Politici e intellettuali protestano perché la scuola del paese è intestata a un personaggio affiliato alla mafia, dimenticando di dire che l’intitolazione risale a otto anni fa. Ma dove sono stati in tutti questi anni?

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Dovevamo aspettare otto anni prima che alcuni politici più o meno noti e qualche intellettuale, alla ricerca di visibilità, tutti con “fama” di antimafiosità, si accorgessero di una delibera con cui è stato deciso di intitolare una scuola di Caccamo ad un personaggio scomodo?

Improvvisamente, infatti, non si sa perché e percome, questi ultimi si sono svegliati dal comatoso sonno, dall’impegno rivolto altrove, accorgendosi che l’intitolazione del liceo psico pedagogico a Teotista Panzeca era inopportuna, tanto da rivolgere pure un’interrogazione al governo. Ma cosa è successo? E soprattutto chi era Teotista Panzeca? Arciprete di Caccamo, personaggio chiaccherato, di lui parlano non troppo bene gli atti della Commissione parlamentare antimafia. In essi Panzeca è stato individuato come “affiliato alla mafia”, per avere protetto il fratello Giuseppe, capo mafia, presidente del cosidetto “tribunale di Cosa nostra”, mantenendo anche rapporti con altri mafiosi e politici vicini. Ora è accaduto che nel febbraio 2007 il consiglio d’istituto del liceo classico “G. Ugdulena” di Termini Imerese, da cui dipende il plesso di Caccamo, su proposta dell’allora sindaco di quest’ultimo paese, delibera di intitolare la scuola a Panzeca, per il proprio “contribuito significativo” dato all’istruzione di Caccamo. Ed infatti è stato proprio il prelato a promuovere e tutelare le istituzioni scolastiche caccamesi, fondando l’allora magistrale, che ha sfornato centinaia di maestre. Ebbene, dopo anni di oblio, dopo lustri di dimenticanza, ecco che improvvisamente ci si sveglia. Ma dove sono stati in tutti questi anni?

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  1. Vero, condivido in pieno. Caccamo è un paese che vive nell’ipocrisia, penso che finiranno tutti, nella sesta bolgia, dell’inferno. E’ un paese , che non ha mai fatto i conti, con il passato e la sua storia e vive nella falsità, per paura, per ipocrisia e per comodità. Ma così non si va in nessun posto e non si cresce. A Caccamo si inneggia ad eroi-non eroi, gente che ha vissuto borderline o dentro a certe situazioni e dopo la morte diventano eroi, da portare ad esempio, di vita, per il paese. Pericolosissimo, gli si inestano scuole, edifici pubblici e piazze. Grazie Espero, grazie al suo Direttore, che prende posizione, nei confronti di alcune tematiche. Grazie

  2. Io sollevai la questione nel novembre 2013 in una lettera aperta al presidente del consiglio comunale in cui, da cittadina italiana, chiedevo:” qual è la figura esemplare che l’Amministrazione di Caccamo vuole indicare agli alunni delle scuole e ai giovani? Quella di Filippo Intili, sindacalista, ucciso dalla mafia perché si batteva per la legalità o quella di Teotista Panzeca,”affiliato alla mafia”? La scelta è fra legalità e delinquenza”. Non mi giunse mai risposta, il che mi porta a dedurre che probabilmente per la cultura mafiosa la legalità è un’astrazione e la mafia non è delinquenza, non è niente di cui vergognarsi ma semplicemente la realtà quotidiana con cui è necessario convivere. Del resto, per sottostare alle regole della cultura mafiosa non è necessario essere criminali. Basta evitare di porsi problemi di coerenza.

