Il “lupo grigio” che doveva uccidere il Papa, 44 anni fa l’attentato a Giovanni Paolo II

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Sono passati 44 anni dall’attentato a Giovanni Paolo II, la fede e il perdono.

L’attentato

Era il 13 maggio del del 1981, Piazza San Pietro era gremita di fedeli radunatisi per assistere all’udienza del mercoledì in occasione dell’anniversario delle apparizioni della Madonna di Fatima. L’orologio batteva ormai le 17:17, papa Giovanni Paolo II stava continuando il suo consueto giro della piazza a bordo della “Campagnola” bianca per rispondere al caloroso affetto di fedeli e pellegrini. Qualche minuto dopo, precisamente alle 17:19, dalla folla vengono esplosi due colpi di pistola, una Browing HP 9mm Parabellum utilizzata quasi esclusivamente in passato dagli eserciti.

Quei due colpi di pistola raggiungono il pontefice che viene colpito al colon e all’intestino tenue, la sua vita era gravemente in pericolo. Giovanni Paolo II venne immediatamente soccorso e trasportato d’urgenza al policlinico Gemelli, durante il tragitto perse più volte i sensi. Sottoposto ad un importante intervento chirurgico durato oltre cinque ore per la perforazione di colon, intestino e la perdita di 3 litri di sangue, il cuore del Papa riuscì a non smettere mai di battere. Andò tutto bene, il Pontefice guarì, e poco dopo avrebbe compiuto gesti rimasti iconici.

Il “lupo grigio”

Chi sparò? I due proiettili furono esplosi dal terrorista turco Mehmet Ali Ağca, quest’ultimo però non riuscì a scappare, infatti nella concitazione del momento cadde a terra, perse la pistola ed una suora lo bloccò in attesa dell’arrivo delle forze dell’ordine. Ağca apparteneva all’organizzazione di estrema destra denominata “Lupi Grigi” ed era diventato tristemente famoso per l’omicidio del giornalista turco Abdi İpekçi.

Il killer venne condotto nel carcere di Rebibbia a Roma, e 8 giorni dopo venne processato per direttissima con l’accusa di tentato omicidio a Capo di Stato, così dunque la sentenza: “non fu opera di un maniaco, ma venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra“. Da quel momento in poi, cominciarono a venire fuori diverse dichiarazioni sul perchè.

Le indagini e i tanti “perchè”

Cosa ha spinto quell’uomo a compiere tale gesto? Perchè? Chi c’è dietro? Sono solo alcune delle domande che all’epoca vennero subito alla mente, molte però non ebbero risposta. La magistratura iniziò immediatamente ad indagare seguendo almeno quattro piste. La prima, quella russo-bulgara che voleva un accordo tra servizi segreti russi e bulgari per uccidere il Papa, che in quel periodo aveva avuto un ruolo fondamentale sulla caduta del comunismo. La seconda, relativa ad una improbabile complicità del Vaticano che aveva permesso ad Ali Ağca di assistere a cerimonie precedenti al giorno dell’attentato. Le terza pista legata a cosa nostra e alla massoneria, infine la quarta secondo la quale il mandante “morale” dell’attentato sarebbe stato l’ayatollah Khomeini il quale avrebbe detto al killer turco di uccidere il Papa in nome di Allah. Quest’ultima molto improbabille perchè appartenenti alle correnti sunnite e sciite, in contrasto tra loro.

Il perdono e la fede

Dopo essere guarito, Giovanni Paolo II si recò al carcere di Rebibbia per fare visita al suo attentatore. Il 27 dicembre del 1983, due anni dopo l’attentato, Wojtyła incontrò Ağca in un colloquio durato circa dieci minuti e del quale contenuto è tutt’oggi sconosciuto: “Ho parlato con lui come si parla con un fratello – disse Giovanni Paolo II – al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui”. Per il Papa, l’essere rimasto in vita era stato un chiaro intervento della Madonna di Fatima della quale ricorreva, proprio quel giorno, l’anniversario della prima apparizione. “In occasione di un passaggio da Roma dell’allora Vescovo di Leiria-Fátima, – riporta Vatican News – il Papa decise di consegnargli la pallottola, che era rimasta nella jeep dopo l’attentato, perché fosse custodita nel Santuario. Per iniziativa del Vescovo essa fu poi incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima”.

Il Terzo Mistero di Fatima

Giovanni Paolo II andò a Fatima il 13 maggio del 1982 per ringraziare la Madonna, che avrebbe appunto “deviato” la traiettoria della pallottola. Dopo questi fatti, anni dopo, venne alla ribalta il Terzo Mistero di Fatima: “E vedemmo (…), in una luce immensa che è Dio, un vescovo vestito di bianco (“abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”), altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi, come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino” ; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni”. Sarà difficile dare una intepretazione a quanto accaduto, di certo Giovanni Paolo II si è battuto per difendere gli oppressi e i sofferenti in corpo e spirito.

Giovanni Azzara