Cerda, presentato il libro “Non capivo: parole reali che la storia nasconde” di Romano Bosich

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Si è svolto nell’Istituto Comprensivo Statale Luigi Pirandello a Cerda il quarto incontro della prima edizione della Rassegna letteraria “Books and chocolate” promossa dalle Associazioni “I Quanti” e “Fables”. Il sodalizio di promozione culturale ha presentato il libro “Non capivo: parole reali che la storia nasconde” di Romano Bosich, Luglio Editore di Trieste (2022).
Romano Bosich è nato a Pola nel 1950. Per sei anni la città dell’arena è stata tutto il suo mondo; la casa, gli amici, l’ammirazione per il fratello maggiore Renato, l’amore per nonna Agata. Un mondo che si capovolge nel 1956 quando i suoi genitori, seguendo l’esempio di altre decine di migliaia di “polesani”, abbandonano per sempre la propria città e si trasferiscono in Italia o in luoghi più distanti.
Per lavoro sog­giorna in vari paesi esteri. Attualmente vive in Sicilia. Ex Project Manager, ri­torna al primo amore di regie teatrali.
Romano Sauro – nipote dell’eroe nazionale Nazario Sauro – scrive nella prefazione del libro dell’esule da Pola Romano Bosich: “Un libro scritto a più mani ma che, con le storie dei due fratelli diverse solo per cronologia, ma che ben si integrano nel racconto, confluiscono verso un comune fattore che e quello della ricostruzione di una storia famigliare iniziando dai ricordi giovanili, dai racconti dei genitori, dall’indagare diligente nelle carte e nella storia del passato, dal rovistare in soffitta alla ricerca di qualche lettera, di qualche vecchia e sbiadita fotografia. Per ricostruire la storia della loro famiglia e, indirettamente, dell’Istria e di Pola. Romano ripercorre così il lungo cammino della sua storia personale, di quella di suo fratello Renato, più grande di lui, della sua famiglia e del popolo istriano, al quale sente di appartenere intimamente”.
Lo scrittore Filippo Licata scrive del libro: “Mancanza. Così chiamerei il saggio in forma di diario di Romano Bosich, nato in quell’Istria italiana che non c’è più. È un sentimento amaro quello che emerge dalle pagine, a volte intimo, che seppur collocato in un periodo ben preciso del tempo e dello spazio, sembra perderne tutti i connotati storici. Sul pelo dell’acqua come ninfea galleggia una  assenza che accomuna tutti coloro che hanno vissuto nell’infanzia  in un luogo che adesso è custodito nei ricordi idealizzati, mitizzati, esaltati a volte oltre il reale di un adulto che ha visto quel mondo con occhi di ragazzo. La distanza , in apparenza solo cronologica, sembra aver proseguito ad alimentare quei volti, quelle sensazioni,  quei legami quotidiani ma così non è stato.  In realtà ì ricordi non trovano più i necessari riscontri nel reale, e tra le mura ora diventate estranee soffia un vento freddo. Neanche il sentirsi a casa camminando tra la gente e per quelle strade è sopravvissuto. Nulla lo è più lo stesso, nulla può essere più visto col medesimo sguardo giovanile ma si è costretti a capire, a svegliarsi dal sogno che ostinatamente si voleva proseguire a fare.
Nonostante tutto rimangono indelebili quelle immagini oniriche e dolcemente adolescenziali che certamente non possono e non vogliono fare ricorso alla storia per trovarne origini, cause e colpevoli. Tratti forti, esperienze vivide, sguardi presenti alimentano tuttavia un velo di nostalgia, un intimo vuoto che sopravanza  il ricordo luminoso e vitale di quei tempi passati. Ora, tirate le somme, anche il cuore deve arrendersi all’assenza provata dall’umanità, di popoli lontani e diversi ma tutti accomunati dal medesimo destino dell’abbandono. Cacciati sono stati gli arabi di Sicilia e gli Italiani d’Istria e che in quest’Isola hanno un luogo forse dell’anima, un crocevia. Qui qualcuno ha trovato forse una nuova appartenenza, chi nuovi equilibri, chi li sta ancora cercando: certamente tutti hanno tentato o tentano ancora di capire cosa è vivere”.
Santi Licata