“Prescindendo dalle dinamiche del gravissimo episodio, occorre prendere immediatamente atto che c’è un fronte scoperto nella lotta contro gli infortuni sul lavoro: quello del controllo diretto e reale dei lavoratori sull’organizzazione del lavoro. Questione di interessi materiali più che culturali. Chiedere più prevenzione, più formazione e informazione non basta più; penso sia prioritario rivendicare poteri ispettivi per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e la partecipazione diretta dei lavoratori nel controllo dei tempi, modi e gestione delle lavorazioni. L’organizzazione del lavoro è diventata una macchina che stritola le persone negli ingranaggi di appalti e subappalti, contratti interinali, precariato, sfruttamento, sottosalario, tempi di consegna, sovraccarico di procedure e carichi di attività lavorative. Su questo fronte è necessario riprendere la battaglia interrotta negli anni Settanta del secolo scorso”. Lo ha dichiarato Michelangelo Ingrassia, già Presidente e componente del Comitato Consultivo Provinciale Inail di Palermo in merito alla strage sul lavoro accaduta a Casteldaccia, nella quale hanno perso la vita cinque lavoratori mentre uno è rimasto gravemente ferito.
Tragedia sul lavoro a Casteldaccia, morti cinque operai che lavoravano alla rete fognaria, un sesto è in gravi condizioni
Ennesima strage sul lavoro, cinque operai sono morti a Casteldaccia mentre erano impegnati nella rete fognaria e sono svenuti per le esalazioni all’interno delle vasche di sollevamento e poi sono deceduti. Un sesto operaio è stato trasportato in gravi condizioni all’ospedale Policlinico di Palermo.
Secondo quanto riporta l’Ansa, gli operai, sette in tutto, erano impegnati in alcuni lavori di manutenzione. Ad un certo punto alcuni di loro hanno cominciato ad accusare malori. Uno di loro è riuscito a uscire dall’impianto e a dare l’allarme; gli altri sei sono rimasti intrappolati.
Sul posto i sommozzatori dei Vigili del Fuoco, i Carabinieri e il personale sanitario del 118.
Il cordoglio dei sindacati di categoria
“L’incidente – scrive con una nota la Federenergia Cisal – sul lavoro che a Casteldaccia, in provincia di Palermo, ha portato alla morte di cinque operai e al ferimento di un sesto, ci lascia sgomenti. Esprimiamo cordoglio e vicinanza alle famiglie dei lavoratori coinvolti e chiediamo che si accertino al più presto le cause di questo ennesimo incidente sul lavoro, grave e inaccettabile. La sicurezza sul lavoro è un’emergenza nazionale e come tale va affrontata a ogni livello, coinvolgendo sindacati, imprese e istituzioni”. Lo dicono Giuseppe Badagliacca e Daniele Ciulla di Federerenergia Cisal in merito all’incidente sul lavoro avvenuto a Castaldaccia, nel Palermitano”.
Termini Imerese, Cosimo Cristina ricordato a Roma alla Giornata per la libertà di stampa per iniziativa di “Ossigeno”
Il giornalista siciliano Cosimo Cristina, 25 anni, fu ucciso sessantaquattro anni fa. È il primo nella cronologia dei cronisti italiani uccisi perché cercavano di pubblicare verità scomode indicati da “Ossigeno” nel Pannello in loro memoria e ricordati a Roma, alla Casa del Jazz, venerdì 3 Maggio nel convegno che si è svolto in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa (World Press Freedom Day).
Cosimo Cristina, che nei suoi articoli si firmava Co.Cri, scomparve il 3 maggio 1960. Per due giorni i suoi familiari lo cercarono senza riuscire a trovare alcuna sua traccia. Il 5 maggio il suo corpo senza vita fu ritrovato poco lontano dal paese, sfracellato, sui binari della ferrovia, fra le stazioni di Termini Imerese e Trabia. Il caso fu frettolosamente catalogato come un suicidio e l’inchiesta giudiziaria fu archiviata. Questo giovane e coraggioso giornalista fu dimenticato per decenni, ha detto Alfonso Lo Cascio, direttore di Esperonews, intervenendo, in collegamento, al convegno di Ossigeno.
“A farne perdere la memoria – ha spiegato – concorse la scelta dei preti di rifiutare il funerale religioso, perché i sicari mafiosi, ancora oggi ignoti e impuniti, fecero credere che egli si fosse suicidato buttandosi sotto un treno”.
