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L’autorità ecclesiale chiude i Servi dell’Amore Misericordioso: soppressa la più bella esperienza di fede degli ultimi decenni in Sicilia

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Alla fine sono riusciti a chiuderla. Hanno soppresso la più bella esperienza di fede degli ultimi decenni in terra di Sicilia. Le attività della comunità dei Servi dell’Amore Misericordioso che vivevano il Vangelo in maniera coerente e radicale, proponendo un modello di chiesa accogliente, solidale, comunitaria, sono “sospese”. La comunicazione ufficiale dello scioglimento in uno scarno comunicato dove si legge: “In attesa di rendere esecutive le decisioni riguardanti l’Associazione pubblica di fedeli di diritto diocesano Servi dell’Amore Misericordioso e il suo fondatore, assunte d’intesa con il Dicastero per le Chiese Orientali, il Commissario pontificio plenipotenziario e Superiore generale pro tempore della medesima aggregazione, comunica quanto segue. Sono sospese, dalla data odierna, nel territorio dell’Eparchia e nelle altre Chiese locali, tutte le attività pubbliche dell’Associazione Servi dell’Amore Misericordioso, nonché il coinvolgimento dei membri e del fondatore in celebrazioni liturgiche e in iniziative di catechesi, di spiritualità e di formazione. Piana degli Albanesi, 8 marzo 2025”.

Non sono bastate le 2000 firme raccolte con una lettera indirizzata al Papa, gli appelli, le testimonianze, le preghiere: si evinceva fin dall’inizio una feroce determinazione ad andare contro la comunità con lo scopo preciso di annientarla. Ma questo odio cosa ha a che fare con la bontà e la dolcezza della fede?

Se veramente la comunità avesse commesso degli errori bisognava inviare un “visitatore” saggio, comprensivo, per eventualmente “correggere” con mite determinazione e indirizzare la comunità verso il giusto cammino. Invece il vergognoso obiettivo, vigliaccamente celato fin dall’inizio era uno solo: porre fine alla comunità dei Servi. E una chiesa che chiude una esperienza come quella dei “Servi dell’Amore Misericordioso”, non è in grado di leggere i segni dei tempi, è una chiesa senza speranza e senza futuro.

La cattiveria, la malvagità, l’ invidia hanno avuto la meglio sulla bontà, la freschezza, l’entusiasmo, di uno straordinario cammino ecclesiale avallato, fino a poco tempo fa, da tanti sacerdoti, vescovi e cardinali. Parafrasando il celebre romanzo “Il Nome della Rosa” di Eco si potrebbe dire che l’Anticristo ha ottenuto una nuova vittoria.

Ma ai detrattori della comunità di Piana degli Albanesi vogliamo dire che si rassegnino, hanno ottenuto una vittoria di Pirro. Se la storia, e soprattutto la storia della Chiesa, ci ha insegnato qualcosa è che questo genere di esperienze non possono essere fermate, possono essere osteggiate, contrastate, screditate, perseguitate, ma alla fine risorgono e segnano la storia. E gli accusatori saranno condannati all’oblio (Dante avrebbe fatto di peggio) e additati come squallidi individui di cui vergognarsi.

A molti resta il dubbio se Papa Francesco sa di questa decisione, perché sarebbe in netta contraddizione, nello stile e nei contenuti, con il modello di chiesa che ha proposto in tutti questi anni. Spetta sottolineare che la decisione della soppressione arriva proprio durante il periodo di malattia del Santo Padre ricoverato al Gemelli, perché qualcuno degli accusatori è stato chiamato a Roma per rispondere delle proprie denunce ed è stato un poco “strapazzato”, c’è inoltre da aggiungere che è soprattutto durante i “vuoti di potere” che vengono commesse le più vergognose ed inconfessabili nefandezze.

Da parte nostra vogliamo esprimere la più grande solidarietà ai “Servi dell’Amore Misericordioso”, ai loro familiari e a tutte le persone che hanno condiviso questi anni, per il difficile momento che sono costretti ad attraversare.

Avete suscitato una grande speranza, siete un punto di riferimento per molti giovani e per molte famiglie, tanti, grazie a voi, hanno riscoperto la propria fede, adesso occorre trovare forme che vi permettano di sopravvivere in questa camminata nel deserto che vogliamo sperare sia molto breve. Non abbattetevi, siete denigrati da “sepolcri imbiancati”, gente che ormai non crede nemmeno in quel Dio che fa finta di predicare. Non arrendetevi, questo territorio ha bisogno di voi, questa Sicilia ha bisogno di voi. E per quanto possa apparire incredibile in questo momento: questa chiesa ha bisogno di voi.

Alfonso Lo Cascio

Calcio, Mirko Vucinic al club Juve di Campofelice di Roccella

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Mirko Vucinic sarà il protagonista di una giornata dedicata agli amanti del calcio a Campofelice di Roccella. Venerdì 11 aprile 2025 l’ex attaccante montenegrino incontrerà tifosi e appassionati allo Juventus Official Fan Club “Alessandro Del Piero”.

Vucinic ha indossato la maglia bianconera dal 2011 al 2014, totalizzando 96 presenze e 26 reti. Con la Juventus ha vinto tre scudetti e per due volte la Supercoppa italiana.

Dopo l’inaugurazione ufficiale, ad aprile dell’anno scorso con Alessio Tacchinardi, prosegue l’impegno del club bianconero che nel frattempo è cresciuto in termini di iscritti e impegno sociale.

“Con Mirko Vucinic parleremo della sua carriera, di aneddoti e curiosità sull’esperienza in bianconero, ma anche del calcio di oggi, tra sfide e cambiamenti. Un appuntamento da non perdere non solo per i tifosi juventini, ma per tutti gli sportivi”, afferma Marco Amato, presidente dello JOFC di Campofelice di Roccella.

L’incontrò si terrà alle 17.30 presso la sede del club in Viale della Provincia 58.  A seguire una cena con i tifosi e un momento dedicato a fotografie e autografi.

Guardia Costiera di Termini Imerese salva donna in mare a 5 km dalla costa di Trabia

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Nelle prime ore del pomeriggio di oggi 11 marzo perveniva alla sala operativa della Guardia Costiera di Termini Imerese una richiesta di intervento per soccorso da parte di un peschereccio che, durante la battuta di pesca, intercettava una donna, la quale, in stato confusionale, nuotava a circa 5 KM al largo della costa del comune di Trabia. Dopo la segnalazione, rapido è stato l’intervento della Guardia Costiera di Termini Imerese, che immediatamente disponeva l’uscita in mare della motovedetta SAR CP889, richiedeva l’invio di una autoambulanza del 118 in porto e coordinava, nel frattempo, le operazioni assistenza iniziale da parte del peschereccio segnalante e di un ulteriore unità giunta in zona. La malcapitata, priva di qualsiasi mezzo di segnalazione e protezione termica, in evidente stato di ipotermia, veniva quindi recuperata e trasbordata sulla Motovedetta SAR, ove le venivano prestate le prime cure da parte del personale di bordo. Il mezzo navale giungeva infine nel porto di Termini Imerese e affidava la donna, di nazionalità ceca, alle cure del personale medico presente in banchina.

