Domenico Scinà, pioniere della geomorfologia siciliana e la frana sismo-indotta di Bolognetta nel 1823

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L’Italia, a causa della sua complessa costituzione geologica, esibisce una elevata pericolosità da eventi gravitativi (frane) indotti da terremoti. Questi severi fenomeni di instabilità cosismica di versante costituiscono uno dei georischi più elevati dell’area mediterranea. Il movimento del suolo generato da un terremoto, favorisce l’instabilità dei versanti incrementando le forze agenti su di essi (cfr. E. Hoek, J. W. Bray, Rock slope engineering, Revised third edition. Institution of Mining and Metallurgy, Taylor and Francis, London 1981, 358 pp.; J. M. Duncan, S. G. Wright, Soil strength and slope stability, J. Willey & Sons, Hoboken, N.Y., 2005, 312 pp.). In generale, maggiore sarà l’energia liberata dal terremoto, più estesa sarà l’area nella quale si potranno manifestare gli eventi sismo-indotti (cfr. D. K. Keefer,  Landslides caused by earthquakes. “Geological Society of America Bulletin”, d’ora in poi “GSAB”, 95, 1984, pp. 406–421). In concomitanza di serie sismiche, inoltre, il ripetuto sovrapporsi degli effetti di scuotimento, produce un indebolimento dei versanti, favorendo ulteriormente l’innescarsi dei cedimenti, anche dopo scosse di un livello molto basso (cfr. G. A. Papadopoulos, A. Plessa, Magnitude–distance relations for earthquake–induced landslides in Greece, “Engineering Geology”, d’ora in poi “EG”, 58, 2000, pp. 377–386). I terreni di copertura, quali coltri di suoli, colluvi o alluvioni, esibiscono una particolare propensione all’instabilità prodotta da eventi sismici.

Molte aree, potenzialmente instabili dal punto di vista degli effetti cosismici, mostrano oggi un’elevata densità di popolazione con un possibile aggravio degli esiti disastrosi delle frane sismo-indotte (cfr. J. D. Bray, T. Travasarou, Simplified procedure for estimating earthquake–induced deviatoric slope displacements, “Journal of Geotechnical and Geoenvironmental Engineering”, ASCE, 133. 4, 2007, pp. 381–392; J. Wasowski, C. Lee, D. Keefer,  Toward the next generation of research on earthquake–induced landslides: Current issues and future challenges, “EG”, 122, 2011, pp. 1–8; V. Del Gaudio, J. Wasowski, Advances and problems in understanding the seismic response of potentially unstable slopes, “EG”, 122, 2011, pp, 73–83). Lo studio degli eventi storici relativi alle frane indotte dai terremoti riveste notevole interesse nel novero della ricostruzione della storia sismica di una regione, soprattutto in seno ad indagini di valutazione della  pericolosità e del rischio  geologico–geomorfico e sismico (cfr. D. K. Keefer, Landslides caused by earthquakes…cit.; R. W. Jibson, Use of landslides for paleoseismic analysis, “EG”, 43, 1996, pp. 291–323; Idem, Paleoseismology and landslides, in M. Beer, I. A. Kougioumtzoglou, E. Patelli, S.–K. Au, Editors, “Encyclopedia of earthquake engineering”, Springer, Heidelberg 2014, pp. 1–20).

Nel tardo pomeriggio del 5 Marzo 1823, il settore settentrionale della Sicilia, tra Messina e Palermo, fu interessato da un evento sismico (massima intensità macrosismica secondo la scala Mercalli–Cancani–Sieberg Imax: 8–9 MCS, intensità epicentrale macrosismica Io: 8, magnitudo Mw: 5.81 ± 0.13, cfr. https://emidius.mi.ingv.it/ASMI/event/18230305_1637_000).

Il sisma fu preceduto da alcuni precursori di intensità molto minore, a metà del precedente mese di Febbraio e nel primo pomeriggio del medesimo giorno. Una sequela di repliche (aftershock) seguirono il primo evento, protraendosi per diversi mesi, con notevoli impatti psicologici nella popolazione che viveva in un vero e proprio stato di allerta.

L’area maggiormente colpita dal sisma comprendeva il versante tirrenico messinese e, in particolare, il settore tra Capo d’Orlando e Capo Calavà, attorno ai centri abitati di Patti (con severi danni alle strutture portanti della cattedrale e del palazzo vescovile) e di Naso. Quest’ultimo, fu quello che subì i maggiori effetti macrosismici, esibendo un vero e proprio picco nei danni al tessuto urbano, già fortemente provato dal sisma del 1786, tanto che fu paventato l’abbandono del sito ed il trasferimento della popolazione nel fondovalle, non attuato a causa dell’elevato costo complessivo dell’operazione (cfr. S. Van Riel, Documenti e analisi per la storia sismica di Naso in F. Farneti, a cura di, Naso, terra grande, ricca ed antica, Tessuto urbano e architettura dal Cinquecento al Novecento, Alinea, Firenze 2012, pp. 85–190, in particolare, pp. 119–140). I due eventi precursori, verificatisi nelle prime ore pomeridiane di quello infausto giorno, furono distintamente avvertiti dalla popolazione di Naso e la maggior parte di essa, abbandonate le proprie abitazioni, si era riversata nelle campagne circonvicine, per cui secondo le cronache del tempo vi sarebbero state solo due vittime. Da allora, nella ricorrenza del sisma, a Naso è nata un’apposita processione in ringraziamento per l’intercessione avuta in tali frangenti, dedicata al patrono San Cono.

Nel complesso, il campo macrosismico dell’evento esibisce una marcata elongazione in direzione parallela all’andamento della fascia costiera, particolarmente pronunciata verso occidente.

I centri danneggiati furono circa quaranta, ricadendo in una vasta area compresa tra Palermo e Patti. Numerosi danni si registrarono a Palermo nel centro storico, soprattutto in corrispondenza degli antichi alvei torrentizi del Papireto e del Kemonia, dove si ebbero numerose amplificazioni del movimento del suolo che aumentarono la gravità dei danni (effetti di sito), legate alla presenza nel sottosuolo di litologie particolari, come i depositi alluvionali. Altri danni si ebbero nel suo hinterland, in particolare a Torretta, Monreale, Altofonte  e in diversi centri della provincia quali, Mirto, Godrano,  Ogliastro (oggi Bolognetta), Ciminna, Termini Imerese, Trabia, nonché nelle Madonie (Collesano, Pollina e Lascari, dove si sovrapposero a quelli provocati dai precedenti sismi che avevano interessato questo territorio nel Settembre del 1818 e nel Febbraio del 1819). Tra le fonti a stampa, rivestono particolare interesse le opere redatte da autori coevi all’evento sismico che raccolgono informazioni sugli effetti macrosismici.