  3. Chi dice che la figura di Teotista Panzeca è una figura esemplare, non ha tutti i torti: Mons.Panzeca incarna sotto ogni aspetto la funzione, l’atteggiamento e le posizioni della Chiesa in Sicilia dal primo dopoguerra fino agli anni ’80 e oltre: una Chiesa ossessionata dalla paura dei comunisti, chiusa nella conservazione ad oltranza dell’ assetto sociale tradizionale, rurale e contadino, dove Chiesa e mafia sono due poteri paralleli ma inevitabilmente convergenti nel soffocare qualsiasi forma di affrancamento politico e sociale. Una chiesa i cui sacerdoti battezzavano, cresimavano, celebravano matrimoni di mafiosi e figli di mafiosi, dalle mani spesso lorde di sangue, ma rifiutavano nettamente di celebrare le stesse liturgie ad un operaio o contadino che fosse in odore di socialismo o comunismo. Una Chiesa che esaltava gli aspetti folkloristici ed esteriori della religiosità, fatta di ritualità, processioni, botti e fuochi d’artificio (ma non continua così ancora oggi?), bigotta e formale, ma decisamente indifferente e colpevolmente silenziosa , sulla mafia, sui suoi delitti e sulle sue prepotenze. Del resto la mafia non attaccava mai la chiesa, il suo prestigio e il suo potere: un potere che prescindeva persino da quello politico, anzi ne definiva obiettivi, contorni, metodi. L’ossequio dei mafiosi alla chiesa (a cui corrisponde quello della chiesa ai mafiosi) diventava quindi un modo scaltrito ed efficace per consolidare il proprio ruolo nei confronti della gente. Serpeggia, in questa convergenza tra Chiesa e mafia, un’identica ostilità nei confronti delle istituzioni dello Stato, una rivendicazione di autonomia che, per la Chiesa, risale al clima post unitario, ai pronunciamenti del Sillabo e che, tramontato lo Stato liberale, trova il nuovo nemico nel pericolo rosso, nella minaccia atea e comunista. E così che, per molti decenni, la mafia tiranneggia, uccide, gestisce le elezioni locali con sostegni o minacce, fa il bello e il cattivo tempo, e la Chiesa…tace. Un esempio per tutti: dopo la strage di Portella delle Ginestre, non un vescovo, non un parroco si levano in Sicilia a denunciare l’immane violenza contro gente indifesa: dopo i successivi attacchi mafiosi alle Camere del lavoro di Partinico, Cinisi, Borgetto, S. Giuseppe Jato, con altri due morti e decine di feriti, finalmente il cardinale Ruffini interviene, condannando (almeno questo!) la violenza, ma suggerendo che la colpa è del clima creato dai comunisti e fornendo quindi una giustificazione di fatto ai delitti mafiosi. Una richiesta chiude l’intervento del prelato: quella di mettere i comunisti fuori legge! Episodio di una storia senza varianti sino a tempi recenti, fatta di silenzi, connivenze, incapacità di denunciare a voce alta luoghi, persone e comportamenti. Come stupirsi allora di un personaggio come Teotista Panzeca? Anche lui, come tanti prima e dopo di lui, nella migliore delle ipotesi, aveva confuso potere ed evangelizzazione, difesa della Chiesa e acquiescenza al costume mafioso. Come tutto ciò si possa conciliare con il Vangelo, rimane un mistero, salvo che non si riconosca che spesso, la Chiesa ha avuto ed ha ben poco a che vedere con il suo Fondatore. Evidentemente il Monsignore sorvolava su quei passi del Vangelo ( Matteo 10,32-11,5) che tagliano corto sui facili compromessi tra potere e Regno di Dio. Rimane il fatto che Mons. Panzeca non ha mai preso le distanze dai crimini del fratello Giuseppe e che, per viltà, cecità o opportunismo – poco importa – ha sempre taciuto e difeso l’operato del fratello: è stato quindi di fatto connivente e complice della mafia. Quella mafia che ha ucciso magistrati, giornalisti, poliziotti, sindacalisti, che ha distrutto e continua a distruggere vite come quelle di Rita Atria o del piccolo Giuseppe Di Matteo, ma anche di sacerdoti “fuori riga”, da Giovan Battista Peruzzo a Pino Puglisi. Questo non dovevano dimenticare quelli che lo hanno inverosimilmente proposto ad esempio e modello dei giovani di una scuola della Repubblica nata dalla Resistenza, che nulla ha a che fare con quella (privata e confessionale) creata da Teotista Panzeca.

  4. Sto acquisendo tutti gli atti deliberati dalle diverse Istituzioni che si sono pronunciate sull’intitolazione del Liceo delle Scienze Umane di Caccamo.
    A Caccamo si è scatenato un putiferio . In qualità di Sindaco e di cittadino penso liberamente che la questione deve essere sanata …
    Tutte le istituzioni che nel 2007/2008 si sono espresse devono a mio parere rivedere gli atti prodotti. Personalmente ritengo che per le motivazioni espresse nei commenti precedenti,ancora vive nella memoria di tanti Caccamesi, occorre cambiare l’intitolazione della scuola,ma non sono d’accordo con il Senatore Lumia in quanto Mico Geraci ha già avuto intitolata l’aula consiliare e la piazza dove è stato barbaramente assassinato dalla mafia .

