Sesto potere: le nuove sfide della cultura mediatica

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La specie umana è dotata di uno dei più potenti meccanismi di adattamento dell’intera ecosfera terrestre. Se non fosse così, i nostri antenati non avrebbero attraversato indenni (come specie, ovviamente, non come individui) una serie di eventi catastrofici, esterni o interni, biologici o culturali, tali da annientare intere popolazioni animali su scala planetaria. Ere glaciali, disastri atmosferici o geologici, pestilenze, guerre, genocidi, inquinamento e chi più ne ha più ne metta. Alla fine di questi eventi la nostra specie è sempre rimasta in piedi, un pò come quei pupazzi di leggerissima plastica gonfiabile (ma che poggiano su una pesante e solida base) e che, strapazzati quanto volete, non cadono mai. Uno di questi mi pare si chiamasse Ercolino-sempre-in-piedi. L’homo sapiens sapiens non è da meno. E’ un Ercolino -sempre-in-piedi,  la cui base pesante, quella che garantisce la costanza di un baricentro, è la capacità di adattarsi all’ambiente. Certo, siamo fragilissimi rispetto a molti altri animali, ma a confronto degli altri nostri parenti, vicini o lontani, sulla scala zoologica non abbiamo rivali o temiamo confronti. Non abbiamo solo costruito una società (lo fanno anche altre specie); abbiamo costruito una civiltà. E’ ovvio che questo sia un prodotto dell’encefalizzazione e quindi dell’intelligenza. Ma non solo di questo. Costruire una civiltà, implica infatti qualcos’altro. Non ci spiegheremmo altrimenti le differenze fra le culture umane e le travagliate vicende della storia dell’umanità, se non in termini banalmente razzistici. Gli europei, fra  ‘500 e ‘600, hanno conquistato gran parte delle Americhe. Ma come mai sono stati gli spagnoli a conquistare il Messico, e non gli Aztechi a conquistare la Spagna? Come mai gli inglesi hanno colonizzato l’America del Nord, ma nessun pellerossa è mai sbarcato a Liverpol per intraprendere la conquista del Regno Unito?

Gli europei sono più intelligenti dei nativi delle due Americhe? Ovviamente no. Certo, avevano una più alta tecnologia, ma questo non è sufficiente. Autorevoli studiosi che si sono occupati dell’argomento concordano su un fatto che spiega non solo la nascita della cultura umana, ma anche la supremazia di alcune culture sulle altre. La civiltà nasce, si struttura e si evolve attraverso la comunicazione, vero volano di tutte le altre attività. Un centinaio di raffazzonati avventurieri spagnoli, senza disciplina militare, senza arte ne parte, si impadronirono di uno dei più grandi imperi del mondo perché disponevano di descrizioni e carte geografiche, resoconti e lettere di esploratori che li avevano preceduti. Gli Europei hanno conquistato mezzo mondo perché avevano la più potente comunicazione. Ovviamente erano entrati in gioco altri fattori, ma la comunicazione diviene così e per altri versi il fattore più importante nella costruzione della civiltà umana. Comunicare è potere. E poiché, come sostengono i fondatori della psicologia sistemica, “è impossibile non comunicare”, possiamo dire con molta tranquillità che la comunicazione è il più importante fattore propulsivo della civiltà umana. Insomma, non siamo una specie eletta. Siamo infinitamente più deboli degli elefanti, meno agili delle gazzelle, meno resistenti delle blatte e con spirito societario decisamente inferiore a quello del ratto. Ma sappiamo comunicare più efficacemente e di creare tecnologia con la comunicazione e per la comunicazione.

Ed in effetti i percorsi della civiltà sono stati tracciati dell’evoluzione della comunicazione. Potremmo agevolmente definire le età della storia in base ai mezzi di comunicazione: età della stampa, età del telegrafo, del telefono, della radio, della televisione.

Se adottassimo questo criterio, non potremmo che definire l’età contemporanea come era di Internet o della comunicazione globale. Perché globale? Perché è la summa di tutti gli altri metodi di comunicazione moderni. Utilizza la scrittura e la stampa, la radio, la televisione, il telefono e i satelliti. Insomma, usa tutto quanto è stato sinora usato per comunicare, a parte i piccioni viaggiatori (troppo complesso tenerli nell’hard disk…) e i segnali di fumo (tranne quando il computer va a fuoco…). Internet ha insomma rappresentato una vera rivoluzione nella storia della comunicazione. In pochissimo tempo ci siamo ritrovati in una dimensione del comunicare assolutamente sconosciuto, se non ai più brillanti e ‘futuristici’ scrittori di fantascienza.

