L’emigrazione dalla «Lombardia» a Termini Imerese dal XIV al XVII secolo

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Sin dal dominio normanno, sono documentati flussi migratori dalla «Lombardia» verso la Sicilia, fortemente caldeggiati dalla stessa casata regnante degli Altavilla, nel quadro della latinizzazione e cristianizzazione della popolazione, soprattutto per la componente arabo-berbera.

La dinastia normanna, infatti, ebbe rapporti familiari con una delle più cospicue casate nobiliari dell’Italia settentrionale, grazie al matrimonio celebrato nel 1089, in terze nozze, tra il Conte Ruggero (I) d’Altavilla, ed Adelasia (o Adelaide), cognominata del Vasto, figlia di Manfredo signore di Savona (della dinastia monferrina degli Aleramici), che fu poi madre di Ruggero II.
Lo storico Rinaldo Merlone, ha ricostruito le principali vicende della casata franca degli Aleramici (discendente dal marchese Aleramo, che nel 967 ricevette l’investitura dall’imperatore Ottone I), che nell’Italia settentrionale detenne cospicui patrimoni immobiliari, agricoli e forestali ricadenti negli odierni ambiti territoriali compresi tra gli attuali Piemonte sud-occidentale e la riviera ligure di ponente, specialmente l’entroterra di Savona (cfr. R. Merlone, Gli Aleramici. Una dinastia dalle strutture pubbliche ai nuovi orientamenti territoriali (secoli IX-XI), in “Deputazione subalpina di storia patria”, 212, Torino 1995).
Occorre sottolineare che al medesimo ceppo aleramico appartennero gli Incisa che signoreggiarono sull’omonimo marchesato, facente perno sul castello da cui presero il cognome (attuale comune di Incisa Scapaccino, in provincia di Asti, nel Piemonte meridionale), possedendolo, con alterne vicende, sino allo scadere della prima metà del XVI secolo (cfr.  G. Albenga, Il Marchesato d’Incisa dalle origini al 1514, “Deputazione subalpina di storia patria”, s. IV, vol. XI, Torino 1970). Un ramo degli Incisa, trapiantatosi in Sicilia durante il dominio normanno,  ed ancora documentato nel XIV secolo (cfr. L. Sciascia, Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo, Messina, 1993, pp. 205-226 e tavola genealogica, p. 247), ebbe importanti cariche e feudi. A Sciacca, infatti, gli Incisa possedettero il feudo con casale (borgo aperto) detto «lu Carabo» o «Carbo di San Bartolomeo» (cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), Quaderni – Mediterranea. Ricerche storiche, 2006, on line sul sito www.mediterranearicerchestoriche.it, p. 196).  Da notare che il giurista Gianluca Barberi nei suoi repertori dei feudi siciliani (cfr. G. L. Barberi, I capibrevi, III, I feudi di Val di Mazara, a cura di G. Silvestri, Palermo, 1888, p. 233), per indicare il cognome dei feudatari di San Bartolomeo, utilizza la grafia «Ausia», che noi riteniamo sia la corruzione di «Ansisa», pronuncia piemontese di Incisa.
Alla figura della predetta regina Adelasia (o Adelaide) sono stati dedicati studi e ricerche che hanno evidenziato il rilevante ruolo svolto nella storia del regno normanno in Sicilia. Chi volesse approfondire l’argomento potrà consultare le opere di Ernesto Pontieri e Hubert Houben (cfr., rispettivamente, E. Pontieri, Adelaide del Vasto, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. I, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1960, pp. 253-255; H. Houben, Adelaide “del Vasto” nella storia del regno normanno di Sicilia, in H. Houben, a cura di, Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Liguori, Napoli 1996, pp. 81-113).
La parentela tra gli Altavilla e gli Aleramici contribuì notevolmente alla nascita ed al perdurare di veri e propri flussi migratori, soprattutto dal Regno italico, verso la Sicilia, facilitati anche dai rapporti economici tra l’Isola ed i comuni del settentrione italiano (cfr. D. Abulafia, The Two Italies. Relations between the Norman Kingdom of Sicily and the Northern communes, Cambridge University Press, 1971).
Tali immigrati, nelle fonti documentarie medievali sono spesso designati con l’appellativo generico di Lombardi. Il termine «Lombardia» indicava non solo l’attuale territorio della regione lombarda propriamente detta, ma gran parte del Nord Italia, erede dell’antica Langobardia, dall’etnonimo Langobardus, a sua volta dall’antico germanico Langbärte ‘lunga barba’ (secondo la testimonianza di Paolo Diacono, Historia Langobardorum, I, 9).
Per correttezza, rammentiamo che, come evidenziato dalla storica e filologa tedesca Vera von Falkenhausen, Lombardi erano pure chiamati gli abitanti dei territori meridionali un tempo dominati dai Longobardi (cfr. V. von Falkenhausen, I longobardi meridionali, in: Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino, 1983).
