Home Blog Page 152

Isnello: nuovi scenari politici o vecchi “mascariamenti”?

Il Sindaco di Isnello, Marcello Catanzaro, ha comunicato, proprio sulle pagine di questa testata giornalistica, la nascita di un nuovo gruppo consiliare, il terzo, che lo fa sentire “finalmente fiducioso che si possa intraprendere un percorso di confronto ma anche dialogo allargato, che vada oltre i confini della maggioranza.”

Anzitutto ci sarebbe da chiedersi come mai è il Sindaco a commentare il “cambio di scenario politico in Consiglio Comunale” e non il Presidente del Consiglio. Sì, perché effettivamente nei giorni scorsi è nato un nuovo gruppo consiliare, ma è nato grazie ad un “aggiustamento” del Regolamento del Consiglio Comunale. Un aggiustamento che consente al singolo consigliere di diventare “gruppo” e quindi capogruppo (di sé stesso?), con un’interpretazione molta elastica, per usare un eufemismo, dello Statuto Comunale che dice che per formare un gruppo ci vogliono almeno due consiglieri. Proposta di delibera firmata dal Sindaco e votata da tutti i consiglieri di maggioranza. E si capisce, le novità piacciono a tutti e poi il profumo di indipendenza e l’autonomia di pensiero sono molto apprezzati in Consiglio Comunale a Isnello.

In ogni caso la buona notizia, a detta del Sindaco, è che adesso, con la nascita del terzo gruppo ci potrà essere finalmente un “confronto e un dialogo allargato”. Se finora non è stato possibile evidentemente sarà colpa dei consiglieri di minoranza, brutti, sporchi e cattivi, o almeno così immaginerà il lettore.

Ma veniamo ai fatti. Cos’è il Consiglio Comunale del quale si sono cambiate le regole qualche giorno fa? Lo si può intuire leggendo la dichiarazione allegata agli atti nel consiglio del 28 dicembre dai consiglieri di minoranza Gianpiero Caldarella e Filippo Alfonso: “Un Consiglio, non dimentichiamolo, che da un anno e mezzo non ha ancora istituito nessuna Commissione (compresa quella che dovrebbe occuparsi di modificare i regolamenti), un Consiglio all’interno del quale non è stata mai convocata la conferenza dei capogruppo. Un Consiglio che si riunisce con una frequenza “stagionale”, se possiamo permetterci, e lo dimostra il fatto che l’ultimo Consiglio risale a più di due mesi fa. Un Consiglio che per eleggere i suoi rappresentanti all’Unione dei Comuni ha impiegato sei mesi nonostante le interrogazioni e i solleciti da parte della minoranza. Un Consiglio che non ha voluto approvare la diretta streaming delle sue sedute per non turbare la “privacy” dei suoi membri, privando la cittadinanza di uno strumento di partecipazione e di informazione.”

Per non parlare dei tentativi operati dalla minoranza di migliorare ed emendare i testi di regolamenti e delibere, tutti regolarmente bocciati, perché si sa, il coltello dalla parte del manico ce l’ha la maggioranza. Anche tutto questo è agli atti ma non è visibile in streaming. Per non parlare delle “regole del gioco” che in Consiglio sono state più volte ignorate o calpestate, fino all’ultimo consiglio quando non è stata comunicata l’ennesima delibera relativa al prelievo dal fondo di riserva, come invece stabilisce il Regolamento contabile del Comune. Tutto agli atti, come le nostre proposte su piccole correzioni nel bilancio di previsione, sull’aggiornamento del regolamento per la distribuzione dell’acqua ecc. ecc.

Insomma, la minoranza in consiglio ha fatto l’opposizione, cioè “il lavoro” che per legge dovrebbe fare. Insomma, se sono mancati il confronto e il dialogo non è certo responsabilità della minoranza e chi amministra non può pretendere di scegliersi anche la minoranza, ma la tentazione è forte, come si capisce anche da questa vicenda.

Già, perché a ben guardare anche fuori dai confini del Comune di Isnello, quello che è successo è che negli anni i Consigli comunali sono praticamente diventati degli organi di ratifica di quanto si stabilisce in giunta, con un eccessivo protagonismo dei sindaci e talvolta qualunque tentativo di discussione o approfondimento o critica è guardato come se fosse un affronto.

In conclusione, vedremo quali saranno i frutti di questo “nuovo scenario politico”, perché troppo spesso il cambiamento che si annuncia è solo un “mascariamento” della realtà.

I consiglieri di “Fare Comunità”

Gianpiero Caldarella e Filippo Alfonso

Liberty: splendore e tramonto di un’epoca. A Palazzo Sant’Elia a Palermo una mostra per celebrarla

0

La Sicilia non ha lesinato grandi artisti ed espressioni di eccellenza nella sua millenaria storia. Anche le civiltà d’importazione hanno conosciuto pagine straordinarie nell’isola. E Palermo, nella veste di capitale e poi di capoluogo, non ha sfatato, fino all’alba dello scorso secolo, la tradizione che l’ha voluta città “felicissima”. Così persino fra le due guerre, la città capitale del regno Normanno, amata da Federico II, fucina di artisti come Antonello Gagini, Pietro Novelli e Giacomo Serpotta, riesce a produrre e portare ai massimi livelli una corrente di gusto già fiorita nell’ultimo decennio dell’800 un po’ in tutta Europa.