Il sisma del 5 Marzo 1823 innescò degli imponenti eventi di frana nel territorio di Ogliastro (S. Maria di Ogliastro), odierno comune di Bolognetta, nel feudo denominato del Bosco (di cui rimane traccia toponomastica), allora quasi spopolato, che interessarono parte del versante nord-occidentale, a valle della lunga cresta arenacea costituita dai rilievi di Pizzo Mangiatoriello (617.9 m s.l.m.), Cozzo Liberto (551.4 m s.l.m.) e Cozzo Pizzillo (530  m s.l.m.), dominante sulla vallata del fiume Milicia, a NE del centro abitato.

Prima di entrare nel dettaglio, relativamente alla frana di Ogliastro, riteniamo doveroso tratteggiare, sia pure a grandi linee, le vicissitudini relative alla nascita e denominazione originaria dell’attuale centro abitato di Bolognetta, nell’antico feudo di Casaca, a sua volta comprendente vari membri feudali, i cui nomi si perpetuano ancor oggi nelle contrade Casachella, Coda di Volpe, Bosco, Pirainazzo e Roccabianca.

Sino all’inizio del Seicento, sul sito dell’attuale comune vi era un fondaco che costituiva un luogo di ristoro e di sosta, soprattutto per vetturali, carrettieri,  mulattieri, con le loro bestie da soma. Questo fondaco era chiamato S. Maria dell’Ogliastro, titolo derivante dalla presenza, sia di una veneranda immagine di Maria SS., sia di piante di oleastro (o olivastro, varietà di olivo selvatico, Olea europaea Linné).

Il 12 Settembre 1600, agli atti del notaio palermitano Arcangiolo Castanìa, Marco Mancino acquistò da Vincenzo (Beccadelli) di Bologna e Mastrantonio Bardi, marchese di Marineo, il feudo Casaca e sue pertinenze, compresa la relativa licentia populandi, che gli conferiva la facoltà di popolare il feudo, erigendovi un nuovo abitato, nonché il mero e misto imperio, cioè il diritto di esercitare il potere civile e criminale, con la clausola di denominare il novello borgo con il cognome dei Bologna (cfr. F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, 10 voll., 1924-41, IV, Scuola Tip. Boccone del Povero, Palermo 1926, p. 421).

L’anno successivo, il Mancino, insofferente alla detta clausola, pensò bene di rivolgersi direttamente all’autorità sovrana, inviando una apposita petizione al re Filippo III di Spagna, II di Sicilia, che si conserva in Spagna nell’Archivo General de Simancas (d’ora in poi AGS). In tale istanza, il Mancino chiedeva una deroga all’obbligo da lui contratto di dover designare l’erigendo abitato «Bulogneta», secondo quanto pattuito con i precedenti proprietari, proponendo invece di mutuare il nome «L’Ogliastro» dalla denominazione della contrada e del luogo scelto, derivante dalla «quantità di multi pedi di ogliastro e che vicino et intorno intorno vi sono» (cfr. M. Vesco, Fondare una città nella Sicilia di età moderna: dinamiche territoriali e tecniche operative, “Mediterranea – ricerche storiche”, anno X, n. 28, Agosto 2013, pp. 275-294, in particolare, p. 283, AGS, Secretarías Provinciales, libro 862, c. 164r).

La detta designazione fu accordata e si mantenne fino a quando Umberto I re d’Italia, con Regio Decreto n. 1169, addì 30 Dicembre 1882, su istanza del consiglio comunale di Santa Maria di Ogliastro, in provincia di Palermo, che aveva deliberato a riguardo il giorno 8 Ottobre 1882, autorizzò il detto comune ad assumere la nuova denominazione di Bolognetta, incominciando dal 1° Febbraio 1883 (cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n. 25, Mercoledì 31 Gennaio 1883, p. 409). Il Mancino, non avendo avuto figli nominò suo erede universale Troiano Parisi figlio di Simone, istituendo un apposito fidecommesso maschile primogeniale agnatizio che imponeva in perpetuo ai successori l’obbligo di assumere il nome, cognome e le armi gentilizie del testatore, distinguendo ogni generazione con un numero ordinale progressivo. Troiano Parisi, pertanto, assunse il nome di Marco Mancino II, e così a seguire nei discendenti maschi.

Per ulteriori approfondimenti sulle vicende storiche di questo comune rimandiamo ai documentati saggi, rispettivamente dell’architetto Rosa Laura Rinella (cfr. R. L. Rinella, Bolognetta, in M. Giuffré, Città nuove di Sicilia. XV-XIX secolo, 2 voll., II, Per una storia dell’architettura e degli insediamenti urbani nell’area occidentale, Vittorietti, Palermo 1979, pp. 71 e segg.) e di Santo Lombino (cfr. S. Lombino, Bolognetta. Quattro secoli di storia, collana L’Isola a Tre Punte, I Buoni Cugini Editori, Palermo 2022, 356 pp.).

Tornando all’evento franoso sismo-indotto, Ignazio Migliaccio Moncada, principe di Malvagna, intendente per la Valle (provincia) di Palermo, a seguito delle notizie allarmanti che giungevano dall’Ogliastro, incaricò l’abate Domenico Scinà di effettuare gli opportuni sopralluoghi e di redigere un’apposita relazione a riguardo.

Il reverendo abate sac. d. Domenico Scinà Romano (Palermo, 1764 o 1765 – ivi, 13 luglio 1837) fu professore di fisica sperimentale nella Regia Università di Palermo, naturalista, letterato, regio storiografo.

