Polizzi Generosa: Maria Pia Borgese, una letterata madonita esempio di emancipazione e coerenza

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È un dovere quello di rendere riconoscimenti di valore alle opere e alla esemplare operatività culturale di Maria Pia Borgese (Polizzi Generosa, 1878 -1974), modello di emancipazione femminile tra fine Ottocento e prima metà del Novecento.

Sorella del notissimo scrittore Giuseppe Antonio, su Maria Pia si continua a scrivere e a dire, che fama e meriti sono stata oscurati dalla fama internazionale del fratello. Un tesi che non è facile spiegare perché non si trovano appigli tali da giustificarla. O meglio, gli argomenti che genericamente vengono evidenziati dai biografi insistono sulla diversità di pensiero e di orientamenti religiosi tra i due. Appigli che non reggono, in quanto proprio la differenza avrebbe dovuto far eccellere le ragioni di valutazione con un confronto tra le opere dei due. Inoltre non si coglie molto al momento di consultare la corrispondenza continua che Maria Pia manteneva con il fratello scrittore Giuseppe Antonio, sia quando quest’ultimo, di quattro anni più piccolo di lei, studiava nell’Università di Palermo sia dopo, quando il futuro scrittore si era trasferito a Firenze. Non vi è traccia di lamentele o di richieste che Maria Pia abbia rivolto nelle fitte corrispondenze col fratello. La corrispondenza era svolta su informazioni di ordine locale e su scambio di pareri su opere classiche o di contemporanei.
Perché, invece, non incentrare ogni valutazione a futura memoria sul modello di vita che autonomamente la geniale polizzana ha lasciato di sé? Tra corrispondenza con Giuseppe Antonio e percorsi autonomi troviamo elementi inoppugnabili che dimostrano la straordinaria personalità di Maria Pia. Cominciamo con il conoscere una giovane donna che fa tesoro della biblioteca del padre avvocato, autore di scritti commemorativi in onore o ricordo di personalità locali, e di uno studio sul Trittico fiammingo presente nella chiesa madre di Polizzi Generosa. Conosciamo la giovane che continua a darsi informazioni da autodidatta, e che dimostra una propria oscillazione di gusti e preferenze, al punto di contrastare con propri pareri quelli del fratello.  Ma si dovrà intanto inizialmente tener conto del costume dell’epoca che precludeva alle “ragazze di buona famiglia”, specialmente della provincia, di proseguire con studi che le costringessero a vivere lontano da casa. Quindi la vera sorte di Maria Pia Borgese è stata segnata più da questa usanza (da lei sbeffeggiata) che da improbabili oscuramenti causati dalla fama del fratello scrittore e critico. Infine si dovrà pur dire del genere di opere scritte da Maria Pia tra piccole memorie e impegni a sfondo religioso-spirituale, opere che non consigliano confronti con la produzione letteraria del fratello.
Ma c’era altro fratello di Maria Pia e Giuseppe, si chiamava Giovanni, morto sul Carso nella prima guerra mondiale. Alla sua memoria venne  assegnata la medaglia d’oro per dimostrato eroismo. Ed ecco una occasione che spinge Maria Pia ad andar via da Polizzi per arruolarsi da crocerossina nell’ultimo anno del conflitto. Da quella esperienza ne scaturiranno altre  di esperienze, quando a guerra finita Maria Pia sarà assistente dei viaggi a Lourdes degli infermi. Una occasione di manifesto spirito altruista che troveremo descritta nel libro pubblicato a Caltanissetta nel 1953 intitolato Figure nostre. Se si tiene conto di questo primo passo compiuto da Maria Pia e si continua a seguire il percorso che ne consegue, si scoprirà quanta materia resiste a far brillare i meriti di questa intellettuale originariamente autodidatta e mano a mano assurta a fasti culturali tutti personali.
