Home Blog

Caccamo: dopo 31 anni di servizio va in pensione Giuseppe Rizzo, dipendente modello del Comune

0

Dopo 31 anni di servizio, Giuseppe Rizzo, dipendente modello del Comune di Caccamo, si ritira in pensione. Alla festa di comitato presenti i colleghi e il sindaco, Franco Fiore. 

Niente acqua domani a Baucina, Ciminna e Ventimiglia di Sicilia: interrotta la distribuzione per mancata erogazione elettrica

0

A causa dell’interruzione della fornitura di energia elettrica agli impianti di approvvigionamento ai serbatoi comunali, programmata da e-distribuzione per lavori di manutenzione, 

Termini Imerese: volontari “Plastic Free” in azione, bonificata un’area in contrada Tonnarella – VIDEO

L’esercito blu dell’associazione “Plastic Free” si è radunato questa mattina in contrada Tonnarella a Termini Imerese per bonificare un’area cola di rifiuti.

Tragedia di Casteldaccia, il cordoglio dell’Arcivescovo di Palermo

Pubblichiamo di seguito il messaggio di cordoglio dell’Arcivescovo di Palermo in merito alla tragedia di Casteldaccia.

Le cinque vittime di Casteldaccia – ennesimo tragico incidente sul lavoro -, portano alla ribalta l’urgenza della sicurezza che «è come l’aria che respiriamo». Purtroppo «ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!» (Papa Francesco).
Sicurezza significa un’economia e un mercato del lavoro governati dall’istanza etica, attenzione alla persona del lavoratore, alla sua dignità e ai suoi affetti familiari.

Desidero esprimere ai familiari delle vittime e dei feriti i miei più sentiti sentimenti di vicinanza e di cordoglio, anche a nome dell’intera Chiesa palermitana, nonché la viva partecipazione al dolore delle città coinvolte e, in particolare, di Casteldaccia.
In queste ore particolarmente drammatiche, sento di far giungere un forte appello alla sicurezza sui luoghi di lavoro, auspicando un maggiore impegno di quanti hanno la responsabilità – legislatori, imprese, organizzazioni e associazioni di categoria – di tutelare i lavoratori. Queste morti – come anche gli infortuni – sono una sconfitta sociale, una profonda ferita del corpo sociale, riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie coinvolte.
Dobbiamo sentire queste morti, far nostro questo dolore, ‘con-patirlo’, sentirlo nelle nostre viscere, portarlo insieme a quanti ora ne sono schiacciati. Dobbiamo cambiare. Tutti. Non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni.
La nostra gratitudine va a tutti coloro che si sono adoperati nelle operazioni di soccorso. A tutti assicuro la mia preghiera e la mia benedizione in segno di vicinanza affettiva e spirituale.

Siccità, Consiglio dei Ministri delibera l’emergenza nazionale in Sicilia e stanzia i primi 20 milioni

0

Il Consiglio dei Ministri ha deliberato lo stato di emergenza nazionale per la siccità in Sicilia, come richiesto nei giorni scorsi dalla giunta regionale, per una durata di 12 mesi, stanziando i primi 20 milioni di euro, con la possibilità di incrementare le risorse in tempi brevi già nel corso dell’attuazione dei primi interventi. Alla riunione a Palazzo Chigi ha partecipato anche il presidente della Regione.

Il governo siciliano ha già trasmesso a Roma tutta la documentazione necessaria, stilando una lista degli interventi necessari a ridurre gli effetti della crisi dovuta alla mancanza di piogge. Le soluzioni proposte dalla cabina di regia, guidata dal governatore e coordinata dal capo della Protezione civile regionale, sono differenziate in base ai tempi di realizzazione.

Tra quelle di rapida attuazione, l’acquisto di nuove autobotti nei Comuni in crisi e la sistemazione di altri mezzi in un centinaio di enti locali; circa 130 interventi tra rigenerazione di pozzi esistenti, trivellazione di pozzi gemelli e riattivazione di quelli abbandonati, oltre al revamping di una trentina di sorgenti; il potenziamento degli impianti di pompaggio e delle condotte; la realizzazione di nuove condotte di interconnessione e bypass.

Per i prossimi mesi, invece, si sta valutando la ristrutturazione e il riavvio dei dissalatori di Porto Empedocle, nell’Agrigentino, e di Trapani, operazioni che richiederanno tempi e procedure di gara più lunghe, non essendoci deroghe sostanziali in materia ambientale e di appalti sopra soglia comunitaria.