Relativamente alla Sicilia, come evidenziato già agli inizi del XX secolo dallo storico e numismatico francese Ferdinand Chalandon (1875-1921), nella sua monumentale storia della dominazione normanna in Italia ed in Sicilia (F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Picard et fils, Paris, 1907, vol. I, pp. 349-350), i Lombardi, concentratisi in siti strategici, ubicati soprattutto nel settore centrale della Sicilia normanna, costituirono non solo uno dei cardini dell’affermazione nel territorio della casata degli Altavilla, ma diedero un notevole apporto al processo di nuova latinizzazione dell’Isola, anche dal punto di vista linguistico (cfr. ad es. I. Peri, La questione delle colonie “lombarde” in Sicilia, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, LVII, 1959, pp. 253-280; L. T. White jr., Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, trad. italiana di A. Chersi, Dafni, Catania 1985, p. 97).
In tale torno di tempo, Enrico, fratello di Adelasia, trapiantatosi in Sicilia, riuscì ad ottenere, proprio nel settore sud-orientale dell’Isola, ampi possedimenti che diedero vita ad una vera e propria signoria feudale che, con alterne vicende, fu mantenuta dai suoi discendenti sino al 1161.  Il primo studioso ad occuparsi della figura di Enrico, conte di Paternò e signore di Butera, fu Carlo Alberto Garufi (cfr. C. A. Garufi, Le donazioni del conte Enrico di Paternò al monastero di S. Maria di Valle Giosafat, in “Revue de l’Orient Latin”, t. IX, 1902, pp. 206-229;  Idem, Per la storia dei secoli XI e XII. Il “castrum Butere” e il suo territorio dai Bizantini ai Normanni. Note ed appunti di Storia e di Toponomastica, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, anno XI, fasc. II, 1914, pp. 346-373), il quale mise in evidenza come il territorio siciliano assoggettato agli Aleramici si estendesse dalle pendici sud-occidentali dell’Etna, dominanti la valle del Simeto, sino all’ampia fascia collinare, prospiciente sul Canale di Sicilia. Ulteriori contributi alla ricerca suulla stirpe aleramica in Sicilia, si debbono allo storico francese Henri Bresch (cfr. H. Bresc, Gli Aleramici in Sicilia: alcune nuove prospettive, in R. Bordone, a cura di, Bianca Lancia d’Agliano. Fra il Piemonte e il regno di Sicilia. Atti del Convegno, Asti – Agliano, 28 – 29 aprile 1990, dell’Orso, Alessandria 1992, pp. 147-163). La dinastia aleramica diede poi vita ad una vera e propria piccola, ma fiorente corte (cfr. G. Villari, La corte aleramica ovvero di come s’assise l’Aleramico sul trono di Paternò, in G. Villari, a cura di, Primati etnei, Ediprint, Siracusa 1991, pp. 15-41).
Nella Historia o Liber de Regno Siciliae, redatta nel XII sec., la cui paternità viene tradizionalmente riferita ad Ugo Falcando, si fa menzione della presenza in Sicilia delle «città fortificate dei Lombardi» (oppida Lombardorum), tra le quali troviamo citate soltanto Randazzo, Vicari, Capizzi, Nicosia, Maniace (cfr. G. B. Siragusa, a cura di,  Historia o Liber de Regno Siciliae, Fonti per la Storia d’Italia, Istituto Storico Italiano; F. Chalandon, op. cit., vol. I, p. 349). Tali flussi migratori dal Nord Italia verso la Sicilia continuarono anche in epoca federiciana, con un insediamento a Corleone (cfr. J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Frederici secundi, t. V, pars I, Parisiis, Plon, MDCCCLVII, pp. 128-131).
La singolare parlata di alcuni comuni siciliani, che costituisce ancor oggi un retaggio della colonizzazione lombarda in Sicilia, esibisce persistenze più o meno marcate del cosiddetto gruppo linguistico gallo-italico, mostrando affinità con i dialetti del NO dell’Italia. Lo studio più esaustivo in proposito, è quello dovuto al linguista svizzero Max Pfister (cfr. M. Pfister, Galloromanische Sprachkolonien in Italien und Nordspanien, Mainz, Akademie der Wissenschaften und Literatur Stuttgart, Stuttgart, Steiner-Verl, Wiesbaden, 1988).
Le maggiori evidenze linguistiche della colonizzazione lombarda di Sicilia, si hanno nel Messinese: San Fratello, Acquedolci, Fondachelli-Fantina, Montalbano Elicona, Novara di Sicilia e San Piero Patti; nell’Ennese: Enna, Aidone, Nicosia e Piazza Armerina. Nel Palermitano, invece, sono note tracce linguistiche e odonomastiche, come nelle Madonie (ad es., a Polizzi Generosa).