Parafrasando una frase dell’amico prof. Pietro Nastasi, profondo studioso della storia delle scienze in Sicilia, Scinà fu veramente un «valente divulgatore della cultura scientifica», tra il secondo Settecento ed il primo Ottocento. Per ulteriori approfondimenti, rimandiamo il lettore alla bibliografia principale su questo studioso: F. Malvica, Domenico Scinà, in V. Linares, A. Linares, a cura di, Biografie e ritratti d’illustri siciliani morti nel cholera l’anno 1837, G. Alleva – P. Pensante, Palermo 1838, pp. 1–35; V. Mortillaro, Su la vita e su le opere dell’abate Domenico Scinà, in Opere, II, Palermo 1844, pp. 127–154; A. Gallo, a cura di, Opere letterarie e scientifiche edite e inedite di Domenico Scinà, Barcellona, Palermo 1847, XXVI+XVIII+228 pp.; P. Nastasi, Domenico Scinà e il dibattito scientifico. Appunti di una ricerca, in G. Liotta, a cura di, I naturalisti e la cultura siciliana dell’800, S.t.ass., Palermo 1987, pp. 93–113; P. Casini, L’empirismo e la vera filosofia: il caso Scinà, “Rivista di filosofia”, 1989, vol. 80, n. 3, pp. 351–365; P. Nastasi, Di Filippo Arena, Domenico Scinà e dell’espulsione dei gesuiti dalla Sicilia, in I. Negrelli, a cura di, La cultura scientifica e i gesuiti nel Settecento in Sicilia,  Palermo 1992, pp. 33–52; Idem, Scinà contestato. Controversie, polemiche e pettegolezzi nella cultura scientifica siciliana dei primi decenni dell’800, in N. De Domenico, A. Garilli, P. Nastasi, a cura di, Scritti offerti a Francesco Renda per il suo settantesimo compleanno, II, Palermo 1994, pp. 941–1029; Idem, L’abate Scinà e i terremoti dell’area madonita e palermitana del 1818–23, in G. Bentivegna, S. Burgio, G. Magnano San Lio, a cura di, Filosofia Scienza Cultura. Studi in onore di Corrado Dollo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 605–632; A, Brigaglia, Scinà, Domenico, in “Dizionario biografico degli italiani”, vol. 91, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2018, ad vocem).

Relativamente alla nascita di Domenico Scinà, ci preme sottolineare che le biografie ottocentesche riportano la data 28 Febbraio 1765, mentre le più recenti quella del 31 Gennaio 1764. Lo Scinà fu una delle vittime illustri dell’epidemia colerosa del 1837. Dopo lunga e metodica ricerca presso l’Archivio di Stato di Palermo, abbiamo rintracciato l’atto di morte dello studioso palermitano. Nell’appendice documentaria, il lettore troverà la trascrizione dell’atto di morte, riportata per la prima volta nella sua interezza (cfr. documento n. 1).

L’abate Scinà, per espletare l’incarico ricevuto dall’intendente Migliaccio Moncada, partito da Palermo, giunse ad Ogliastro  la sera del 12 Marzo 1823. Il giorno successivo, eseguì una dettagliata indagine sul campo, nella quale riscontrò le manifeste evidenze morfologiche provocate dalla frana, avvenuta a seguito del sisma, evidenziando gli eventuali caratteri predisponenti. La relazione finale dello Scinà, in data 14 Marzo 1823, è stata da noi rintracciata nella sua versione ufficiale edita nel Giornale di Palermo, trascritta e riportata integralmente nell’appendice documentaria (cfr. documento n. 3).

L’abate Scinà, come era sua abitudine, descrisse ciò che egli stesso aveva percorso ed osservato ocularmente, attraverso dure e faticose escursioni, perlustrando attentamente varie campagne, discendendo ed ascendendo lungo i crinali, descrivendo poi ogni osservazione con laboriosità, precisione ed eleganza, unite ad uno stringente ordine logico. Questa indagine sul campo, nel quale egli riconobbe e descrisse le principali forme del rilievo generate dal sisma, è una delle varie attestazioni di come, a buon diritto, Domenico Scinà sia da considerare un vero e proprio pioniere della geomorfologia siciliana.

Lo Scinà, tenendo conto dei motivi dell’incarico affidatogli, concentrò la sua attenzione soprattutto nell’individuare l’area danneggiata, ricandente nel «Feudo del Bosco» esteso «di quattro in cinquecento salme», separato a NE (Greco) dal «Feudo della Torretta», tramite un «torrente» (il Vallone Torretta), mentre ad O (Ponente) il fiume Milicia lo divide «dalla popolazione dell’Ogliastro». L’andamento orografico del feudo è così descritto dallo Scinà: «La superficie di quel Feudo del Bosco non è piana ma convessa, e presenta la sembianza di una montagnuola dolcemente inclinata» (oggi Pizzo Mangiatoriello, nella cartografia borbonica: Cozzo Liberto, cfr. “Carta Topografica della regione di Palermo levata dal Reale Officio Topografico di Napoli”, d’ora in poi CToP, 1849-1852, foglio n. 14, “Altavilla Milicia”). Il feudo era allora concesso dai «Marchesi dell’Ogliastro a più particolari a piccole partite» e veniva «coltivato tutto a viti e ad ulivi, o pure a frumento».

