Tre mostre, un’unica sede: la ricca proposta culturale della Fondazione Sicilia per la primavera

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Allestita nella sede di Villa Zito, sarà visitabile fino al prossimo 19 maggio la mostra Le estasi di Santa Rosalia, a cura di Maria Concetta Di Natale, con il coordinamento tecnico scientifico di Sergio Intorre e la direzione artistica di Laura Barreca.

Grazie alla collaborazione con il Museo del Prado e la Real Academia de bellas artes di San Fernando, l’Arcidiocesi di Malta, la Fondazione Federico II e il Museo Diocesano di Palermo, la mostra riunisce per la prima volta immagini della santa vergine palermitana Rosalia dipinte da Anton Van Dyck, Mattia Preti, Pietro Novelli e Luca Giordano (e da altri artisti dei relativi ambiti).

Insieme ai dipinti anche alcuni preziosi elementi custoditi nella Biblioteca della Fondazione Sicilia e fatti oggetto di nuove indagini proprio con l’ occasione della mostra: fra questi una rara raccolta di incisioni datate 1629 e realizzate dai fiamminghi Philip de Mallery e Cornelis Galle su disegni proprio di Anton Van Dyck, e la raccolta di preghiere dedicate a Santa Rosalia dal padre Gesuita Domenico Stanislao Alberti: l’esemplare esposto, in tre volumi, rappresenta il terzo conosciuto al mondo oltre quelli di Oxford e Oldenburg.

Grazie ad una accurata informazione sinottica è possibile ripercorrere con rigore scientifico la storia dell’iconografia e in parallelo l’evoluzione del culto di Rosalia. Al contempo, dati la provenienza e il prestigio delle opere, la visita equivale ad un viaggio, ricco di curiosità e di particolari inediti  in luoghi più o meno lontani da Palermo: da Anversa, a Napoli, a Genova, a Madrid e persino Porto Rico, che proprio grazie ai questi maestri della pittura barocca hanno conosciuto la vicenda della vergine romita e le tributano ancora oggi una profonda devozione.

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In una altra ala del medesimo piano è invece visitabile fino al 26 maggio una mostra di recentissima apertura a cura di Cristina Costanzo dal titolo Ettore De Maria  Bergler e la ricerca della modernità con la quale anche la Fondazione Sicilia si adegua al rinnovato interesse per il gusto Liberty e l’epopea dei Florio.

Taccuini e bozzetti (quelli per le sale di Villa Igiea e per il transatlantico Giulio Cesare), una palette di tempere, una piccola tavolozza con pennelli, lettere dall’archivio dell’Associazione Artistica Culturale Ettore de Maria Bergler e naturalmente le tante opere pittoriche provenienti da collezioni private forniscono gli elementi con i quali approfondire la conoscenza di questo poliedrico protagonista del periodo a cavallo fra otto e novecento.

Presente nei principali cantieri pubblici e autore prediletto dalla committenza privata, borghese ed aristocratica, De Maria ottenne unanime consenso di critica nelle due più importanti mostre a carattere nazionale fra il 1890 e il 1912. Lo spettatore ne ricava il ritratto di un maestro che non difettava di ironia come si può intuire dalla sgangherata ‘carovana di artisti’ al seguito dell’eroe dei due mondi, firmata con lo pseudonimo di Don Tereto De Riama (insieme a Paolo Vetri anche lui celato dall’anagramma del suo nome): Il generale, cavalca, di rosso ammantato, il dorso di un asino condotto da figure di varia provenienza,  e così traduce la strana processione che lo segue nel deserto senza punti di riferimento culturale che la società contemporanea sembra essere diventata.

Legato ai Florio, al Basile, ai Ducrot, il “pittore gentiluomo” ritrae soprattutto scorci e monumenti siciliani come apparivano oltre un secolo fa, nella luce di un sole africano, sulle foci di corsi d’acqua oggi profondamente trasformati, e insieme a quelli  fanciulle del mondo contadino ma anche delle classi sociali emergenti, bellezze siciliane dell’Italia umbertina agghindate con pendants e fazzoletti di seta, i ritratti di titolati e quello (postumo) di Giovanna Florio, nudi di cocottes e nature morte, un mondo fascinoso che sembra emanare l’ultimo profumo di una Sicilia felicissima.

La mostra si completa di due ulteriori sale nelle quali è esposta la donazione Alesi Cuccio Cartaino, acquisita dalla Fondazione Sicilia nel 2008 e ricca di firme d’eccezione quali quelle di Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Pratella, Morelli, Signorini i Leto, Lo Iacono: una bohème tutta italiana che il pubblico può godere in una grande varietà di temi, formati e tecniche.

Una visita decisamente imperdibile per gli appassionati del periodo liberty.

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Infine, sarà ancora visitabile fino alla domenica di Pasqua. la mostra antologica inaugurata lo scorso dicembre ricorrendo il centenario della nascita del pittore Antonio Sanfilippo, che dalla natia Partanna ha guadagnato un ruolo di primo piano sulla scena dell’arte italiana del dopoguerra. A cura di Bruno Corà, la mostra, dal titolo Antonio Sanfilippo Segni, forme, sogni della pittura. Cento anni. è parte di un più ampio progetto di rete, che inizia proprio a Partanna, nella sede espositiva del Castello Grifeo, e comprende oltre a quelli di villa Zito anche gli spazi del villino Scerbi (Partanna) e quelli del Museo Riso di Palermo. Attraverso più di cento opere la mostra presenta in modo completo la figura di Sanfilippo, dai suoi esordi figurativi fino al passaggio a quel neo astrattismo di cui è stato uno dei nomi più rappresentativi insieme a Carla Accardi (che diviene sua moglie nel 1949), Ugo Attardi e Piero Consagra.

Per molti Siciliani probabilmente la scoperta di un conterraneo che ha esercitato una profonda influenza con il segno e quella visione definita dai critici “poetica”, e certo non priva di nostalgia nel ricorrente ritorno ai temi e ai tempi “dell’isola”. Come scoperta può considerarsi, d’altra parte, quella, eccezionale, degli affreschi eseguiti da Sanfilippo nel 1943 nella casa fuori Partanna di proprietà di suoi cugini, il villino della contrada Scerni, appunto: una vicenda affascinante e significativa della non sufficiente conoscenza di una parte cospicua del nostro patrimonio che abbiamo invece il dovere di tutelare e tramandare alle future generazioni.

Barbara De Gaetani