Termini Imerese, nuovi riscontri documentali sulla famiglia Graffeo (XIV – XVI sec.): non sono gli autori degli affreschi di S. Caterina

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I fratelli Graffeo, Nicolò e Giacomo, furono due pittori attivi a Termini Imerese tra gli anni ‘70 del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.

La scoperta dell’esistenza e dell’attività artistica di uno dei Graffeo, in particolare di Giacomo, si deve al pittore e studioso d’arte Ignazio De Michele da Termini Imerese, che ne diede annunzio in suo documentato saggio, pubblicato nel 1863 nell’effemeride palermitana “La Favilla” (cfr. I. De Michele, Al Chiarissimo Signor Giuseppe Meli. Sopra alcune pitture e sculture esistenti in Termini Imerese. “La Favilla Giornale di Scienze, Lettere, Arti e Pedagogia”, serie seconda, anno primo,  Stabilimento tipografico di Francesco Giliberti, Palermo, pp. 228-257).
Il De Michele, infatti riuscì a rintracciare nell’archivio dei notai defunti di Termini l’atto d’incarico, in notar Filippo d’Ugo, nel quale «A 18 marzo dell’anno 1510 Giacomo Graffeo pittore Termitano si obbligava coi confrati della chiesa di S. Gerardo della città di Termini di dipingere per detta chiesa sopra tela un crocifisso e suoi gruppi con aureole dorate, croce semplice, titolo, ed altro, pella [sic, per la] somma di onze sei. Era allora la chiesetta di S. Gerardo congregazione dei maestri, e nel principio del secolo XVII fu abbattuta ed incorporata all’attuale chiesa del monte di Pietà, ove tuttavia si conserva bensì, quale avanzo di quella, un pregevole quadro di San Gerardo dipinto ad olio sopra tela dal Termitano Vincenzo La Barbèra; ma non si trova affatto il quadro del Crocifisso dipinto dal Graffeo e consegnato come dicesi al procuratore della chiesa anzidetta di san Gerardo a 31 marzo 1511». Per inciso, ricordiamo che il De Michele, sia pure in maniera dubitativa, ritenne erroneamente di poter identificare l’opera con quella di analogo soggetto, allora conservata nella Chiesa Madre ed oggi al museo civico di Termini Imerese che, invece, reca la firma di Nicolò Pettineo, altro artista attivo nella cittadina in quel torno di tempo. La scoperta della detta firma si deve alla perspicacia della dottoressa Angela Gueli, già direttrice del Museo Civico “Baldassare Romano” di Termini Imerese, anche se, successivamente, è stata resa nota dalla storica dell’arte Teresa Pugliatti (cfr. T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia occidentale (1484-1557), Salerno 1998, p. 53).
Come è noto, nella chiesa di S. Caterina d’Alessandria Egiziaca in Termini Imerese si conserva parte di un ciclo di affreschi (impreziositi da didascalie in siciliano del tempo), recentemente decrittati nel loro substrato iconologico (cfr. R. Sperandeo,  La chiesa di S. Caterina d’Alessandria di Termini Imerese, Kalòs edizioni d’arte, Palermo 2017, 142 pp.). Il ciclo di affreschi, oggi preservato esclusivamente nelle pareti laterali, originariamente su tutta l’intera superficie murale, raffigurava, su due ordini, gli episodi salienti della vita, del martirio e dei miracoli della Santa Martire Alessandrina. Tale serie a fresco fu attribuita da monsignor Gioacchino Di Marzo (1839-1916) proprio ai fratelli Giacomo e Nicolò Graffeo (cfr. G. Di Marzo, La pittura in Palermo nel Rinascimento, Palermo 1899, p. 255): «E di tal differenza di merito sembra che diano ragione gli antichi freschi, benché devastatissimi, ond’é tutta ripiena nelle pareti la chiesa della confraternita di S. Caterina in Termini Imerese, nei quali, a mio avviso, é l’opera di due dipintori diversi del declinare del quattrocento o del sorgere del secolo appresso, dei quali più naturalmente non può pensarsi che altri sieno [sic] stati se non i detti fratelli, che vi avevano stabil soggiorno». L’attribuzione, quindi, fu fatta senza disporre di altra opera di sicura paternità per essere autografa, con la quale fare i debiti confronti stilistici, e non essendo supportata da alcun riscontro archivistico. 