Cosimo Cristina, invece, fu rapito e ucciso, simulando che si fosse suicidato. Fu ucciso perché raccontava gli sporchi affari della mafia del suo territorio e lo faceva dicendo i loro nomi e cognomi. “Fu ucciso – ha sottolineato Lo Cascio – non solo per ciò che scriveva, ma soprattutto per quello che stava per scrivere”.
Cristina, era giovanissimo, aveva 25 anni, ma era già un cronista affermato. Era corrispondente di alcuni giornali regionali e nazionali (L’Ora di Palermo, Il Gazzettino di Venezia, l’agenzia Ansa, fra gli altri). Per pubblicare quelle notizie, scomode, che altri rifiutavano, fondò un giornale, Prospettive Siciliane. Su quelle pagine, pubblicò articoli “senza peli sulla lingua” – come egli stesso li definì nel suo primo editoriale – e raccontò la trasformazione della mafia da agricola a imprenditoriale. Per questo subì minacce e isolamento.
Dopo la sua morte, ha aggiunto Alfonso Lo Cascio, nessuno si preoccupò di “rileggere quello che scriveva sul suo giornale, perché allora molti pensavano che la mafia non esistesse”. La memoria di questo cronista coraggioso fu recuperata solo decenni dopo. Fu riscoperta anche grazie all’attività di altri giornalisti, fra cui lo stesso Lo cascio, che ha raccontato: “Io sentii parlare di Cosimo Cristina per la prima volta solo quando nacque il primo coordinamento delle associazioni antimafia, negli anni ottanta. Da quel momento cominciò da parte mia e di altri, in particolare alcune scuole con la docente Giusi Conti, un lavoro per recuperare la memoria storica di Cosimo. Non esisteva nemmeno una sua foto. La sua famiglia si era chiusa in sé stessa”.
Al recupero della figura umana e professionale di Cosimo Cristina, hanno ricordato Alfonso Lo Cascio e Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno, ha contribuito il giornalista Luciano Mirone autore del saggio “Gli insabbiati. Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza” (Castelvecchi) pubblicato nel 2008. Il libro ricostruisce, per la prima volta in modo unitario, le singole vicende degli otto cronisti uccisi dalla mafia in Sicilia.
Da qualche anno la vicenda di Cosimo Cristina è ricordata con varie iniziative. Fra le altre, da Ossigeno, che nel 2014 ha inserito il suo volto e il suo nome nel Pannello della Memoria e, dal 2020, la sua storia sul sito Ossigeno-Cercavano la verità www.giornalistiuccisi.it, dove sono raccolti molti documenti e testimonianze sui gironzasti uccisi in Italia per il loro lavoro.
In occasione di questo 64mo anniversario, dopo l’iniziativa del 3 maggio 2024 che ha coinvolto l’Ordine dei giornalisti della Sicilia e del Lazio, le associazioni della stampa e le organizzazioni dei cronisti delle due regioni, sarà ricordato anche con un altro evento. “Cosimo Cristina e Peppino Impastato, l’impegno e la lezione civile di quei due giovani cronisti dai destini paralleli” è il tema del seminario/corso di formazione per giornalisti che si svolgerà lunedì 6 maggio dalle ore 9,30 alle 13,30 a Palermo al No Mafia Memorial di corso Vittorio Emanuele 353, per iniziativa dall’Ordine dei giornalisti della Sicilia.
Elezioni Europee 2024, messaggio dei vescovi siciliani: “giovani, non lasciatevi ammaliare dalle sirene del pessimismo, esercitate il diritto di voto”
Alla vigilia delle elezioni europee, i vescovi di Sicilia lanciano un appello a chi abita la nostra regione e soprattutto ai giovani. L’invito è “a non lasciarsi ammaliare dal canto delle pericolose sirene del pessimismo, della rassegnazione, del disfattismo e astenersi dal voto“. Per i vescovi l’astensionismo può diventare “un silente passo che ci allontana dal sogno di un’Europa che dia respiro alla storia affermando gli autentici diritti umani“.
Un diritto, quello al voto, che diventa dunque quasi un dovere per i cittadini della Sicilia, isola “ancora chiamata ad essere all’interno dell’Europa unita piattaforma di pace di integrazione per i tanti popoli del Mediterraneo che cercano in Europa salvezza e lavoro”. Insieme con l’invito al voto anche la necessità di creare “spazi condivisi di incontro e dialogo” per un voto consapevole che deve mirare “all’edificazione del bene comune“.
L’augurio dei vescovi è che “il Parlamento Europeo possa essere quell’istituzione detentrice del potenziale necessario per affrontare e risolvere le molteplici questioni generate dalle numerose trasformazioni epocali“.