Gioielli e ornamenti del periodo Liberty al Corso on line promosso da BCsicilia

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Promosso da BCsicilia e dall’Università Popolare si terrà mercoledì 12 marzo 2025 alle ore 17 l’ottavo incontro del corso on line su “I Gioielli siciliani tra Storia e Arte”. Dopo la presentazione di Alfonso Lo Cascio, Presidente  regionale di BCsicilia, seguirà la lezione di Maria Teresa Di Blasi, Storica dell’Arte e Presidente della Sede di BCsicilia di Catania, dal titolo “I gioielli e gli ornamenti del periodo Liberty in Sicilia”. Sabato 22 marzo è invece prevista la visita guidata al Museo Pepoli di Trapani e al laboratorio artistico del corallo. Il corso prevede nove lezioni che si terranno tutti i mercoledì e tre visite guidate. Obbligatoria la prenotazione. Per informazioni ed iscrizioni: Tel. 346.8241076 – Email: [email protected]. Alla fine del Corso verrà rilasciato un Attestato di partecipazione.

L’Art Nouveau nasce in generale con lo scopo di contrastare la produzione in serie di oggetti, frutto di un’industrializzazione imperante: l’obiettivo è esaltare il lavoro dell’artigiano, valorizzando l’unicità e ispirandosi alla genuinità e vitalità della natura. È per questo che si cerca di realizzare manufatti unici nel proprio genere, aggiungendo sempre un tocco personale e sperimentando con nuove idee. Anche nella gioielleria, quindi, si punta a creare opere di qualità, non più destinate alle masse ma a una clientela borghese e benestante. I temi più ricorrenti sono la flora – come viti e orchidee – la fauna – soprattutto libellule, uccelli, cigni e serpenti – elementi naturali come le piume e sensuali figure femminili con lunghi capelli fluenti. Ampio spazio, però, hanno anche le creature mitologiche come ninfe, sirene e fate. I materiali più utilizzati sono l’oro, lo smalto e il vetro e si fa un grande uso di pietre, tra cui spiccano l’ametista e l’acquamarina: si preferisce non ricorrere a gemme particolarmente preziose, lasciando che il valore del gioiello derivi unicamente dalle decorazioni e dalle capacità dell’orefice. I gioielli Art Nouveau più comuni sono le collane, i pendenti, le spille, i diademi, i pettini e gli anelli, tutti realizzati con forme complesse ma equilibrate, senza sfociare mai nell’eccesso e prediligendo una bellezza modesta e poco appariscente.

“Universo Donna” a Cerda: Dialoghi sull’Identità femminile nella società contemporanea

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Nell’atmosfera unica e raccolta della Parrocchia Maria SS. Immacolata di Cerda, si è svolta la terza edizione di “Universo Donna”, un evento che ha promosso un confronto approfondito e interdisciplinare sull’identità femminile nella società contemporanea. L’iniziativa, organizzata con grande impegno dalle associazioni  La Nuova Compagnia ETS, Cerda Accanto e Fables in collaborazione con la parrocchia, ha visto la partecipazione di autorità, professionisti e cittadini, contribuendo a un dibattito significativo sulla parità di genere e sulla lotta alla violenza.

Ad aprire i lavori è stato Francesco Cappadonia, presidente di “Cerda Accanto”, che con passione e spirito di iniziativa ha saputo dare impulso a questo importante evento. Il suo impegno costante nel promuovere il benessere della comunità si riflette nel lavoro instancabile che svolge per il territorio, valorizzando le sinergie tra le diverse realtà locali. Cappadonia ha espresso il suo orgoglio per la collaborazione tra le associazioni, sottolineando quanto sia fondamentale unire le forze per dare voce ai temi della parità e della dignità femminile.

Padre Domenico Bartolone ha poi introdotto il tema centrale della serata, soffermandosi sull’importanza della parola “rispetto” quale fondamento essenziale di una sempre più auspicata valorizzazione del ruolo della donna nella nostra società.

La professoressa Pedone, con una maestria unica e un’innata eleganza, ha svolto un ruolo fondamentale nella conduzione dell’evento. La sua preparazione e la capacità di guidare con cura e autorevolezza il dibattito, hanno permesso a ciascun intervento di essere accolto con attenzione e riflessione, creando così un’atmosfera di apertura e coinvolgimento. Ha , introdotto l’intervento del Tenente Colonnello dell’Arma dei Carabinieri, dott. Francesco Mandia, il quale ha illustrato l’impegno delle istituzioni nella tutela del ruolo della donna e della  lotta alla violenza domestica. Il suo discorso ha evidenziato la necessità di un approccio sinergico che coinvolga anche la società civile e il mondo della formazione.

Successivamente, ha continuato la conduzione la dottoressa Castagna che, con un’ammirevole capacità di legare il contenuto delle sue parole alla sfera emotiva del pubblico, unendo competenza e passione, ha presentato la sociologa Anna Maria Amoroso, il cui intervento ha offerto un’analisi critica delle radici culturali della violenza di genere. La studiosa ha sottolineato l’importanza di decostruire i modelli patriarcali e di promuovere un rafforzamento del ruolo femminile, basato sulla libertà di scelta e sull’autodeterminazione.

Uno dei momenti più emozionanti della serata è stato l’intervento del Sostituto Procuratore della Repubblica, Giada Rizzo, il primo magistrato di Cerda dopo Vito La Mantia, figura storica della giustizia siciliana. La sua presenza ha rappresentato un motivo di grande orgoglio per l’intera comunità. Con una testimonianza intensa e appassionata, ha raccontato il suo percorso professionale, diventando fonte di ispirazione per le giovani aspiranti giuriste. Il suo discorso, intriso di determinazione e passione, ha esortato le presenti a non arrendersi di fronte alle difficoltà e a perseguire con tenacia i propri obiettivi professionali.

Di grande rilievo è stato anche il contributo della professoressa Caronna, docente di greco, che ha ripercorso l’evoluzione della rappresentazione femminile nella cultura occidentale. Attraverso il richiamo a figure emblematiche come Saffo, Ipazia e Beatrice, ha evidenziato la necessità di una rilettura critica dei modelli dominanti. Ha inoltre posto l’accento sul concetto di “genitorialità sociale” e sul ruolo cruciale della scuola nel riconoscere e supportare i giovani in difficoltà.

Tra gli ospiti di spicco, il dott. Leonardo Agueci, ex Procuratore Aggiunto di Palermo, ha condiviso la sua lunga e prestigiosa carriera, offrendo preziosi spunti di riflessione sul rapporto tra giustizia e parità di genere. L’avvocatessa Cinzia Lucia Di Vita, invece, ha affrontato il tema delle sfide e dei progressi della professione forense al femminile, sottolineando l’importanza di garantire pari opportunità di accesso alle posizioni apicali.