La mostra proposta dalla Fondazione Sant’Elia e allestita presso il Palazzo omonimo (già Celestri di Santa Croce ma passato al ramo parentale dei Trigona e Gravina di Sant’Elia poco prima del 1870) è in effetti suddivisa in quattro periodi che vedono gli esordi, quindi l’affermazione, anche in chiave produttiva e d’impresa, e infine il declino del movimento culturale che ha caratterizzato l’ingresso della Sicilia e di Palermo nel paese ancora eterogeneo ma aspirante alla definizione di moderno all’indomani della proclamata unità nazionale.

La mostra raccoglie una significativa e vasta selezione di materiali in grado di fare cogliere all’istante la portata dell’adesione del modernismo isolano alla tendenza prospettata dall’opera di Horta, Klimt, Mucha,Toulouse-Lautrec, Gaudi.

La scuola Siciliana, capeggiata da Ernesto Basile, crea in effetti un proprio profilo originale che non manca di favorire la trasformazione dell’abitare e del vivere in genere, di pari passo col mutare del costume e del peso delle componenti sociali.

Stile della classe media per eccellenza il Liberty guadagnerà anche l’attenzione dell’aristocrazia, ormai sempre più intrisa di valori borghesi, lasciando un’impronta indelebile sul volto della città lanciata verso la prima vera espansione al di là degli antichi confini. Al tempo stesso il nuovo stile riuscirà ad introdurre il proprio linguaggio fortemente simbolico anche nella sfera popolare e delle attività artigianali e tradizionali in genere, come ben mostrato dall’esperienza immersiva dedicata al celebre pannello del panificio Morello.

Vecchia e nuova mondanità si mescolano, l’abitudine al passeggio in strada e non più solo in carrozza fa la propria comparsa, portando con sé esigenze di abbigliamento specifico, accanto alle mises da cerimonia, e alle toilettes da grande soirée; di pari passo le sartorie estere, parigine in primis, preferite dalla nobiltà, lasciano terreno alle produzioni locali, ben rappresentate e ricordate nelle sale dedicate alla moda.

Eccezionale e interessante la sezione che consacra i grandi nomi dell’oreficeria e della gioielleria palermitane.

La parte del leone è comunque certamente giocata dall’estensiva documentazione architettonica e di design, costituita da decine di schizzi, tavole, studi, chine, acquerelli e lastre fotografiche dei più importanti progettisti del liberty a Palermo e nei dintorni. Non mancano i dipinti che sin dalla prima sala introducono ai luoghi, quegli stessi che vedranno la fioritura di edifici pubblici e privati il cui indiscusso valore non varrà a salvarli dalla mattanza.

L’ultimo piano, oltre a celebrare l’impresa Ducrot e la Targa, con filmati e oggetti, si concentra sul sacco edilizio e sulla tragica pagina urbanistica degli anni 60 attraverso un documentario asciutto e significativamente ‘muto’, ma non per questo meno struggente, che mostra il passaggio dai villini e dalle palazzine ai condomini di cui l’episodio più rappresentativo resta quello di villa Deliella nella contrada delle Croci e della sconsolata voragine che appare la mattina seguente la demolizione.

Sembra proprio che Palermo abbia infine deciso di aprire definitivamente le vecchie ferite per recuperare quantomeno la paternità di un figlio abbandonato al proprio destino. Il liberty inghiottito quasi interamente dalla folle propaganda del “facciamola ancora più bella” sembra aver trovato infine il proprio posto nella memoria e nella consapevolezza. Un po’ troppo tardi, ma meglio che mai.

La mostra sarà visitabile fino al 30 maggio 2024 dal martedì al domenica. Informazioni sul sito fondazionesantelia.it e sulle pagine fb e Instagram. Acquisto on line disponibile su vivaticket.com

Barbara De Gaetani

Castelbuono, si presenta il libro “Il viaggio più lungo. Piccole-Grandi Italie nella Mitteleuropa” di Teresa Triscari

0

Organizzato da BCsicilia, in collaborazione con la Biblioteca comunale, il Comune di Castelbuono e l’Accademia Valdemone, si presenta sabato 13 gennaio 2024 alle ore 17,00, presso la Sala Padre Lorenzo Marzullo del complesso Badia Via Roma, 74 a Castelbuono, il libro di Teresa Triscari “Il viaggio più lungo. Piccole-Grandi Italie nella Mitteleuropa” Torri del Vento editori. Dopo i saluti istituzionali di Mario Cicero, Sindaco di Castelbuono, e l’introduzione di Giuseppe Rotondo, Presidente BCsicilia di Castelbuono, è prevista la presentazione del volume a cura di Valentina Portera. Letture a cura di Stella Albanese. Sarà presente l’autrice. Conclusioni di Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale BCsicilia.