La rilevanza strategica di Termini Imerese come “granaio” di Palermo, per la presenza di uno dei più fiorenti Caricatori del Grano (magazzini per il dazio e stoccaggio temporaneo, soprattutto di derrate), induce ad ipotizzare l’esistenza di una fiorente colonia proveniente dalla Lombardia non solo allo scadere del Medioevo. Del resto, è impensabile che i traffici mercantili tra la cittadina demaniale di Termini Imerese, ed il Nord Italia, mutuati dagli attracchi liguri,  avessero dato origine a flussi di popolazione dalla Lombardia soltanto a partire dagli inizi del Quattrocento, quando si hanno riscontri documentari certi. La mancanza di fonti anteriori al XV secolo, infatti, è imputabile soltanto alla perdita della documentazione notarile trecentesca che un tempo doveva trovarsi nel fondo notai defunti (d’ora in poi FND), oggi conservato presso la sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo (d’ora in poi ASPT), che ci è pervenuto soltanto a partire dal 1408.
Qualche indizio della presenza lombarda a Termini Imerese già agli inizi del Trecento, si ricava dall’esistenza in loco di un esponente della precitata casata aleramica degli Incisa. Nel 1302, infatti, nei documenti dell’archivio arcivescovile di Palermo, editi dallo storico siciliano Antonino Mongitore (1663-1743), si fa menzione del Signor Enrico de Incisa (Domino Henrico de Incisa), che viene qualificato come «nobile e prudente uomo» (nobili & prudenti viro), il quale fu «bajulo» (alto funzionario con poteri locali) della “terra” di Termini (bajulo terre Thermarum), cfr. A. Mongitore, Bullae, Privilegia et instrumenta Panormitanae. Metropolitanae Ecclesiae, Regni Siciliae primariae collecta notisque illustrata, Panormi, 1734, pp. 140-143).
Nella prima metà del Quattrocento troviamo comunque ben documentate le tracce della presenza a Termini Imerese di immigrati del Nord Italia, indicati con il termine di Lombardus e, talvolta, con la puntualizzazione di Milanensis, cioè milanese.
Il giorno 8 gennaio 1420, Nicolaus di Favi, qualificato nei documenti come «lombardo» abitante della cittadina (terra) di Termini (lombardus habitator terre thermarum), stipulò un rogito di compravendita presso il locale notaio Giuliano Bonafede, con tal Filippo di Novo (di origine ligure visto che il cognome deriva dalla cittadina di Novi Ligure) ed un certo Tommaso Lombardo (cfr. ASPT, FND, notar Giuliano Bonafede di Termini, vol. 12831, registro, 1417-22, s. n.).
Una famiglia nobile, cognominata Lombardo, ben radicata nella “terra” di Termini è documentata negli anni Trenta del Quattrocento. Un Giacomo de Lombardo (jacopus de lumbardo) fu capitano della città di Termini nel 1430-31 (ASPT, FND, notar Giuliano Bonafede, vol. 12833, 1430-34). La sorella, del detto Giacomo, Donna Argentina Lombardo, moglie del nobile Ruggero de Salamone, Barone di Militello, nel suo testamento del 15 febbraio 1438, agli atti di notar Giuliano Bonafede (ASPT, FND, vol. 12834, 1437-38 f. 45r e segg.), nominò erede il marito ed i figli, decidendo di voler essere sepolta con l’abito delle monache di S. Chiara e stabilendo un legato per la propria cappella ammontante ad onza una. Altri lasciti riguardano strutture ecclesiastiche in corso di costruzione (S. Maria La Nova, onze due; l’Annunziata, tarì tre), una struttura ricettizia ospedaliera (l’ospedale di S. Maria della Misericordia, onze sei), oppure alcuni suoi familiari (i fratelli della testatrice, il nobile Giulio Lombardo ed il precitato nobile Giacomo Lombardo).
All’interno del più antico registro di battesimi (1542-48), conservato presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese (d’ora in poi AME), abbiamo scoperto diversi atti che attestano la presenza di due nuclei familiari cognominati di milana. Il primo capofamiglia, il magnifico johanne antonj di (o de) milana, appartenne al ceto nobiliare (cfr. documenti nn. 1, 4, 5, 7, 8, 10, 12, 13 e 14), mentre l’altro, ambroxo o ambrosu [Ambrogio] di milana, anche nel nome svela chiaramente l’origine lombarda (cfr. documenti nn. 2, 3, 6, 9 e 11).
In tale torno di tempo, non erano queste le sole famiglie presenti a Termini Imerese e provenienti da Milano. Un rogito del 7 ottobre 1545, infatti, rammenta un certo Paolo Campana «milanese» (milanensis) che abitava a Termini e stipulava transazioni commerciali con il nobile Giovanni Bartolomeo Foti (cfr. ASPT, FND, notar Tommaso La Magione di Termini, vol. 12943, registro,1545-56, f.  52v).
Sin dalla prima metà del XVI secolo è documentata a Termini la casata nobiliare, di origine lombarda, degli Augello o Uccello (varianti del cognome: de Ochellis, o de Occello o de Vecellio), con il notar Giovanni Tommaso (documentato 1536-63). Di poco successivo è il Magnifico Antonino de Ochellis, noto nel 1569 (cfr. Mazzo I della Comunia del Clero ms. dell’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini, d’ora in poi AME).
Negli anni 20’ del XVII, ritroviamo un Pietro Antonio Vecellio «nativo della Terra di Munsasorico [sic!] di Lombardia» ed abitatore di Termini. Il Vecellio, il 6 febbraio 1625, sposò a Termini (vi dimorava da due anni), una certa Biagia vedova del genovese Pietro Carrega. La grafia Munsasorico, menzionata nell’atto di matrimonio di Pietro Antonio Vecellio, a nostro avviso, è  la corruzione di Sorico, oggi comune della Lombardia, nel Comasco.