Un saluto speciale è stato rivolto a Martina Aguglia,  atleta cerdese simbolo di determinazione e impegno, impossibilitata a partecipare per impegni sportivi.

A concludere la serie di interventi è stato l’avvocato Macina, che ha avuto un ruolo determinante nella realizzazione dell’evento. La sua capacità di favorire il dialogo e creare connessioni tra le diverse personalità presenti ha dato un valore aggiunto alla serata. Nel suo intervento ha espresso profonda soddisfazione per l’alta qualità del dibattito, sottolineando come occasioni come questa rappresentino strumenti concreti per diffondere una cultura della consapevolezza e della parità di genere. Con parole sentite, ha elogiato il contributo di tutti i relatori e organizzatori, evidenziando l’importanza di eventi che, come “Universo Donna”, riescono a lasciare un segno tangibile nella comunità.

La serata si è conclusa con un momento di grande significato: la consegna del premio “Il valore di una donna” a Maria Ludovica Salerno, assistente revisore legale e vincitrice del premio America Giovani – Fondazione Italia USA, da parte dei tre illustri presidenti delle associazioni coinvolte Salvatore Imburgia, Cruciano Runfola e Francesco Cappadonia. La premiata ha condiviso il proprio percorso, testimoniando come determinazione e impegno possano superare qualsiasi ostacolo.

“Universo Donna” si è confermato un evento di alto profilo, capace di stimolare il dialogo e la riflessione sulle molteplici sfaccettature dell’identità femminile. Il confronto tra discipline e generazioni ha offerto spunti concreti per la costruzione di una società più equa e inclusiva.

Salvina Cimino

L’astronauta mistico: la ‘scienza noetica’ di Edgar D. Mitchell

Non è difficile sentir parlare dei fenomeni paranormali come espressione di una realtà quasi parallela che sembrerebbe indicare la possibilità di una connessione con un’area di conoscenza spirituale, in grado di farci comprendere il vero  significato dell’universo e del nostro essere nel mondo, se non addirittura mistica, capace di sollevare lo spirito umano dagli abissi del materialismo alla spiritualità più pura, in grado di fargli comprendere il vero e mistico significato dell’universo.

Poco male se queste interpretazioni si prendono per quelle che sono e cioè se si attribuisce loro il valore che hanno, quello di semplici opinioni più o meno motivate, espresse sulla base di convinzioni personali. Ognuno può essere convinto che il futuro della civiltà umana dipenda dall’incontro coi marziani e può anche stabilire, con la stessa tranquillità, un «galateo» per questi incontri. Altri possono essere convinti della necessità di andarsi a stabilire sulla Luna per ricevere meglio ineffabili messaggi mistici dai seleniti. Altri ancora possono ritenere opportuno il rifugiarsi tra i componenti di oscure sette magiche, portatrici dei veri significati (dal loro punto di vista, naturalmente!) della realtà. Si tratta di opinioni: si possono accettare o meno, comunque vanno rispettate, e in quanto tali non opinabili.

Da sempre sono esistiti i sedicenti profeti dell’umanità, capaci, a loro dire, di proporre nuove soluzioni per i problemi materiali e spirituali della società; da sempre c’è stato chi si è improvvisato «illuminato» e, a sua volta, illuminatore di realtà incomprensibili agli individui normali, dando magari il via alla sua predicazione. I problemi, però, quando questi sedicenti profeti appartengono alla élite scientifica o tecnologica. Personaggi dai quali ci si aspetterebbe una robusta difesa del pensiero scientifico.

Telepatia nello spazio

Nel 1971, la NASA, com’è noto l’Ente spaziale americano, lanciò una nuova missione spaziale per sbarcare nuovamente, per la terza volta, sulla Luna. La sessione fu denominata ‘Apollo 14’. Fra gli astronauti selezionali figurava Edgar Dean Mitchell. Nato nel 1930, laureato in gestione industriale presso il Carnegie Institute on Technology, subito dopo la laurea entro nella scuola ufficiali della Marina Statunitense, e, dopo essere diventato pilota ricercatore, ricoprì diversi incarichi di responsabilità, come la guida della divisione navale del Manned Orbiting Laboratory un a importante stazione spaziale, lanciata per finalità militari: doveva infatti spiare dallo spazio il territorio dell’Unione Sovietica. Ulteriormente laureatosi di scienze aeronautiche prese anche di dottorato di ricerca in aeronautica ed astronautica presso il prestigioso Massachussetts Institute of Technology nel 1964. Nel 1966 venne assunto alla NASA entrando a far parte del quinto gruppo di astronauti americani che, nel 1971, portarono a termine la missione Apollo 14, raggiungendo la superfice lunare. Nel corso della missione fu il pilota del modulo lunare (il famoso LEM) e compì anche attività fuori bordo per oltre nove ore. Fu il sesto uomo a mettere piede sulla Luna. Ma fece anche qualcos’altro: partecipò infatti ad un esperimento di percezione extrasensoriale: dalla Terra tentarono di ‘trasmettergli’, per via mentale, dei ‘bersagli’ che egli doveva indovinare. I risultati furono, a quanto pare positivi e vennero pubblicati su una rivista ‘di settore’, il Journal of Parapsychology, sempre nel 1971. La notizia fece, allora, un certo clamore. Ma la cosa più rilevante, non furono tanto i risultati di questi esperimenti, bensì i cambiamenti psicologici che l’esperienza spaziale ebbe su Mitchell. Non era la prima volta che Mitchell andava nello spazio: c’era già stato durante la missione Apollo 10, come pilota di riserva del modulo lunare. Ma durante la missione dell’Apollo 14. Mitchell ebbe delle importanti esperienze che potremmo definire mistiche.

Ecco come lui stesso le descrive: «Tutto incominciò dalla favolosa sensazione che ricevetti osservando il pianeta Terra fluttuare nello spazio. La prima cosa che pensai fu che la Terra era incredibilmente bella e che neppure le spettacolari fotografie che le erano state fatte rispondevano al vero. Era una visione superba, uno splendido gioiello blu e bianco sospeso sul velluto nero del cielo. Gustai personalmente il meraviglioso sincronismo e l’armoniosa pace dell’ordine universale. All’apice di queste mie sensazioni, la presenza della divinità si fece quasi palpabile e seppi che la vita nel cosmo non era nata per caso.

«Questa sicurezza la percepii direttamente, poeticamente. Non si trattò di un ragionamento logico, ma di una intuizione. Fu una conoscenza di tipo soggettivo, ma il suo impatto e la sicurezza della sua realtà mi diedero la sensazione di essere tanto oggettivi quanto i complicati calcoli che ci avevano portati laggiù. L’universo mi si mostrò chiaramente finalizzato ad una meta; mi parve di immettermi in una dimensione sconosciuta, al di là della realtà visibile, nella quale era tracciato il disegno dell’universo. Poi pensai alla vita sul nostro pianeta».