Nello stesso tempo, il dipartimento regionale di Protezione civile ha istituito nove tavoli tecnici negli uffici del Genio civile dei capoluoghi di ogni provincia, con rappresentanti del dipartimento delle Acque, dei Consorzi di bonifica, e dell’Autorità di bacino. I tavoli hanno individuato e selezionato gli interventi secondo priorità e poi procederanno al monitoraggio delle fasi realizzative. Inoltre, diverse riunioni sono già state svolte con Siciliacque, Aica Agrigento, Caltacque e Acque Enna.

Castelbuono, “Versi freschi e lievi”: nuova opera poetica di Santo Atanasio

0

“Versi freschi e lievi” è la nuova opera poetica del castelbuonese Santo Atanasio, in uscita nelle librerie e negli store online il 6 maggio, edita dalla Casa Editrice mantovana Gilgamesh Edizioni. «I testi, la cui cifra poetica si può cogliere nella “freschezza”, nella “leggerezza”, nella “icasticità” degli stessi, sono raggruppati in sette sezioni tematiche», oltre alla notizia bio-bibliografica dell’autore. In copertina figura la tela “En barque sur la Marne”(1906) di Henri Lebasque.

Santo Atanasio nasce a Castelbuono il 21 aprile 1953. Si laurea in Ingegneria Nucleare a Palermo. Dopo una parentesi di cinque anni d’insegna­mento a Legnano (MI), è prima professore ordinario di Elettronica a Termini Imerese, poi di Elettrotecnica ed Elettronica a Cerda. È pensionato dal 1° settembre 2019. Vive nel suo ridente borgo natale.

E’presente nelle antologie: Poeti a Castelbuono (1938‑1983), a cura di R. Di Liberti, Castelbuono, Tip. «Le Madonie»,1983; Poeti nel Parco delle Madonie, a cura di Pietro Attinasi, Geraci Siculo, Edizioni Arianna, 2005; Il segreto delle fragole, a cura di Anna Toscano e Ivano Malcotti, Faloppio (CO), LietoColle, 2005; Ascuta lu cantu, a cura di Alfonso Lo Cascio, Termini Imerese, Rivista Espero/ISSPE, 2009.

Una larga scelta di suoi componimenti figura nella pubblicazione collettanea Silenzi d’acquario, edita nel gennaio ’91 da Edizioni «Le Madonie», Castelbuono.

Il suo primo libro di versi: Monodici Canti, con una lettera di Mario Luzi, Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1987.

Raccolte successive: Opali, Castelbuono, Edizioni «Le Madonie», 1994; Trilogia di miti greci, Castelbuono, ediz. d’autore f.c., 1995; Suae reliquiae, ibid., 1995; A voce a voce, Barrafranca (EN), Editrice Bose Giesse, 1997; La semina del sole, ibid., 1998; Poesie per amore di tempo perduto e d’infinito (1970-1995), che riunisce i precedenti sei libretti con la sola accessione della poesia Rosso esclamato, Castelbuono, Edizioni del Periodico «Le Madonie», 1999; Amore in versi del settimo cielo, ibid., 2002; Fulgori e brine in seno, Faloppio (CO), LietoColle, 2004; In laudem patris, ibid., 2005.

Le sue opere più recenti: Rime speranza fiore del deserto, Geraci Siculo (PA), Edizioni Arianna, 2007; Lampeggiamenti, fremiti, sorrisi del sogno e del vero, ibid., 2017; Frammenti di un sogno d’estate e altri versi, Asola (MN), Gilgamesh Edizioni, 2020; Versi di un anno (in grigio e in verde), ibid., 2021; Cento poesie nuove e varie, ibid., 2022.

Tragedia di Casteldaccia: da Mattarella a Schifani, il cordoglio del Capo dello Stato e della politica

La tragedia di Casteldaccia ha scosso l’intera nazione.

Anche il mondo della politica ha espresso il proprio cordoglio, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella da New York dove si trova in visita ha così commentato: “Auspico che sia fatta piena luce sulle dinamiche. Ma l’ennesima inaccettabile strage sul lavoro – a pochi giorni dal 1 maggio – deve riproporre con forza la necessità di un impegno comune che deve riguardare le forze sociali, gli imprenditori e le istituzioni preposte”. Proprio alcuni giorni addietro, il Capo dello Stato aveva posto la sua attenzione e lanciato un appello per una maggiore sicurezza sui posti di lavoro.

Richiesta di chiarezza è arrivata anche dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni che dal suo profilo X ha dichiarato: “Sconvolge la notizia degli operai coinvolti nel tragico incidente avvenuto a Casteldaccia, nel palermitano. Alle famiglie delle vittime il mio profondo cordoglio, unitamente al sentimento di vicinanza verso il lavoratore che si trova attualmente nel reparto di Rianimazione all’ospedale Policlinico di Palermo. Sia fatta piena luce su questa tragedia”.

