La pace non è uno slogan, non si persegue con la guerra

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Sembra un brutto sogno. Uno di quelli che fai dopo una cena pesante, pieno di immagini confuse, angosce, inquietudini. E invece no. Questa volta è tutto tremendamente vero.

Non si tratta più solo di “venti” di guerra, come ci hanno abituato a chiamarli. No, stavolta il vento è diventato tempesta. Siamo, probabilmente, davvero alle porte di un conflitto globale, che da guerra a “macchia di leopardo” sta assumendo una portata che inizia a farci riflettere. Una guerra vera, nel 2025. Nell’epoca dell’intelligenza artificiale, della medicina personalizzata, dell’esplorazione spaziale, della tecnologia avanzata. Eppure, eccoci qui, ancora con le mani sporche di sangue.

Inaccettabile. La guerra non ha giustificazioni, né politiche né economiche né culturali. È la cosa più ignobile che l’essere umano abbia mai fatto su questa Terra. Distruggere, uccidere, torturare, affamare: tutto questo contro persone, uomini, donne, bambini in poche parole: esseri umani. Madri che seppelliscono i figli, ospedali ridotti in cenere, popoli interi piegati dalla fame e dalla paura e nel frattempo, si fabbricano nuove armi. Per cosa? Per mostrare forza, muscoli per difendere interessi. La domanda a questo punto potrebbe sorgere spontanea: che razza di civiltà è mai questa?

In questo scenario di follia, le parole del Vangelo di Luca suonano come un pugno nello stomaco. Un monito antico, ma attuale come non mai: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.

Parole che inchiodano le coscienze. Che ci obbligano a guardarci dentro e a chiederci: da che parte stiamo? Con chi siamo? Con i potenti accecati dalla superbia o con gli umili che chiedono solo di vivere in pace?

Un grido che non può restare inascoltato

Domenica 22 giugno 2025, a Palermo, l’arcivescovo monsignor Corrado Lorefice ha detto ad alta voce quello che troppi tacciono, e lo ha fatto durante la Solennità del Corpus Domini, lanciando un appello che è molto più di una preghiera: è un grido.

“Preghiamo – ha detto – affinché Cristo converta i cuori di tutti e, in particolare, i cuori pietrificati e le intelligenze atrofizzate dal delirio di onnipotenza dei ‘grandi del mondo’. Quelli che hanno nominato invano – bestemmiato! – il nome di Dio, dicendo: Ti amiamo, Dio, e amiamo il nostro grande esercito”. Sì, è una bestemmia pensare di costruire la pace facendo la guerra, è una menzogna vergognosa e pericolosa. La pace non è uno slogan da sventolare tra un bombardamento e l’altro, la pace è una scelta concreta, difficile, che chiede coraggio, rinuncia, umanità.

A tal proposito, Papa Leone XIV ha detto chiaramente: “La guerra non risolve i problemi. Li amplifica. E produce ferite che richiedono generazioni per rimarginarsi”. E allora cosa dobbiamo ancora discutere? Troppo sangue sta scorrendo, troppi bambini muoiono per una bomba, per la mancanza di un tozzo pane o di abbandono. Questa non è la normalità.

I potenti della Terra – qualora volessero realmente – possono fermare tutto questo. Hanno fatto partire i missili? Possono anche fermarli. Possono deporre le armi, scegliere la diplomazia, il disarmo, la giustizia, l’amore. Non è un’utopia. È solo questione di volontà.

Giovanni Azzara

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