Un libro che prende le mosse dal vissuto: memoria di luoghi, paesaggi, persone, tradizioni, stili di vita, mutamenti storici. Riflessioni su momenti complessi e coinvolgenti, sulla Storia che cambia. Narrazioni dell’essere prima di tutto viaggiatori dell’anima. Considerazioni sulle stagioni della cultura contemporanea, delle trasformazioni politiche che avvengono sotto i nostri occhi quasi senza accorgercene, dei tanti drammi che ci circondano. Compresenza di presente e passato; epifania dell’attimo; ritorno in sé stessi e nei luoghi dove hai vissuto e convissuto. Trasmigrazioni in altri contesti e in altre sensibilità.

Un itinerario fra romanzo e saggio che racconta cultura e culture, retaggi di italianità rimasti in vari Paesi della Mitteleuropa; un percorso di vita che diventa ben presto una forma di gratitudine nei confronti di quei luoghi che hanno dato all’autrice una lezione di umiltà e le hanno permesso di immergere tutto il suo essere nella cultura dei luoghi dove ha vissuto. Un girovagare sull’Atlante della Vecchia e della Nuova Europa; un labirinto interno di pensiero; una spirale di emozioni; un vortice di sogni non sognati.

Uno sguardo a Donne di potere e di sapere – da Bona Sforza a Beatrice di Napoli – che, in periodo rinascimentale, hanno avuto il coraggio di gettare il seme del cambiamento in vari Paesi europei dando impulso alla formazione di tante Piccole-Grandi Italie in terre lontane ma sempre vicine e complici. Un seme che, oggi, è stato raccolto da Donne che hanno sfidato e rischiato molto di più: dal Premio Nobel Herta Müller, alla poetessa Ana Blandiana, alla cantante Marta Kubišová, alle mille donne ucraine che fuggono dalla guerra con i loro bambini: tutta una filigrana di linguaggi e di tessiture politiche. Uno sguardo ad un passato che ci riporta al presente: l’europeismo e il femminismo dell’italiana Bona Sforza in periodo rinascimentale; l’europeismo e il mecenatismo del re polacco (italiano nell’anima) Augusto Stanislao Poniatowski nel secolo dei Lumi.

Un volo su Odessa, città italiana al massimo, oggi vittima di eventi che ci attanagliano l’animo. Un romanzo-saggio, uno snodarsi di storie vissute con la consapevolezza, da parte dell’autrice, di essere stata fortunata protagonista di una irripetibile pagina di Storia.

Teresa Triscari, studi classici, autrice di saggi, racconti, poesie, narrazioni autobiografiche. È stata Direttore di Istituti Italiani di Cultura all’estero nell’area dell’Europa Centro Orientale. Ha collaborato con Rai Educational, con Rai Cultura e con il Primo Canale della TV Slovacca. È membro della Giuria del Premio Letterario Elsa Morante. Attualmente interviene su varie riviste culturali pubblicando saggi di critica d’arte e critica letteraria. Tiene seminari e conferenze di letteratura comparata presso le Università Italiane e polacche.

Pubblicazioni recenti: ‟C’era una volta … e c’è ancora” (Casa editrice Tracce di Pescara 2018); ‟La Sicilia tra Storie e Miti – La grande koinè mediterranea” (Torri del Vento ed., Palermo, 2019­); ‟Il Moscone e altri racconti” (Medinova editore, 2020). Vive e opera tra Roma e Cefalù.

 

Cambia lo scenario politico ad Isnello: la consigliera Culotta lascia la minoranza e nasce il “Gruppo Misto”

1

L’anno nuovo porta novità in consiglio comunale ad Isnello.

Nel Consiglio Comunale dello scorso 28 Dicembre 2023, infatti, la giovane consigliera Irene Culotta, ha lasciato il Gruppo di minoranza “Fare Comunità” formalizzando così la propria indipendenza andando di fatto a costituire il Gruppo Misto. Cambia dunque lo scenario politico nel borgo madonita, che adesso si ritrova con tre gruppi consiliari.

“La decisione – dichiara la Consigiera Culotta – è la conseguenza di divergenze di metodo ed autonomia di pensiero con il gruppo di minoranza. Continuerò – prosegue – a lavorare per il bene comune, nella speranza che da sani e responsabili dibattiti si arrivi sempre alla crescita della Comunità ed a giovamenti per i cittadini tutti”.

La manovra porterà cambiamenti anche nella maggioranza guidata dal sindaco Marcello Catanzaro, adesso ancora più solida, in quanto subentra Alessandra Crapa alla consigliera Anna Scalzo la quale, per motivi personali, ha lasciato il Consilgio e anche la giunta in cui ricopriva il ruolo di Assessore alle Politiche Sociali, Sportive ed Istruzione.

Sentimenti di gratitudine e soddisfazione sono stati espressi dal primo cittadino che ha così dichiarato: “Voglio ringraziare per l’impegno profuso in questi anni Anna Scalzo e auguro alla neo Consigliera, Alessandra Crapa, un buon lavoro. Sono – prosegue Catanzaro – inoltre fiducioso che, finalmente, si possa intraprendere un percorso di confronto ma anche di dialogo allargato, che vada oltre i confini della maggioranza. Percorso che finora è stato impossibile praticare”.

 

 

Donne guaritrici: le pratiche terapeutiche femminili

Le pratiche mediche popolari hanno da sempre avuto – e continuano ad avere – una certa importanza, non solo nelle zone rurali, ma anche realtà urbane, magari non quelle metropolitane, ma in quelle di dimensioni più piccole e più umane.