Il 12 marzo 1628, il detto Pietro Antonio Vecellio, risulta essere in affari con un certo Giovanni Antonio Curto, originario dalle parti di Lombardia (partium Lombardie) e, in particolare, di Gravedona, oggi comune in provincia di Como. Nel rogito, il Curto dichiarava di abitare a Palermo (cfr. ASPT, atti notar Giuseppe Bertòlo di Termini, vol. 13238, 1628 f. 55r).
Da un atto del 21 marzo 1605, sappiamo che risiedeva a Termini un certo Cesare Comelino, oriundo della Terra di Livo (oggi comune di Livo in provincia di Como), e che era procuratore di un suo conterraneo, tal Domenico Ragno fu Silvestre, abitante a Palermo (Cfr. ASPT, FND, notar Domenico di Pace di Termini, vol. 13070,  registro, 1604-5, ff. 455v-495r).
Proprio agli inizi del XVII secolo, l’erudito Sigismondo Boldoni (1597-1630), nella sua opera dedicata al lago di Como e, pertanto, intitolata Larius, edita a Padova nel 1617, rammentava lucidamente l’esistenza di flussi migratori dal Comasco e precisamente dal territorio compreso tra Rezzonico e Sorico (Suricum montes), soprattutto in direzione di Palermo e Messina dove i lombardi esercitavano la professione di mercanti. Grazie agli studi di Mariuccia Belloni Zecchinelli (1917-2011), che fu direttrice dei musei civici di Como, sappiamo che l’area di provenienza di tali mercanti erano le tre valli dell’Alto Lario e, in particolare, i centri di Dongo, Gravedona, Damaso e Gera, nelle cui chiese parrocchiali, negli anni 60′ del XX secolo scoprì dei preziosi reliquari argentei, legati al culto di S. Rosalia, prodotti dalla Schola Panormi (cfr. M. Belloni Zecchinelli, Arte e folclore siciliani sui monti dell’Alto Lario nei secoli XVI-XVIII – argenteria liturgia, ex voto, arredi sacri “Rivista Archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como”, fasc. 131-132, anno 1950-51, pp. 65-119; Idem, L’emigrazione popolare dalle terre dell’alto Lario attraverso documenti, arte e folclore, Atti convegno Società Storica Lombarda, “Archivio Storico Lombardo”, s. IX, vol. 1, Milano 1961, pp. 1-51). Gli immigrati lombardi a Palermo erano organizzati in confraternite secolari, designate con il termine di Scholae Panormi, sotto il patronato del santo protettore del paese d’origine. Come scrisse nel lontano 1938, Carlo Antonio Vianello (1895-1951), sul tutto dominava la Natione Milanese o Lombarda, retta da consoli e massari, con propri uffici nei quali erano impiegati segretari e notai (cfr. C. A. Vianello, Alcuni documenti sul Consolato dei Lombardi a Palermo, “Archivio Storico Lombardo”, LXIV, s. III, fasc. 1-2, Milano 1938, pp. 186-196). A Palermo spiccarono i nobili (Lo) Curto o Curti che furono consoli della Natione dei Lombardi nel 1633 e nel 1648.
Grazie allo studioso Raffaele Grillo, che negli anni 60’ e 70’ del XX secolo pubblicò diversi contributi nella precitata rivista della benemerita Società Storica Lombarda, sappiamo che a Palermo, la Natione Lombarda ebbe dapprima una cappella nella chiesa di S. Giacomo La Marina poi trasferitasi nella nuova chiesa di S. Carlo Borromeo, appositamente costruita per volere della comunità originaria dalla Lombardia (cfr. R. Grillo, I Lombardi a Palermo, “Archivio Storico Lombardo”, s. IX, vol. I, 1961, Milano, 1963, pp. 193-234; idem, Il culto di S. Carlo Borromeo a Palermo, “Archivio Storico Lombardo”, vol. 90, Milano 1963, pp. 310-316; Idem, Capitoli della “nazione” dei Lombardi di Palermo, “Archivio Storico Lombardo”, vol. 103, Milano 1977, pp. 369-384).
Nel 1628 abitava a Termini un certo Francesco Russo, qualificato nei rogiti come Lombardo (cfr. ASPT, FND, notar Giuseppe Bertolo di Termini, vol. 13239, 1628-29 f. 56). Due anni dopo, 14 gennaio 1630, venne stipulato il contratto matrimoniale tra la genovese Gerolama Doria (D’Oria), vedova di Gianfrancesco del Lago, ed il piemontese (del Piamonte), Sebastiano La Via (cfr. ASPT, FND, notar Francesco Collati di Termini, vol. 13178, 1629-39 f.f. 151-152r).
Un ramo della casata lombarda dei Malacria (o Malacrida) è documentato a Termini Imerese sin dal 1606, provenendo dall’entroterra madonita e precisamente dalla Terra di Calatavuturo (attuale comune di Caltavuturo in provincia di Palermo). Curiosamente, il celebre genealogista ed araldista Giambattista di Crollalanza (cfr. G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, 1886-90, II, pp. 51-52) rammenta i Malacrida di Palermo, senza ricordare la provenienza da Termini Imerese e Caltavuturo.