A questo punto Mitchell fa delle debite osservazioni sulla civiltà del nostro pianeta, sulla crisi in cui versa la civiltà umana e sulla necessità di cambiare le prospettive di questa civiltà. Come? Semplicemente con una rivoluzione delle coscienze. Fu in seguito a questa decisione che Mitchell decise di occuparsi di parapsicologia. «In quella situazione drammatica un mio carissimo, scienziato di chiara fama e logicamente pragmatista, mi fece osservare la possibilità di prendere in considerazione, come chiave risolutiva del mio assillo, i fenomeni paranormali». Mitchell scelse quindi l’«esplorazione psichica» come uno dei mezzi coi quali sottrarre l’umanità alla barbarie, provocando una rivoluzione delle coscienze che stesse alle basi di una rivoluzione anche di natura sociale, caratterizzata dalla giustizia, per esempio, e da tutti quei valori che da tempo – in effetti – sono stati dimenticati. «La ricerca psichica – continua Mitchell – (…) può essere il tramite attraverso il quale avverrà una eventuale evoluzione della razza umana, con la nascita dell’uomo universale dotato di coscienza cosmica. Molto semplicemente le esperienze psichiche, come quelle religiose e mistiche, se intese nel verso giusto, potranno rilevarsi la molla adatta a far scattare nel cuore dell’umanità il desiderio di rinnovamento».

È un discorso a dir poco affascinante e, in alcune sue parti, certamente vero. Quando Mitchell parla di cambiamento delle coscienze per un cambiamento almeno di alcuni modelli della nostra civiltà, non possiamo che essere d’accordo. Altrettanto affascinante è la «crisi mistica» di questo tecnologo che improvvisamente, con una di quelle illuminazioni ben conosciute dagli studiosi di questi problemi, scopre aspetti della realtà che aveva trascurato, scopre che la conoscenza soggettiva ha un valore equiparabile alla conoscenza oggettiva.

Mitchell – un tecnologo, quindi teoricamente poco incline alla fantasia…-  si convinse, insomma, che esisteva la necessità di attuare una sorta di «rivoluzione mentale», nel tentativo di cambiare le coscienze degli uomini, per cambiare anche le prospettive della civiltà umana. Nel 1972 lasciò la NASA, fondò una società personale, la Edgar Mitchell Corporation a Palm BeachFlorida e successivamente l’Institute of Noetic Science (l’Istituto di Scienze Noetiche), con sede nel Nord California, per approfondire ulteriormente  le  problematiche relative ai fenomeni paranormali, agli stati di coscienza e alle esperienze mistiche. Sotto l’egida di questo istituto, diede alle stampe una ponderosa antologia sui fenomeni parapsicologici, «Psychic Explorations», un’opera che, all’epoca della sua pubblicazione, nel 1975, può essere considerata un primo passo per la realizzazione del suo progetto ‘noetico’.

Nell’esperienza di Mitchell esistono due momenti, secondo chi scrive. Un primo momento, rispettabilissimo è quello in cui questo scienziato si trova a contatto della infinità del cosmo e ne viene sconvolto: questo fatto produce in lui una più alta consapevolezza ed una determinata presa di coscienza. E un secondo momento nel quale le sue riflessioni sfociano nella convinzione ritiene che il significato degli studi su paranormale o delle esperienze ‘mistiche’ personalmente vissute, per fondare la mistica di una nuova società, incentivando la spiritualità umana e rinnovando le coscienze. Il primo momento è ampiamente soggettivo e quindi non opinabile, in quanto rappresenta – o potrebbe rappresentare – una personale evoluzione spirituale che, proprio per la sua soggettività non è sindacabile. Il secondo per quanto benevolmente lo si valuti, è erroneo.

Lo studioso Willis Harman in un suo scritto ha suggerito la possibilità che lo studio dei fenomeni paranormali possa avere anche un preciso significato sociale, visto che un cambiamento dell’ordine scientifico del mondo implica anche un cambiamento dell’ordine sociale. Tutto ciò può avere significato, ma può anche non averne affatto. Ciò che vogliamo dire è che è assolutamente inutile tergiversare su quali potranno essere le conseguenze politiche e sociali della parapsicologia e il suo contributo ad un cambiamento della coscienza dell’uomo. Possiamo solo ipotizzarlo, ma, come abbiamo già detto, le pure opinioni esulano dal vampo della scienza, per entrare a far parte del gioco delle supposizioni che lasciano, naturalmente, il tempo che trovano.

Una rivoluzione spirituale?

Esistono numerosi esempi di studiosi qualificati che hanno fatto lo stesso errore di valutazione di Mitchell sulle conseguenze etiche della ricerca sul paranormale. Un esempio potrebbe essere quello di Ian Stevenson, il celeberrimo studioso americano, notissimo in tutto il mondo per i suoi studi sul problema della reincarnazione, dei quali abbiamo già scritto. Stevenson iniziando le sue ricerche ebbe l’impressione che la certezza dell’esistenza della reincarnazione e quindi della sopravvivenza della personalità umana dopo la morte potesse avere un valore etico. L’uomo, infatti, avuta la certezza della sopravvivenza, avuta la conferma scientifica di fatti religiosi, avuta una ragionevole conoscenza del post-mortem, avrebbe in un certo senso adattato il suo comportamento ad un’etica che tenesse debito conto di tali acquisizioni. Stevenson fu però deluso in questa sua aspettativa.

«Molte persone, scrive l’illustre studioso americano, sono convinte che se noi potessimo dare una prova della sopravvivenza, ne seguirebbe automaticamente una trasformazione morale dell’umanità. Una volta io stesso ero convinto di ciò, ma ora non lo sono più. Il mio entusiasmo per questa teoria venne scosso per la prima volta nel 1961, quando feci visita al Ramakrishna Swami Mukherjee, a Chandigarth, durante il mio primo viaggio in India. Quando lo Swami mi domandò che cosa stavo facendo in India, io risposi entusiasticamente che stavo cercando delle prove a sostegno della reincarnazione. Dopo che io ebbi concluso la mia esposizione, seguì un lungo silenzio; ed io credo di poter ricordare le sue esatte parole che penetrarono dentro di me profondamente: «Sì, qui in India noi sappiamo che la reincarnazione avviene. Ma, vede, ciò non comporta alcuna differenza. In India, dove tutti siamo convinti della reincarnazione, abbiamo tanti furfanti e bricconi quanti ne avete voi in Occidente».