La continuità nel loro uso è indipendente persino dal contesto storico. Infatti, esse continuano – a fronte dei risultati della medicina scientifica moderna – ad essere utilizzate, con buona pace dei loro detrattori.

Esse infatti sono sostanzialmente immutabili, stabili, in quanto ciascuna di esse mantiene il proprio rapporto non con una dimensione evolutiva della storia, bensì con una dimensione conservativa. Sono stabili, sono imperfette e non perfettibili.

Possiamo stare a lungo a discutere sulla validità medica obiettiva di queste pratiche, ma sarebbe un dialogo fra sordi. Esse esistono e vengono ancora usate. Tutto il resto è esercizio d’opinione.

Stabilito questo punto di vista, si pone una domanda fondamentale: in una cultura, o sotto-cultura, tradizionale, chi è il terapeuta? Insomma, chi ha il potere di guarire l’altro? Domanda non da poco.

Siamo abituati, in un mondo sempre più globalizzato, ad attribuire poteri di guarigione alla figura del medico, e all’apparato tecnologico e scientifico che ne sostiene le attività di diagnosi e di terapia.

Ma in un mondo tradizionale ed al contempo globalizzato, è interessante tentare di comprendere in prima istanza a chi viene attribuito il potere di curare e di guarire.

Vale una regola paradigmatica: nella medicina popolare il medico è maschio, la guaritrice è femmina. Si nota una predominanza assoluta di genere: il potere di diagnosticare e di guarire è deputato alla donna, che peraltro detiene anche il misterioso, occulto potere di tramandare le sue capacità taumaturgiche, e di conoscere i segreti meccanismi che regolano la salute e la malattia secondo l’ottica tradizionale e solo per via matrilineare, da femmina a femmina.

In realtà nessuno sa perché esattamente ciò avvenga, ma empiricamente rileviamo che ciò avviene. Possiamo allora cercare di capire meglio le motivazioni culturali di questo gravoso compito affidato alla donna, tentando una incursione rapida e prudente nei mondi in parte ancora incerti del genere.

Di certo, questa osservazione è abbastanza insolita. Se infatti dovessimo considerare esplicitamente problemi come l’ideologia dominante, le relazioni di potere e le modalità di controllo sociale, questa situazione appare non convincente.

Non è novità per alcuno che la condizione femminile nelle culture tradizionali è decisamente subalterna.

Durante i miei anni di lavoro come psichiatra in un centro della Alte Madonie, mi resi conto di una condizione di subalternità femminile assoluta.

Disoccupazione estrema, mancanza di opportunità sociali, lavoro durissimo nelle campagne, condizione di assoluta inferiorità sociale e culturale caratterizzavano un universo femminile sofferente. Le relazioni maschio-femmina si esprimevano con violenta discriminazione, e di certo da ogni punto di vista la popolazione femminile appariva con un tasso di disagio sociale e psicologico straordinariamente alto (i dati epidemiologici ai quali mi riferisco sono tutti ampiamente documentati).

E’ un dato di fatto che nelle culture tradizionali la donna ha funzioni maschili che si associano a quelle femminili, nessun grado di gratificazione sociale, persino nessun grado di emancipazione sessuale (è ovvio che mi riferisco a donne della sub-cultura tradizionale in oggetto: non vorrei indurre a facili generalizzazioni). Eppure, giusto in questo culture, la donna ha il potere della cura, che, se ci pensiamo, è un potere enorme. A ben pensarci, si tratta di una tradizione antica, che – a parità di condizioni culturali – è trasversale.

In base alle mie ricerche, ho trovato condizioni simili non solo in altre zone della Sicilia, ma anche, trans-culturalmente, in altre regioni, in Calabria, in Lazio, in Piemonte, in Emilia. Sembrerebbe che giusto laddove la condizione della donna è apparentemente subordinata, a lei è deputato il potere della guarigione.

Genere e ruolo terapeutico: una lettura simbolica

Ma torniamo alla domanda dalla quale abbiamo preso le mosse: perché la donna in condizioni di subordinazione sociale assoluta, è la guaritrice? Che sappia cirmari, ‘livari u scanto’, estinguere i vermi, essere un’aggiustaossa, una esperta di erboristeria, una donna che impone le mani, ma anche una fattucchiera, una strega, una ostetrica tradizionale (di quelle che assistevano i parti più difficili, ma anche che procuravano aborti con decotto di prezzemolo o con i ‘busi’, i ferri per lavorare la lana), che sia una saggia anziana o una metaforica “vecchia dell’aceto”, la donna è lì, presente, attenta, competente. Ancora: perché?

Credo che per rispondere a questa domanda dovremmo considerare ancora una volta il contesto culturale. Consideriamo per esempio il fatto che la donna è depositaria di un sapere antico, trasversale. Anni di sottomissione sociale (tuttora presente), hanno creato modalità di espressione trasversale, una cultura, cioè, arcaica e parallela, in Marocco come nelle tribù pellerossa, in Sicilia come in Cina.