Di seguito il testo integrale del Messaggio dei Vescovi di Sicilia per le elezioni europee.
Carissime sorelle e carissimi fratelli,
da più di settanta anni si parla di Europa unita. Da quel 25 marzo 1957, quando a Roma venne firmato il trattato che la istituì, di strada se ne è fatta tanta. È stata sempre aperta la via che ha portato più Nazioni del nostro Continente sulla direzione di un’unità non solo economica, ma anche politica, sociale e culturale.
San Giovanni Paolo II nel 1997 affermava: «La storia dell’Europa è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua ricchezza» (Omelia, Gniezno 3 giugno 1997). Non possiamo, tuttavia, non ammettere che, talvolta, questa ricchezza si è dovuta confrontare con processi dinamici e repentini di trasformazioni sociali e culturali. Processi che hanno, talvolta, preso le distanze da quella costellazione di valori che si legano profondamente alle radici cristiane dell’Europa. Non sono mancati i confronti: non è venuto meno il dialogo, finalizzato alla custodia e alla crescita del bene comune, della giustizia sociale e alla tutela di ogni diritto teso ad affermare la centralità della persona e della sua dignità infinita.
Cadute le ideologie, i “grandi racconti” del secolo scorso si è fatta strada un’uniformità, una “convergenza silenziosa” – così la chiamava il Card. Carlo Maria Martini – tra i cosiddetti conservatori e i cosiddetti progressisti in nome delle ragioni dell’individuo che rappresentano una decadenza rispetto alla nostra tradizione culturale e civile. Da una parte si considera l’individuo soggetto libero, senza vincoli nell’esercizio del potere economico; dall’altra lo stesso individuo lo si vuole libero e non sindacabile nei suoi comportamenti etici individuali. La matrice delle due posizioni è unica: la cultura dell’individualismo dove l’individuo non corrisponde alla persona che è invece aperta all’accoglienza del diverso e alla gratuità (cfr. C. M. Martini, Discorso per la festa di Sant’Ambrogio, Milano 5 dicembre 1997).
Sono tante le violazioni della dignità “infinita” – così come la definisce un recente documento della Chiesa – la dignità della persona umana. Essa viene violata dall’aborto e dal suicidio assistito, dal dramma della povertà, dal travaglio che subiscono i migranti, dalla guerra, dalla tratta delle persone, dalla violenza sui più fragili, dall’abuso sui minori. Vogliamo, con il nostro voto libero e consapevole, scegliere i nostri rappresentanti che abbiano a cuore questi valori, gli unici che possono edificare un’Europa casa comune di ogni persona e aperta al dialogo con tutti i popoli. Per una scelta consapevole sarebbe opportuno condividere spazi di incontro e dialogo finalizzati alla edificazione del bene comune, soprattutto innestando fiducia e speranza nel cammino verso l’Europa rinnovata.
Ci auguriamo che il Parlamento Europeo possa essere quell’Istituzione detentrice del potenziale necessario per affrontare e risolvere le molteplici questioni generate dalle numerose trasformazioni epocali nelle quali siamo immersi. Inoltre, siamo fermamente convinti che la nostra amata Sicilia sia ancora chiamata ad essere all’interno dell’Europa unita, piattaforma di pace e di integrazione per i tanti popoli che dal Mediterraneo cercano in Europa salvezza e lavoro. Popoli da accogliere per essere protagonisti di un dialogo globale che azzeri ogni processo di emarginazione o addirittura di aperta ostilità.
Pertanto, esortiamo vivamente ogni cittadino/a della nostra Isola, in modo particolare i giovani ad esercitare il diritto di voto nelle prossime elezioni europee. A non lasciarsi ammaliare dal canto delle pericolose sirene del pessimismo, della rassegnazione, del disfattismo. L’astensionismo può diventare un silente passo che ci allontana dal sogno di una Europa che dia respiro alla storia affermando gli autentici diritti umani.
Nuove crisi e nuove squilibri ci stanno dinnanzi. Per fronteggiarli dobbiamo scongiurare ogni possibile forma di scoraggiamento e di scetticismo che offuschi la nostra identità di cittadini europei, di figli di una Europa, portatrice di un suo modello di democrazia e di libertà.
I Vescovi di Sicilia
Ruolo sociale e salute mentale
La struttura della società contemporanea è caratterizzata, rispetto a quelle del passato anche recente, da una complessità le cui origini possono essere trovate in due fattori.