Di “dolore profondo” ha parlato il Presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani con una nota: “È un dolore profondo quello che ho provato alla notizia della morte degli operai a Casteldaccia. A nome mio e di tutta la giunta esprimo il più sincero cordoglio alle famiglie delle vittime per la terribile e inaspettata tragedia che le ha colpite”.

Quella di oggi – con i cinque morti a Casteldaccia, nel Palermitano – è la terza strage di quest’anno sul lavoro, insieme a quella di neanche un mese fa a Suviana (nel Bolognese, sette morti) e a quella di Firenze nel cantiere della Esselunga a Firenze di febbraio (cinque morti).

Strage sul lavoro di Casteldaccia. Ingrassia: intervenire sull’organizzazione del lavoro

“Prescindendo dalle dinamiche del gravissimo episodio, occorre prendere immediatamente atto che c’è un fronte scoperto nella lotta contro gli infortuni sul lavoro: quello del controllo diretto e reale dei lavoratori sull’organizzazione del lavoro. Questione di interessi materiali più che culturali. Chiedere più prevenzione, più formazione e informazione non basta più; penso sia prioritario rivendicare poteri ispettivi per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza e la partecipazione diretta dei lavoratori nel controllo dei tempi, modi e gestione delle lavorazioni. L’organizzazione del lavoro è diventata una macchina che stritola le persone negli ingranaggi di appalti e subappalti, contratti interinali, precariato, sfruttamento, sottosalario, tempi di consegna, sovraccarico di procedure e carichi di attività lavorative. Su questo fronte è necessario riprendere la battaglia interrotta negli anni Settanta del secolo scorso”. Lo ha dichiarato Michelangelo Ingrassia, già Presidente e componente del Comitato Consultivo Provinciale Inail di Palermo in merito alla strage sul lavoro accaduta a Casteldaccia, nella quale hanno perso la vita cinque lavoratori mentre uno è rimasto gravemente ferito.

Tragedia sul lavoro a Casteldaccia, morti cinque operai che lavoravano alla rete fognaria, un sesto è in gravi condizioni

Ennesima strage sul lavoro, cinque operai sono morti a Casteldaccia mentre erano impegnati nella rete fognaria e sono svenuti per le esalazioni all’interno delle vasche di sollevamento e poi sono deceduti. Un sesto operaio è stato trasportato in gravi condizioni all’ospedale Policlinico di Palermo.

Secondo quanto riporta l’Ansa, gli operai, sette in tutto, erano impegnati in alcuni lavori di manutenzione. Ad un certo punto alcuni di loro hanno cominciato ad accusare malori. Uno di loro è riuscito a uscire dall’impianto e a dare l’allarme; gli altri sei sono rimasti intrappolati.

Sul posto i sommozzatori dei Vigili del Fuoco, i Carabinieri e il personale sanitario del 118.

Il cordoglio dei sindacati di categoria

“L’incidente – scrive con una nota la Federenergia Cisal – sul lavoro che a Casteldaccia, in provincia di Palermo, ha portato alla morte di cinque operai e al ferimento di un sesto, ci lascia sgomenti. Esprimiamo cordoglio e vicinanza alle famiglie dei lavoratori coinvolti e chiediamo che si accertino al più presto le cause di questo ennesimo incidente sul lavoro, grave e inaccettabile. La sicurezza sul lavoro è un’emergenza nazionale e come tale va affrontata a ogni livello, coinvolgendo sindacati, imprese e istituzioni”. Lo dicono Giuseppe Badagliacca e Daniele Ciulla di Federerenergia Cisal in merito all’incidente sul lavoro avvenuto a Castaldaccia, nel Palermitano”.

Termini Imerese, Cosimo Cristina ricordato a Roma alla Giornata per la libertà di stampa per iniziativa di “Ossigeno”

0

Il giornalista siciliano Cosimo Cristina, 25 anni, fu ucciso sessantaquattro anni fa. È il primo nella cronologia dei cronisti italiani uccisi perché cercavano di pubblicare verità scomode indicati da “Ossigeno” nel Pannello in loro memoria e ricordati a Roma, alla Casa del Jazz, venerdì 3 Maggio nel convegno che si è svolto in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa (World Press Freedom Day).

Cosimo Cristina, che nei suoi articoli si firmava Co.Cri, scomparve il 3 maggio 1960. Per due giorni i suoi familiari lo cercarono senza riuscire a trovare alcuna sua traccia. Il 5 maggio il suo corpo senza vita fu ritrovato poco lontano dal paese, sfracellato, sui binari della ferrovia, fra le stazioni di Termini Imerese e Trabia. Il caso fu frettolosamente catalogato come un suicidio e l’inchiesta giudiziaria fu archiviata. Questo giovane e coraggioso giornalista fu dimenticato per decenni, ha detto Alfonso Lo Cascio, direttore di Esperonews, intervenendo, in collegamento, al convegno di Ossigeno.