Michell, al contrario, pensava che gli studi sul paranormale avessero un valore ‘noetico’, che implicassero una rivoluzione delle coscienze, fornendo un appiglio per la crisi di valori moderna, che sia allora si profilava, ancora timidamente, all’orizzonte della cultura occidentale, quasi lanciando una sfida al sistema di valori erronei della società. Poetico, ma non vero. Come scriveva J.G. Pratt, uno dei più accorti studiosi di fenomeni paranormali del Novecento: “Nella scienza – scrive John G. Pratt – l’eccezione confuta la regola, vale a dire che i concetti scientifici non possono tollerare le eccezioni. Un fatto che ostinatamente si rifiuta di adattarsi alle attuali teorie, deve, alfine, trasformare tali teorie. I fatti della parapsicologia hanno, per più di cent’anni rifiutato di conformarsi alle concezioni dell’uomo che hanno portato a diminuire, se non addirittura negare, il ruolo della mente umana. I fenomeni psi mantengono la promessa di un’avanzata rivoluzionaria nella comprensione che l’uomo ha di se stesso”. Ed è questa l’unica rivoluzione nella quale si si può legittimamente aspettare. Attribuirle un significato sociale sarebbe come sarebbe come pretendere di trasformare Copernico in in un politico o Galilei in un economista.

Giovanni Iannuzzo

Trabia, si rinnova il Consiglio Direttivo della Sezione di BCsicilia

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Si rinnova il Consiglio Direttivo della Sezione di BCsicilia di Trabia, l’Associazione che si occupa di salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Presidente del gruppo cittadino è stata eletto all’unanimità Salvatore Scalici, Segretaria sarà Anna Modica, Economo è stato nominato Franco Ficardo, Responsabile della Formazione Giuseppe Nicola Greco e Responsabile della Comunicazione Silvia Ficardo. All’incontro era presente Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale di BCsicilia.

Il gruppo ha stilato un programma di attività da svolgere per questo 2025. In primo luogo la conoscenza e la valorizzazione del territorio alla luce del fatto che nello stesso Comune sono presenti due Castelli a mare: quello dei Principi Lanza di Trabia e quello dei Vanni Calvello di S. Vincenzo nella frazione di San Nicola. Inoltre, conservando nel suo litorale una antica tonnara con quasi 600 anni di ininterrotta attività, dal 1375 fino agli anni sessanta del secolo scorso, la sede di BCsicilia di Trabia intende promuovere, in collaborazione con il Comune e altre realtà associative, la costituzione di un primo nucleo del Museo del mare insieme alla possibilità di elaborare un itinerario subacqueo per permettere agli appassionati di potere osservare quello che resta delle antiche strutture sommerse. Ancora la valorizzazione e la conoscenza dell’interessante patrimonio etnoantropologico, una tra tutte le diverse Congregazioni religiose che hanno segnato la storia religiosa del paese, ed infine la predisposizione di escursioni per conoscere e apprezzare gli aspetti naturalistici, paesaggistici, storico-culturali e geologici che costellano l’area, percorrendo il fitto reticolo di sentieri che parte dal centro abitato verso i rilievi, essendo Trabia una dei sei Comuni in cui ricade la Riserva orientata di Pizzo Cane, Pizzo Trigna e Grotta Mazzamuto, ed ospita all’interno dell’Area Protetta diverse cavità di interesse paleontologico e paletnologico.

Nella foto il Consiglio Direttivo BCsicilia di Trabia.

Cefalù ricorda Angela Di Francesca con un incontro e l’intitolazione di una strada

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Una vita per la parità, intesa come parità di genere ma anche come parità di opportunità tra tutte le componenti della società; il tentativo di contrastare la condizione di marginalità ed estraneità causata da un orientamento sessuale, una scelta di vita, un ideale politico o civile. Si può riassumere così la parabola esistenziale di Angela Diana Di Francesca, poetessa e scrittrice che ha lanciato Cefalù nella dimensione delle grandi lotte sociali del 900. Internazionale e al tempo stesso stanziale come Leopardi e Kafka,  al pari di quelli ci ha mostrato come non andando troppo oltre la siepe si può naufragare o produrre l’America..

Attraverso il suo impegno Angela è andata In Vietnam, in Cile  in Argentina, in Romania e ovunque la protesta e il grido per la libertà abbiano richiesto uno sforzo mentale per essere raggiunti e poi divulgati.

Il pensiero è sempre svincolato e viaggia con ponti di dialogo ma anche per mezzo degli strumenti digitali che accorciano le distanze e Angela, grande comunicatrice, si è subito adeguata senza alcuna difficoltà al computer e ai social (è stata segretaria della ‘Biblioteca Virtual Salvatore Allende’)

Nell’occasione più che mai consona della giornata internazionale della donna, l’Amministrazione Comunale di Cefalù ha riconosciuto il percorso umano ed artistico di Angela Diana Di Francesca intitolandole una via cittadina e dedicandole un ricordo presso il teatro comunale Salvatore Cicero animato dalla presenza istituzionale e dai ritratti tracciati da alcune fra le persone che meglio l’hanno conosciuta nella pluralità dei suoi percorsi e interessi.

Giuseppe Saja ha presentato con un intenso saggio critico la poetessa e la narratrice, mentre Santa Franco ne ha rievocato le rivendicazioni per alcuni diritti fondamentali fra cui la disponibilità di consultori e asili nido. Franco ha ricordato Angela come  donna che si applica a studiare il russo negli anni della guerra fredda per accedere alla stampa oltre cortina in modo diretto, e poi come promotrice e animatrice del circolo UDI come luogo di aggregazione e di confronto in cui portare avanti battaglie sociali come quelle per il divorzio e per il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, invocato non come disconoscimento della sacralità della vita ma come possibilità di accesso, garantita da una legge dello Stato, a servizi di assistenza sanitaria nel caso in cui la coscienza o lo stato di salute non fossero compatibili con l’evento della maternità. E ancora la battaglia per l’apertura alle donne come socie del locale Circolo Unione, un fatto che a metà degli anni ’70 suscitò scalpore tanto da venire sottolineato dalla stampa nazionale ( Repubblica titolava un articolo “se lor signori non gradiscono le donne”).

Altra ancora fu la protesta contro la mercificazione del corpo femminile nelle campagne pubblicitarie, attuata attraverso l’ allestimento delle vetrine dei negozi di Cefalù proprio in occasione di un 8 marzo con immagini di donne importanti nei settori della cultura, della politica e anche dello spettacolo.

L’amica Teresa Triscari, ha rievocato l’esperienza del festival Ars poetica di Bratislava del 2009 nel quale Angela Di Francesca ha rappresentato il nostro paese. Angela superò tutte le selezioni ed entrò a fare parte della rosa dei finalisti. Premiata, infine, non andrà a Bratislava: “non si fece convincere a lasciare il proprio habitat e rimase invisibile, come le città di Calvino, assente eppure protagonista, e con lei l’Italia e Cefalù che uscì, lei si, dalle proprie mura in quella prestigiosa occasione”.

La comunità è erede dell’impegno come dell’ attività letteraria e deve esserne fiera custode e prosecutrice in tal senso Triscari ha rivolto alle autorità cittadine l’appello per la riedizione della prima silloge poetica di Angela Di Francesca, il volume ‘I Ponti del Normale’, testo di grande attualità nel suo ermetismo evocativo e riecheggiante i bisogni dell’uomo moderno.

