Mons. Benedetto Rocco e la Gurfa di Alia

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Studioso di valore della Gurfa fu Monsignor Benedetto Rocco (1926-2013), docente di “Sacra Scrittura” e “Patristica” alla facoltà teologica “S. Giovanni Evangelista” di Palermo, direttore nel 1980, studioso di lingue antiche tra cui l’ebraico, l’aramaico ed il fenicio; autore di testi sulle iscrizioni fenicie scoperte presso la “Grotta Regina” a Palermo, sui mosaici e sull’archivio della Cappella Palatina di cui fu gestore; si interessò degli ebrei in Sicilia dal tardo antico al medioevo. Vogliamo ricordarlo in particolare per il suo importante e coraggioso intervento del 1995 ad Alia, al Convegno La Gurfa e il Mediterraneo, dove sostenne posizioni “non allineate” rispetto alla vulgata, data per certa, della “fossa granaria medievale” degli “addetti ai lavori”.

Per memoria di archivio ne riportiamo le parti più significative, che condividiamo come posizione corretta di ricerca ancora adesso attuale, di quel suo intervento.

Nel merito di questa epigrafe che riporta nel testo, questo scrive Benedetto Rocco, in Mediterranei e Fenici alla Gurfa di Alia:

“PRIMA PARTE …E’ stata una delle costanti, nelle descrizioni popolari della Gurfa, la presenza di caratteri epigrafici incomprensibili, di scritte ‘geroglifiche’, o di qualcos’altro, il cui senso è sfuggito fino ai nostri giorni. (p.49) … L’esame linguistico, senza dubbio difficilissimo e ancora incompleto, ha rivelato che si tratta di iscrizione in lingua fenicia o -se si preferisce- in lingua punica, che è una variante occidentale del fenicio. Non essendo possibile ad alcuno stabilire la diretta provenienza dell’autore della incisione, continuiamo a chiamarla fenicia: il fenicio include il punico, il punico non include il fenicio. (p.50) … Vocalizzando il testo consonantico, traduciamo ‘Melqart’ al primo rigo, e ‘anche ad Astarte’ nel terzo rigo; altre consonanti isolate qua e à non ci danno per ora la possibilità di traduzione alcuna. Abbiamo la presenza di Melqart e Ashtart, una notissima coppia divina, adorata dai Fenici e certamente anche dai Cananei, dagli Aramei e dai Mesopotamici. Melqart più esattamente era venerato a Tiro (=Melk-Qart ‘il Re della Citta’ ); il culto di Astarte (p.51) spaziava in tutto il vicino oriente (in accadico era detta Ishtar). … Il significato completo dell’epigrafe ci sfugge, non essendo ancora letto il contenuto del secondo e quarto rigo; dello stesso primo rigo la lettura è parziale. Si può tuttavia prevenire ogni nostra legittima curiosità, ipotizzando o la trasformazione della Gurfa a luogo di culto fenicio, o l’offerta, da parte di un devoto, di un vistoso dono votivo, tale da richiedere una menzione speciale per i secoli futuri. Di più non possiamo dire, almeno per ora. L’acquisizione della presenza dei Fenici alla Gurfa apre la porta a mille considerazioni, alle quali difficilmente si potrebbe rispondere in questa sede. A chi sembrasse inedita la presenza dei Fenici nel territorio di Alia – come lo è del resto – presentiamo un quadro della Sicilia fenicio-punica, mettendo in evidenza tutte le località che fino ad oggi hanno restituito epigrafi fenicie. Partendo da nord ovest raggiungiamo Solunto, palermo, Monte Pellegrino, Grotta Regina e la sorella minore Grotta dei Vaccari, Montelepre, Monte Palmita, Erice, Favignana, Mozia, Marsala, Selinunte, Licata, tutte località costiere o prossime alla costa; in questi ultimi anni sono state identificate iscrizioni anche nell’interno dell’isola, precisamente a Castronovo (p. 52) ed ora anche ad Alia. Per la completezza della documentazione, non so resistere ad altro ricordo, che mi affiora alla memoria: a oriente delle Madonie, sui Nebrodi viene localizzata la città detta dai Greci Amestratus, che vale in fenicio ‘Am-Ashtart’, cioè ‘popolo di Astarte’, ed oggi è conosciuta come Mistretta. Non è sul mare, ma nell’interno. Tra Castronovo e Casteltermini viene localizzata Mytistratus, altro toponimo fenicio, distinto dal precedente, che vale ‘Muti-Ashatart’, cioè ‘Uomini di Astarte’. Neanche questa città è sul mare, ma nel centro dell’Isola. Checché ne abbiano pensato fino ad oggi gli storici e i cultori della civiltà ellenica in Sicilia, non si può eludere la presenza di due città di puro etimo fenicio, presenti in Sicilia là dove con ogni cura pseudo-scientifica si è cercato di cancellarle. Questi sono fatti, che non sopportano discussioni; si tratta ora di capire il senso e la portata di queste scomode presenze. Per essere completi, aggiungiamo che presso Musei e grandi collezionisti di numismatica vengono mostrate monete con la scritta Ras-Melqart, ossia una località detta in antico Capo di Melqart, la cui ubicazione rimane controversa: secondo alcuni studiosi sarebbe la vecchia Kephaloidion (‘piccolo capo’), cioè Cefalù, secondo altri sarebbe una città della costa meridionale tra Selinunte e Agrigento, possibilmente Eraclea Minoa, a causa dell’identificazione di Melqart con Herakles/Hercules della tradizione greco-romana. Chiediamo allo storico di rivedere le sue posizioni sugli insediamenti in Sicilia nell’antichità, per trovare posto anche alle nuove acquisizioni epigrafiche, e a quelle che seguiranno certamente in  futuro. Sono queste scoperte a (p. 53) liberarci da certa pigrizia mentale, che ci fa assuefare a dati storici non più difendibili e a considerare come acquisiti per sempre fatti ormai superati, anche se accreditati da appoggi di nomi famosi. Ci sembra che sia tempo di uscire dal pantano, per respirare aria libera e pura. (p. 54)