“A farne perdere la memoria – ha spiegato – concorse la scelta dei preti di rifiutare il funerale religioso, perché i sicari mafiosi, ancora oggi ignoti e impuniti, fecero credere che egli si fosse suicidato buttandosi sotto un treno”.

Cosimo Cristina, invece, fu rapito e ucciso, simulando che si fosse suicidato. Fu ucciso perché raccontava gli sporchi affari della mafia del suo territorio e lo faceva dicendo i loro  nomi e cognomi. “Fu ucciso – ha sottolineato Lo Cascio – non solo per ciò che scriveva, ma soprattutto per quello che stava per scrivere”.

Cristina, era giovanissimo, aveva 25 anni, ma era già un cronista affermato. Era corrispondente di alcuni giornali regionali e nazionali  (L’Ora di Palermo, Il Gazzettino di Venezia, l’agenzia Ansa, fra gli altri). Per pubblicare quelle notizie, scomode, che altri rifiutavano, fondò un giornale, Prospettive Siciliane. Su quelle pagine, pubblicò articoli “senza peli sulla lingua” – come egli stesso li definì nel suo primo editoriale – e raccontò la trasformazione della mafia da agricola a imprenditoriale. Per questo subì minacce e isolamento.

Dopo la sua morte, ha aggiunto Alfonso Lo Cascio, nessuno si preoccupò di “rileggere quello che scriveva sul suo giornale, perché allora molti pensavano che la mafia non esistesse”. La memoria di questo cronista coraggioso fu recuperata solo decenni dopo. Fu riscoperta anche grazie all’attività di altri giornalisti, fra cui lo stesso Lo cascio, che ha raccontato: “Io sentii parlare di Cosimo Cristina per la prima volta solo quando nacque il primo coordinamento delle associazioni antimafia, negli anni ottanta. Da quel momento cominciò da parte mia e di altri, in particolare alcune scuole con la docente Giusi Conti, un lavoro per recuperare la memoria storica di Cosimo. Non esisteva nemmeno una sua foto. La sua famiglia si era chiusa in sé stessa”.
Al recupero della figura umana e professionale di Cosimo Cristina, hanno ricordato Alfonso Lo Cascio e Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno, ha contribuito il giornalista Luciano Mirone autore del saggio “Gli insabbiati. Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza” (Castelvecchi) pubblicato nel 2008. Il libro ricostruisce, per la prima volta in modo unitario, le singole vicende degli otto cronisti uccisi dalla mafia in Sicilia.

Da qualche anno la vicenda di Cosimo Cristina è ricordata con varie iniziative. Fra le altre, da Ossigeno, che nel 2014 ha inserito il suo volto e il suo nome nel Pannello della Memoria e, dal 2020, la sua storia sul sito Ossigeno-Cercavano la verità www.giornalistiuccisi.it, dove sono raccolti molti documenti e testimonianze sui gironzasti uccisi in Italia per il loro lavoro.

In occasione di questo 64mo  anniversario, dopo l’iniziativa del 3 maggio 2024 che ha coinvolto l’Ordine dei giornalisti della Sicilia e del Lazio, le associazioni della stampa e le organizzazioni dei cronisti delle due regioni, sarà ricordato anche con un altro evento. “Cosimo Cristina e Peppino Impastato, l’impegno e la lezione civile di quei due giovani cronisti dai destini paralleli” è il tema del seminario/corso di formazione per giornalisti che si svolgerà lunedì 6 maggio dalle ore 9,30 alle 13,30 a Palermo al No Mafia Memorial di corso Vittorio Emanuele 353, per iniziativa dall’Ordine dei giornalisti della Sicilia.

Elezioni Europee 2024, messaggio dei vescovi siciliani: “giovani, non lasciatevi ammaliare dalle sirene del pessimismo, esercitate il diritto di voto”

0

Alla vigilia delle elezioni europee, i vescovi di Sicilia lanciano un appello a chi abita la nostra regione e soprattutto ai giovani. L’invito è “a non lasciarsi ammaliare dal canto delle pericolose sirene del pessimismo, della rassegnazione, del disfattismo e astenersi dal voto“. Per i vescovi l’astensionismo può diventare “un silente passo che ci allontana dal sogno di un’Europa che dia respiro alla storia affermando gli autentici diritti umani“.

Un diritto, quello al voto, che diventa dunque quasi un dovere per i cittadini della Sicilia, isola “ancora chiamata ad essere all’interno dell’Europa unita piattaforma di pace di integrazione per i tanti popoli del Mediterraneo che cercano in Europa salvezza e lavoro”. Insieme con l’invito al voto anche la necessità di creare “spazi condivisi di incontro e dialogo” per un voto consapevole che deve mirare “all’edificazione del bene comune“.