Il Di Marzo (cfr. op. cit., pp. 255-259), inoltre, fornì una dettagliata descrizione della chiesa e degli affreschi, trascrivendo le didascalie in lingua siciliana, sottolineando i successivi interventi manipolatori e lo stato di degrado già avanzato allo scadere dell’Ottocento.
Il primo però a far cenno di questi affreschi, senza alcuna attribuzione di sorta, è il poligrafo termitano Baldassarre Romano (Termini Imerese, 23 febbraio 1794 – ivi, 22 novembre 1857) nella sua opera manoscritta Della Letteratura e de’ letterati della città di Termini nei moderni tempi fino al sec. XVIII° che reca la data 1830 e che si  conserva presso la Biblioteca Comunale Liciniana  di Termini Imerese ai segni AR e α 13.
Nel manoscritto in questione, il Romano ci informa che  Nelle pareti della detta [chiesa] ove sono varie pitture a fresco che hanno la data del 1546: Comu lu mperaturi comandava chi a la beata Santa Caterina li fussiru stracciati li carni cum li rampini. Comu fu misa la beata Santa Caterina prianni ecc. ecc. Il Romano riferisce poi che nella lapide sepolcrale degli appartenenti alla omonima confraternita si leggeva la seguente iscrizione: Q[ue]sta Fosa [sic] è di li /[con]frati 1514.
Il Romano, confronta il linguaggio di queste didascalie con quello delle iscrizioni ufficiali di quel tempo, anch’esse stilate in siciliano e, come esempio, riporta quella della chiesa dell’ospedale di S. Giacomo a Palermo, relativa al regno di Ferdinando di Castiglia: A[nno]. D[omini]. M. CCCC. XCI. Re Ferranti serenissimo di Castella et. cet. prisi lu regnu di Granata et an[no]. M.CCCC.LXXXXII foru cachati [leggi caciati, cioè cacciati] li Judei di quistu regnu di Sicilia et a M.CCCC. LXXXXIII re Carlu octavu di Franza restituiu la cuntata di Perpignano a lu sereniss[im]o: re di Castella ecc.
La data 1546 letta dal Romano, venne confermata dal Di Marzo (cfr. op. cit., p. 259: M° CCCCC. XXXXVI), che però la riferì al un secondo ciclo di dipinti a fresco sulla controfacciata, raffigurante la Santa titolare, il bacio di Giuda al Cristo e la crocifissione. Questi ultimi affreschi, il Di Marzo li attribuì (cfr. op. cit., p. 259), a suo dire «con molto fondamento», al frate cooperatore domenicano Nicolò da Caccamo, al secolo Nicolò Spallitta o Spalletta (documentato dal 1526 al 1546), «cui sono anche ad ascrivere le rifazioni [sic, i rifacimenti] di quel tempo negli affreschi di S. Caterina».
Relativamente ai fratelli Niccolò e Giacomo Graffeo, il Di Marzo (cfr. op. cit., p. 251) scrisse che «non so donde nativi, ma dei quali è notizia in Termini Imerese dal 1476 fino ai primi anni del secolo XVI».
Il più antico documento pervenutoci è un atto in notar Pietro d’Ugo o Ugone di Termini Imerese, addì 16 dicembre 1476, per l’incarico di «dipingere un quadro di Nostra Donna»,  dove si attesta che vi fu una diatriba fra i due fratelli, da una parte, ed i giurati di Termini, dall’altra (cfr. Di Marzo op. cit., p. 251).
Il 16 Gennaio I indizione 1483 (1484), maestro Niccolò di Graffeo, pictor, habitator Thermarum, agli atti di notar Antonio De Michele di Termini Imerese, si obbliga con don Giovanni La Farina, per conto e su delega di suor Lucrezia (Lucrecia) di la Matina a miniare un breviario per la consistente somma di onze dieci e tari nove, utilizzando auro fino et azolo [blu di lapislazzuli] precii uncie unius unciâ et aliis finis coloribus, con la possibilità che il fratello Giacomo possa concorrere per la metà alla realizzazione della suddetta opera (cfr. Di Marzo op. cit., p. 251 e nota pp. 251-252). Sia il La Farina che suor La Matina appartennero a due casate nobiliari presenti sia a Termini Imerese che a Polizzi Generosa e che probabilmente contribuirono a far conoscere i due artisti anche nelle Madonie. Non meraviglia, quindi, che il 17 Maggio 1485, Nicolò di Graffeo, essendo proprio in Polizzi Generosa, si obbligò, agli atti del locale notaio Giovanni Perdicaro, a realizzare un grande crocifisso per la maggior chiesa, conforme a quello di San Giacomo la Marina in Palermo (cfr. Di Marzo, op. cit., p. 208).