Una cultura cioè che nasce e che si alimenta di un potere quasi biologico, in qualche modo la autorizza: la donna ha potere di riprodursi. E’ soggetto/oggetto di un miracolo, che è quello della procreazione. Questo è un potere che nessuno potrà mai togliere od eliminare, ed è l’unica cosa che contraddistingue il genere, lo rende forte e immutabile. “La donna può far questo, l’uomo no”. Ma il potere di dare la vita, è potere anche di gestire la vita, in una sorta, permettetemi l’estrapolazione ardita, di legge della conservazione dell’energia.

Un secondo fattore è sempre sessuale, cioè l’esistenza di una ciclicità lunare (il ciclo mestruale) considerato da sempre, anche ora, manifestazione di un potere di veneficio. Ma chi possiede veleno, e con esso convive, è in grado di assorbirlo, in una sorta di mitridatismo naturale. Io che riesco a gestire il mio veleno, sono in grado di assorbire il tuo, non mi farà male. Non a caso tuttora, esiste una cultura delle mestruazioni, anche laddove l’inculturazione ha lasciato i suoi effetti.

Una mia amica, psicologa, mi raccontava tempo fa un episodio divertente. Una sua amica, una ragazza che aveva compiuto studi superiori, aveva appena partorito. Apparteneva però ad un contesto culturale molto legato a tradizioni locali. Sapendolo, la mia amica le chiese se potesse venire a trovarla, avvertendola del fatto che aveva le mestruazioni. L’amica le rispose in modo molto rassicurante. ‘Non ti preoccupare, vieni pure’. Ma dopo un attimo di pausa aggiunse: “Magari per questa volta non toccarlo il bambino…”. L’aneddoto la dice lunga sulla sopravvivenza di componenti culturali fortissime. Ma la ‘mestrualità’ si associa alla lunarità, e quindi alla possibilità di mediazioni arcane, di forme di creatività non possedute dal maschio, di conoscenza dei cicli della natura e del modo di comporli e scomporli, come in un puzzle universale che è regolato da chiavi di volta misteriose e consapevoli.

Un terzo fattore vorrei evidenziare. Ed è la sofferenza individuale soggettiva che si fa strumento di potere terapeutico. E’ attraverso questa sofferenza personale, che è anche sociale e culturale, che la donna della cultura tradizionale si fa interprete ed artefice del potere. E’ questo suo doloroso training che priva la ‘donna terapeuta’ delle proprie valenze narcisistiche, la mette in comunicazione con la sua sofferenza interna, e la rende capace di rendersi disponibile verso l’altrui sofferenza.

Una guaritrice, tanti anni fa, mi raccontò la sua storia personale. Mi disse delle infinite sofferenze che aveva passato, e, in un dialetto siciliano talmente pesante da essere quasi incomprensibile, mi confessò: “Stiedi tanto male, che piansi sangue dagli occhi”. Non era una metafora. Si riferiva proprio al fatto di avere pianto sangue. Dopo questo periodo di sofferenza indicibile acquisì il potere di guarire e di vedere “oltre”.

Chiediamoci pure, nelle culture tradizionali, chi più della donna possa avere la capacità di esperire ed elaborare la sofferenza, e di renderla strumento di terapia…

Mi è capitato di notare un legame strettissimo fra la naturale predisposizione alla guarigione delle donne, e il tema del sangue. Il suo valore mistico, simbolico, trans-culturale non credo che sfugga ad alcuno. La donna è in familiarità col sangue. Ma il sangue è contemporaneamente elemento di dolore ed elemento di vita. Il sangue è, anzi, simbolicamente e biologicamente, l’essenza stessa della vita, e chi col proprio sangue ha consuetudine, è evidentemente in grado di incentivare la vita.

La donna, nelle culture tradizionali, attraversa riti di passaggio sanguinosi: ha il menarca, che la mette in contatto, per la prima volta, col proprio sangue interno, con la propria essenza vitale. Si confronta col sangue al momento del primo rapporto sessuale. E partorisce col sangue.

La differenza sostanziale tra uomo e donna risiede nella maternità, non solo in senso biologico, ma anche con riferimento al significato che a questa è stato dato a differenti livelli: sociale, culturale, psichico, simbolico.

Tutti gli uomini provengono da un corpo di donna, dal quale devono separare per potersi differenziare, per diventare uomini. Esiste insomma la paura verso la donna, così diversa, insieme all’invidia della potenza della maternità.

Nel corpo della donna è l’Origine, l’oggetto del desiderio, l’angoscia di separazione. La donna è Madre, e nell’esserlo è onnipotente, manifesta una superiorità incoercibile nei confronti del sesso maschile, così fragile, così debole. Forse, anzi, è proprio per superare questa paura e questa invidia che l’uomo ha inventato la discriminazione tra i sessi.

Per quanto riguarda, invece il rapporto con il ciclo mestruale, la donna, per tutta la durata della sua vita fertile, avrà una volta al mese questo rapporto col sangue/veleno che sgorga dal suo corpo, in un mistico riappropriarsi della purificazione.

Una guaritrice mi disse una volta: “ Io funziono meglio dopo le mestruazioni, dopo che le mie parti cattive sono uscite da me sono in grado di fare cose straordinarie”.