L’area danneggiata dall’evento sismo-indotto, secondo Scinà, presentava una «ampiezza di quasi trecento salme». Lo studioso, seguì debitamente sul terreno l’andamento delle principali aree di testata dei corpi franosi, lungo le quali si erano formate delle lunghe e ripide scarpate principali, che avevano esposto parte della coltre di alterazione, associate a crepe più o meno aperte (beanti). Salendo da O ad E, la mulattiera che attraversava il feudo del Bosco, Scinà osservò una crepa trasversale «che tortuosa montava forse per un miglio [miglio siciliano, 1486,6 m] sino ad un punto chiamato il Piano grande». La crepa, dapprima sottile, verso il detto piano raggiungeva la larghezza di «sei palmi» (1,54 m), la profondità di «dodici» (3,09 m), mentre la scarpata principale aveva una altezza di «quattro palmi» (1,03 m). Da detto piano, la fenditura discendeva a NE «in forma curva per due terzi di miglio» (991 m), sino al «Cozzo rosso» (attuale Cozzo del Lupo, costituito da arenarie quarzose), dal quale si dipartivano altre tre crepe. La prima si dirigeva verso NE sino alle terre censite del «Feudo limitrofo della Torretta»; la seconda declinava verso N (Tramontana) lungo il «vallone detto del Lupo» (odierno Vallone del Lupo), e la terza scendeva ad O sino al fiume «dell’Ogliastro» (Milicia). «Nel punto chiamato dell’Ortica [«Ordiche» sulla sponda destra del Vallone delle Mortelle, cfr. CtoP, f. n. 14, “Altavilla Milicia”] la fenditura è larga 22 palmi [5,67 m], e profonda 8, palmi [2,06 m]. Nel luogo di Cozzo Rosso la profondità è di 26 palmi [6,71 m], la larghezza 12 [3,09 m], ed il terreno si trova di un lato per 17 palmi [4,38 m] avvallato. Un albero di Ulivo scese con tutta la terra e colle radici per 4 palmi» [1,03 m], mentre un altro fu «troncato quasi nel mezzo dalla fenditura». Il movimento franoso, lungo il Vallone del Lupo «fece si che un grosso masso, ch’era verticale sul terreno, si voltasse in una posizione orizzontale, e costringesse l’acqua a mutar corso nel vallone». Numerose crepe si aprirono nella contrada «Casaga» (nella cartografia attuale Gasaga), mentre in quella di «Riviele» (oggi contrada Rizieli) al piede della frana «la terra, ch’era inclinata, si separò, e divenne convessa».

Riepilogando, il cuore della frana era l’area compresa tra i valloni detti delle Mortelle e di Torretta, affluenti in destra del Milicia, comprendendo al suo interno le contrade attualmente denominate Gasaca, Lupo (con il vallone omonimo) e Rizieli.

Tenendo conto della descrizione effettuata dallo Scinà, la cinematica degli eventi franosi sismo-indotti appare abbastanza chiara, essendo la stragrande maggioranza dei movimenti inquadrabili e classificabili tra gli scorrimenti rotazionali e, in subordine, tra quelli traslativi (per ulteriori approfondimenti sulla moderna classificazione di tali eventi rimandiamo al recente contributo di O. Hungr, S. Leroueil, L. Picarelli, The Varnes classification of landslide types, an update, “Landslides” , 11, 2014, pp. 167–194). L’abate Scinà, nell’area interessata dalla frana sismo-indotta, ebbe modo di osservare e descrivere la successione dei terreni, visibile in alcune esposizioni naturali. Infatti, egli distinse un orizzonte superiore, dello spessore di quattro o cinque palmi [1,03–1,29 m], costituito da «sabbia e pietruzze parte calcari e parte silicee», che gli abitanti dell’Ogliastro chiamavano «Ficiligno», in lingua siciliana. Questo termine deriva la sua etimologia dalla tipica presenza di frammenti di rocce sedimentarie silicee, soprattutto micro-criptocristalline, come la cosiddetta selce piromaca o “pietra fucile” (pietra focaia che sprizza scintille quando è colpita dall’acciarino), ma anche sotto forma di quarzosiltiti, rocce quarzose finissime, particolarmente tenaci, che abbondano nel sito d’indagine. Il «Ficiligno», a sua volta, secondo lo studioso, appare sovrastante ad un potente orizzonte che egli descrive, secondo una terminologia corrente a quel tempo, come «tufo impastato con argilla», che localmente prendeva il nome di terra «Catellara». Secondo lo scienziato, la «Catellara» doveva avere uno spessore non inferiore a 15 canne siciliane (c. 31 m). Il termine «tufo», di Scinà, va inteso non in senso petrografico, ma descrittivo, come terreno friabile a scheletro arenaceo. «Catellara»  deriva dal siciliano cateddàra, a sua volta da catèddu ‘perpendicolo’, forse per le capacità autoportanti di questo orizzonte. La suddetta voce appare registrata nel vocabolario etimologico siciliano di Giuseppe Vinci (Messina, 1701 – ivi, 1772), glottologo del Settecento (cfr. G. Vinci, Etymologicum Siculum auctore Joseph Vinci protopapa Græcorum In insigni Collegiata Ecclesia ss. Deiparæ de Grapheo, ex Parocho S. Luciæ de Musellis; SS. Inquisitionis Consultore, et Qualificatore; Bibliotheca publica Nobilis, Fideliss[imæ]., et Exemplaris Urbis Messanæ Præfecto; Regiæ Periclitantium Peloritanorum Academiæ Principe Anno MDCCLVIII. et MDCCLIX. S[enatus].P[opulus].Q[ue].M[essanensis]. dicatum, ex Regia Typographia Francisci Gaipa, Messanæ MDCCLIX, 276 pp., in particolare, p. 62).

In base agli studi pedologici, condotti dal compianto prof. Giovanni Fierotti (m. 2011), pioniere della Scienza del Suolo in Italia, soprattutto nella Sicilia occidentale, il termine «Fuciligno» o «Ficiligno», indicherebbe un paleosuolo profondo (Vertic Ultic Palexeralf secondo il sistema di classificazione Soil Taxonomy dell’United States Department of Agriculture, USDA, cfr. USDA–NRCS, Soil Taxonomy, 2nd Edition. Agricultural Handbook n. 436, 1999). Secondo Fierotti, si tratta di paleosuoli generatisi in condizioni pedoclimatiche diverse da quelle attuali dell’area mediterranea (climi caldi, subumidi o semi–aridi), presenti generalmente su materiali parentali (substrati) argilloso–arenacei (cfr. G. Fierotti, Il Fuciligno. “Sviluppo Agricolo”, Regione Siciliana, Ente di Sviluppo Agricolo, n. 4. Palermo 1979; Idem, I suoli della Sicilia, Con elementi di genesi, classificazione, cartografia e valutazione dei suoli, Flaccovio, Palermo 1997, 360 pp.).

Nostre osservazioni in situ, evidenziano che sul versante nord-occidentale del Pizzo Mangiatoriello, prospiciente sul Milicia, la mappatura dei terreni di copertura che esibisce la recente cartografia ufficiale italiana, pur essendo presente, appare sottostimata rispetto ai reali spessori ed alla estensione areale (coltri eluvio-colluviali del Sintema di Capo Plaia, cfr. R. Catalano et al., Carta Geologica d’Italia alla scala 1: 50.000. Foglio 608 Caccamo, ISPRA 2010, https://www.isprambiente.gov.it/Media/carg/608_CACCAMO/Foglio.html). Inoltre, alcuni corpi di arenarie quarzose (Flysch numidico, Oligocene superiore-Miocene inferiore), visibili lungo il versante, potrebbero essere affatto in posto, confermando le osservazioni dello stesso studioso ottocentesco.

