Michele Iacono nasce a Termini Imerese il 7 giugno 1954. È laureato in psicopedagogia e ha lavorato per il dipartimento di salute mentale di Palermo fino al 2021. Ha pubblicato i romanzi: Il bambino senza tempo 2017, Quando l’ombra si dilegua 2018 (con edizione inglese dal titolo: The artist), L’imperfetta bellezza 2019, Ciò che hanno visto le rondini 2020. Inoltre i saggi: Il silenzio, il segno e la parola 2102, Quando l’uomo inciampò sui segni, sulla origine della comunicazione umana che ha ricevuto la menzione XIX 2020 – Premio InediTo – Colline di Torino. Dipinge e ha al suo attivo mostre personali e collettive.
E da circa un mese sta presentando a Termini imerese, ospitata nella chiesa del Monte, la mostra “Clandestini”. Un tema tragicamente e orribilmente attuale.
Come scrive Angie Patti Picciolo nella presentazione “ Non ci si può sottrarre alla vista delle opere di Michele Iacono. Come non è possibile restare indifferenti di fronte… E’ forte e incisivo il messaggio e forte e incisiva è la pittura nelle zone d’ombra, quelle zone d’ombra che paradossalmente mettono ancor più in risalto quelle figure strette nella loro fatica, nel pianto, braccia che implorano fra improvvisi sbocchi di luce che richiamano alla speranza, mentre resistono alla sfida. Il percorso pittorico di Michele lacono non nasconde ma cura, con elevata enfasi e brutale realtà, una verità davanti agli occhi di tutti dalla quale nessuno di noi prescinde e alla quale, restituire dignità, se vogliamo restare umani”.
Michele come nasce l’idea di questa mostra?
Questa mostra nasce da un incontro con l’associazione MIEAC, un Movimento di impegno educativo legato all’Azione Cattolica, che ha scoperto che io, vent’anni fa, nel 2005, avevo dipinto una serie di tele riguardanti il mondo dei migranti. A seguito di questa conoscenza hanno pensato bene di riproporre una mostra itinerante che è partita da Termini, e chiuderà a fine mese, per poi essere riproposta a Caccamo, Palermo e, nel 2026, a Roma.
La prima cosa che colpisce è che le opere che tu esponi sono state realizzate tanti anni fa, e nonostante tutto non hanno perso nulla dell’attualità, che molto spesso si presenta ancora più tragica.
Si, sono state realizzate due decenni fa partendo dall’idea che l’arte doveva occuparsi di questi temi forti, di quella parte della storia che spesso si fa finta di non vedere; avevo chiesto ad alcuni colleghi artisti di condividere il percorso per raccontare questo dramma moderno. Io negli otto mesi successivi avevo dipinto una ventina di tele, gli altri nulla. Mi hanno detto che alla fine non erano molto interessati perché questi lavori che non si vendevano, le persone, dicevano, non amano questo genere di pittura che trattano temi così particolari, si preferisce avere a casa altre opere meno “provocatrici” e più decorative. Mentre io avvertivo una sorta di necessità fisica a ribadire che dobbiamo occuparci di questo.
Poi cosa è successo?
Per 18 anni li ho tenute conservate senza neppure essere intelaiate. Poi due anni fa circa ho sentito la necessità invece di farli vedere perché ancora oggi è molto forte il problema, tutti i giorni ne parlano in televisione, ogni giorno arrivano notizie di morti durante la traversata, di bambini che scompaiono nel mar Mediterraneo. Per quello che sappiamo si parla di 60.000 migranti deceduti e di 10.000 minori morti. E quella catastrofe umana che io avevo raccontato attraverso i dipinti era purtroppo maledettamente attuale.
E’ cambiato qualcosa rispetto a vent’anni fa?
Si, è cambiato qualcosa in peggio, si è in un certo senso allentata la tensione, non ci sentiamo più coinvolti, siamo meno sensibili, e poi vediamo in politica certe tendenze al disumano, basti pensare agli hotspot che vogliono realizzare in Albania e l’Inghilterra che pensa addirittura di mandare i migranti in Ruanda.
Come presenti la mostra a coloro che vengono a visitarla?
Parlando soprattutto con i ragazzi, faccio riferimento al fatto che noi siciliani siamo abituati a questo dramma e il problema non riguarda solo coloro che vengono dal continente africano, noi che abbiamo vissuto sulla nostra pelle quella sorta di emarginazione dovremmo essere più disponibili all’accoglienza, alla solidarietà.
Cogli dei segnali positivi nel mondo artistico rispetto al problema?
Poca roba, rispetto a quello che l’arte e la letteratura potrebbero fare, molto poco. Qualcosa a livello cinematografico si è mosso negli ultimi tempi, penso al film “Io capitano” diretto da Matteo Garrone, per esempio, c’è anche qualche libro che cerca di sensibilizzare sul tema, ma nella pittura meno, nel senso che siamo così presi da certe visioni astratte, concettuali e informali che dimentichiamo l’esistenza di questa tragedia profondamente umana, e il fatto che l’arte in un certo senso rimuove i dolori del mondo non è una cosa bella. Cattelan vende per sei milioni di euro una banana e, un altro artista, una scultura invisibile, ma cosa resta alla fine della storia dell’uomo, continuando su questa strada?
Io ritengo che l’artista abbia una responsabilità nel raccontare il mondo e le sue difficoltà. Con questa mostra tento di buttare delle pietre nello stagno, anche se so che il mondo va verso altre tendenze, c’è uno scollamento individuale e questa individualità non ci porta sicuramente verso quel concetto fondamentale che appartiene alla relazione tra gli individui.