Il primo è la diversificazione dei ruoli, la parcellizzazione dei compiti e delle funzioni. Questa è probabilmente la conseguenza storica di quel processo di “specializzazione del lavoro” iniziata già con la Rivoluzione Industriale, che attualmente ha comunque raggiunto livelli estremamente elevati. Non esiste più solo infatti una specializzazione del lavoro, ma – se ci è consentita l’iperbole – una “specializzazione della specializzazione” del lavoro, per la quale qualunque funzione sociale viene frazionata in una serie di “sotto-funzioni” estremamente selettive negli obiettivi e nelle tecniche. E’ ovvio che, in questo contesto, ci riferiamo ad ambienti sociali ad alta industrializzazione, mentre non è possibile includere in questa descrizione quelle “isole” culturali nelle quali sopravvivono tradizioni e consuetudini pre-industriali. Il che, altrettanto ovviamente, non implica che questa parcellizzazione non esista: il computer non è solo uno strumento tecnico dei grandi centri finanziari del Nord industrializzato, così come non sono specifici tipi di lavoro ormai diffusi ubiquitariamente.
Il secondo fattore al quale ci riferiamo è quello dell’efficienza produttiva. L’attuale contesto sociale, nelle forme di evoluzione che lo caratterizzano nel presente momento storico, ha adottato criteri di riferimento produttivi estremamente severi, per i quali si richiede che si adempia ad una certa funzione secondo parametri di produttività crescente, in funzione del proprio ruolo e, appunto, della propria specializzazione.
Questi due aspetti non sono limitati, ovviamente alla semplice e pura attività lavorativa, ma pervadono aspetti sempre crescenti della vita sociale, individuale e privata.
Molto più che nel passato, infatti, vengono oggi forniti dei modelli ai quali adeguarsi in dipendenza del proprio ruolo e della propria funzione. Basti soffermarsi per un attimo a considerare i target della pubblicità per rendersi conto di quanto questo sia quotidianamente vero: i mass media favoriscono l’identificazione dell’individuo col gruppo col quale questi condivide funzioni e livelli di efficienza. Come a dire che, per espletare bene le proprie funzioni, al massimo livello di efficienza, è necessario adeguarsi a specifici schemi culturali.
Il manager rampante, non deve condividere col proprio gruppo solo la prestazione professionale, ma anche lo standard di vita, l’abbigliamento da ‘yuppie’, gli hobbies, gli sport, il tipo di acquisti, la vita privata.
Per soffermarci su questo esempio, l’uomo – o la donna – in carriera, così come sono descritti dalle indagini statistiche condotte da varie fonti – sono generalmente single, senza rapporti stabili, mangiano cibi preconfezionati, ma di buona qualità, si sottopone ossessivamente a pratiche di “fitness” e, ovviamente, spende una buona parte dei guadagni nell’abbigliamento, ricercato ma elegantemente “casual”.
Queste caratteristiche sono importanti? Certamente si, così come lo sono tutte quelle caratteristiche che consentono ad un individuo l’identificazione con un gruppo, e quindi la corsa all’acquisizione delle caratteristiche specifiche dello stesso. Si tratta di un circolo vizioso, nel quale l’adesione ad un modello non può prescindere da una serie di modelli complementari. E’ un discorso che ovviamente va esteso a tutte le fasce sociali, ovviamente con caratteristiche diversificate il base al ruolo e alla specializzazione richiesta, persino alle più neglette, come le casalinghe.
Questi sono naturalmente problemi di natura strettamente sociologica e lasciamo ai sociologi analizzarli. Ciò che invece ci interessa è l’impatto “clinico” di questa complessa situazione sociale.
Sia in campo genericamente psichiatrico che più specificamente psicosomatico, infatti, si è posta storicamente attenzione alla relazione esistente tra modelli e strutture sociali – le “variabili psicosociali” – e insorgenza di manifestazioni patologiche. In psichiatria, per esempio, basti ricordare l’attenzione rivolta verso la complessità sociale come fattore di rischio per la schizofrenia, che motiverebbe la sua assenza in culture non occidentalizzate; o, più semplicemente, la considerazione dei contesti sociali ad alta industrializzazione, come fattore di rischio per la schizofrenia.
Per la schizofrenia sono state addirittura elaborate teorie abbastanza suggestive, secondo le quali, la schizofrenia sarebbe una malattia “nuova” nel senso di essersi originata e diffusa solo nel XIX secolo, mentre prima era sostanzialmente inesistente.