Relativamente allo studio dell’area di indagine, di notevole ausilio è risultata la lettura della Carta Topografica della regione di Palermo levata dal Reale Officio Topografico di Napoli, 1849-1852, foglio n. 14, “Altavilla Milicia”, scala di 1:20000, con curve di livello tracciate all’equidistanza di 10 passi (m. 18,52). In tale cartografia, almeno in parte, appare presente la toponomastica del tempo, paragonabile a  quella riferita dallo Scinà. Inoltre, abbiamo effettuato un confronto tra la detta cartografia storica e quella attuale (Carta Tecnica Regionale C.T.R., sezione 608020, “Bolognetta”, scala 1:10.000, Assessorato Regionale Territorio e Ambiente A.R.T.A., Regione Siciliana, 2012-2013).

Il principale fattore predisponente dell’evento sembra legato all’elevata suscettibilità dei terreni di copertura, particolarmente sensibili al cedimento dei versanti. Tali terreni, per la loro intrinseca natura, non permettono la persistenza nel tempo della firma morfologica superficiale, prodotta dagli eventi gravitativi sismo–indotti, che viene facilmente e rapidamente obliterata dagli agenti esogeni e dall’attività antropica. Tenendo conto delle dettagliate osservazioni effettuate dallo Scinà, ci sembra plausibile ipotizzare che, nel complesso, si sia trattato di eventi sismo–indotti tipo coherent slides (cioè eventi gravitativi che si sono mossi in maniera coerente, comportandosi come se fossero un unico corpo), da considerare come riattivazione di fenomeni policiclici, già verificatisi nel passato, sempre sul medesimo versante (cfr. D. K. Keefer,  Landslides caused by earthquakes. “GSAB”, 95, 1984, pp. 406–421; J. Delgado, J. Garrido, C. López-Casado, S. Martino, J. A. Peláez,  On far field occurrence of seismically induced landslides. “EG”, 123, 2011, pp. 204–213; S. Martino, A. Prestininzi, R.W. Romeo,  Earthquake-induced ground failures in Italy from a reviewed database, “Natural Hazards and Earth System Sciences”, 14, 2014, pp. 799–814). Del resto, quasi al culmine del versante che fu in gran parte interessato dall’evento sismo-indotto del 1823, tra  i rilievi arenacei di Cozzo Liberto e Pizzillo, si conservano ancora le tracce evidenti di una grande nicchia di frana, ad andamento arcuato, che borda la scarpata. Altre due grandi nicchie risultano meno evidenti a causa dei processi erosivi. Tali nicchie rappresentano la testimonianza di antecedenti imponenti movimenti gravitativi di versante.

Un ulteriore fattore di amplificazione del movimento del suolo, indotto da effetti di sito legati all’assetto topografico, potrebbe aver avuto il suo peso nell’innesco dell’evento sismo-indotto del 1823, grazie alla presenza, a monte dell’area coinvolta nel movimento franoso, proprio del precitato allineamento di creste arenacee (Mangiatoriello, Liberto e Pizzillo), nelle quali si andarono a concentrare gli effetti massimi amplificatori. Relativamente agli effetti di sito di tipo topografico, in occasione di eventi sismici che inducono eventi franosi, rimandiamo il lettore a P. Meunier, N. Hovius, J. A. Haines, Topographic site effects and the location of earthquake induced landslides, “Earth and Planetary Science Letters”, 275, 2008, pp. 221–232.

Dal canto suo, il naturalista e letterato Francesco Ferrara Motta (Trecastagni, Catania, 2 Aprile 1767 – ivi, 12 Febbraio 1850), quale avversario dell’abate Scinà, liquidò in poche parole l’evento sismo-indotto di Ogliastro (Bolognetta): «frane, e lunghe fessure si fecero nel terreno creto-argilloso presso il picciolissimo paese Ogliastro 16 miglia a scirocco di Palermo» (cfr. F. Ferrara, Memoria sopra i tremuoti della Sicilia in marzo 1823, Dato, Palermo 1823, VI+50 pp., in particolare, p. 6).

Soprattutto a partire dagli anni 80’ del XX secolo, il territorio di Bolognetta ha sperimentato una rapida crescita insediativa che ha contribuito ad accentuare notevolmente i fattori di pericolosità, relativamente alla vulnerabilità nei confronti di fenomeni di instabilità di versante. In tempi recenti, alcuni settori dell’area interessata dagli eventi franosi cosismici del 1823, ha esibito locali riattivazioni (contrada Torretta, Vallone del Lupo), come risulta dalle schede relative al territorio di Bolognetta (cfr. Regione Siciliana, Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico, Bacino Idrografico del Fiume Milicia n. 35).

Recentemente, un team di ricercatori dell’Università di Palermo (Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare, Dipartimento di Ingegneria), nonché dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Roma), ha riconosciuto l’esistenza della “faglia inversa di Cozzo Mangiatorello” (sic) che, a loro giudizio, avrebbe le seguenti caratteristiche: andamento NNO-SSE, immersione N55E, lunghezza di c. 28 km,  con una velocità di scorrimento del tardo Pleistocene di 0,84 ± 0,03 mm/anno. Secondo gli studiosi, rimarrebbe aperta e pendente la questione relativa alla natura sismica o asismica di tale faglia attiva nell’area di Pizzo Mangiatoriello (similmente a quella di Monte Cane) e la possibilità che la deformazione osservata sia legata a strutture tettoniche più radicate [cfr. N. Parrino, F. Pepe, P. Burrato, G. Dardanelli, M. Corradino, C. Pipitone, M. Gasparo Morticelli, A. Sulli, C. Di Maggio, Elusive active faults in a low strain rate region (Sicily, Italy): Hints from a multidisciplinary land-to-sea approach,Tectonophysics”,  839, 2022, 229520].