Il 9 dicembre del seguente anno, ancora Nicolò compariva nella cittadina madonita, in solidum con  un altro pittore, tal maestro Antonio di Maria da Termini, obbligandosi per la somma di onze tredici a dipingere ed indorare i nuovi organi della maggior chiesa predetta, secondo un apposito disegno preparatorio (cfr. Di Marzo op. cit., p. 252).
Agli atti del già citato notaio termitano Pietro d’Ugo, del 7 ottobre 1488, il maestro Giacomo Graffeo, qualificato thermitanus, fa procura ad un terzo fratello, Gaspare, per recarsi proprio a Polizzi, onde riscuotere onze tre, come da rogito contrattuale stipulato agli atti di notar Giovanni de Firranti, per un’opera non specificata nel rogito (cfr. Di Marzo op. cit., p. 253).
Il 22 di ottobre 1505, il maggiore dei fratelli era già defunto come attesta il contratto nuziale fra Giovannella, figlia del fu Niccolò Graffeo e della vivente Caterina, olim jugalium de civitate Thermarum, ed un certo Pietro Antonio Di Nuccio da Vicari. Il padre del futuro sposo, Francesco (Chicco, leggi Cicco) di Nuccio, donò al figlio una vigna ed una casa in Vicari nonché una masseria nel vicino feudo di Fitalia (nel quale oggi ricade il comune di Campofelice di Fitalia), mentre maestro Giacomo Graffeo, in qualità di tutore, assegnò la dote alla nipote Giovannella, facendo le veci del fratello defunto.
Sempre agli atti di notar Ugo, il 30 Dicembre dello stesso anno, essendo già stato celebrato e consumato il matrimonio, i novelli sposi Di Nuccio-Graffeo, ad istanza del cugino della sposa, notar Giovanni Antonio Graffeo figlio di Giacomo, in nome e da parte del tutore, dichiararono di aver ricevuto la detta dote comprendente diversi oggetti di biancherie e masserizie (cfr. Di Marzo op. cit., pp. 253-254).
Finalmente, il 23 Aprile 1506, alla presenza del detto notaio Ugo, i detti coniugi  stipularono una apoca finale, dichiarando di ricevere dallo zio Giacomo, presente al rogito, la somma di onze dodici e tari sei, a soluzione degli importi dovuti alla nipote per la gestione dei beni in tutela. Il documento rammenta che il defunto Nicolò, anteriormente al 22 Ottobre 1505, con il suo testamento aveva istituito eredi la detta Giovannella assieme agli altri figli, sotto la tutela di Giacomo. Di quest’ultimo, il Di Marzo rammenta «che ancor viveva in Termini a 12 dicembre del 1515».
Dalla fine dell’Ottocento ad oggi, almeno per quanto ci risulta, il contributo della ricerca archivistica è rimasto fermo alle indagini del Di Marzo, poiché non sono emersi ulteriori riscontri documentari, né relativi alla produzione artistica, né alla biografia di questi due pittori, mentre sono cresciute le attribuzioni.
Alla fine del XX secolo, infatti, nel quadro di una approfondita ricerca sulla pittura del Cinquecento in Sicilia, i due Graffeo (nonché la loro produzione) sono stati oggetto di studio da parte della storica dell’arte Teresa Pugliatti che ha voluto ampliare il corpus delle opere sinora attribuite ai due fratelli-artisti (cfr. T. Pugliatti, op. cit., pp. 53, 67, 225-227, 269, 272, 306 e 308).