José Luis sottile. amico di Angela e suo partner in alcune stagioni di spettacolo a ridosso della sua prematura scomparsa, le ha dedicato un momento musicale che l’ha celebrata nel suo essere interprete di un sentimento di universalità, in particolare modo vicina al mondo degli oppressi dell’America latina.

La lotta di Angela è stata sempre la lotta laica per un mondo giusto, in cui a nessuno siano negati la solidarietà e la dignità.

L’incontro è terminato con la proiezione di un video realizzato dai familiari di Angela: un collage di momenti significativi della sua vita e i suoi tanti interessi oltre la scrittura, dalla fotografia, al disegno, nel quale era bravissima, da autodidatta, al costume teatrale, alla recitazione: attrice in tante stagioni teatrali nella compagnia guidata da Accursio di Leo, Angela si è cimentata con vari autori da Anhouille a Capuana a Dario Fo a Sofocle.

Il video si conclude con una poesia composta e recitata fuori campo dalla figlia Marzia che racconta la  vita della madre per tappe salienti e chiosa con una citazione da Pirandello:

A chi vuole conoscermi (ma nessuno lo chiede) rispondo: io sono colei che mi si crede.

Barbara De Gaetani

Porta simbolica per l’aldilà: “Ierofania Misterica” all’imbrunire del 23 febbraio nella Thòlos della Gurfa di Alia

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Il brivido sublime della bellezza della “Ierofania Misterica” del tramonto di fine ottobre alla thòlos della Gurfa di Alia ha trovato conferma lo scorso 23 Febbraio, come da noi teorizzato e previsto. Argomento che adesso si fa ancora più consistente, aprendo piste nuove alla ricerca sulla Via della Thòlos che porta agli Ipogei della Gurfa, che sembrano confermarsi grandioso “Telesterion/Palazzo delle iniziazioni” e “Pantheon” sicano.

Con l’autorizzazione all’accesso del Comune di Alia per verifica di studio, che ringraziamo, con Elisa Chimento e Calogera Gattuso di BCsicilia di Alia, assieme a Enzo Mulè siamo tornati due mesi dopo il Solstizio d’Inverno, per riverificare il fenomeno intrigante registrato due mesi prima dello stesso Solstizio.

Il nuovo breve video di documentazione realizzato da Enzo Mulè è visionabile all’indirizzo web

 https://youtu.be/hmjgeueMVqI?si=dPhAsMW2y1xZ26-p

Rimandiamo per il contesto generale alle considerazioni pubblicate il 17 Dicembre 2024 e reperibili per documentazione in

https://www.esperonews.it/20241217111811/rubriche/terra-e-luce/il-brivido-sublime-della-ierofania-misterica-del-tramonto-di-fine-ottobre-alla-tholos-della-gurfa-di-alia/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR1VjEldLZnTgT-cXSR7fwFapqZ0x0DEDlxx-7gK9S9aeKbYn_vb8VSQXos_aem_U-PBqTfvi8xdYxSOPrISzg#google_vignette

Riproponiamo per confronto in Fig.1 la ‘misterica Ierofania solare’ del tramonto del 27 Ottobre 2024 in quell’ambiente suggestivo, che si aggiunge a quelle note dei Solstizi e degli Equinozi.

Fig.1 La ‘misterica Ierofania solare’ al tramonto del 27 Ottobre 2024

Aggiungiamo adesso poche altre cose essenziali a verifica di supporto fatta proprio il 23 Febbraio scorso, con l’evidenza “parlante” delle immagini seguenti, con qualità della luce all’imbrunire meno “ardente” ma sempre carica di vibrante suggestione estetica.

Figg.2 e 3 La ‘misterica Ierofania solare’ al tramonto del 23 Febbraio 2025

Figg.4 e 5 La ‘misterica Ierofania solare’ al tramonto del 23 Febbraio 2025. Particolari della linea di luce radente al suolo.

Fig. 6 La ‘misterica Ierofania solare’ al tramonto del 23 Febbraio 2025, con il particolare dell’evidente rimozione della originaria banchina circolare (Figg. 7 e 8) che “inquadrava” proprio quell’incasso artificiale molto ben lisciato ed in perfetta simmetria con il sopravvissuto “foro per struttura incastrata” in alto ed altri “segni fossili” a parete da indagare con cura.

     

Figg. 7 e 8 Ricostruzione della possibile configurazione dello spazio originario della thòlos interessato al fenomeno di Ierofania del tramonto in studio.

L’analisi ci porta a ribadire che quella porta simbolica per l’aldilà è stata genialmente progettata ‘angolata’, rispetto alla porta di accesso, che pure doveva avere uno spazio di accesso riservato e chiuso da tendaggio pesante verso la grande sala cerimoniale, proprio per cogliere con stupore anche quell’ultima Luce. Ritualità riservata che doveva servire nel Telesterion per iniziare ai Grandi Misteri, a fine Ottobre, la figura del sovrano Minos/Wanax/Basileus/Rex/Re del Mondo/’Kokalos’ di Tradizione egeo-sicana e poi a fine Febbraio per iniziare ai Piccoli Misteri l’aristocrazia di comando di quella società gerarchica. Oltre la “marcatura simbolica” dello spazio architettonico, con il Tridente o l’importante “Beth fenicio”, che trova confronti nelle mura megalitiche più antiche di Erice, doveva quindi essere il segnale visibile per l’accesso al Sacro attraverso quella Porta ad Oriente.

Figg.9-10-11 Tridente,Beth fenicio” alla Gurfa e “Beth fenicio” ad Erice

Sono considerazioni che aprono a problemi importanti, oltre che di Archeologia, di Storia dell’Architettura e delle Religioni, da approfondire nelle sedi opportune, ma questo non compete a noi che ci stiamo permettendo solo di dare la linea assumendoci la responsabilità del seguito. Da autorevole fonte archeologica che ci sta seguendo con attenzione in questo percorso, sappiamo che la thòlos aliese potrebbe considerarsi un “Pantheon” sicano, pur con tutte le approssimazioni del caso, proprio  per queste Ierofanie luminose ampiamente verificate e con l’ultima luce dei tramonti accennati: indizio che riporta al modellino/pinax fittile scoperto in un sacello dell’acropoli di Polizzello, dove la porta/incasso accennata e contornata avrebbe lo stesso significato e quindi ne sarebbe una importante “citazione”.

Carmelo Montagna

Quando il vissuto diventa narrazione: intervista alla scrittrice Cristina Antronaco

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Autrice del libro “I volti della distanza” (Edizioni Arianna, 2023), laureata in Filosofia, vive a Palermo, dove insegna, in qualità di docente specializzata su sostegno, in una scuola secondaria di II grado. Con gentilezza e disponibilità, Cristina Antronaco ci ha concesso un’intervista esclusiva, aprendo il suo cuore e svelando i segreti che hanno dato vita al suo romanzo. Attraverso le sue parole, abbiamo compreso come la scrittura sia stata per lei un modo per elaborare il dolore, un atto di catarsi che ha trasformato il suo vissuto in un’opera letteraria. “È stata una presa di coscienza,” ci ha confidato, “un modo per dare voce a tante donne che portano silenziosamente il fardello di un’esperienza di dolore universale”.