L’augurio dei vescovi è che “il Parlamento Europeo possa essere quell’istituzione detentrice del potenziale necessario per affrontare e risolvere le molteplici questioni generate dalle numerose trasformazioni epocali“.

Di seguito il testo integrale del Messaggio dei Vescovi di Sicilia per le elezioni europee.

Carissime sorelle e carissimi fratelli,

da più di settanta anni si parla di Europa unita. Da quel 25 marzo 1957, quando a Roma venne firmato il trattato che la istituì, di strada se ne è fatta tanta. È stata sempre aperta la via che ha portato più Nazioni del nostro Continente sulla direzione di un’unità non solo economica, ma anche politica, sociale e culturale.

San Giovanni Paolo II nel 1997 affermava: «La storia dell’Europa è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua ricchezza» (Omelia, Gniezno 3 giugno 1997). Non possiamo, tuttavia, non ammettere che, talvolta, questa ricchezza si è dovuta confrontare con processi dinamici e repentini di trasformazioni sociali e culturali. Processi che hanno, talvolta, preso le distanze da quella costellazione di valori che si legano profondamente alle radici cristiane dell’Europa. Non sono mancati i confronti: non è venuto meno il dialogo, finalizzato alla custodia e alla crescita del bene comune, della giustizia sociale e alla tutela di ogni diritto teso ad affermare la centralità della persona e della sua dignità infinita.

Cadute le ideologie, i “grandi racconti” del secolo scorso si è fatta strada un’uniformità, una “convergenza silenziosa” – così la chiamava il Card. Carlo Maria Martini – tra i cosiddetti conservatori e i cosiddetti progressisti in nome delle ragioni dell’individuo che rappresentano una decadenza rispetto alla nostra tradizione culturale e civile. Da una parte si considera l’individuo soggetto libero, senza vincoli nell’esercizio del potere economico; dall’altra lo stesso individuo lo si vuole libero e non sindacabile nei suoi comportamenti etici individuali. La matrice delle due posizioni è unica: la cultura dell’individualismo dove l’individuo non corrisponde alla persona che è invece aperta all’accoglienza del diverso e alla gratuità (cfr. C. M. Martini, Discorso per la festa di Sant’Ambrogio, Milano 5 dicembre 1997).

Sono tante le violazioni della dignità “infinita” – così come la definisce un recente documento della Chiesa – la dignità della persona umana. Essa viene violata dall’aborto e dal suicidio assistito, dal dramma della povertà, dal travaglio che subiscono i migranti, dalla guerra, dalla tratta delle persone, dalla violenza sui più fragili, dall’abuso sui minori. Vogliamo, con il nostro voto libero e consapevole, scegliere i nostri rappresentanti che abbiano a cuore questi valori, gli unici che possono edificare un’Europa casa comune di ogni persona e aperta al dialogo con tutti i popoli. Per una scelta consapevole sarebbe opportuno condividere spazi di incontro e dialogo finalizzati alla edificazione del bene comune, soprattutto innestando fiducia e speranza nel cammino verso l’Europa rinnovata.

Ci auguriamo che il Parlamento Europeo possa essere quell’Istituzione detentrice del potenziale necessario per affrontare e risolvere le molteplici questioni generate dalle numerose trasformazioni epocali nelle quali siamo immersi. Inoltre, siamo fermamente convinti che la nostra amata Sicilia sia ancora chiamata ad essere all’interno dell’Europa unita, piattaforma di pace e di integrazione per i tanti popoli che dal Mediterraneo cercano in Europa salvezza e lavoro. Popoli da accogliere per essere protagonisti di un dialogo globale che azzeri ogni processo di emarginazione o addirittura di aperta ostilità.

Pertanto, esortiamo vivamente ogni cittadino/a della nostra Isola, in modo particolare i giovani ad esercitare il diritto di voto nelle prossime elezioni europee. A non lasciarsi ammaliare dal canto delle pericolose sirene del pessimismo, della rassegnazione, del disfattismo. L’astensionismo può diventare un silente passo che ci allontana dal sogno di una Europa che dia respiro alla storia affermando gli autentici diritti umani.

Nuove crisi e nuove squilibri ci stanno dinnanzi. Per fronteggiarli dobbiamo scongiurare ogni possibile forma di scoraggiamento e di scetticismo che offuschi la nostra identità di cittadini europei, di figli di una Europa, portatrice di un suo modello di democrazia e di libertà.