Questa rivoluzione ha portato a vantaggi enormi: ha favorito la comunicazione scientifica, ma anche personale, la ricerca di dati e informazioni, l’accesso a fonti di conoscenza sino a qualche anno fa inimmaginabili. Indiscutibili anche i vantaggi sul piano pratico. La posta elettronica ci consente di comunicare in tempo reale (e nessuno creda che rimpianga le vecchie e romantiche lettere Espresso…), e mediante Internet riusciamo  a comprare, valutare, sbrigare faccende burocratiche, ed altro ancora.

Ma come tutte le rivoluzioni anche questa ha avuto, inevitabilmente,  una serie di implicazioni problematiche, che riguardano il comportamento umano. Non è la prima volta che accade: i grandi cambiamenti nel modo di usare e gestire la comunicazione di massa sono state in genere molto più devastanti sul piano psicologico delle rivoluzioni sociali e politiche. E questo per due motivi: anzitutto il tempo. Le rivoluzioni politiche richiedono in genere tempi lunghi, che consentono un adattamento graduale, progressivo. La caduta dell’impero romano fu un processo che durò almeno tre secoli, e che portò gradualmente, attraverso alcune generazioni, alla nascita del medio-evo. La rivoluzione mediatica della televisione è stata molto più rapida, è durata circa un trentennio ed ha modificato totalmente i rapporti fra le persone, il modo di fare informazione, le relazioni intrafamiliari, i rapporti di potere, con un potenziale enormemente più dirompente delle invasioni barbariche. La rivoluzione informatica è stata incredibilmente più veloce. Nel giro di circa un decennio ha cambiato radicalmente usi, costumi, performance, possibilità e sistemi di credenze. Ma un decennio è un periodo troppo breve perché la nostra specie si possa adattare, indenne, a modelli di comportamento del tutto diversi da quelli che ne hanno caratterizzato per secoli lo sviluppo individuale e sociale.

Uomini e macchine

Il rapporto fra la nostra specie e le macchine è sempre stato problematico. In qualche modo riproduce il nostro rapporto con le specie animali addomesticabili, con la differenza che gli animali esistono, e sono da addomesticare, le macchine sono frutto del nostro intelletto. Siamo, allora, in una specie di contesto prometeico: noi ‘creiamo’ qualcosa, ma ne siamo al tempo stesso padroni e posseduti, gestori e gestiti. E, così come nella storia di Frankeinstein, le macchine ci possono tradire, divenire proditoriamente autonome, acquisire qualità e capacità che sfuggono alla nostra pretesa di controllo.

Il rapporto con Internet segue esattamente queste direttrici. Viviamo spesso il nostro rapporto con la nuova medianicità informatica, più o meno come il dr. Viktor Frankeinstein viveva il rapporto con la sua ‘creatura’. L’abbiamo creata, ma poi essa è sfuggita al nostro controllo. L’amiamo (è la nostra creatura, no?), ma l’odiamo nel medesimo tempo. Siamo in conflitto. Ci dà tanto, ma anche tanto ci toglie. E ci può anche far male. Nel visionario, messianico 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick troviamo una famosa rappresentazione cinematografica di questo rapporto. Il computer HAL, vero centro strategico dell’astronave, ad un certo punto impazzisce. Si umanizza. Prende decisioni autonome. E’ la creatura che si ribella al suo creatore.

Il nostro rapporto con i nuovi media è, in fondo, centrato proprio su questi contenuti emotivi. Io so di avere a disposizione uno strumento potente (il computer, il modem, Internet) per la comunicazione e per l’aumento delle mie performance. Ho un amico, un socio ed un complice. Eppure, dentro di me, sospetto sempre, ho sempre paura cioè, che questo socio-complice possa tradirmi.