L’importante studio linguistico delle didascalie in siciliano, a corredo degli affreschi di S. Caterina, invece, è stato recentemente affrontato e risolto in chiave rivalutativa, dallo storico dell’arte Giovanni Corrieri (cfr. G. Corrieri, Le didascalie degli affreschi nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria in Termini Imerese, in “Abruzzo rivista dell’istituto di studi abruzzesi, anno LXI, gennaio-dicembre 2003, Contiscriptio Scritti demo-etno-antropologici offerti a Giuseppe Profeta, vol. III, pp. 299-331). In essi, lo studioso termitano, attraverso il confronto stringente con il siciliano di due testi poetici coevi (Antoni di Oliveri, Historia di Santa Ursula e notar Giacomo Sansone di Marsala, Canto di partenza), evidenzia come, in realtà, si tratti di un linguaggio non già popolare, come sbrigativamente affermato sinora, bensì letterario e dotto.
L’attività artistica dei fratelli Graffeo, in definitiva, è suffragata da riscontri archivistici, ma le opere documentate non sono state sinora rintracciate. Allo stato attuale delle ricerche, infatti, la paternità del corpus delle opere dei Graffeo deriva esclusivamente da una concatenazione di attribuzioni, però a nostro giudizio poco consistenti, essendo prive di alcun supporto probante, derivante o da dati documentari o dal confronto con opere sicuramente autografe. Stesso discorso vale per l’attribuzione fatta dal Di Marzo degli affreschi di S. Caterina d’Alessandria Egiziaca. Alla luce di ciò, noi proponiamo qui di attribuire l’intero ciclo originario, già mutilo, ad un ignoto artista frescante (con possibili aiuti), che designiamo “Maestro del ciclo di S. Caterina d’Alessandria in Termini Imerese”.
Quanto riportato sopra compendia lo stato dell’arte sulle ricerche, sinora edite, relative ai due fratelli pittori, esponenti noti della casata dei Graffeo, tra gli anni ’70 del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. In realtà, possiamo affermare che le tracce di una famiglia Graffeo residente a Termini Imerese sono attestate almeno dalla prima metà del XIV secolo.
Un certo Nicolò Graffeo di Termini, guarda caso omonimo del pittore quattrocentesco, era stato nominato familiare (con tutti i privilegi e prerogative spettanti) dal re Lodovico d’Aragona (1342-55), in riconoscimento dei suoi notevoli servigi resi alla corona e, in particolare, per aver recuperato il castello della cittadina che era stato occupato dai nemici. Il re Federico d’Aragona (1355-77), a sua volta, da Cefalù, evidentemente su richiesta dell’interessato, confermò detta nomina il 5 dicembre XI indizione 1357 (cfr. A. Marrone, Repertori del Regno di Sicilia dal 1282 al 1377, distribuito in forma digitale su internet nel sito www.mediterranearicerchestoriche.it).Allo stato attuale delle ricerche non è possibile attestare alcuna relazione di parentela tra il ceppo termitano ed i Graffeo o Grifeo di antica ascendenza greca che, sin dal XII secolo, ebbero la baronia di Partanna (cfr. G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, 1886-90, vol. I. pp. 494-495). Questa stirpe, che ebbe pure caro il nome di Nicolò, si diramò anche in Messina (cfr. G. Galluppi, Nobiliario della città di Messina, Wilmant, Milano 1874, p. 224).
Ritroviamo ancora un altro Nicolò de Graffeo, forse avolo degli artisti, qualificato come habitator terre thermarum, il quale era padrone di una imbarcazione, chiamata San Giuliano, che egli affittò, il 19 aprile 1420, al nobile Donato de Salamone ed a Petrutio de Perillo per i loro commerci (Archivio di Stato di Palermo sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, notar Giuliano Bonafede di Termini Imerese, vol. 12831, 1417-22, s. n.).
Un documento sinora inedito, che rendiamo noto qui per la prima volta, attesta che i due artisti, oltre a Gaspare, scoperto dal Di Marzo, ebbero un quarto fratello, sinora sconosciuto, il discretus Magister Carolus. Quest’ultimo, agli inizi degli anni 90′ del Quattrocento, vendette  al fratello Mastro Giacomo la quarta parte di una casa posta in plano di barlachi (cioè Barlaci), poi detto di San Giovanni, in area quindi non distante dalla chiesa di Santa Caterina. Le altre parti della casa erano di proprietà degli altri fratelli: Nicolò, Gaspare e Giacomo Graffeo. Testimoni furono l’onorabile Giacomo de Gravina e tal Fridericus Graffeo verosimilmente loro congiunto (cfr. ASPT atti di notar Pietro de Ugo di Termini Imerese, vol. 12856, 1490-93,  s. n.).