Tale malattia – la “follia” comunemente intesa – inoltre sembrerebbe essere rimasta con una incidenza estremamente bassa in altre culture, mentre si è incrementata nel mondo occidentale. Indipendentemente dalle correlazioni con lo status psicosociale, che appaiono naturalmente stimolanti, i sostenitori dell’ipotesi suggeriscono altre cause più complesse. Inoltre, esistono studi precisi sulla correlazione tra depressione e sindromi ansiose e stile di vita.
Per quanto attiene, poi, ai disturbi psicosomatici, l’esistenza di una qualche correlazione con fattori psicosociali appare essere una pietra miliare delle scoperte in questo campo.
Bisogna allora chiedersi quanto un ruolo sociale possa essere esporre a fattori di stress psicofisici, e quale impatto ciò possa avere sull’insorgenza di una malattia psicosomatica.
E’ ovvio che non è il ruolo sociale in se ad essere un stress. Esso lo diventa quando per l’individuo non è possibile un adeguamento ai modelli complementari di quel ruolo, quando, in altri termini non avviene l’identificazione nel gruppo col quale il ruolo stesso viene ad essere affiancato, specialmente se la necessità di tale identificazione viene vissuta come perdita di autonomia, sino alla perdita del controllo delle situazioni che, anziché essere gestite, ci gestiscono.
Il mancato adeguamento alle performance psicologiche richieste come specifiche di un ruolo, inoltre, può provocare di per se una situazione di stress: alcuni ruoli sociali, per esempio, richiedono assertività, decisionalità, mancanza di inibizioni sociali; altri dipendenza, rinuncia alla decisionalità, subordinazione. Si tratta ovviamente di atteggiamenti necessari, che consentono un “adattamento” forzato al ruolo ricoperto. Tali atteggiamenti però possono non rispondere alle specifiche esigenze o caratteristiche psicologiche del soggetto.
Una delle conseguenze di queste situazioni è la condizione di conflitto, tra ruolo e funzioni ad esso complementari, con la conseguenza di produrre ansia, bassa stima di se, mancanza di autonomia o, comunque, una condizione di frustrazione.
Infatti, l’adesione ad un ruolo e alle sue funzioni complementari implica in genere due fasi: una prima di “modelling” – di illustrazione e presentazione di comportamenti (il cosa fare e come farlo); la seconda di “behavior rehearsal”, cioè di replica dei comportamenti illustrati (passare dalla teoria alla pratica). Sono fasi specifiche dell’addestramento di una persona al proprio ruolo.
L’adesione al modelling e al behavior rehearsal è, nella nostra società, una imposizione quotidiana: basti pensare alla pubblicità e ai messaggi quotidiani dei media.
Ma è proprio nella fase di behavior rehearsal che può fallire il tentativo di identificazione nel ruolo: che poi può anche semplicemente consistere nella constatazione di possedere caratteristiche diverse da quelle richieste. E’ la fase insomma del “Mi dicono di essere così, ma io non ci riesco”. Ne deriva una significativa frustrazione.
Fallisce allora la fase di adattamento (detta di coping skills), quella cioè dell’acquisizione della capacità di “fronteggiare con successo” le situazioni implicite nel ruolo.
I motivi di questo fallimento possono essere individuati nella interazione fra personalità e pressione sociale. Insomma, per dirla in soldoni, nessuno può essere diverso da come è. Recitare non serve. Il modo per trovare un buon adattamento alla complessità sociale e ai ruoli che essa implica, sarebbe quindi quello di scegliere un ruolo sociale realisticamente adeguato alle proprie esigenze, senza tentare di scimmiottare modelli imposti dalle tendenze sociali e culturali dominanti. Questo implica autonomia di pensiero, ma anche adattamento al reale, riconoscimento onesto delle proprie capacità, ma anche dei propri limiti, senza idee di onnipotenza o egocentrismo, ma accettazione della propria libertà di pensiero nel rispetto delle libertà altrui.
Una personalità che si è sviluppata secondo queste direttive, una personalità ovvero sana, resisterà alle pressioni sociali semplicemente ignorandole, o modulandole secondo le proprie esigenze. Ci riferiamo alle proprie esigenze reali, costruttive, creative. Modificherà, in un certo senso, il proprio ruolo in chiave strettamente personale, rimodellandolo secondo le proprie idee e il proprio modo di essere persona. Quando ciò non avviene, la pressione sociale diviene intollerabile, fonte di stress continuo.
