambola, tali da offrire ai destinatari stimoli significativi in ambiente non medicalizzato” ha detto Alessandra Lombardo presidente dell’Associazione Horse Division A.S.D di Gangi.

Il progetto è stato finanziato con 20 mila euro dal Piano di zona del distretto socio sanitario 35 – ha aggiunto Nicola Blando assessore al bilancio del comune di Gangi – ed ha la durata di 4 mesi, per ogni disabile è prevista una seduta terapeutica settimanale”.

Avere a Gangi – ha concluso il sindaco Giuseppe Ferrarello – una struttura altamente specializzata nel campo delle attività riabilitative e terapeutiche in favore di soggetti affetti da disabilità, punto di riferimento per tutto il territorio del centro Sicilia, è sicuramente un servizio a sostegno delle famiglie, ma anche un motivo di orgoglio”.

Furto di energia elettrica, i Carabinieri denunciano 18 persone: “nuclei familiari totalmente sconosciuti agli uffici Enel”

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Continuano i controlli del Comando Provinciale di Palermo per la lotta alla criminalità diffusa a al contrasto del fenomeno del furto di corrente elettrica, dopo i controlli nei quartieri “Brancaccio” e “Capo” che hanno portato all’individuazione rispettivamente di 10 e 8 nuclei familiari totalmente sconosciuti agli uffici “Enel”, i Carabinieri della Stazione Palermo Villagrazia e della Compagnia di Intervento Operativa del 12° Reggimento Sicilia hanno effettuato, insieme a tecnici dell’ENEL, un nuovo servizio di controllo straordinario.

I militari, hanno deferito in stato di libertà alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo 18 persone, tutte domiciliate nel quartiere “Bonagia”.

Le loro abitazioni, sprovviste di contratto di fornitura per il servizio elettrico sarebbero state connesse abusivamente alla rete, annullando quindi totalmente la spesa dell’utenza.

Tutti gli indagati, oltre ad essere chiamati a pagare il consumo stimato, risponderanno di furto aggravato, con pena prevista, in caso di condanna, dai 2 ai 6 anni di reclusione.

Visita a Salerno per “Luci d’Artista” e a Napoli a San Gregorio Armeno

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Il centro storico di Salerno ogni anno, nel periodo di dicembre, è meta di più di due milioni di visitatori che accorrono nella cittadina campana per “Luci d’Artista” che colora il centro storico e il lungomare con migliaia di luci ed elaborati disegni luminosi, con strade, vicoli, piazze e parchi ricoperte da veri e propri capolavori di addobbi luminosi, paramenti, istallazioni artistiche e crea una speciale atmosfera natalizia. Prevista inoltre una passeggiata a Napoli nella celebre via di San Gregorio Armeno, una strada del centro storico, celebre per le botteghe artigiane di presepi e al Cristo velato, la cui immagine ha fatto il giro del mondo per la prodigiosa “tessitura” del velo marmoreo che quasi si adagia sul corpo di Gesù. La visita, promossa da BCsicilia e dall’Università popolare di Termini Imerese, si terrà dal 19 al 21 Dicembre 2023. Per informazioni tel. 346.8241076 – Email: [email protected].

