Fenomeni paranormali o disturbi del sonno? Le stranezze della narcolessia

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Le case infestate da fantasmi – o presunte tali – sono, sin dall’antichità uno dei fenomeni più inquietanti di quell’eterogeneo insieme di eventi, fatti, credenze che chiamiamo ‘paranormale’ (ne abbiamo già scritto in questa stessa rubrica). Chi è protagonista o testimone di questi eventi, narra di strane percezioni, apparizioni, visioni o sensazioni di strane presenze che sarebbero prodotte da misteriose entità e che non trovano comunque una spiegazione per così dire ‘normale’. E talvolta parrebbe davvero così, come sembra potersi dedurre da un numero incalcolabile di racconti relativi a simili fenomeni e spesso analizzati da studiosi di provata competenza.

Ma talvolta i confini che separano il normale, il ‘paranormale’ e la psicopatologia sono molto più sfumati di quanto comunemente si pensi. Esiste infatti una malattia neuro-psichiatrica poco conosciuta, anche fra gli ‘addetti ai lavori’, che è perfettamente in grado di ‘mimare’ alla perfezione i fenomeni di infestazione. Si chiama ‘narcolessia’.

E’ un disturbo del sonno che è stato descritto per la prima volta nel 1862 dal medico francese Caffè e dal collega tedesco Westphal nel 1877. Entrambi avevano osservato strani disturbi in alcuni pazienti  che presentavano attacchi di sonno improvvisi e una riduzione delle capacità motorie e verbali. Definirono quest’insieme di disturbi genericamente come ‘malattia del sonno”. Solo nel 1880 un altro medico e neuropsichiatra francese, Jean-Baptiste-Édouard Gelineau, fornì una descrizione più completa di questo insieme di disturbi, considerandolo una patologia specifica e definendola ‘narcolessia’. Egli spiegò che le persone con narcolessia possono avere attacchi di sonno durante il giorno e possono anche subire episodi di paralisi muscolare, che possono verificarsi in situazioni emotive o addirittura dopo una risata, un fenomeno che chiamò “astasia”. Questi episodi furono inizialmente confusi con attacchi epilettici a causa della loro somiglianza. Solo nel 1916, il medico Hennenberg diede un nome specifico a uno di questi sintomi, chiamandolo “cataplessia”.

Per molti anni la narcolessia e la cataplessia furono gli unici sintomi accettati come caratteristici della sindrome. Successivamente altre osservazioni misero in luce l’associazione di altri due sintomi: le cosiddette ‘paralisi del sonno’ e le allucinazioni ipnagogiche e ipnopompiche.

Per quanto attiene agli attacchi di sonno, si tratta di una sonnolenza patologica, frequente o persistente. Il soggetto con narcolessia, quando è preso dagli attacchi di sonno, non è in grado se sottoposto a stimoli adeguati in un soggetto normale di superare questo stato, e quindi di svegliarsi. Egli presenta quindi, abitualmente, una notevole diminuzione delle sue abilità motorie, intellettive e verbali. Gli attacchi possono presentarsi in qualunque momento, sia mentre il soggetto è annoiato, sia mentre sta compiendo un’attività impegnativa dalla prospettiva psicofisica, come lo sport o l’attività sessuale. Gli attacchi durano circa 15 minuti e talvolta sono preceduti dalla sensazione che si stiano presentando (quasi un’aura), altre volte invece improvvisamente. Inoltre possono ripetersi per diverse volte in un giorno (sino a sei volte) e tra un attacco e l’altro è stato osservato un periodo di refrattarietà che dura un’ora o più.

La cataplessia è meno frequente come sintomo, ma spesso, se presente, è associato alla narcolessia. Si tratta della perdita di tono generale e improvvisa della muscolatura striata, spesso scatenata da un accesso di riso, o da un’emozione piacevole (ictus ridens o geloplegia), senza interessamento della muscolatura oculare e senza perdita di coscienza. Gli attacchi possono variare molto, da soggetto a soggetto, in lunghezza: da trenta secondi a trenta minuti. Ancora meno frequente la paralisi del sonno che può essere descritta come un breve episodio caratterizzato dall’impossibilità e dall’incapacità di compiere movimenti volontari sia quando si sta addormentando che quando si sta risvegliando. La durata è variabile, anche in questo caso, da soggetto a soggetto, da pochi secondi a quindici-venti minuti. Il soggetto, comunque, può essere risvegliato da questo stato con un’adeguata stimolazione sensoriale (chiamandolo o scuotendolo). Il fenomeno è stato osservato anche in soggetti assolutamente normali, ma solo come fenomeno isolato e sembra piuttosto frequente nell’adolescenza.