“SECONDA PARTE  Se fino a questo momento, attraverso il linguaggio delle epigrafi, siamo partiti dal secolo scorso e siamo approdati al sec. V a.C. per la storia della Gurfa, in questa seconda parte guadagneremo altri 1000 anni con il linguaggio delle comparazioni. metteremo a confronto la Gurfa e Micene … Le tombe fuori le mura sono nove, tutte a tholos; fra queste la più conosciuta e ammirata è la cosiddetta ‘tomba di Agamennone’ o ‘tesoro di Atreo’. … Tra le nove tombe a tholos di Micene solo il ‘tesoro di Atreo’ ha una seconda camera di dimensioni normali, a cui immette una porta laterale e un corridoio di pochi metri di lunghezza. Solamente ad Orchòmenos in Beozia si trova un modello con tutti e tre gli elementi suddetti: dromos di accesso, tholos (p.54) (ormai in parte distrutta, in parte restaurata fin dove possibile), e camera laterale che era, come a Micene, la vera e propria tomba. … Torniamo alla Gurfa. Dimentichiamo per un istante le quattro stanze superiori con la scala di accesso esterna, e osserviamo i due vani del piano terra: sono esattamente disposti come nel ‘tesoro di Atreo’. … Ci troviamo, a giudizio di chi vi parla, davanti a una tomba monumentale in tutto simile, direi più che simile, a quella di Micene e a quella di Orchòmenos. Le misure, che tutti conosciamo, sono sbalorditive: raggio della tholos m.12,30×13,35; altezza m.16,35. la camera sepolcrale, col noto soffitto a due spioventi, è un pò più bassa di quella di Micene, che si pensa fosse decorata come quella di Orchòmenos. Se fino ad oggi Micene e Orchòmenos sono state considerate le due gemelle per la presenza di tutti gli elementi sù elencati, oggi dobbiamo dire che Micene, Orchòmenos e la Gurfa d’Alia formano un trio archeologicamente compatto. Sono le tre sorelle maggiori della serie, quelle che hanno ereditato con tratti (p. 55) più decisi il modello atavico; o, se si preferisce, quelle che hanno innovato, con una camera laterale, la tradizionale struttura architettonica funeraria. Anzi, a parte ogni idea di campanilismo o di trionfalismo, si deve dire che la tholos -tra quelle finora conosciute- più alta al mondo è quella di Alia, perchè supera Micene in altezza per almeno due metri. La presenza della  camera mortuaria, necessariamente oscura, ci suggerisce quale poteva essere l’uso della tholos: l’ultima sosta del cadavere prima della sepoltura definitiva; preghiere rituali da parte dei sacerdoti; sacrificio per i defunti; banchetto funebre dei congiunti; ricorrenze annuali o decennali; ed altro ancora. Una volta affidato alla sua ‘camera per l’eternità’ il defunto non veniva più disturbato nel suo sonno ultramondano, se non dall’ingresso eventuale di altri defunti dello stesso rango, al lume di (p. 56) candele; ovviamente una tomba così monumentale non veniva scavata se non per i capi e i notabili di quelle antiche società. (p. 57) … Verrà anche il tempo in cui sarà abolita la destinazione al culto della tholos, e in quella occasione avverranno altri cambiamenti (p. 59) Quanto all’epoca della Gurfa antica, cioè la primitiva, possiamo ragionare per deduzione: se a Micene e ad Orchòmenos, come a Pylos, queste tombe sono state archeologicamente datate alla seconda metà del 2° millennio a.C., la Gurfa bisogna datarla al più tardi al 1.500 a.C., perchè ad esse contemporanea, se non anteriore per una maggiore arcaicità (p. 61) …Un’ultima brevissima parola, proprio sulle ‘enti’, che scavarono la Gurfa. Non è necessario, allo stato attuale delle ricerche, pensare agli Achei o Micenei o Egeo-cretesi o ad altri popoli, di cui ci è giunto il nome, Indoeuropei, Asiani o Semiti. In questo campo più che la facile e corposa erudizione vale l’intuito del genio e il dato archeologico interpretato con rigore e saggezza. Costruzioni a tholos, più o meno simili o dissimili nella struttura portante, pur con le varietà esecutive dovute al temperamento, alla cultura o al clima, si trovano disseminati in tutto il bacino del Mediterraneo: nella Grecia arcaica ed in Sicilia, in Sardegna, a Pantelleria, a Malta, nell’Italia Centrale, nel Nordafrica … Dagli storici i popoli anteriori agli Indoeuropei sono chiamati ‘mediterranei’, e in mancanza di un termine più adeguato, ‘mediterranea’ è chiamata la loro lingua. ‘Mediterranei’ per il momento chiamiamo ancora i costruttori della Gurfa. B.R. (p.62)”

Da: Benedetto Rocco, Mediterranei e Fenici alla Gurfa di Alia, in AA.VV., La Gurfa e il Mediterraneo. Convegno di studi storico-archeologici sulle Grotte della Gurfa, ed. Comune di Alia, 1995 (ristampa PA-2001), pp. segnate.

Mons. Benedetto Rocco (1926-2013)

Carmelo Montagna