Villalba, l’estasi della Roccia Amorosa: quando un luogo diventa mito

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Ci sono luoghi che ci chiamano e non ne conosciamo la ragione. Sono sirene ammantate di vento che profuma di origano, di timo e fiore di cappero e alla cui malìa non si può resistere.

Luoghi che tramandano memorie di riti magici, arcane filastrocche, tracce di popoli antichi, mercati notturni e ghiotte truvature.

Proprio lì nell’onphalos della Sicilia agraria, incastonata tra il sali e scendi d’infinite colline che si rincorrono cangianti allo scorrere delle stagioni, proprio lì al culmine di una catena di picchi discontinui si erge silenziosa la Roccia Amorosa, imponente massiccio pietroso, costituito da due blocchi divisi adiacenti, collegati da una pietra centrale, originati, forse, da antichi movimenti tellurici o dalle potenti saette di Zeus.

Denominato “Vanzu di la finestra” nelle mappe catastali di Villalba, gli abitanti del luogo la nominano  roccia “di li ziti”, degli innamorati forse in virtù della pietra centrale che alla maniera” di uno schiocco di bacio unisce per l’eternità, in un abbraccio appassionato, i due profili eteroantropomorfi. Questo amore litico, granitico è  da sempre, già prima di Dante, di Shakespeare, di Hayez, Klimt e Magritte. Imprime il suo sigillo, il suo pegno d’amore immortale al territorio ma esige, al contempo, di essere onorato e ricambiato. Ma si sa, spesso la natura  “babbìa” con gli umani, esagera e si chiede come la Szymborska: ma un amore felice, è normale? E’ utile? E’ necessario? E allora ecco che cambiando la prospettiva, spostandosi di qualche metro sulla provinciale 16 che da Villalba conduce a Mussomeli si materializza alle spalle della figura femminea dal bel profilo francese, la Francesca, Ginevra o donna Laura di turno, la sagoma burbera del terzo incomodo dalla fronte corrucciata in una sorta di triangolo amoroso dalle fosche tinte che nulla fa presagire di buono.

E intanto, il paesaggio sta a guardare questo pietra mistica e misteriosa dal grande impatto spirituale; e lei si inebria della luce solare nei solstizi estivi e invernali che nei millenni scandivano il tempo della semina e della raccolta. Le fanno da corona, nel tempo, le interminabili distese di spighe verdi che danzano al vento primaverile, le coltri purpuree della sulla maggiolina, l’oro del frumento maturo punteggiato dai petali sanguigni di delicati papaveri, i riccioli-covoni e i terreni “pettinati” durante il riposo invernale.

Sullo sfondo l’Etna, con la sua candida scia verso occidente fa la riverenza alla sorella minore.

Sì, ci sono luoghi che ci chiamano e non ne conosciamo la ragione. Sono sirene ammantate di vento alla cui malìa non si deve resistere perché, forse, cedendo alla loro bellezza potremmo trovare la via che porta alla Grande Gioia.

Rita La Monica

Vice Presidente regionale BCsicilia