Un buon esempio della validità di questo assunto ci è fornita, per esempio da quella che è forse la ricerca più classica tra professione e malattie psicosomatiche, quella originaria di Friedman, Rosenman e Jenkins sul “Type A Behavior Pattern”, il comportamento di tipo A che predisporrebbe alla malattia coronarica. Come è noto il modello di personalità è quello di individui con una strenua motivazione al conseguimento del successo, coinvolgimento totale nel lavoro, ambizione e competitività. Aggressivi, ostili e impazienti, sono spesso assillati da un senso cronico di urgenza. Vogliono il meglio e si sentono i migliori, i più belli, i più grintosi e più rampanti.
Si contrappongono, classicamente, ad un “Type B Behavior Pattern”, caratterizzato invece da un atteggiamento di “easy going”, in soggetti rilassati, pazienti, con un senso dell’urgenza assai minore e non abituale, con scarsa competitività e aggressività, e un coinvolgimento nel lavoro mai totale.
Certo, la pressione sociale oggi sembrerebbe imporre una personalità di “tipo A” (basta guardare un po’ di pubblicità…), come aveva vaticinato ragionevolmente Suinn già nel 1982; ma, non esiste un ruolo sociale nel quale sia davvero necessaria una “funzione di ruolo” di questo tipo. Il fatto, in altri termini, che la pressione sociale proponga qualcosa, non significa affatto che questo vada accettato. La capacità alla rinuncia di ruoli impropri è una caratteristica della personalità matura, in ogni società.
Assai spesso si propongono soluzioni del problema che seguono la via inversa: l’allentamento della pressione sociale, come prevenzione primaria dello stress legato al ruolo. E’ una posizione utopistica, priva di solidi agganci alla realtà. Invertire il processo storico, economico e sociale contemporaneo è infatti solo un’utopia. La strada che si può e deve seguire, è in realtà diversa: l’educazione alla formazione di personalità sane, di individui consapevoli e creativi, che anziché adeguarsi alla pressione sociale, scelgano un proprio stile di vita e una propria libertà di pensiero. E’ un obiettivo difficile da raggiungere, ma ragionevole. E implica una grande speranza. Perché se è vero che una società malata, crea individui malati, è anche possibile il processo inverso, e cioè che individui sani possono modificare una società malata.
Giovanni Iannuzzo
“Triangoli” antichissimi nelle thòloi di Micene
Per gli studi che ho in corso sulla “Geometria Sacra” alla Gurfa di Alia procedo con questo importante aspetto del confronto morfologico/iconologico. Stavolta i due “reperti architettonici triangolari” di eccezionale importanza simbolica ed archeologica, sono “facili” e quasi scontati per i nostri ragionamenti. Entriamo in punta di piedi, con due post, in due tholoi di celebrata memoria omerica Micenea; i cosiddetti “Tesori” di Atreo (circa metà 1400 a.C.) e di Clitemnestra (circa 1250 a.C) a Micene.
Per il possibile raffronto tipologico con la thòlos della Gurfa, che è la più vasta del Mediterraneo, occorre annotarsi questo curioso illuminante “parallelo” di “cantonate preconcette pseudo scientifiche”: “Il Tesoro di Atreo. … Nel 1879, quando l’archeologo tedesco Heinrich Schliemann iniziò la sua campagna di scavi a Micene, questa tomba era l’unica visibile, a differenza di quelle poste sotto la roccia. Prima degli scavi ottocenteschi, in verità, si pensava che questa costruzione fosse un enorme forno. Tale equivoco è legato all’annerimento delle pareti interne, causato dall’esposizione al fumo. Infatti, per un certo periodo, il monumento fu utilizzato come rifugio dai pastori, che usavano accendervi il fuoco per riscaldarsi e cucinare…”
(Giuseppe Nifosi, L’arte svelata, vol. A, ed. Laterza, 2014, p.48).
Fig. 1 – Thòlos di Atreo.
Fig. 2 – “Triangolo” alla porta d’accesso della thòlos di Atreo.
Fig. 3 – Porta d’acceso al vano funerario con “Triangolo” dentro la thòlos di Atreo.
Figg. 1-2 – Porta d’accesso e particolare del “Triangolo” alla thòlos di Clitemnestra.
Fig. 3 – Volta della thòlos.
Carmelo Montagna
Mons. Alfonso Raimo nominato vescovo titolare di Termini Imerese, succede a Marco Salvi
Papa Francesco ha nominato in data 30 aprile 2024 Mons. Alfonso Raimo, Vescovo titolare di Termini Imerese con incarico di vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi Metropolitana di Salerno-Campagna-Acerno.