La presenza di un evento storico di frana sismo-indotta (1823) nell’area studiata, su un versante interessato da eventi policiclici, a nostro avviso, potrebbe aprire nuovi scenari d’indagine, relativamente allo studio dell’attività recente della cosiddetta faglia di Pizzo Mangiatoriello.

Evidenziamo che, a nostro avviso, a tergo della struttura di Pizzo Mangiatoriello si distingue un ulteriore importante lineamento tettonico NO–SE, sul quale appare allineato un tratto del fiume Milicia. Questo lineamento, con tutta probabilità, era responsabile della venuta a giorno di una manifestazione sorgentizia termale, attestata ancora nel Settecento, sia dallo storico e naturalista benedettino Vito Maria Amico e Statella (Catania, 15 Febbraio 1697 – ivi, 5 Dicembre 1762), sia dall’erudito canonico sac. Antonino Mongitore (Palermo, 4 Maggio 1663 – ivi, 6 Giugno 1743). Tale sorgente era ubicata presso l’odierno abitato di Bolognetta, a breve distanza dall’antico fondaco con taverna detto «delle Legna» (cfr. V. M. Amico e Statella, Lexicon Topographicum Siculum, In quo Siciliæ Urbes, Орidа, сит vetusta, tum extantia Montes Flumina Portus adjacentes Insulæ, ac singula Loca describuntur illustrantur (Panormi MDCCLVII, Catanæ MDCCLIX-MDCCLX), tomus II, pars I, Vallis Mazaræ, s.v. Oleastrum, p. 13: «In proxima hospitatoria taberna Lignis appellata, Fons еst cuius aqua thermalis hinc illa Balneis etiam dicitur»; A. Mongitore, Della Sicilia ricercata delle cose più memorabili, tomo II, Valenza, Palermo MDCCXLIII, p. 234: «Nella terra dell’Ogliastro della diocesi di Palermo, v’ha il fondaco, chiamato delle Legna, ove ritrovasi un fonte, della cui acqua si servono a molte infermità gli Abitatori con isperimentato giovamento»). Questa scaturigine era da annoverare tra le manifestazioni idrotermali legate ad un ampio campo geotermico della tipologia ad acqua dominante, ancora poco investigato, che si estende da Bolognetta ai Bagni di Cefalà Diana. Questi ultimi, sono ben noti almeno dal dominio normanno ad uso balneoterapico (cfr. P. Bova, A. Contino, Bagni di Cefalà Diana tra termalismo, geomorfologia e archeologia, “Esperonews”, 11 Maggio 2022, on–line su questa testata giornalistica). Le acque termali emergono in prossimità di affioramenti di rocce fessurate, prevalentemente mesozoiche, carbonatico-marnose e carbonatico-silicoclastiche derivanti dalla deformazione dei terreni del dominio Imerese [cfr. G. Avellone, A. Contino, G. Cusimano, A. Frias Forcada, Studio idrogeologico della sorgente termale “Bagni di Cefalà Diana” (Palermo, Sicilia). “Acque Sotterranee”,  n. 3, fasc. 101, Giugno 2006, pp. 45–53].

Nel prosieguo della ricerca, nell’area colpita dall’evento franoso cosismico del 1823, sarebbe sicuramente auspicabile acquisire ulteriori informazioni sul campo, al fine di effettuare una valutazione di maggior dettaglio relativa alle caratteristiche stratigrafiche, tettoniche, geomorfologiche e pedologiche di essa.

Un ulteriore contributo potrebbe scaturire dalla sperimentazione in situ di tecniche d’indagine a basso impatto economico ed elevato rapporto costi/benefici, basate sull’analisi del rumore ambientale (ambient noise) registrato da strumenti sismici portatili (tomografi), al fine di una prima valutazione della pericolosità sismica, contribuendo eventualmente alla valutazione di una oggettiva possibilità di riattivazione sismo-indotta dell’instabilità di versante, nel contesto dell’attuale sistema morfoclimatico (cfr., ad es., V. Del Gaudio, S. Muscillo, J. Wasowski, What we can learn about slope response to earthquakes from ambient noise analysis: An overview, “Engineering Geology”, 182, 2014, pp. 182–200). Un ulteriore passo, potrebbe essere la creazione di una rete di monitoraggio accelerometrico nell’area oggetto della presente ricerca, visto che è stata soggetta nel passato a frane sismo–indotte, proprio al fine di studiarne la risposta sismica, di acquisire una migliore comprensione degli effetti di sito e dei meccanismi di instabilità indotti dai terremoti. La pianificazione e realizzazione di opportune indagini geognostiche mirate, spinte sino al substrato argilloso-arenaceo, supportate da prove geotecniche e geofisiche in sito ed in laboratorio, unite al monitoraggio delle eventuali falde idriche presenti, potrebbero fattivamente contribuire alla ricostruzione di un quadro migliore. I dati raccolti, digitalizzati e georiferiti a costituire un apposito data-set, sarebbero di notevole importanza per una dettagliata zonazione sinottica della pericolosità da frana sismo-indotta, grazie all’uso di moderni strumenti informatici di pianificazione territoriale (cfr. Santucci de Magistris F., Sica S., Silvestri F., Vinale F., Metodi di zonazione sismica. in F. Vinale, a cura di, Indirizzi per studi di Microzonazione sismica, Cap. 6, AMRA S.c.a.r.l. Doppiavoce, Napoli 2008; Gruppo di lavoro MS, Indirizzi e criteri per la microzonazione sismica, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Dipartimento della protezione civile, Roma 2008,  3 voll. e Dvd).

Riteniamo che questa nostra ricerca costituisca un contributo allo studio della figura e dell’opera di Domenico Scinà, nonché all’analisi e revisione della letteratura sulla franosità sismo-indotta in Italia.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità al direttore ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo e del “Centro Regionale per l’Inventario, la Catalogazione e la Documentazione grafica, fotografica, aerofotogrammetrica, audiovisiva” della Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Ringraziamo sentitamente Pierfrancesco Burrato (INGV, Roma) per la cortese e magnanima disponibilità nei nostri confronti.