Questa fiorente casata, documentata sin dal XIII secolo nel Comasco (Dongo, Musso), si diramò anche nella bassa Valtellina, come esaurientemente tratteggiato dallo storico Giustino Renato Orsini (1883-1964) in un suo documentato studio edito nel 1938 (cfr. G. Orsini, I Malacrida, “Periodico Storico Comense”, vol. II, nuova serie,  Cavalleri, Como, 1938, estratto, 14 pp.). A Morbegno, in provincia di Sondrio, esiste il fastoso Palazzo Malacrida, vera gemma del rococò, con l’imponente scalone d’onore impreziosito dalle eleganti balaustrate in pietra di Viggiù decorate in oro zecchino e dal medaglione affrescato da Giambattista Romegialli di Morbegno (1761), ed il salone d’onore decorato dalle quadrature del comasco Giuseppe Coduri detto il Vignoli, nonché il soffitto di Cesare Ligari (1716-1752), tra i maggiori artisti del Settecento lombardo.
La presenza a Termini Imerese della famiglia Malacrida è ben documentata nell’archivio della Maggior Chiesa. Il 7 agosto 1622, Lucrezia figlia del fu Gabriele Malacria della Terra di Calatavuturo [sic] e h[abitatric]e di q[ue]sta città di un anno, sposò Mastro Francesco Collati, vedovo (cfr. AME, Sponsali, vol. 21, f. 43v n. 2).
Il 27 dicembre 1622, Vincenzo Malacria della Terra di Calatavotore [sic] et habitatore di q[ue]sta Città [di Termini] di anni sidici [sic], sposò Gerolama di Ruberto figlia del fu Pietro, alla presenza del predetto Francesco Collati e di Francesco di Mattei (AME, Sponsali, vol. 21, f. 16v n. 2). Dalla coppia, tra il 1623 ed il 1634, nacquero 8 figli (Giuseppe Vincenzo, Nicolò, Defendino Rocco, Matteo, Pietro, Giovanni Antonio, Giovanni Andrea I, Giovanni Andrea II).
Il primogenito, Giuseppe Vincenzo Malacria (Termini Imerese, 20 novembre 1623; Napoli, 27 novembre 1671), col nome di Giuseppe Maria, entrò nell’ordine della stretta osservanza di S. Francesco, ed essendosi distinto per dottrina (fu lettore in sacra teologia), ed eloquenza (fu valente predicatore), fu poi elevato alla dignità di Definitore della provincia di Sicilia. Di lui è nota la seguente opera ms.: Il re David publico penitente espresso in sette salmi, tradotti dalla lingua latina in volgare con sentimenti de’ Padri (cfr. AME, Battesimi, vol. 16 f. 35; A. Mongitore, Bibliotheca sicula sive de scriptoribus siculis, t. I, Panormi Ex thypographia Didaci Bua, MDCCVIII, p. 389).
Il terzogenito, Defendino Rocco Malacria (n. Termini Imerese, 4 aprile 1625, m. Palermo, 1689), dopo essersi addottorato in entrambi i diritti(utriusque juris), intraprese la carriera giuridica raggiungendo cariche prestigiosissime: fu giudice pretoriano di Palermo (1664-65, 1671-72, 1676-77, 1678-79), giudice della Gran Corte del Regno (1669-70, 1671, 1673, 1674-75, 1679-81), ministro della giunta per l’incorporazione dei beni confiscati e da confiscarsi ai messinesi ribelli (1679), maestro razionale del Real Patrimonio, giudice del Banco di Palermo e rettore della redenzione dei cattivi (persone prigioniere di pirati) nel 1688-89 (cfr. AME, Battesimi, vol. 16, f. 58r n. 6; V. Solito, Termini Himerese Città della Sicilia posta in teatro, Messina, P. Bisagni 1671, t. II, p. 134; A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Bologna e Palermo 1915-18, ristampa anastatica A. Forni, Bologna 1979, voll. 2, ad vocem).  Alla fine degli anni ’50 del Seicento, i benestanti Malacria furono esentati dal pagavano per il mantenimento di un cavallo della milizia, a loro imposto in precedenza.  Infatti, dopo la morte di (Giovanni) Antonio, era stato nominato erede il fratello fra Pietro, dei padri scalzi del terzo ordine di S. Francesco, che era esentato da tale balzello, mentre la madre, Girolama di Ruberto, vedova di Vincenzo, si era spenta a Palermo, dove risiedeva il figlio Defendino (cfr. Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, 1659-60, ms. Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, ai segni III 10 c 8, ff. 129-130).
A Termini Imerese erano pure presenti altri Malacria, congiunti dei precedenti: Antonio, figlio di Gabriele, Giovanni Andrea e Giacomo. Quest’ultimo, fu benemerito della Compagnia dei Neri e, pertanto,  fu sepolto nella chiesa di S. Orsola, come attesta il suo monumento funerario collocato nella controfacciata, a destra entrando (per l’iscrizione, cfr. A. Contino – S. Mantia, La chiesa di S. Orsola e le Rocchecelle in Termini Imerese, GASM, 2001, pp. 23-24).
L’insegna gentilizia dei Malacrida, scolpita al culmine del monumento funerario di Giacomo, ed ornato dell’elmo di profilo, pur ricollegandosi con quello dei consanguinei lombardi, esibisce una differente partizione ed alcune interessanti particolarità. L’arma del ramo termitano si discosta pure da quella pubblicata da Antonino Mango di Casalgerardo nel suo Nobiliario di Sicilia. Notizie e stemmi relativi alle famiglie nobili siciliane (Reber, Palermo 1912-15, 2 voll., ad vocem).