Il sangue è vita, e chi manipola sul proprio corpo il sangue, ha la capacità mistica di agire sulla vita. Sofferenza individuale, e mistica del sangue sembrano i requisiti culturali fondamentali che fanno della donna la guaritrice ideale. Non è un caso che in tutti i riti delle culture tradizionali il sangue ha un peso fondamentale. Gli Aztechi si ingraziavano col sangue i loro Dei, per evitare il tracollo del mondo. E in molte culture tradizionali africane momenti tribali rituali vengono mediati dall’uso dell’ematite, un minerale del colore del sangue che mima, per così dire, il tributo dovuto alle divinità della tribù. E gli esempi potrebbero continuare.

Sangue e sofferenza quindi, ma un sangue ed una sofferenza che escono dal circuito del luogo comune, e che sembrano diventati strumenti di una identità di genere nel caso delle femmine che guariscono.

Diciamolo così: la donna diventa guaritrice attraverso una sorta di autoanalisi culturale, attraverso riti di sangue che ha imparato a gestire nel corso di secoli di aggressione. E’ questo sangue che attraversa, silenzioso rigagnolo, le foreste dei simboli, dei sogni, delle rappresentazioni fantasmatiche che sono sempre sottese alla nostra cultura occidentale, sempre più anonima e globalizzata. E’ in questa cultura che il femminile ha consapevolezza di se, e del proprio potere terapeutico.

Forse potremmo anche chiederci se, e in che misura, l’evoluzione sociale, la globalizzazione possano modificare questo assetto. Ma è una domanda la cui risposta lascio a chi ascolta.

Mi limito solo a suggerire la suggestiva visione della psicoanalista junghiana Clarissa Pinkola Estés:

“Nel tempo, abbiamo visto saccheggiare, respingere, sovraccaricare la natura istintiva della donna. Per lunghi periodi è stata devastata, come la fauna e i territori selvaggi”. E continua: “ la donna staccata dalla sua fonte essenziale, risulta sterilizzata, e i suoi istinti e i suoi cicli di vita naturali di vita vanno perduti, soggiogati dalla cultura, o dall’intelletto o dall’io, propri o altrui”.

La donna guaritrice è allora a rischio di estinzione? Non lo so. Se ciò accadesse, però,  perderemmo, io credo, un elemento fondamentale della nostra civiltà e della nostra cultura, un potere enorme insito nella nostra specie. Frequento da anni, e conosco guaritrici creative, lunari, sensibili e straordinariamente affettive. Penso, provocatoriamente, che  la cultura della globalizzazione, del progressivo adeguamento del femminile a ruoli maschili rischia di cancellare questo incredibile patrimonio. Credo che non debba accadere, perché ciò significherebbe devastare un patrimonio arcaico, gli elementi essenziali stessi della cultura umana che fu resa possibile, forse in massima misura, dalla donna. E ricordando questo, mi piace concludere queste riflessioni riadattando – non del tutto arbitrariamente – un verso di Pablo Neruda, tratto dal suo Canto General do Chile, e dicendo allora che la donna “fu terra, vaso, palpebra/di fango tremulo, forma d’argilla/…/Tenera e sanguinaria fu, ma sull’impugnatura/ della sua arma di cristallo inumidito,/ le iniziali della Terra erano/ scritte”.

Giovanni Iannuzzo

Dal 21 al 28 gennaio a Siracusa il Congresso mondiale delle Guide turistiche

0

Si svolgerà dal 21 al 28 gennaio l’edizione 2024 del Congresso Mondiale delle Guide Turistiche. La città ospitante sarà Siracusa, una delle destinazioni turistiche più note e senza dubbio fra quelle interessate dal maggiore incremento di flussi di visitatori del mondo intero, che ha sbaragliato la concorrenza di competitors come Istanbul.

I professionisti dell’accoglienza e della divulgazione culturale si incontreranno per confrontarsi e cercare di dare risposte ma anche di determinare una comune linea d’azione di fronte alle problematiche vecchie e nuove che il ruolo delle guide pone alla luce delle esigenze del mercato nelle attuali congiunture politiche, economiche e non ultimo ecologiche. Un tema, quello della salvaguardia dell’ambiente e dei fragili ecosistemi, da sempre caro alle guide che con esso intendono tutelare il futuro non solo della professione e della possibilità di spostarsi in contesti sicuri e caratterizzati da fenomeni sufficientemente prevedibili, ma anche della stessa generazione che si appresta ad abitare il pianeta nel breve e medio termine.

Certamente la delegazione italiana avrà di che discutere e dedicherà una parte del tempo al confronto sulla recentissima Legge 190 approvata lo scorso 23 dicembre 2023. Da tempo attesa la Legge 190 regola e di fatto rinnova piuttosto profondamente il quadro normativo inerente la professione di guida turistica di fatto suscitando diverse perplessità sia per quanto concerne le modalità di accesso alla professione, sia per quanto concerne la salvaguardia della professionalità nonché taluni adempimenti introdotti dalla nuova legge.

Sono attese per l’evento parecchie centinaia di guide provenienti da ogni parte del mondo. A corredo dei lavori congressuali, che si terranno all’interno del teatro comunale, si svolgerà un ricco ventaglio di attività, sia mondane sia di scoperta e di approfondimento culturale. Sarà un’occasione per mostrare le ricchezze architettoniche e paesaggistiche ma anche i valori e sapori tradizionali ad un pubblico che forse più di ogni altro può rappresentare un volano per l’incremento turistico in termini di presenze e dunque un eccezionale opportunità di crescita economica per la Sicilia tutta.