I Vescovi di Sicilia

Migranti, incendi, spopolamento: i vescovi di Palermo e Cefalù da Papa Francesco per la consueta “visita ad limina apostolorum”

Si è conclusa in Vaticano la consueta “visita ad limina postolorum” dei vescovi siciliani alla quale hanno preso parte anche i presuli di Palermo e Cefalù.

La visita ad limina non è altro che l’incontro che tutti i vescovi cattolici devono compiere a Roma ogni cinque anni. Comprende un pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo come espressione di comunione ecclesiale e un incontro con il Papa come successore di San Pietro. Ma anche visite ai diversi organismi della Chiesa, come questo Dicastero, per riferire sulla situazione della Chiesa nella diocesi affidata a ciascun vescovo.

Da Papa Francesco ai momenti di preghiera

Sono stati diversi gli appuntamenti che hanno impegnato i vescovi siciliani in Vaticano e a Roma. L’incontro più importante, il 29 aprile in occasione dell’incontro con il Santo Padre Francesco presso il Palazzo Apostolico. Un incontro che Mons. Antonino Raspanti, Presidente della CESI (Conferenza Episcopale Italiana) ha definito: “molto cordiale, assolutamente familiare. Un vero e profondo incontro con colui che in qualche modo ci guida ed è assegnato dalla Provvidenza a guidare la Chiesa Universale”.

Incontro che ha permesso ai presuli siciliani di relazionare sullo stato di salute delle proprie diocesi, andando a toccare in particolar modo le varie problematiche che affliggono la vita pastorale. Dai migranti, agli incendi, fino allo spopolamento, temi molto a cuore ai vescovi di Palermo, Mons. Corrado Lorefice e Mons. Giuseppe Marciante a Cefalù, presenti alla visita.

Temi che ormai nella nostra Isola e nel nostro Comprensorio Termini Imerese – Cefalù – Madonie sono diventati abbastanza caldi. Sono migliaia i profughi che ogni anno raggiungono le nostre coste per scappare da guerra, fame e miseria. Al tempo stesso, il nostro Comprensorio vive uno spopolamento sempre più marcato, segnato da un numero sempre più alto di giovani che scappano dal proprio paese in cerca di un futuro certo. E poi la piaga degli incendi, una ferita sempre aperta che inizia a diventare sempre più profonda, provocando desertificazione a morte.

Un momento dunque che ha permesso ai vescovi di poter riflettere su quelli che sono i piani di azione per svolgere un servizio migliore, attento e preciso nelle singole chiese. Diverse le visite nelle basiliche papali, ai dicasteri vaticani e non mancato un momento di preghiera presso la Chiesa “S. Maria Odigitria” dei Siciliani. “La Visita, per la Conferenza Episcopale Siciliana, – si legge in una nota della CESI – è un momento significativo per esprimere la gratitudine al Santo Padre e per ricevere orientamenti e sostegno per il ministero episcopale“.

Giovanni Azzara

Ruolo sociale e salute mentale

La struttura della società contemporanea è caratterizzata, rispetto a quelle del passato anche recente, da una complessità le cui origini possono essere trovate in due fattori.

Il primo è la diversificazione dei ruoli, la parcellizzazione dei compiti e delle funzioni. Questa è probabilmente la conseguenza storica di quel processo di “specializzazione del lavoro” iniziata già con la Rivoluzione Industriale, che attualmente ha comunque raggiunto livelli estremamente elevati. Non esiste più solo infatti una specializzazione del lavoro, ma – se ci è consentita l’iperbole – una “specializzazione della specializzazione” del lavoro, per la quale qualunque funzione sociale viene frazionata in una serie di “sotto-funzioni” estremamente selettive negli obiettivi e nelle tecniche. E’ ovvio che, in questo contesto, ci riferiamo ad ambienti sociali ad alta industrializzazione, mentre non è possibile includere in questa descrizione quelle “isole” culturali nelle quali sopravvivono tradizioni e consuetudini pre-industriali. Il che, altrettanto ovviamente, non implica che questa parcellizzazione non esista: il computer non è solo uno strumento tecnico dei grandi centri finanziari del Nord industrializzato, così come non sono specifici tipi di lavoro ormai diffusi ubiquitariamente.

Il secondo fattore al quale ci riferiamo è quello dell’efficienza produttiva. L’attuale contesto sociale, nelle forme di evoluzione che lo caratterizzano nel presente momento storico, ha adottato criteri di riferimento produttivi estremamente severi, per i quali si richiede che si adempia ad una certa funzione secondo parametri di produttività crescente, in funzione del proprio ruolo e, appunto, della propria specializzazione.

Questi due aspetti non sono limitati, ovviamente alla semplice e pura attività lavorativa, ma pervadono aspetti sempre crescenti della vita sociale, individuale e privata.