La seconda parte della vita della Borgese si può dire che comincia a quarant’anni, quando decide di trasferirsi a Palermo e iscriversi alla Facoltà di lettere della locale Università, dove comincia con  l’essere apprezzata per almeno due ragioni: quella della ferma decisione di frequentare i corsi universitari accanto ai ventenni e quella di dimostrare una volontà di apprendere unita al poter esibire una solida preparazione grazie alle letture pregresse da autodidatta. Laureatasi discutendo una tesi di argomento filologico, si trovò a doversi rassegnare a non poter concorrere a cattedra per l’insegnamento in quanto le veniva precluso dalla legge che non consentiva di partecipare ai concorsi a quanti avevano superato i quarant’anni. Ma ecco la mano della fortuna che le viene incontro per puro caso durante uno dei suoi viaggi, quando incontra Giovanni Gentile, all’epoca ministro della Istruzione. Il corregionale ministro ascolta quanto espone la “professoressa Borgese” e  le combina una eccezione che in deroga alla legge le consentirà di insegnare, prima in un Liceo di Pomigliano d’Arco e poi  nel Liceo Vittorio Emanuele di Palermo, dove manterrà per venti anni la cattedra di italiano e latino.
Animatrice di dibattiti sulla letteratura nella sua qualità di socia del circolo presieduto da Pietro Mignosi, saranno, contemporaneamente agli anni dell’insegnamento, di particolare impegno a Palermo le operatività culturali di Maria Pia Borgese, la cui tendenza ideologica, come viene fatto notare dai biografi, era di segno opposto a quella del fratello scrittore. Un dato dal quale viene tratta la motivazione dell’oscuramento di cui si è detto qui all’inizio. Oscuramento che non si può ragionevolmente attribuire ad alcuno. Infatti da quando nel 1953 la professoressa Borgese pubblicherà il suo libro di memorie, a quando successivamente aggiungerà quello delle altre memorie relative alle esperienze da crocerossina e assistente, accompagnatrice di malati a Lourdes, non vi sono state opere per le quali la realtà delle aspettative poteva andare oltre quello che la stessa autrice si proponeva. Cioè di divulgare momenti della propria esperienza e del proprio fervore religioso che la portava a occuparsi di solidarietà umane verso le persone in difficoltà per problemi di salute. Si potrà dire invece che la tenacia unita al caso abbia consentito a Maria Pia Borgese di uscire dalla gabbia della provincia, segnatamente da quella della cinta daziaria di Polizzi, per vivere esperienze consone al proprio spirito di ideali per i quali fu sempre pronta a battersi e a proseguire con coerenza insolita. Puntiamo a privilegiare come dato influente il caso della eroica morte del fratello Giovanni da eroe e medaglia d’oro, caso che motiva la carriera di ulteriori valenze e la scelta della crocerossina. E, quando non ci saranno più occasioni emergenti per assistere feriti e vittime di guerra, il passaggio ad assistente dei viaggi della speranza degli infermi a Lourdes.
Al centro di queste vicende la decisione di intraprendere gli studi universitari a quaranta anni e dopo la laurea nonché il colpo di fortuna di ottenere la cattedra. Non sia da invocare oscuramenti provocati dalla fama del fratello grande scrittore, che, tra l’altro, a farci ben caso, era morto nel 1952, un anno prima della decisione di Maria Pia di pubblicare il suo primo libro. Si direbbe meglio e con maggiore adesione alla realtà dei fatti di una sorella di Giuseppe Antonio Borgese grande firma della letteratura italiana, che fa onore alla fama del fratello ritagliando per sé in perfetta autonomia uno spazio di celebrità per l’esempio che ha dato alla società, esempio di emancipazione e coerenza con disinibizione e dedizione fino agli ultimi anni della sua vita.
L’opera che ha segnato il trionfo e acceso anche speranze particolari di cui diremo, è stata la pubblicazione di Magnificat. Una dimostrazione di fede religiosa e  di spontaneo attaccamento ai valori spirituali e morali perseguiti lungo gli anni senza mai una sola piega di incertezze. Dalla edizione di Magnificat Maria Pia si aspettava di poter ricavare tra diritti e  qualche auspicato slancio di improbabili mecenati la somma occorrente per far restaurare la casa di Polizzi. Una speranza andata in gran parte frustrata.
Si spense nella sua città di nascita all’età di novantasei anni, e coincidenza volle che proprio in quei giorni a Polizzi una compagnia teatrale rappresentasse la Figlia di Jorio di Gabriele D’Annunzio nella versione in dialetto siciliano scritta da Giuseppe Antonio.
Mario Grasso