La carriera di Raimo
Mons. Alfonso Raimo è nato il 2 luglio 1959 a Calabritto, in provincia di Avellino, nell’attuale Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia. Ha conseguito il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sez. S. Luigi e successivamente la Licenza in Teologia della Missione presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. È stato ordinato sacerdote il 18 marzo 1990 ed ha ricoperto diversi incarichi anche al servizio della Conferenza Episcopale Italiana e quindi a livello diocesano.
La diocesi “soppressa” di Termini Imerese
Per quanto riguarda la Diocesi di Termini Imerese, non vi sono assolute certezze storiche ma vi è comunque una cronostassi di vescovi titolari della diocesi in questione. Tra questi si ricordano Elpidio che sottoscrisse il Concilio di Calcedonia, Pasquale presente al Concilio Lateranense, Giovanni il quale al VI Concilio Costantinopolitano si qualificò come “exiguus Sanctae Ecclesiae Termensis Provinciae Siciliae” e infine Giorgio, l’ultimo del quale si hanno notizie il quale partecipò al celebre Concilio di Nicea.
Da lì in poi non si hanno notizie in merito fino al 1968 quando venne istituita come sede vescovile titolare (una sorta di titolo onorifico) con il primo vescovo del XX secolo Mons. Antonio Maria Travia. Dopo di lui si annoverano Mons. Jean-Yves André Michel Nahmias vescovo di Meaux, Mons. Paolo Giulietti nonchè Arcivescovo di Lucca, Mons. Marco Salvi e infine l’attuale Vescovo Mons. Alfonso Raimo, fresco di nomina.
Giovanni Azzara
Gangi, assegnato al giornalista Giuseppe Sottile il Premio nazionale Omnia 2024
Assegnato al giornalista e scrittore Giuseppe Sottile il premio Nazionale Omnia Città di Gangi 2024. Il premio è stato promosso dal Comune di Gangi a dieci anni dall’elezione di Borgo più bello d’Italia. Tema di questa prima edizione: “Il teatro delle Radici”. Un omaggio all’anno dedicato al Turismo delle Radici, il progetto di richiamo internazionale, voluto dai ministeri degli Esteri e della Cultura, che propone offerte turistiche e culturali indirizzate agli italo-discendenti e oriundi italiani nel mondo.
Ieri sera, nella sala Polifunzionale, sotto piazzetta Vitale, ad anticipare la consegna del premio Omnia Gangi 2024 (realizzato dall’artista madonita Enzo Rinaldi) la professoressa Valentina Bruschi ha intervistato il giornalista e scrittore Giuseppe Sottile, il poliedrico, psichiatra, scrittore e artista Carmelo Zaffora e il filosofo e professore Giovanni Ventimiglia. Tre illustri gangitani che con i loro racconti hanno fatto sognare e proiettato gli spettatori, come in un volo pindarico, nella Gangi di 50 anni fa. A seguire la splendida ed unica performance musicale e artistica del maestro Vincenzo Castellana.
“Con grande onore e immenso piacere abbiamo conferito il Premio Premio Omnia, Città di Gangi a Giuseppe Sottile – ha detto il sindaco di Gangi Giuseppe Ferrarello – che consideriamo nostro concittadino a tutti gli effetti, non solo per la sua professionalità. Giuseppe Sottile merita il Premio Omnia, un premio alla carriera, alla persona, all’attenta curiosità di un giornalista che ha scelto un metodo molto diretto per essere il più vicino possibile al “suo” popolo, quello siciliano. Ma vuole essere anche un premio conferito al concittadino Giuseppe, non solo perché ha portato in alto il nome di Gangi nel mondo, ma soprattutto perché egli ha portato e continua a portare Gangi dentro il proprio cuore”.
Con l’assegnazione del premio si è conclusa la settimana di eventi culturali e musicali che ha avuto un altro momento significativo martedì scorso (30 aprile) con la convention culturale sul Turismo delle Radici, dove sono state ascoltate alcune commoventi testimonianze, racconti e storie di emigrati siciliani.