Molto più che nel passato, infatti, vengono oggi forniti dei modelli ai quali adeguarsi in dipendenza del proprio ruolo e della propria funzione. Basti soffermarsi per un attimo a considerare i target della pubblicità per rendersi conto di quanto questo sia quotidianamente vero: i mass media favoriscono l’identificazione dell’individuo col gruppo col quale questi condivide funzioni e livelli di efficienza. Come a dire che, per espletare bene le proprie funzioni, al massimo livello di efficienza, è necessario adeguarsi a specifici schemi culturali.

Il manager rampante, non deve condividere col proprio gruppo solo la prestazione professionale, ma anche lo standard di vita, l’abbigliamento da ‘yuppie’, gli hobbies, gli sport, il tipo di acquisti, la vita privata.

Per soffermarci su questo esempio, l’uomo – o la donna – in carriera, così come sono descritti dalle indagini statistiche condotte da varie fonti – sono generalmente single, senza rapporti stabili, mangiano cibi preconfezionati, ma di buona qualità, si sottopone ossessivamente a pratiche di “fitness” e, ovviamente, spende una buona parte dei guadagni nell’abbigliamento, ricercato ma elegantemente “casual”.

Queste caratteristiche sono importanti? Certamente si, così come lo sono tutte quelle caratteristiche che consentono ad un individuo l’identificazione con un gruppo, e quindi la corsa all’acquisizione delle caratteristiche specifiche dello stesso. Si tratta di un circolo vizioso, nel quale l’adesione ad un modello non può prescindere da una serie di modelli complementari. E’ un discorso che ovviamente va esteso a tutte le fasce sociali, ovviamente con caratteristiche diversificate il base al ruolo e alla specializzazione richiesta, persino alle più neglette, come le casalinghe.

Questi sono naturalmente problemi di natura strettamente sociologica e lasciamo ai sociologi analizzarli. Ciò che invece ci interessa è l’impatto “clinico” di questa complessa situazione sociale.

Sia in campo genericamente psichiatrico che più specificamente psicosomatico, infatti, si è posta storicamente attenzione alla relazione esistente tra modelli e strutture sociali – le “variabili psicosociali” – e insorgenza di manifestazioni patologiche. In psichiatria, per esempio, basti ricordare l’attenzione rivolta verso la complessità sociale come fattore di rischio per la schizofrenia, che motiverebbe la sua assenza in culture non occidentalizzate; o, più semplicemente, la considerazione dei contesti sociali ad alta industrializzazione, come fattore di rischio per la schizofrenia.

Per la schizofrenia sono state addirittura elaborate teorie abbastanza suggestive, secondo le quali, la schizofrenia sarebbe una malattia “nuova” nel senso di essersi originata e diffusa solo nel XIX secolo, mentre prima era sostanzialmente inesistente.

Tale malattia – la “follia” comunemente intesa – inoltre sembrerebbe essere rimasta con una incidenza estremamente bassa in altre culture, mentre si è incrementata nel mondo occidentale. Indipendentemente dalle correlazioni con lo status psicosociale, che appaiono naturalmente stimolanti, i sostenitori dell’ipotesi suggeriscono altre cause più complesse. Inoltre, esistono studi precisi sulla correlazione tra depressione e sindromi ansiose e stile di vita.

Per quanto attiene, poi, ai disturbi psicosomatici, l’esistenza di una qualche correlazione con fattori psicosociali appare essere una pietra miliare delle scoperte in questo campo.

Bisogna allora chiedersi quanto un ruolo sociale possa essere esporre a fattori di stress psicofisici, e quale impatto ciò possa avere sull’insorgenza di una malattia psicosomatica.

E’ ovvio che non è il ruolo sociale in se ad essere un stress. Esso lo diventa quando per l’individuo non è possibile un adeguamento ai modelli complementari di quel ruolo, quando, in altri termini non avviene l’identificazione nel gruppo col quale il ruolo stesso viene ad essere affiancato, specialmente se la necessità di tale identificazione viene vissuta come perdita di autonomia, sino alla perdita del controllo delle situazioni che, anziché essere gestite, ci gestiscono.

Il mancato adeguamento alle performance psicologiche richieste come specifiche di un ruolo, inoltre, può provocare di per se una situazione di stress: alcuni ruoli sociali, per esempio, richiedono assertività, decisionalità, mancanza di inibizioni sociali; altri dipendenza, rinuncia alla decisionalità, subordinazione. Si tratta ovviamente di atteggiamenti necessari, che consentono un “adattamento” forzato al ruolo ricoperto. Tali atteggiamenti però possono non rispondere alle specifiche esigenze o caratteristiche psicologiche del soggetto.

Una delle conseguenze di queste situazioni è la condizione di conflitto, tra ruolo e funzioni ad esso complementari, con la conseguenza di produrre ansia, bassa stima di se, mancanza di autonomia o, comunque, una condizione di frustrazione.