Lo stesso Giacomo, il 25 novembre 1488 (ASPT, atti notar Pietro de Ugo di Termini Imerese, 1488-89, vol. 12855 f. 155r) aveva acquistato da un certo Masius La Mantia civis thermarum una partita di mosto dalla vigna di quest’ultimo, sita in contrada Braxonj (leggi Brascionj, oggi Bragone).
All’interno del più antico registro di battesimi (1542-48), conservato presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese (d’ora in poi AME), sono presenti molti atti nei quali risulta che ad officiare il rito fu il sacerdote termitano Giambattista Graffeo, che doveva svolgeva il suo servizio pastorale nella chiesa madre.
Altri atti battesimali rammentano un esponente della casata dei Graffeo che fu presente come padrino. E’ il caso di mastro Giovanni Tommaso (janmasi) Graffeo, il quale, ad es. il primo dicembre 1542 fu padrino di Filippo Giornetto figlio di mastro Bartolomeo, assieme ad Antonio Pozzillo ed alla madrina Antonia La Provenza (cfr. documento n. 1). Il medesimo, indicato solo con il secondo nome (masi), il 20 Novembre 1547, fu padrino di Antonella Di Vicari, figlia di mastro Giovanni, assieme a mastro Giampietro Li Castelli ed alla madrina Domenica La Grigola (cfr. documento n. 2). 
Nella seconda metà del Cinquecento è documentato un certo Honorabilis Magister Philippus Graffeo civis thermarum, che quindi era benestante appartenendo al variegato ceto degli Honorabiles. Il giorno 8 agosto 1558, il detto Filippo Graffeo concedette ad enfiteusi, dietro pagamento di onze quattro annuali, a tal Mastro Giacomo de Cunio, suo concittadino, un tenimento di case consistente in una sala con solaio ed una bottega sottostante la detta sala, ed una cucina (anch’essa con sovrastante solaio) con una stanza (catoio) di sotto. Tale casa era posta nel borgo della città di Termini nel quartiere di S. Vito (corrispondente all’area dell’attuale Piazza Umberto I) e confinava  da un lato con un’altra casa di proprietà del detto Graffeo, dalla parte retrostante con la casa di tal Antonio Russo e nella parte anteriore con la strada pubblica che conduceva alla chiesa di S. Vito (ASPT, atti notar Cesare Carroccio o Carrozza di Termini Imerese, 1552-1562, registro, 1489, s.n.).
Infine, un Johannes de Graffeo civis thermarum è attestato ancora il 31 ottobre 1577 in un rogito agli atti di notar Giovanni Matteo de Miroldo di Termini Imerese (ASPT vol. 12920, 1577-78, s. n.).
Patrizia Bova e Antonio Contino

Questo studio è dedicato alla memoria del compianto pittore surrealista Salvatore Contino, in arte Tinosa (1922-2008), che ci spronò ad investigare sulla casata dei Graffeo, fornendoci utili spunti di ricerca e suggerimenti.
Ringraziamenti: vogliamo esprimere la nostra riconoscenza, per l’indispensabile supporto logistico nelle ricerche, rispettivamente, al direttore ed al personale della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo. Il nostro ringraziamento particolare rivolgiamo a don Francesco Anfuso ed a don Antonio Todaro per averci permesso in questi anni di effettuare delle preziose ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.

Documento n. 1
[Battesimi, vol. 1, 1542-48, ms. AME, f. 20r n. 1]
Die p[ri]mo [Decembris Ie Indictionis 1542] / p[re]sti ph[ilipp]o tiresi b[attizzò] lu f[igliu] di m[astr]o / bartulu Jurnetto n[omine] ph[ilipp]o lj co[mpari] / m[astr]o Jantomasi graffeo et ant[on]j / puzzillo [la comari] antona la p[ro]ve[n]za

Documento n. 2
[Battesimi, vol. 1, 1542-48, ms. AME, f. 111r n. 5]
Die 20 [Novembris VIe Indictionis 1547] / p[re]sti matteo Impax b[attizzò] la / f[iglia] dj m[astr]o Joan[n]nj djvjcari n[omine] / ant[one]lla lj co[mpari] m[astr]o jo[anni] pet[r]o / li castelli ett [sic] m[astr]o masi graffeo  / la co[m]mari] [domenica] la grigola