Appendice documentaria

Documento n. 1

Atto di morte del cav. abate sac. d. Domenico Scinà, addì 13 Luglio 1837 (cfr. Archivio di Stato di Palermo, Stato civile pre–unitario, Palermo, Sezione (Circondario) Santa Ninfa, registro anno 1837, atti di morte, busta n. 4260 (suppl. 2), fasc. n. 1837, p. 7v, n. 553)

N.B. Il carattere normale corrisponde alle parti del documento prestampato, mentre il corsivo corrisponde a quelle scritte a mano dall’ufficiale di stato civile estensore dell’atto.

Numero d’ordine cinquecentocinquantatre [sic] / L’anno milleottocentotrenta sette il dì quattordici del mese di / Luglio alle ore ventiquattro avanti di noi Ducea di S. / Rosalia [don Federico Ascenso e Spadafora, Duca di S. Rosalia], Senatore ed Uffiziale dello stato civile del Comune / di Palermo, Distretto di Palermo, Valle di Palermo, sono com–/parsi D[on]: Giovanni Randazzo di anni ventidue / di professione Impiegato regnicolo domiciliato Via / Macqueda [sic] / e D[on]. Vincenzo Bivona di anni vent’otto / di profes-/sione Impiegato regnicolo domiciliato Via S. Cita / quali hanno / dichiarato che nel giorno di jeri del mese di ___ / anno milleottocentotrenta____ alle ore due, è morto nella / propria casa il Cav[alier].e Abbate Sacerdote / D[on]. Domenico Scinà di anni settan=/tatre / nato in Palermo, di professione / Professore di fisica / domiciliato____ / [sic] D[onn].a Rosaria Romano, domiciliata____ / Per esecuzione della legge ci siamo trasferiti insieme co’ detti / testimonj presso la persona defunta, e ne abbiamo riconosciuto la / sua effettiva morte. Abbiamo indi formato il presente atto, che ab-/biano iscritto sopra i due registri, e datane lettura ai dichiaranti, / si è nel giorno, mese ed anno come sopra, segnato da noi, e / dai testimonj = Il Senatore / D[ucea]: S[an]t[a] Rosalia /  = Giovanni Randazzo Test[imon]e / = Vincenzo Bivona Test[imon]e

Documento n. 2

Giornale di Palermo, num. 21, Palermo, Giovedì 13 Marzo 1823, in “Giornale di Palermo dal I° [sic] di Gennaro 1823 a tutti li 24 Marzo 1823”, Stamperia Giordano, Rua de’ Formaggi num[ero]. 10, Palermo 1823.

Ogliastro

Dentro l’abitato non si produsse alcun danno. Nella campagna prossima, denominata la contrada del Bosco, si aprì in varj punti la terra, con perdita d’alberi; e rimase sconvolta, ed esquilibrata per l’estensione di circa salme. 300 fino ad un sottoposto vallone, il letto del quale fu in gran parte ingombrato dalla terra rovesciata.

Si è ordinato che si facessero delle osservazioni su questo particolare fenomeno dal professore di fisica D[on]. Domenico Scinà; per indi conoscerne i risultamenti, che noi non lasceremo di pubblicare.

Documento n. 3

Giornale di Palermo, Supplimento al Num. 21, Palermo 15 marzo 1823, in “Giornale di Palermo dal I°  [sic] di Gennaro 1823 a tutti li 24 Marzo 1823”, Stamperia di Giordano, Rua de’ Formaggi num. 10, Palermo 1823.

NOTIZIE INTERNE

Palermo 15 marzo

In una contrada, qual’è la nostra, dove i tremuoti non sono frequenti, e dove quasi sin da un secolo addietro non erasi sperimentata una scossa simile a quella del 5 marzo 1823; dovea far molta sensazione il sapere, che in un terreno vicino eransi, come si disse, aperte delle voragini. Un tal fenomeno, che potea servir di lume, onde conoscere l’origine del male presente; ed inspirare anche de’ timori per l’avvenire, dovea certamente chiamare a se l’attenzione del Governo; e quindi si fu, che il professore di fisica D[on]. Domenico Scinà venne destinato ad esaminare quel punto; ed a render conto delle sue osservazioni.

Ora, avendo egli visitato il luogo sospetto; e dato, per via dell’Intendente di questa Valle, il suo rapporto al Governo; Noi ci affrettiamo a pubblicarlo, ad oggetto di render gli animi tranquilli; e cancellare tutte le apprensioni funeste, che gli effetti del tremuoto nelle campagne dell’Ogliastro, avean fatto nascere.

Ecco il rapporto del Sig[nor]. Abb[ate]. [sic] Scinà:

Palermo 14 marzo del 1823

Signore

Per eseguire colla debita sollecitudine gli ordini del Governo da lei comunicatimi nella sera del giorno 12 corrente, son partito da Palermo, ancorché il tempo non mel consigliasse, alle tre pomeridiane del 12; e son giunto alla sera in Ogliastro. Ieri sul mattino, non ostante ľacqua, il vento, e la gragnuola, che alternavano continuamente, ho visitato la contrada là vicino, ch’era stata forte danneggiata dalle scosse del tremuoto del giorno cinque. E avendo girato parte a piedi, e parte a cavallo per tutto il giorno, tutti que’ luoghi, ne ho rilevato tutte le particolarità, che qui le rassegno, per trasmetterne prestamente notizia al Governo, [sic].

Vicino, e a levante dell’Ogliastro vi ha un Feudo di quattro in cinquecento salme, chiamato il Feudo del Bosco. A Greco è separato da un torrente dal Feudo della Torretta, e a Ponente e [sic, è] diviso dalla popolazione dell’Ogliastro da un fiume, che pigliando origine dai bagni di Cefalà e forse più alto, va a metter fine sotto Altavilla dove piglia il nome di Fiume della Milicia. La superficie di quel Feudo del Bosco non è piana ma convessa, e presenta la sembianza di una montagnuola dolcemente inclinata. Non racchiude pietre e macigni, solamente mostra quà [sic] e là qualche pietra slegata e senza radici, e quasi posata casualmente sopra la sua superficie. La sua terra è tutta di alluvione o sia trasportata, e ivi depositata dalle acque; poiché sino a quattro o cinque palmi [1,03-1,29 m] il terreno non contiene che sabbia e pietruzze parte calcari e parte silicee, ed è chiamato da que’ paesani Ficiligno, e progredendo più sotto non si trova che tufo [terreno arenaceo] impastato con argilla, che que’ paesani denominano Catellara. Questa maniera di terreno, per quanto abbia potuto vedere a congetturare, si stende sino all’altezza di quindeci [sic, quindici, c. 31 m] o più canne, giacché sino a questa profondità non si trova il duro e la roccia. Tutto questo Feudo è infine conceduto da’ Marchesi dell’Ogliastro a più particolari a piccole partite, ed è coltivato tutto a viti e ad ulivi, o pure a frumento.