Infatti, l’adesione ad un ruolo e alle sue funzioni complementari implica in genere due fasi: una prima di “modelling” – di illustrazione e presentazione di comportamenti (il cosa fare e come farlo); la seconda di “behavior rehearsal”, cioè di replica dei comportamenti illustrati (passare dalla teoria alla pratica). Sono fasi specifiche dell’addestramento di una persona al proprio ruolo.

L’adesione al modelling e al behavior rehearsal è, nella nostra società, una imposizione quotidiana: basti pensare alla pubblicità e ai messaggi quotidiani dei media.

Ma è proprio nella fase di behavior rehearsal che può fallire il tentativo di identificazione nel ruolo: che poi può anche semplicemente consistere nella constatazione di possedere caratteristiche diverse da quelle richieste. E’ la fase insomma del “Mi dicono di essere così, ma io non ci riesco”. Ne deriva una significativa frustrazione.

Fallisce allora la fase di adattamento (detta di coping skills), quella cioè dell’acquisizione della capacità di “fronteggiare con successo” le situazioni implicite nel ruolo.

I motivi di questo fallimento possono essere individuati nella interazione fra personalità e pressione sociale. Insomma, per dirla in soldoni, nessuno può essere diverso da come è. Recitare non serve. Il modo per trovare un buon adattamento alla complessità sociale e ai ruoli che essa implica, sarebbe quindi quello di scegliere un ruolo sociale realisticamente adeguato alle proprie esigenze, senza tentare di scimmiottare modelli imposti dalle tendenze sociali e culturali dominanti. Questo implica autonomia di pensiero, ma anche adattamento al reale, riconoscimento onesto delle proprie capacità, ma anche dei propri limiti, senza idee di onnipotenza o egocentrismo, ma accettazione della propria libertà di pensiero nel rispetto delle libertà altrui.

Una personalità che si è sviluppata secondo queste direttive, una personalità ovvero sana, resisterà alle pressioni sociali semplicemente ignorandole, o modulandole secondo le proprie esigenze. Ci riferiamo alle proprie esigenze reali, costruttive, creative. Modificherà, in un certo senso, il proprio ruolo in chiave strettamente personale, rimodellandolo secondo le proprie idee e il proprio modo di essere persona. Quando ciò non avviene, la pressione sociale diviene intollerabile, fonte di stress continuo.

Un buon esempio della validità di questo assunto ci è fornita, per esempio da quella che è forse la ricerca più classica tra professione e malattie psicosomatiche, quella originaria di Friedman, Rosenman e Jenkins sul “Type A Behavior Pattern”, il comportamento di tipo A che predisporrebbe alla malattia coronarica. Come è noto il modello di personalità è quello di individui con una strenua motivazione al conseguimento del successo, coinvolgimento totale nel lavoro, ambizione e competitività. Aggressivi, ostili e impazienti, sono spesso assillati da un senso cronico di urgenza. Vogliono il meglio e si sentono i migliori, i più belli, i più grintosi e più rampanti.

Si contrappongono, classicamente, ad un “Type B Behavior Pattern”, caratterizzato invece da un atteggiamento di “easy going”, in soggetti rilassati, pazienti, con un senso dell’urgenza assai minore e non abituale, con scarsa competitività e aggressività, e un coinvolgimento nel lavoro mai totale.

Certo, la pressione sociale oggi sembrerebbe imporre una personalità di “tipo A” (basta guardare un po’ di pubblicità…), come aveva vaticinato ragionevolmente Suinn  già nel 1982; ma, non esiste un ruolo sociale nel quale sia davvero necessaria una “funzione di ruolo” di questo tipo. Il fatto, in altri termini, che la pressione sociale proponga qualcosa, non significa affatto che questo vada accettato. La capacità alla rinuncia di ruoli impropri è una caratteristica della personalità matura, in ogni società.

Assai spesso si propongono soluzioni del problema che seguono la via inversa: l’allentamento della pressione sociale, come prevenzione primaria dello stress legato al ruolo. E’ una posizione utopistica, priva di solidi agganci alla realtà. Invertire il processo storico, economico e sociale contemporaneo è infatti solo un’utopia. La strada che si può e deve seguire, è in realtà diversa: l’educazione alla formazione di personalità sane, di individui consapevoli e creativi, che anziché adeguarsi alla pressione sociale, scelgano un proprio stile di vita e una propria libertà di pensiero. E’ un obiettivo difficile da raggiungere, ma ragionevole. E implica una grande speranza. Perché se è vero che una società malata, crea individui malati, è anche possibile il processo inverso, e cioè che individui sani possono modificare una società malata.

Giovanni Iannuzzo