“I volti della distanza” è un romanzo che affonda le sue radici in una storia profondamente personale. Un’esperienza intima, delicata, che ha scelto di condividere con i lettori. Un atto di coraggio, senza dubbio, ma anche un dono prezioso per chi si riconoscerà nelle sue parole. Cosa l’ha spinta a trasformare il suo vissuto in un’opera letteraria? È stata, tra le altre cose, una sorta di catarsi, un modo per elaborare il dolore e trovare una nuova forma di espressione?

Grazie per questa generosa opportunità. Quello che lei definisce atto di coraggio per me ha rappresentato, piuttosto, una presa di coscienza che sempre più lucidamente affiorava in me con la forza di un appello a cui non potevo più sottrarmi. La consapevolezza di vivere una condizione esistenziale-limite, di quelle che determinano una frattura tra un prima e un dopo e di cui moltissime donne, più di quanto si possa comunemente pensare, ne portano silenziosamente addosso il fardello e i segni, è stata una fortissima spinta a voler scriverne perché il taciuto, il non detto che, spesso riscontravo in moltissime testimonianze non cadessero in un eterno oblio ma avessero un luogo proprio, legittimo per venire alla luce, dove essere riconosciuti, affidati alle parole che sono carne e ossa e non si limitano a nominare la realtà ma la costruiscono, la definiscono ed allo stesso tempo compiono il miracolo della trasformazione perché forniscono nuovi significati, nuovi ponti e orizzonti di senso smarriti. Certamente ho attinto tanto dal mio vissuto personale che non è stato mera cronaca che ha ripercorso fedelmente i fatti avvenuti ma la pervicace volontà di restituire dignità e visibilità ad un’esperienza di dolore che è universale, seppur attraverso la lente del particolare, con l’intento di denunciare quell’immaginario collettivo che ergendosi a giudice inquisitore sottovalutata e minimizza come se ci si potesse riferire a gerarchie e classifiche di dolore di serie A e serie B. E in qualche modo sono approdata ad una forma di catarsi. Quando si avverte un’energia che sta per straripare e rompere gli argini è necessario fare ricorso a delle dighe e questo sono state le parole per me, uno strumento salvifico di continenza perché insieme, legate le une alle altre, sono divenute narrazione e dunque possibilità di ritessere le trame della vita quando queste hanno subito una smagliatura perché proprio quando il dolore si fa racconto è già un primo sintomo di sottrazione alla suo piena, germoglio che rompe la scorza del seme, timido inizio di fioritura nel deserto.

La distanza, nelle sue diverse forme, è un tema centrale nel romanzo. Distanza fisica, certo, quella che separa Luca e Noemi, costretti a vivere in città diverse. Ma anche distanza emotiva, quella che a volte si insinua anche nelle relazioni più solide. E, infine, distanza interiore, quella che ognuno di noi sperimenta rispetto a se stesso, ai propri desideri, alle proprie paure. Come mai ha scelto di raccontare le relazioni umane attraverso questa lente? Cosa rappresenta per lei la distanza?

Onestamente il filtro della distanza non è stato scelto consapevolmente ad hoc, a monte, come espediente letterario attraverso cui leggere le relazioni ma, semplicemente e naturalmente, è accaduto, cioè si è imposto ciclicamente nel fluire del racconto poiché riaffiorava senza che ci fosse una gestione responsabile da parte mia, come un filo rosso dipanandosi dall’inizio alla fine come se fosse un topos letterario scelto come artificio. Quindi, data la sua ricorrenza, in corso d’opera, ho deciso di utilizzarlo come chiave di lettura, come via d’accesso privilegiata che mi consentisse di passare da una dimensione fenomenica ad una noumenica, per dirla filosoficamente. Una distanza che diviene necessaria, un passaggio quasi obbligato per riappropriarsi della vicinanza e di tutto quello che prima veniva messo in discussione, come se attraverso un travaglio del negativo ci si potesse nuovamente riconoscere e riconoscersi superando quel senso di alienazione da se stessi, dagli altri e dal mondo.
La maternità, con le sue luci e le sue ombre, è un tema che attraversa tutto il romanzo. Un tema complesso, delicato, che ha saputo affrontare con grande sensibilità, mostrandone sia la gioia immensa che il dolore profondo. Cosa ha significato per lei esplorare questo aspetto così profondo e significativo della vita di una donna?

Ha detto bene, la maternità è essenzialmente qualcosa di estremamente complesso e che storicamente è stata considerata come unica declinazione possibile del femminile, quindi come destino e compimento ineluttabile per le donne; come se l’essere donna dovesse coincidere esattamente con l’essere madre e in questa corrispondenza si giocasse la cifra di senso e di realizzazione della persona. Questo retaggio culturale, oggi, sicuramente meno di ieri, continua, però, ad insinuarsi e a serpeggiare in una buona fetta della popolazione. Dal mio punto di vista la maternità l’ho vissuta come esito di una scelta fortemente voluta, ponderata e condivisa, maturata in un momento della mia vita in cui ho avuto certezza, o per lo meno mi sono illusa, che ci fossero tutte quelle condizioni minime materiali ed affettive che potessero accogliere una nuova vita per offrirle il meglio. Perché come dice Simone de Beauvoir i figli sono “un richiamo alla responsabilità più pura, un dovere sacro che trascende l’ego”. Sono i fiori più generosi dell’amore vero e incondizionato, germogliano dalla libertà e non dall’obbligo….Sono individui unici, portatori della loro stessa essenza, e spetta a noi la nobile missione di guidarli affinché siano felici, consapevoli e liberi.” Ammetto, tuttavia, che la tentazione egoistica di considerare un figlio anche come prolungamento ed estensione della propria esistenza c’è stata ma si è ridimensionata nella misura in cui il riconoscimento dell’alterità ha preso il posto di un’identità impossibile da replicare e comunque non funzionale per lo sviluppo libero e soggettivo della persona. L’esperienza personale e quella di tante altre donne mi insegnano oggi che la maternità occupa uno spazio idealmente infinito che abbraccia l’amore in ogni sua declinazione materiale, spirituale, morale e è non riconducibile a quello tradizionale che vede come protagonisti unicamente la madre e il suo bambino.
“I volti della distanza” è anche un romanzo sulla resilienza, sulla capacità di rialzarsi dopo una perdita, di trovare una luce nel buio. Un romanzo che ci ricorda che anche nei momenti più difficili è possibile trovare la forza di andare avanti. Cosa le ha paradossalmente  insegnato, a livello personale, la storia che ha raccontato? E cosa vuole comunicare ai lettori che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze simili?
Da amante della parola mi soffermo un attimo a riflettere sul fatto che ultimamente il termine resilienza risulta molto inflazionato, quasi abusato; nato in un settore di impiego specifico come quello dell’agricoltura si è poi esteso ad altri ambiti per indicare infine in ambito umano questa capacità di resistere, nonostante tutto, e in questo nonostante tutto è racchiuso l’universo di difficoltà rispetto alle quali si gioca la possibilità di farcela, di non soccombere, di non lasciare che la vita ci trascina alla deriva. Ciò che insegna, per essere tale “segna”, e, tanto l’esperienza che ho attraversato, quanto la narrazione, intesa come strumento di costruzione del nuovo, di un senso capace di addomesticare un caos interiore permanente, mi hanno suggerito alcune verità, ad esempio, soltanto attraverso la riappropriazione del tempo della cura, della transigenza verso noi stessi, dell’accoglienza della nostra fragilità, come radice ontologica che ci connota nel profondo, possiamo metterci in ascolto di quella dimensione autentica che soccombe  agli urti di un mondo che fila alla velocità della luce e non ammette inciampi, che rincorre promesse di eternità mutuate da maschere e non da volti e che tradisce il messaggio dell’amore puro, quello che non ha fretta, che sa aspettare, che non chiede nulla in cambio, che resta e nell’attesa resiste e ci fa riesistere perché sa che soltanto rimanendo intero potrà salvarsi e salvare, strappandoci alla morte. Il messaggio, quello forse più difficile, perché appunto prematuro, quasi ridicolo, per chi è in questo preciso momento dentro la tempesta, è il sentimento di fiducia che non deve essere smarrito, come dico nel romanzo, “In un futuro che, nonostante tutto, mi avrebbe prima o poi raggiunta e voluta nel suo corso”. Fiducia chiaramente accompagnata da quello che è stato detto prima.