L’organizzazione del congresso è affidata all’agenzia Symposia, con sede a Roma, che coordinerà le risorse locali, guide ed attività ricettive siracusane in primis, attivate per quello che si preannuncia uno degli eventi turistici più importanti dell’anno appena iniziato.

Barbara De Gaetani

Oricalco e suggestioni metastoriche atlantidee a margine della Via della Thòlos

Chiudiamo per ora questi spunti del nostro discorso sul rapporto fra mito e realtà a proposito delle “favolose narrazioni atlantidee” di Platone (circa 428-348 a. C.). Cercandone qualche significato “metastorico” a margine sulla Via della Thòlos”, provo a riassumere quello che scrive sulla struttura urbana della sua città-capitale nel Crizia: l’isola di Atlantide, posta dopo le Colonne d’Ercole in provenienza dalla Grecia, ha forma allungata e nel mezzo, presso il mare, in una feconda pianura a circa 50 stadi (m. 8.880 equivalenti) si trova un basso monte sul quale Poseidone fondò la città fortificata in forma circolare, ponendovi alternate tre cinte di mare e due di terra ad “uguale distanza per ogni parte”. La natura dell’isola è fertilissima con abbondanza di minerali e metalli, fra i quali cita il misterioso Oricalco che “ora solo si nomina … il più prezioso dopo l’oro”. Descrive poi gli impianti e le strutture urbane, dandone perfino le misure di dettaglio. Per quello che ci riguarda in questa sede, la successione delle mura, dalle cinte esterne dei canali a quella dell’isola centrale, tutte con torri e ponti di pietra “alcune bianche, altre nere, altre rosse” riguardo ai materiali usati per costruirle e rivestirle è questa: di pietra, di rame, di stagno, di oricalco, oltre la muraglia aurea dell’acropoli con la Reggia ed il Tempio sacro a Clito e Poseidone. L’impianto urbanistico schematico della Capitale di Atlantide è il seguente:

Visione d’insieme della capitale di Atlantide nella descrizione che ne fa Platone nel Crizia. Fonte: web

Prima di ritrovarci con un appiglio di realtà archeologica concreta, conviene fermarsi per riprendere fiato e per riflettere meglio su “quello che c’è attorno a noi”, che troppo spesso rubrichiamo sotto la dicitura “mito” ed invece è realtà, da vedere con altri occhi.

Bene, la notizia è questa: quel misterioso Oricalco di Atlantide, di cui si sono fatte beffe i critici “scientifici” di Platone non solo esiste ma è visitabile al Museo Archeologico di Gela.

Sono ottanta i lingotti di Oricalco scoperti nel 2014 da un sub volontario, Francesco Cassarino, nel mare di contrada Bulala a est del petrolchimico di Gela.

Nello stupore incredulo degli addetti-ai-lavori lo scopritore ne diede immediatamente notizia alla Soprintendenza del Mare, allora diretta da Sebastiano Tusa, che si occupò del suo recupero.

Il ritrovamento di un numero così elevato di lingotti di oricalco, la cui origine viene fatta risalire al VI secolo a.C., costituisce un unicum in tutto il Mediterraneo. Il collegamento dei lingotti di Oricalco di Gela con il mito di Atlantide, ha indotto ad effettuare indagini chimico fisiche sempre più approfondite e all’avanguardia.

Queste analisi, sono state eseguite presso diversi laboratori in Italia e all’estero. Bisogna dunque andare al Museo Archeologico Regionale di Gela, dove si è tenuta nel 2022 una importante mostra su “Ulisse in Sicilia”, con il prezioso reperto della “Nave di Gela” esposto, per “scoprire” che la narrazione di Platone sulla struttura urbana della favolosa e perduta Capitale di Atlantide contiene elementi possibili di verità storica, come la lega metallica di Oricalco in esposizione. Assieme ad altri reperti questi lingotti provengono proprio dal carico di quel relitto navale naufragato attorno al VI sec. a.C.

Veniva o andavano “ad Atlantide” prima della catastrofe marittima nel Canale di Sicilia, in areale della nostra antica  Chora di Kamikos prossimo alle foci del Platani e del Salso?

I lingotti di Oricalco ed il relitto della Nave di Gela esposti alla Mostra del 2022 su “Ulisse in Sicilia”

Sembra incredibile ma è così, verificabile dal vero e di persona. Siamo pertanto gli unici al mondo a possedere, oltre il relitto navale, questi panetti di preziosissimo oricalco ma la notizia stenta a trovare la giusta collocazione mediatica di primissimo piano. A noi serviva per accreditare un altro elemento di “certezza del mito”, sulla Via della Thòlos e ne stiamo parlando (1).