Nel corso degli anni le Luci d’Artista sono divenute un evento di rilevanza internazionale con opere appositamente commissionate a diversi artisti. Quelle esposte non sono delle semplici luminarie di Natale ma vere e proprie opere d’arte, che vanno a arredare gli ambienti urbani con un alto valore culturale universalmente riconosciuto all’iniziativa. Tutti i giorni a partire dalle ore 17,00, il corso principale, la villa comunale e le numerose piazze si illuminano con le magnifiche luminarie rendendo l’atmosfera natalizia ancora più magica. Ogni anno l’evento ha un tema particolare, che coinvolge ogni angolo della città con opere di artisti contemporanei. Per vivere appieno questo magico evento basterà passeggiare nelle vie del centro di Salerno come Corso Vittorio Emanuele, raggiungere Piazza Portanova, e accedere nel suggestivo centro medievale in direzione Via dei Mercanti. Proseguendo fino a Piazza Largo Campo si arriva nel cuore pulsante della festa salernitana. Presso la villa comunale sarà riproposto lo zoo degli animali, ma con nuove creature che daranno vita a un suggestivo mondo animale. Ulteriori novità in piazza Flavio Gioia, dove il tema principale sarà il mondo marino delle meduse, lungo corso Vittorio Emanuele 230 corpi luminosi e sfere colorate saranno i protagonisti dell’opera artistica “I Mondi”. Inoltre presso Piazza della Libertà si trova un enorme Pacco Regalo dorato, presso Piazza Largo Campo l’opera luminosa “La Fata delle Farfalle”, lungo via dei Mercanti le “Quattro Stagioni” e per concludere gli orsi polari a Pastena. Anche per questa XVIII edizione, il maestoso albero di Natale dominerà Piazza Portanova con i suoi 20 metri di altezza, 800 rami e 72mila led bianchi con effetto flashing.

A Napoli invece è prevista la visita a San Gregorio Armeno è nota in tutto il mondo come il centro espositivo delle botteghe artigianali che ormai tutto l’anno realizzano statuine per i presepi, sia canoniche che originali (solitamente ogni anno gli artigiani più eccentrici realizzano statuine con fattezze di personaggi di stringente attualità che magari si sono distinti in positivo o in negativo durante l’anno). Qui si può respirare l’atmosfera natalizia in ogni momento dell’anno viste le numerose botteghe dove si trovano maestri presepiali ma il periodo migliore per visitare San Gregorio Armeno, e vedere le botteghe nel massimo del loro splendore, è quello natalizio quando si possono ammirare vere e proprie opere d’arte create a mano da esperti artigiani. Visita al Museo Cappella Sansevero situato nel cuore del centro antico di Napoli, un gioiello del patrimonio artistico internazionale. Creatività barocca e orgoglio dinastico, bellezza e mistero s’intrecciano creando un’atmosfera unica, quasi fuori dal tempo. L’opera più celebre della Cappella Sansevero è senza dubbio il  Cristo velato di Giuseppe Sanmartino. La fama di alchimista e inventore che ha accompagnato il geniale ideatore Raimondo di Sangro ha fatto nascere la leggenda che l’incredibile trasparenza del velo sia dovuta al fatto che si tratterebbe in realtà di una vera stoffa, misteriosamente trasformata in marmo per mezzo di qualche processo chimico di invenzione del Principe. Inoltre la cappella ospita meraviglie del virtuosismo come la Pudicizia di Antonio Corradini o il Disinganno di Francesco Queirolo, ed enigmatiche presenze come le Macchine anatomiche, due corpi totalmente scarnificati dove è possibile osservare, in modo molto dettagliato, l’intero sistema circolatorio.

Prevista anche la visita guidata a Salerno. Si inizia dal Museo virtuale della Scuola Medica salernitana, la prima e più importante istituzione medica d’Europa nel Medioevo, considerata da molti come l’antesignana delle moderne università e al Giardino della Minerva gestito dalla Fondazione Scuola Medica Salernitana. In questo spazio di grande valore culturale, erano coltivate le piante da cui si ricavavano i princìpi attivi impiegati a scopo terapeutico. Visita guidata alla Cattedrale fondata da Roberto il Guiscardo e consacrata, nel 1084, dal papa Gregorio VII. L’atrio è circondato da un porticato retto da 28 colonne con archi a tutto sesto rialzato, che riecheggiano tipologie islamiche. Esso è arricchito su tutti i lati da una serie di sarcofagi romani, riutilizzati in epoca medievale, configurandosi come una specie di Pantheon della città. Al livello inferiore vi è la suggestiva Cripta, costituita da un ambiente a sala con nove file di tre campate, con volta a crociera poggiate su colonne. Al centro della cripta, il Sancta Sanctorum: la tomba di San Matteo, apostolo ed evangelista.