Luca e Noemi, i protagonisti, sono ispirati alla sua storia personale. Una coppia che, nonostante le difficoltà, lotta per il proprio amore. Una coppia che, in qualche modo, ci somiglia, con le sue fragilità e le sue risorse. Da cosa ha tratto principalmente ispirazione nel raccontarli? Quanto si sente legata a loro?         

Luca e Noemi costituiscono due universi diversi, eppure, a volte, molto simili tra loro. Il maschile e il femminile, due frecce di uno stesso arco, due approcci differenti alla vita e al modo di sentire e affrontare il dolore e in qualche modo condizionati da stereotipi di genere che impongono modalità peculiari di viverlo, questo dolore. Luca e Noemi sono indubbiamente, per molti aspetti, un concentrato delle mie proiezioni personali ma anche il frutto di tanto altro, di edulcorazioni e di sentimenti portati all’iperbole perché ritenuti funzionali alla costruzione  della storia. Il primo incontro, la nascita della storia d’amore, la scelta “obbligata” di lasciare la propria terra per inseguire i propri progetti, il desiderio di vivere insieme e costruire una famiglia, per consentire che il rapporto nato e poi mantenuto a distanza vivesse di nuova linfa, sono tutti aspetti paradigmatici di una coppia qualunque, come ce ne sono tantissime, in tutto il mondo. Anche la rottura dell’equilibrio, l’evento che segna la frattura tra un prima e un dopo anche se non è sempre il lutto rappresentano un elemento fisiologico che caratterizza il ciclo di vita di ogni coppia e forse anche il modo attraverso cui loro resistono non è eccezionale, né originale rispetto ad altri. Probabilmente la loro forza e la loro caratterizzazione risiede proprio in questo, nel fatto di essere due persone comuni che nella loro individualità incarnano gli aspetti universali di ciascuno, in quanto depositari di risorse e fragilità che rivelano la loro umanità, nient’altro. Non sono eroi, per l’appunto, ma sono e restano umani accettandosi reciprocamente, rispettando i diversi modi di guardare la realtà anche se questo risulta spesso incomprensibile all’altro. Non si forzano, non c’è prevaricazione nel loro linguaggio, l’amore rimane il tessuto su cui è cucita la loro esistenza, la trama a volte salta, ma con i punti di un sentimento sempreverde le smagliature vengono risanate. Sono grata a loro perché rinnovano la consapevolezza che solo l’amore è in grado di compiere miracoli.
“I volti della distanza” è un romanzo che parla al cuore dei lettori, un romanzo che ci invita a riflettere sulle relazioni, sulla maternità, sul dolore. Qual è il messaggio più profondo che vuole trasmettere ai lettori con questo libro? Cosa si aspetta che si portino a casa dopo averlo letto?

Come dicevo prima, la fiducia nel futuro, probabilmente, quella fioca luce di speranza che si intravede è la misura che restituisce comunque la certezza che una possibilità di rinascita è accordata a tutti, anche a quei genitori che vengono definiti nei blog “A braccia vuote e cuore gonfio”. Mi piacerebbe che i lettori si portassero dietro quella consapevolezza di non essere intoccabili, che le cose accadono e possono cambiare repentinamente da un momento all’altro sia in senso positivo che negativo e che per questo dobbiamo lavorare su noi stessi, equipaggiarci per non farci trovare impreparati, costruire relazioni solide e significative che offrano un porto sicuro quando ce ne sarà bisogno. Un invito a rapportarci agli altri, ai tanti volti in punta di piedi perché dietro ad ognuno c’è una storia che non può essere ignorata e purtroppo oggi, tanto le guerre, quanto le migrazioni testimoniano questa incapacità, anzi rivelano la volontà di respingimento e negazione.

Dopo questo esordio così intenso e personale, ha altri progetti di scrittura in corso?

Scrivere è una modalità espressiva che sento congeniale al mio modo d’essere e che ho sempre sperimentato sia nelle forme della prosa che della poesia. Ad oggi, però, non sto portando avanti nessun progetto ma non lo escludo per un futuro meno prossimo!

Siamo giunti al termine di questa conversazione, ed è stato un autentico piacere immergerci nel suo universo letterario, tra passione per la scrittura e riflessioni profonde.  Prima di congedarci, vorrei lasciarle uno spazio tutto suo: c’è qualcosa che le sta particolarmente a cuore e che non abbiamo toccato, un pensiero o un messaggio che desidera condividere con chi ci legge?

Desidero rinnovare il mio profondo ringraziamento per questa opportunità di ascolto in un periodo storico in cui tale pratica sembra essere ormai desueta e fastidiosa perché l’ascolto ha bisogno di tempo e quando è attivo richiede anche una sensibilità, una cura e un’attenzione crescenti. In un’era digitale in cui si è perennemente connessi da remoto ma disconnessi nelle relazioni reali, l’invito è quello di ritrovare quel sentimento di pietas verso gli altri, di appassionarsi, di ritrovarsi a leggere e a condividere esperienze perché dalla narrazione passa la costruzione della propria identità e di nuovi significati attraverso cui poter leggere e costruire la storia, le storie.

Salvina Cimino