Non infrequentemente questi episodi sono accompagnati da allucinazioni multisensoriali (come la sensazione della persona di un estraneo o la sensazione di una figura mostruosa che siede sul torace). Le allucinazioni ipnogogiche e ipnopompiche sono il quarto elemento del quadro clinico. Si tratta di allucinazioni complesse e bizzarre, percepite al momento dell’addormentamento o del risveglio, con un contenuto emozionale di gran lunga più intenso di quello esperito da soggetti normali in tali condizioni.

Tali false percezioni si possono presentare in maniera del tutto inaspettata, abitualmente prima degli attacchi di sonno, talvolta con un carattere decisamente spiacevole. Lo psichiatra Lhermitte  riportò, nel 1930, il caso di un paziente che asseriva di vedere delle fiamme che lambivano la parete, scheletri e teschi. Il carattere delle allucinazioni è variabile: possono essere visive, acustiche (come percezione di un insieme disordinato di suoni o di vere e proprie armonie) o coinvolgere altri sensi, come il tatto e l’olfatto, anche se queste ultime sembrano abbastanza rare. Una delle caratteristiche più interessanti di tali allucinazioni è quella di essere allucinazioni psichiche che prendono la forma della precisa sensazione della presenza di qualcuno, e questa caratteristica appare abbastanza frequentemente. Una allucinazione frequente è quella di un intruso che entra nella casa del paziente, fatto che viene esperito come molto minaccioso. Tali allucinazioni «multisensoriali» ovviamente impressionano molto i pazienti, e possono anche essere terrifiche e purtroppo può condurre, se non esattamente valutate, ad una diagnosi di schizofrenia. Dopo anni di ricerche si è scoperto che la causa della narcolessia è la perdita di cellule cerebrali che producono una sostanza, l’orexina (o ipocretina), un neuropeptide che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del ritmo sonno-veglia. A fronte dell’interpretazione neurologica della narcolessia si è sempre posta quella psichiatrica che sembra in grado di comprendere alcuni aspetti insoliti di questa sindrome e di rendere ragione di almeno un certo numero di casi. L’interpretazione corrente vede nella narcolessia una ‘fuga dalla realtà’ del narcolettico. Il paziente, frustrato dalla routine quotidiana e desiderando fuggire da questa situazione produce i sintomi di narcolessia che assumono quindi un carattere compensatorio, e sono associati ad obiettive difficoltà nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente. La malattia narcolettica, infatti implica  disturbi psichiatrici in senso stretto, ma anche disturbi comportamentali di varia natura  (difficoltà di adattamento, con umore depresso o sintomi variamente commisti; episodi di depressione maggiore, dipendenza da alcool; disordini della personalità). Si tratta di una malattia invalidante (basti pensare alle difficoltà lavorative che comporta) e le difficoltà di adattamento sono maggiori, ovviamente, nei casi di pazienti la cui famiglia non si è a sua volta adattata al disturbo.

E torniamo ora alle case infestate. Spesso i resoconti di fenomeni misteriosi, apparizioni, percezione di movimenti inspiegabili di oggetti e via dicendo sono perfettamente compatibili con i sintomi della narcolessia. Bisogna tener presente che la narcolessia è una malattia non semplice da identificare e diagnosticare. Peraltro si tratta di una patologia poco comune (negli Stati Uniti ha una incidenza di 3-15 persone su diecimila). Un altro dato piuttosto significativo è l’età di esordio: essa è compresa generalmente tra i 15 e i 30 anni. L’età è quindi un importante dato discriminante da tenere in considerazione quando si valutano i resoconti di presunte case infestate, specialmente quando tali resoconti sono riportati da singoli soggetti, senza che altri siano stati testimoni dei presunti fenomeni.

Questi dati clinici ed epidemiologici non erano certamente noti ai primi ricercatori che, in Gran Bretagna, giusto intorno al 1880, cominciarono ad esaminare rapporti e comunicazioni di case infestate e apparizioni di fantasmi, tentando di vagliarne l’attendibilità. Ma probabilmente lo stesso può valere per tanti altri resoconti molto meno datati di fenomeni paranormali ‘ambientali’. Questo non significa, ovviamente, che tali fenomeni non esistano o che essi debbano essere necessariamente ricondotti ad una valutazione o interpretazione psichiatrica dei soggetti che li esperiscono. Significa, semmai, ricordare che più un fenomeno è complesso o insolito, più bisogna essere prudenti nella loro interpretazione. Magari ricordando il motto latino che il filosofo Baruch Spinoza teneva tanto caro da averlo inciso sul suo anello con sigillo: “Caute”, sii cauto…

Giovanni Iannuzzo

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