Questo atteggiamento viene comunque mitigato da considerazioni utilitaristiche: il computer ed i nuovi media servono, ci rendono la vita molto più facile. E’ per questo che li usiamo. In un contesto squisitamente umano e relazionale è esattamente quello che facciamo con amici o collaboratori inaffidabili, ma disponibili. E’ un po’ la sindrome di Giuda: disprezzo il traditore, il delatore, ma egli mi serve. Così per i computer e la nuova mediaticità.

Usi normali ed usi perversi

L’informatica serve a tante cose, ma l’uso più cospicuo è quello legato alla comunicazione. Internet, la rete è un ottimo modo per comunicare in modo rapido ed efficace. Non a caso si è sviluppato da un sistema di informazione militare, utilizzabile nel caso di guerra nucleare per aggirare gli ostacoli del blocco elettromagnetico delle comunicazioni. E allora, comunichiamo. Mandiamo e-mail. Ci colleghiamo a siti che si collegano a siti che si collegano a siti. Riceviamo così una mole enorme di informazioni. Ma al contempo possiamo stabilire rapporti, possiamo comunicare con altri, in maniera più veloce ed efficace e privata che mai. In questi consiste la prima perversione di uno strumento di comunicazione per altri versi eccezionale. Un mezzo tecnologico può consentire infatti di comunicare, ma non di entrare in relazione, laddove una precedente relazione umana non sia già  stata stabilita. Telefono ad un amico, ma non creo per telefono un’amicizia. Internet aggira l’ostacolo e coltiva un’illusione, quella di poter creare rapporti umani mediante una relazionalità virtuale, chattando (orribile forma verbale, ormai in uso, che implica la comunicazione mediante le cosiddette chat line…), comunicando cioè con una persona non solo mai conosciuta, ma anche teoricamente virtuale: si comunica per iscritto, via computer, senza alcun segno di identità, in maniera del tutto anonima. Ne deriva ovviamente un appiattimento incredibile della relazione, dell’affettività. In realtà io sto comunicando con un’identità fittizia, con un nickname, un nomignolo. Non so chi c’è all’altro capo del filo. Posso non saperlo mai. Se in queste condizioni l’affettività si svilisce, in compenso si ottiene un grande senso di sicurezza. La chat line, in fondo, evita le normali complicazioni dei rapporti umani. Chiunque sia la persona all’altro capo del modem, io sto tranquillo e sicuro. Posso parlare di me, o sentire parlare di lui o di lei, senza la necessità di guardarlo negli occhi. Posso inventare, alterare, proiettare. Posso raccontare le mie fantasie erotiche, o ricevere quelle dell’altro, ma senza il bisogno di una verifica, di una conferma.

Questa semplificazione, in realtà, è presente anche in altre aree, per esempio nell’uso che si fa di Internet per finalità scientifiche o culturali. Il contributo della rete alla conoscenza è, come abbiamo già detto, straordinario. Si è infatti di fronte ad una immensa università globale, una biblioteca infinita, un archivio talmente grande e labirintico da essere difficilmente percorribile da chi non possiede un robusto filo di Arianna. Il problema è che proprio questa maestosità lo rende pericoloso. Infatti, esiste un’obiettiva difficoltà al controllo ed alla verifica delle informazioni. Come sanno tutti i ‘navigatori’ mediamente esperti, controllare l’attendibilità di una fonte è spesso abbastanza difficile, si rischia non solo di prendere lucciole per lanterne, ma anche di farsi pericolosamente abbindolare (Il problema è così serio che alcuni ‘motori di ricerca’ forniscono indicazioni sulla conformità fra contenuti dichiarati e contenuti reali di un sito).

Certo, il vuvuvupuntoqualcosa  è comodo, spendibile. Tanto che è invalso l’uso nelle scuole di consultare questo proteiforme oracolo per le ‘ricerche’ degli studenti. Il problema è che questa tendenza rischia di coinvolgere anche le scuole elementari, dove alcune maestre incaute suggeriscono agli alunni di compiere ricerche per mezzo di Internet. Nessun disastro, ovviamente, se si prescinde dalla perdita di un metodo, e dalla mancata acquisizione della prassi della ricerca, un po’ come fare usare una calcolatrice elettronica ad un bambino senza nemmeno spiegargli qual è la differenza fra un’equazione e una radice quadrata. Basta premere un tasto. Così, per compiere una ricerca scolastica basta trovare il sito giusto: un ‘taglia e incolla’ e tutto è fatto. Talvolta non c’è bisogno nemmeno di leggere.