Lo scudo dei Malacrida (vedi foto) di Termini Imerese, infatti, si definisce semispaccato-partito, cioè risulta diviso verticalmente a metà (partito), mentre la partizione destra (sinistra per chi guarda), è tagliata orizzontalmente in due parti (semispaccato); nel 1° (se fossero presenti gli smalti, il campo sarebbe d’oro oppure d’argento), al leone (d’azzurro oppure di nero) impugnante colla branca (zampa) anteriore destra un bastone (nell’arma dei Malacrida lombardi vi è una spada), e con la sinistra un castello (di rosso) aperto del campo; nel 2° fasciato ondato (non si conoscono gli smalti); nel 3° sbarrato (d’oro e di rosso oppure d’azzurro).
Nel Seicento, fiorì a Termini Imerese, un ramo di un’altra antica e illustre famiglia lombarda, quella dei Crollalanza. Questa casata, originaria di Milano, sin dall’età federiciana si trapiantò in Sicilia, ed in particolare a Palermo (cfr. F. Raffaelli, Memorie storico-genealogiche della famiglia di Crollalanza. “Giornale Araldico Genealogico d’Italia”, n. 10-11, anno 1874, Rocca San Casciano, F. Cappelli, 18 pp., estratto).
Agli inizi del Seicento, il palermitano Lorenzo Crollalanza di Donato, grazie ad un’accorta politica matrimoniale, legò la propria famiglia alla nobiltà civica di Termini Imerese.  Infatti, Laura (Laurìa) Crollalanza, sorella del detto Lorenzo, anteriormente al 1604, si accasò con il nobile Andrea Giambruno Regio Segreto di Termini (funzionario addetto ad esigere le imposte), appartenente ad una delle famiglie più in vista della cittadina imerese (cfr. A. Contino – S. Mantia, Architetti e pittori a Termini Imerese tra il XVI ed il XVII secolo, GASM, Termini Imerese 2001, p. 79 nota n. 206).  Lorenzo Crollalanza, già cittadino di Termini, il giorno 7 gennaio 1624, impalmò la termitana Eleonora Gravina, figlia del nobile Antonino (AME, Sponsali, vol. 123, f. 19r n. 3) e si spense poi il giorno 11 dicembre 1631, venendo sepolto nella chiesa di S. Maria di Gesù (AME, Defunti, vol. 93, f. 217 n. 7).
Il Crollalanza, fu il principale promotore della nascita a Termini della Venerabile Società del SS. Bernardo e Francesco sotto il titolo delli Cappuccinelli, omologa dell’omonima confraternita palermitana, della quale egli stesso fu governatore e che, per un certo tempo, fu ospitata nell’antica chiesa di S. Agata La Seniore nella contrada della Marina (successivamente intitolata a S. Calogero Eremita, nell’attuale Via Felice Cavallotti).
Lorenzo Crollalanza, in qualità di governatore di detta società, per rogito in notar Francesco Vassallo di Termini del  26 dicembre 1614 (ASPT, FND, vol. 13141, 1614-15 f. 124 v-126r), stabilì la costruzione nel Cortile Oliva (di cui rimane superstite il piccolo Cortile Morello), a ridosso del Piano di S. Lucia, di una nuova chiesa, atta ad ospitare la detta confraternita, che fu poi dedicata a S. Carlo Borromeo, il cui culto era stato diffuso a Palermo proprio dalla fiorente colonia lombarda. Un rogito stipulato presso il medesimo notaio, datato 16 settembre 1615, ci informa che la predetta confraternita era ancora dimorante nella chiesa di S. Agata (ASPT notar Francesco Vassallo, vol. 13142, 1615-16, f. 43).
Il 4 luglio 1615, il Crollalanza diede incarico all’allora giovane pittore termitano Francesco La Quaraisima, di dipingere ad olio su tela un quadro raffigurante S. Carlo Borromeo, della larghezza di palmi nove (225 cm circa)  e dell’altezza di palmi sei (150 cm circa), conforme ad una pittura dello stesso soggetto di proprietà di Camillo Patteri (mercante pisano trapiantato a Termini). Il rogito notarile specifica che il quadro, doveva essere visto e rivisto per altri pittori esperti, mentre la consegna dell’opera doveva avvenire entro il mese a partire dal giorno della consegna, da parte del committente, della tela già pronta per essere dipinta. Il pittore ricevette onze due in acconto e onza una e tarì dodici alla consegna. Questa opera giovanile del La Quaraisima, firmata e datata (FRANCISCVS GVARESIMA PINGEBAT 1615) fu, quindi, appositamente realizzata per ornare l’altare maggiore della chiesa di S. Carlo Borromeo che, quattro anni dopo doveva erigersi (Contino-Mantia, op. cit., p. 45) e dove ancor oggi si ammira.
Queste sono, a grandi linee, le principali tappe dei plurisecolari flussi di immigrazione dalla «Lombardia» verso Termini Imerese.
Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo esprimere la nostra riconoscenza, per l’indispensabile supporto logistico nelle ricerche, rispettivamente, ai direttori ed al personale della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese. Un ringraziamento particolare va a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare delle fondamentali ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.