Ne abbiamo scritto in un articolo il 17.10.2022 su questo giornale online Esperonews: La Sicilia possiede “l’Oro di Atlantide” ma non lo sa “vendere” al mondo https://www.esperonews.it/2022101716614/categoria-g-z/sicilia/la-sicilia-possiede-loro-di-atlantide-ma-non-lo-sa-vendere-al-mondo.html

Carmelo Montagna

Palermo Felicissima: l’età dell’oro dei Florio in un percorso multimediale a Palazzo Bonocore

Uno spazio museale dedicato alla storia della città è stato più volte auspicato ma non ancora realizzato a Palermo, e difficilmente potrà essere accolto in un’unica sede data la vastità dell’arco temporale e l’importanza delle testimonianze che concorrono a rappresentarlo, a meno di non sfruttare l’opportunità offerta dal ricorso alle nuove tecnologie di limitare gli spazi senza rinunciare alla completezza.

La mostra Palermo Felicissima può considerarsi un capitolo d’esordio nel progetto di raccontare i quasi tre millenni di vita della città, non il primo in un ordine cronologico ma sicuramente uno dei più interessanti e senza dubbio quello attualmente più popolare grazie al recente successo di opere letterarie e produzioni televisive.

Ospitata nelle sale del neoclassico palazzo Bonocore grazie ad una convenzione tra Coopculture e la Curia Arcivescovile, affidataria della struttura, Palermo Felicissima ripercorre quella stagione a cavallo fra Otto e Novecento in cui Palermo diventa città moderna e florida di pari passo con le vicende di un gruppo di imprenditori sufficientemente audaci fra cui spiccano i commercianti, prima, e poi industriali: i Florio.

Il risveglio di interesse per questo felice periodo della storia palermitana e siciliana è iniziato già da alcuni anni ed ha prodotto un gran numero di iniziative che hanno seguito la pubblicazione dei due volumi scritti da Stefania Auci in seguito sceneggiati dalla stessa autrice per la messa in onda della serie televisiva. Anche in questi giorni, in aggiunta ai tour tematici e ai programmi di divulgazione proliferano le mostre che si concentrano su quel periodo eccezionale.

La mostra di palazzo Bonocore non si limita agli aspetti culturali ma li integra in un percorso che punta a restituire il quadro della società di fine 800 nella sua interezza. Un tale obiettivo può essere raggiunto grazie alla qualità particolare dell’esposizione che si avvale di pannelli multimediali e di contenuti video.

Il progetto lascia in realtà grande autonomia di scoperta e libertà di scelta fra le tante angolazioni possibili, da quella della nuova estetica art nouveau, a quelle dell’innovazione tecnologica, dell’urbanistica, delle circostanze politiche ed economiche, delle storie imprenditoriali ma anche umane, alcune meno note. Il visitatore non ha che da farsi guidare dalla propria curiosità e può accedere unicamente alle informazioni che sceglie di visualizzare, attraverso dispositivi di uso facile ed intuitivo.

Una menzione speciale merita la bellissima animazione in cui è la città stessa a narrare una pagina della propria vita, con disegni davvero accurati e testi coinvolgenti, mai noiosi anche per chi conosce meglio quegli avvenimenti.

Una mostra per tutti, prodiga di esperienze e capace di delucidare gli aspetti meno risaputi.

La storia può diventare più avvincente se assorbita a piccole dosi e sedimentata, e magari approfondita altrove per essere re-indagata a più riprese.

Tra le magnifiche sale con vista sulle sculture di piazza Pretoria è possibile, tra un esperienza di realtà aumentata e un’altra, sedersi nel Coffee House allestito con i prodotti della ditta Morettino e gustare l’aroma di ottime miscele.

E se la cognizione di tanto splendore ci ispira un po’ di rimpianto d’altra parte suggerisce la consapevolezza delle potenzialità della nostra già felicissima città.

Barbara De Gaetani

Giornale di Cefalù: lavori completati, in esecuzione e progetti in attesa di finanziamento

0

Lavori già completati, in esecuzione e progetti pronti in attesa di finanziamento: ne parla l’assessore comunale ai lavori pubblici di Cefalù Tania Culotta (nella foto). Luigi Occhipinti, ora le pirografie… in cielo: intervista a Rosalba Gallà. Club Alpino, tesseramento e programma 2024: il commento del Presidente Caterina Provenza.
Il Giornale di Cefalù – n. 1776 anno 41 – videonotiziario – web diretto e condotto da Carlo Antonio Biondo; da giovedì 4 gennaio 2024 può essere seguito, visto e rivisto su facebook adrianocammarata e sul canale you tube Carlo Antonio Biondo (https://youtu.be/f4GpSwA6QLI). Archivio Giornale su cammarataweb; link su tutti i social.

Castellana Sicula, arrestato 65enne per furto in abitazione

0

I Carabinieri della Stazione di Castellana Sicula hanno arrestato un 65enne, della zona, già noto alle forze dell’ordine, con l’accusa di furto in abitazione. L’uomo si è introdotto all’interno di una casa in una zona rurale di Castellana, gli occupanti, insospettiti dai rumori, hanno subito chiamato il numero unico di emergenza 112, segnalando che dentro la loro abitazione si era introdotto uno sconosciuto. Il tempestivo intervento di una pattuglia dei Carabinieri, che era impegnata in un servizio di controllo del territorio, ha consentito di rintracciare il 65enne che si stava allontanando per le campagne con la refurtiva. L’arresto è stato convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Termini Imerese. Il maltolto è stato restituito al proprietario.