Giuseppe Sottile è nato a Gangi il 15 marzo del 1946. laureato in Filosofia nel ’68, in coincidenza con i primi movimenti studenteschi, inizia a muovere i passi nel giornalismo siciliano scrivendo per L’Ora diretto da Vittorio Nisticò. Nel ’73 diventa giornalista professionista e quattro anni dopo, maggio 1977, viene chiamato da Roberto Ciuni al Giornale di Sicilia. Dove diventa capocronista, poi caporedattore e vice direttore. Nel ’92 si trasferisce a Milano. Paolo Liguori, appena nominato direttore del Giorno, gli chiede di lavorare come caporedattore centrale. Successivamente segue Liguori a Mediaset come vicedirettore di Studio Aperto, telegiornale di Italia Uno. Dopo otto anni, il ritorno alla carta stampata e alla scrittura. Nel 2002 Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, gli offre l’incarico di condirettore e poi lo incarica di progettare e curare l’inserto del sabato del quale è tuttora responsabile. Nel settembre del 2006 con la casa editrice Einaudi pubblica “Nostra Signora della Necessità”, un romanzo di sogno e memoria sulla Palermo dei primi anni Settanta, con il quale ha vinto due premi letterari: quello dedicato a Hemingway e quello istituito dal comune di Roma per ricordare il grande giornalista Sandro Onofri. È stato direttore del sito online di informazione Live Sicilia e dal 2018 dirige il sito online di informazione Buttanissima Sicilia.
“Le monache di casa. Storia, aneddoti e curiosità dei dolci conventuali”: in libreria il nuovo libro di Mario Liberto
Torna in libreria Mario Liberto con il suo nuovo libro: “Le monache di casa. Storia, aneddoti e curiosità dei dolci conventuali”. Il volume racconta le vicende della storia della pasticceria siciliana, attraverso l’epopea delle monache di casa.
Da secoli all’interno della Chiesa erano presenti delle pie donne che decidevano di sottomettersi ad una regola di pietà chiamate in diverse parti d’Italia col nome di begardi, beghine, bizzoche, tutte facenti parte di quell’esercito di pseudo consacrate che più genericamente veniva soprannominato monache di casa, in virtù non dello status di consacrazione verginale ma di voto privato in confessione.
Dopo l’Unità d’Italia (1860) le figure religiose soppresse dai monasteri andarono a rivitalizzare e a ingrossare le file delle esistenti monache di casa. Un esercito di suore, mortificate, strappate con forza dai conventi, un’intera vita con le loro cose, le ritualità, le preghiere, di colpo si ritrovarono sole, prive di sostentamento, senza un tetto dove dormire, una casa dove abitare.
Le più facoltose tornarono presso le loro famiglie aristocratiche; altre andarono a servizio presso la nascente borghesia; un numero elevato di consacrate tornarono alla vita laicale, pur mantenendo gli abiti talari del proprio ordine di appartenenza religioso, vivendo di elemosine o con attività di ducciere, cioè preparando i dolci per sposalizi e feste. Donne i cui abiti talari erano sempre impregnati di cannella, vaniglia, chiodi di garofano, suore, ancor prima della loro presenza, erano precedute dall’odore dei dolci che quotidianamente preparavano.
Ogni monastero aveva una sua specializzazione ed esercitava una sorta di monopolio, in questa maniera venivano meno anche i principi di concorrenza. Una cultura che è stata da sempre custodita al di là delle grate dei conventi. Abili mani di suore dalla fantasia e capacità celestiali hanno saputo creare, perfezionare, ingigantire le varie prelibatezze che sono a noi giunte dalla cultura dolciaria romana e arcaica, ma anche da quella araba, spagnola e borbonica. Analoga consuetudine era presente anche nei monasteri europei e americani, insomma, la dulceamina sacra imperava ovunque.
Lo sdoganamento dei dolci conventuali ad opera delle monache di casa contribuirà, oltre a far conoscere le leccornie alla classe subalterna, che ne diventerà la maggiore fruitrice, daranno vita ad una pasticceria reinventata e popolare.
Gran parte della pasticceria meridionale di derivazione conventuale, arte che per secoli ha saputo mantenere celate le sue ricette e le tecniche di preparazione, venne revisionata e arricchita dalla conoscenza e abilità dei pasticcieri svizzeri presenti nel Regno delle Due Sicilie. Mario Liberto, in questa sua ricerca, riferisce le ultime testimonianze di un mondo che lentamente ha perduto il suo fascino e la sua teatralità, anche se qualcosa di tutto ciò, destinato a scomparire, rimane, talvolta senza che nemmeno tutti gli estimatori se ne avvedano. Il libro è arricchito della storia e delle ricette di ben 32 dolci conventuali siciliani in parte scomparsi. “Le monache di casa. Storia, aneddoti e curiosità dei dolci conventuali” è un invito a scoprire un patrimonio di sapori e tradizioni che rischia di scomparire. Un libro da leggere e da gustare, per assaporare la vera essenza della Sicilia, un viaggio affascinante alla scoperta di un mondo perduto, ma che ancora oggi vive nelle nostre tradizioni culinarie, ottimo per gli appassionati di storia, di cultura e di cucina.