Documento n. 1
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 18r n. 1.Die 19 Nove[m]bris [1a indizione 1542] / p[re]sti ph[ilipp]o di lintinj [sic, Lentini] b[attizzò] la f[iglia] di ant[on]j / russo n[omine] cat[ari]nij  li co[mpari] m[agni]f[ico] j[ohann]e ant[on]j / di milana et m[agni]f[ico] narduzo [sic, Leonarduccio]  di / gintilj la co[m]marj / [domenica] lagrigola [sic, La Grigola]

Documento n. 2
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 20r n. 3.
Eode[m] [Decembris Ie indictionis 1542] / p[re]sti gaspano [Crescione] b[attizzò] la f[iglia] di antonj / di rosa n[omin]e lisabetta [sic, Elisabetta] li co[mpari] / ambroxo [leggi: ambroscio, sic, Ambrogio] di milana et / ant[oni]no marchisi  [la commari] / [domenica] lagrigola [sic, La Grigola] 

Documento n. 3
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 22r n. 3.
Die 8 [Aprilis Ie indictionis 1543] / p[re]sti martino [Romano] b[attizzò] lu f[igliu] di / ambroxo [leggi: ambroscio, sic, Ambrogio] di milana n[omin]e vicheso [sic, Vincenzo] / li co[mpari] m[astr]o nicola chinco mano [sic, Cinquemani] / et m[astr]o pet[r]o lu longo la com[mari] / [domenica] lagrigola [sic, La Grigola]

