Nel corso delle mie ricerche mi sono imbattuto in un testo che, pur non recentissimo, rimane di una sorprendente attualità: Les sources de l’histoire médiévale di Olivier Guyotjeannin (1998). In questo volume, l’autore mette in evidenza con grande chiarezza le difficoltà che incontra lo storico – e in particolare lo storico del Medioevo – nel suo lavoro quotidiano di lettura, interpretazione e confronto delle fonti.Una delle sfide più complesse è senza dubbio quella della lingua. Lo storico dell’antichità, ad esempio, si muove per lo più entro un orizzonte linguistico unitario, quello del latino classico, con tutte le sue variazioni ma pur sempre riconoscibile. Lo storico del Medioevo, invece, si trova immerso in un universo policentrico, in cui il latino si trasforma, si adatta ai territori e ai tempi, e accanto ad esso fioriscono le nuove lingue volgari, le lingue del popolo, vive e mutevoli.
Guyotjeannin ricorda un caso emblematico:
« Trilinguisme latin/grec/arabe plus longtemps pratiqué chez les Normands de Sicile » (p. 41).
Una semplice osservazione, ma di enorme portata: nel Mediterraneo medievale, e in particolare nella Sicilia dei Normanni, le lingue si intrecciavano come fili di una stessa trama culturale. Un contesto straordinariamente stimolante, ma che pone allo storico di oggi sfide interpretative enormi.
Il lavoro dello storico medievale, dunque, non può essere un atto solitario. È un esercizio di collaborazione, di ascolto, di pazienza. Serve saper accettare i propri limiti, riconoscere la complessità del passato e imparare a decifrare non solo ciò che i testi dicono, ma anche ciò che tacciono.
Perché in fondo, come ogni buon medievista sa, la storia non si trova mai tutta nelle parole: spesso, abita nei loro silenzi.
Edoardo Torregrossa