Altri problemi riguardano la tutela della privacy, l’invasione da parte di visitatori ignoti, e molte altre cose, le cui semplici definizioni arricchiscono un vasto e complesso vocabolario informatico. Si tratta in realtà di questioni secondarie, legate fisiologicamente all’uso ogni tipo di tecnologia più o meno evoluta (non criminalizzeremo il telefono per le telefonate anonime, o il fax che invade i nostri uffici di messaggi non desiderati, o la televisione per colpa dei programmi spazzatura…). Certo, esiste realmente la possibilità che qualcuno ci ‘controlli’ attraverso il nostro uso telematico del computer, ciò che sembrava sino a poco tempo fa solo un eccesso fantascientifico. Oggi sappiamo che è vero, e che esistono schiere di ‘Grandi fratelli’ che possono controllare gli scambi di informazione via Internet.  Non a caso uno dei più fiorenti settori nella produzione di software è proprio nella progettazione di programmi di sicurezza (che consentono per esempio la cancellazione radicale dei contenuti del computer, togliendo ogni traccia di quello che scriviamo o delle informazioni che scambiamo: ovviamente questa industria nasce in ambito militare). Ma diciamo pure che, tranne a voler essere paranoici, è un normale prezzo da pagare. Il controllo delle informazioni è sempre esistito. Tanto che la stampa è stata definita il ’quarto potere’ e la televisione il ‘quinto potere’. L’informatica dell’era di Internet è il ‘sesto potere’. Ma se abbiamo voluto la bicicletta dobbiamo pedalare.

Nuovi scenari psicologici?

Da tutto questo emergono comunque nuovi scenari di grande interesse sia psicologico, sia psichiatrico. La velocità della rivoluzione informatica impone infatti ritmi di adattamento psicologico velocissimi. Non tutti sono in grado di far fronte a queste nuove esigenze, il che già crea problemi comportamentali che cominciano ad interessare la psichiatria. Il contrasto fra le esigenze imposte dal miglioramento delle performance e i cambiamenti mentali che questo impone, crea una serie di quadri maladattivi. Questo è soprattutto un problema delle vecchie generazioni. Frustrazione, sentimenti di inadeguatezza, senso di impotenza di fronte ad una modalità di lavoro per esempio che non appare compatibile con la propria formazione possono trasformarsi in veri e propri quadri clinici. Ma il vero problema riguarda le nuove generazioni, i giovanissimi che invece stanno crescendo col computer, ne frequentano, più o meno autonomamente, le strade misteriose. Non è ancora chiaro quali siano i danni cognitivi, sullo sviluppo affettivo e sulla sfera della relazionalità in generale che possono derivare da una eccessiva esposizione alle nuove tecnologie medianiche, specialmente se interattive. Di certo questo fattore incoraggia l’isolamento, e rende più difficile l’adattamento ad un mondo reale, infinitamente meno stimolante e ricco di quello virtuale cibernetico. D’altra parte, i media sono sempre stati collegati ad alterazioni del comportamento: basti pensare ai danni, accertati dopo decenni, dell’eccessiva esposizione alla televisione, o all’uso spropositato del telefono (per esempio per finalità sessuali), o, più recentemente, dei telefoni cellulari, sempre più interagenti con la grande ‘rete’. Nulla di nuovo, quindi, se non i problemi legati alla velocità dei cambiamenti ed alla loro imprevedibilità. Quotidianamente si intuiscono nuove frontiere, si intravedono nuovi orizzonti da esplorare. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire o da capire. Psicologia e psichiatria hanno già da tempo aperto nuovi capitoli, che vanno però sistematicamente aggiornati.

E’ legittimo che tutto questo ci crei nuove inquietudini, ma non bisogna comunque drammatizzare troppo. La rivoluzione informatica promette progressi grandiosi in ogni area dello scibile umano e in ogni aspetto della vita quotidiana. Il problema, come sempre nel campo della scienza, è quello di sapere usare bene, e non in modo perverso, ciò di cui dispone. E’ questa la sfida, contemporaneamente antica e nuovissima, dell’era del sesto potere. Come fare? Chissà. Forse su Internet potremmo trovare qualche suggerimento…

Giovanni Iannuzzo