I guasti cagionati dal tremuoto a questo Feudo riduconsi a screpoli, fenditure, e frane, che per ogni dove si veggono nell’ampiezza di quasi trecento salme. Scendendo io dall’Ogliastro al fiume sottoposto, non vidi alcun guasto; ma come dal fiume cominciai a salire di Ponente a Levante il Feudo del Bosco, mi accorsi di una fenditura che tortuosa montava forse per un miglio [miglio siciliano, 1486,6 m] sino ad un punto chiamato il Piano grande: Questa fenditura, che da prima era piccola, ivasi [sic, andavasi] di mano in mano allargando a segno che verso il piano grande avea la larghezza di sei palmi [1,54 m], la profondità di dodici [3,09 m], e ‘l terreno da un lato della fenditura erasi avvallato di quattro palmi [1,03 m].

La fenditura dal punto del piano grande non procede più alto; ma si rivolta dirizzandosi verso Greco e scendendo in forma curva per due terzi di miglio; Ma giunta alla contrada chiamata Cozzo rosso s’incrocicchia con altre fenditure, o meglio, diventa il nodo o il centro di tre altre principali fenditure. La prima va verso Greco sino alle terre censite del Feudo limitrofo della Torretta; la seconda scende verso Tramontana lungo il vallone detto del Lupo, e la terza si dirizza a Ponente e va a trovare lungo il declive il fiume, dell’Ogliastro. Ora in questo centro di fenditure si ebbe, com’è naturale, il danno maggiore. Nel punto chiamato dell’Ortica [«Ordiche» sulla sponda destra del Vallone delle Mortelle, cfr. “Carta Topografica della regione di Palermo levata dal Reale Officio Topografico di Napoli”, 1849-1852, foglio n. 14, “Altavilla Milicia”] la fenditura è larga 22 palmi [5,67 m], e profonda 8, palmi [2,06 m]. Nel luogo di Cozzo Rosso la profondità è di 26 palmi [6,71 m], la larghezza 12 [3,09 m], ed il terreno si trova di un lato per 17 palmi [4,38 m] avvallato. Un albero di Ulivo scese con tutta la terra e colle radici per 4 palmi [1,03 m], ed un altro fù [sic] troncato quasi nel mezzo dalla fenditura. La terra smottata dal feudo del Bosco occupò prima il torrente e poi passò nel feudo della Torretta [oggi contrada e vallone Torretta] dove fece un mucchio. La terra, che franò sugli orli del vallone del Lupo, fece si che un grosso masso, ch’era verticale sul terreno, si voltasse in una posizione orizzontale, e costringesse l’acqua a mutar corso nel vallone. Nella contrada di Casaga [oggi Gasaga] il terreno in più versi è tutto screpolato; alla sponda del fiume a Ponente nel punto detto di Riviele [oggi contrada Rizieli] la terra, ch’era inclinata, si separò, e divenne convessa. E lungo sarebbe e forse fuor di ragione tutti descrivere gli squarciamenti del terreno nel feudo del Bosco; poiché a parte delle principali fenditure, si trovano in quel mezzo, in ogni direzione, e quasi in ogni dove, altri screpoli, ed altre frane in cui la terra è aperta ed avvallata. Sicché si può dire che sulla superficie di quasi 300 salme il terreno fù [sic] smosso, aperto, e smottato in ogni senso.

Si fatte aperture non saranno di lunga durata; perché la terra ch’è sciolta, e quasi un semifluido colle acque e col tempo si andrà appianando ed equilibrando. Ma il danno delle viti e degli ulivi sarà indubitato; perché la radici loro in molti luoghi sonosi rotte e lacerate.

Dai guasti accaduti nel feudo del Bosco non deesi [sic] argomentare, che ivi sotto abbia avuto luogo il centro di azione e dirò così di scarica del tremuoto. Fu la natura di quel terreno sciolta e slegata, che scossa più volte dal tremuoto diede origine a que’ fenomeni. La terra scossa si strinse, si ammassò, ed aprì; e come era sul pendio si distaccò, e distaccata, gravitò sopra se stessa e calcandosi vennesi ad abbassare. In que’ luoghi dove non era ritenuta vicino i fiumi, i torrenti, ed i valloni venne a smottare. Ebbero in somma luogo tutti quegl’incidenti che si manifestano in un mucchio di arena, che fosse internamente scossa ed agitata. Per lo che la natura del terreno, alla scossa, generò tanti squarciamenti e tante aperture; la medesima movendosi, come slegata colmerà le profondità, e si appianerà. Di qua a pochi anni non si vedrà più vestigio di quelle fenditure che al presente colpiscono forte gli occhi e la mente dei volgari.

Sebbene le fenditure a cagione della diversa posizione della terra vicino ai valloni ed ai fiumi compariscano, come di fatto sono in diversi sensi, pure le direzioni principali sembrano di essere da levante a ponente. Per questa ragione è da credersi che il paese dell’Ogliastro non soffrì alcun danno dal tremuoto; poiché passando ľurto a traverso una gran massa di terra slegata e cedevole, si venne a minorare, e giunse men gagliardo a scuotere le fabbriche di quel paese.

Non mi resta in fine a soggiungere se non che per via di una di lei lettera e di una commendatizia del Principe di Torrebruna [Gaetano Parisi (Marco Mancini VIII), c. 1768-1846], quel Governadore, e quel Sindaco dell’Ogliastro mi apprestarono tutta l’assistenza e tutti gli ajuti che mi furono necessarj. Anzi il Governadore e ‘l Sindaco uniti alle persone più pulite di quel paese, mi vennero accompagnando in tutto il giro che si fece in quella contrada.

Domenico Scinà

 

Al Signor Principe di Malvagna Intendente della Valle di Palermo.