Documento n. 4
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 41v n. 2
Eode[m] [14 Octobris IIe indictionis 1544] p[resti] pet[r]o de ferro b[attizzò] lu / f[igliu] di  m[agni]f[ico] micaelj zupecta [sic, Zoppetta] /  n[omin]e pet[r]o li co[mpari] joanna/ntonj de milana et m[agni]f[ico] / nicolau boname[n]ti la / com[mari] ut supra  [Domenica La Grigola]

Documento n. 5
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 54r n. 5
die 10 [Februarij IIIe indictionis 1545] b[attizzò] p[re]sti vitu [Pantano] lu f[igliu] dj /  m[astr]u binjdjttu garibaldo n[omin]e / blasi li co[mpari]  m[astr]u nicola vj/vjanu et m[agni]f[ico] johannj antonj  / di mjlana [la] c[ommar]a [sic] [Filippa] langelica  [L’Angelica] 

Documento n. 6
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 67r n. 3.
Die 6 [Octobris IVe indictionis 1545] / p[re]sti ditto [Giuseppe di Giuliana] b[attizzò] la f[iglia] di  ambrosu [sic, Ambrogio] / dj milana n[omin]e joa[n]na [sic, Giovanna] lj conparj [sic] mast[r]o / jo[hanni] ant[oni] dj romano et bastjano dj landro / la co[m]marj / [domenica] lagrigola [sic, La Grigola]

Documento n. 7
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 74v n. 6.
Eode[m] [Augusti IVe indictionis 1546] / p[re]sti ant[oni]no vianjsi b[attizzò] lu f[igliu] dj / jo[hanni] ant[oni] dj milana n[omin]e poljto [sic, Ippolito] ph[ilipp]o / lj co[m]parj  m[agni]f[ico] / laure[n]zo dj ghirjpa/ldo [Garibaldo] et m[agni]f[ico] vic[enz]o dj blanca la / co[m]marj  [Filippa] laIngeljca  [L’Angelica]

Documento n. 8
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 91r n. 8.
die 20 [Februarij Ve indictionis 1547] / p[re]sti jo[hanni] abb[attist]a [sic, Battista] graffeo  b[attizzò] lo / f[iglio] dj petro Salamunj n[omin]e gerolamo / romeo  lj co[m]parj  m[astr]o nardo lo p[re]sti m[agni]f[ico] / jo[hanni] ant[oni] dj mjlana laco[m]marj [domenica] la / grigola

Documento n. 9
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 93r n. 2.
die 28 [Februarij Ve indictionis 1547] / p[re]sti vic[enti]o lj palgl[ar]a [sic, Pagliara] b[attizzò] lo / f[iglio] [di] augustino pusaterj n[omin]e joseppi / lj co[m]parj ambroxo [leggi: ambroscio, sic, Ambrogio] di milana / et nardo pinnica / laco[m]marj catrinj [sic, Caterina] laIufrida [sic, La Giuffrida]

Documento n. 10
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 95r n. 3.
Eode[m]  [27 Martij Ve indictionis 1547] / lo djtto [presti Stefano Spataro] b[attizzò] lo f[iglio] [di] michelj pu/saterj n[omin]e ant[oni]no lj Co[m]parj mast[r]o vic[enz]o  / santo ph[ilipp]o et m[agni]f[ico] jo[hanni] ant[oni] dj mjla/na la co[m]marj [Filippa] laIngeljca  [L’Angelica]

Documento n. 11
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 97r n. 8.
Eode[m] [27 Aprilis Ve indictionis 1547] / p[re]sti stefano Spataro b[attizzò] la / f[iglia] dj ambroxu [leggi: ambrosciu, sic, Ambrogio] dj milana n[omin]e / mjnjca lj co[m]parj  m[astr]o ant[oni] romano et m[astr]o jo[hanni] li gudja la co[m]marj / catrinj [sic, Caterina] laIufrida [sic, La Giuffrida]

Documento n. 12
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f.116v n.  4.
[15 Januarij VIe indictionis 1548] / p[re]sti stefano Spataro b[attizzò] lo / f[iglio] dj bartulu chachio [leggi: ciacio, sic, Ciaccio] n[omin]e / pet[r]o lico[m]pari pet[r]o dj ma/rino et  jo[hanni] ant[oni] dj / mjlana la co[m]mari [Filippa] la / Ingeljca  [L’Angelica]

Documento n. 13
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f.120r n. 3.
dje p[rim]o marcij [VIe indictionis] 1548 / p[re]sti valentj laquarisima [sic, La Quaraisima]  b[attizzò] lo mor[t]o / dj m[agni]f[ico] pet[r]o dj pisano n[omin]e paulinu lj / co[m]pari pet[r]o laquarisima et  jo[hanni] / ant[oni] dj mjlana laco[m]mari [sic] [Domenica] lagrigola [sic, La Grigola]

Documento n. 14
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 122v n.1.
dje 13 apriljs VJe ind[ictioni]s 1548 / p[re]sti matteo Impax b[attizzò] lo f[iglio] dj m[agni]f[ico] / joa[n]ello toronellu n[omin]e jo[hanni] jac[ob]o / lj co[m]pari jo[hanni]  ant[oni] dj mjlana / et p[re]sti stefano di vjginj  [sic, Vizzini] la / co[m]mari djranza lamarchisi [sic, La Marchese]