  5. Dopo le dichiarazioni del primo cittadino di Caccamo al giornale Espero di essere d’accordo a togliere l’intestazione del liceo Caccamese a Mons. Panzeca invito il Sindaco a esprimersi sull’intestazione del largo intestata al Dott.Cordone. Non mi sembra giusto continuare in queste polemiche ma sarebbe cosa migliore fare riposare in pace i nostri cari defunti. Voglio ricordare che Mons.Panzeca è stato il fondatore del liceo il quale ha dato cultura a questo paese. Che qualcuno la smetta con questa legalità di facciata e guardi indietro alla propria vita passata.

  6. Ottimo il commento di Gullo, un esempio da manuale della doppiezza indispensabile alla cultura mafiosa. Si chiede ad altri di pronunciarsi, guardandosi bene di farlo se stessi; si vuole imporre il silenzio sulla storia strumentalizzando i morti che vanno lasciati riposare in pace; di mons. Panzeca si ricorda che ha fondato il liceo(sottintendendo che Caccamo non lo avrebbe mai avuto senza di lui) ma non che è stato schedato dall’Antimafia.
    A conferma di quanto scrive Fausto Clemente, aggiungo una citazione da p.124 di Tempo dilupi e di comunisti:
    E certamente alcuni vescovi, come il card. Ruffini, pur conoscendo la mafia, tendeva a minimizzarne la gravita e la specificità, riconducendola alla delinquenza comune. Per questo scriveva nel 1963: «In tanti anni di sacro ministero non ho mai potuto rilevare la più piccola relazione del clero con i delinquenti. I frati di Mazzarino andrebbero considerati a parte». Per questo l’arciprete di Caccamo, fratello del capomafia Giuseppe Panzeca, poteva scrivere al card. Ruffini chiedendo aiuto per il fratello che, a suo parere veniva perseguitato perché aveva lottato sempre per la vittoria della Dc. Si meravigliava l’arciprete del tradimento dei politici:
    «Scandaloso e contraddittorio! nemmeno quindici giorni erano trascorsi dagli echi delle vittorie elettorali, in ben tre consultazioni in un solo anno. Deputati e Senatori, Ministri ed Eccellenze avevano varcato la soglia di casa di mio fratello senza infangarsi ma reputandosi onorati di salire quelle scale e di sedere a tavola con lui. Oggi? E’ il “pezzo da novanta” che la Polizia vuoi braccare perché afferma sempre sul “si dice” essere notissimo mafioso e affiliato alle cosiddette “cosche”». Lett. dell’arciprete Teotista Panzeca al card. E. Ruffini, 2.9.1963, in ASAP, Fondo sacerdoti, f. Panzeca in Francesco Michele Stabile, Cattolicesimo siciliano e mafia. http://terradinessuno.wordpress.com/biblioteca-di-terra-di-nessuno/francesco-michele-stabile-cattolicesimo-siciliano-e-mafia/

  7. Le voglio precisare che ho 53 anni è in tutta la mia vita non ho mai frequentato ne mafiosi ne ambienti mafiosi;questo mio commento nasce spontaneo in qualità di cittadino caccamese;che per tanti anni mi sonno battuto sempre per la legalità denunciando sempre irregolarità che ho intravisto; ma in questa vicenda mi sembra che chi ha sollevato la questione ha usato due pesi e due misure.Riferendomi alla lapide che è stata intitolata al Sindaco Dott.Cordone. Vero che entrambi sono stati indicati mafiosi ma è pure vero che non hanno mai subito un processo per mafia. Come lei mi ingegna Sig.ra Vera Pegna fino a quando non c’è una sentenza non si può essere colpevoli. Non voglio giustificare e non voglio accusare nessuno ma la cosa migliore ripeto sarebbe far riposare in pace i nostri cari defunti.

  8. Condivido in pieno quest’ultimo commento. Non ho nulla da aggiungere a quanto detto da questa perla della politica caccamese e madonita, mai adeguatamente valorizzata dalla stessa popolazione caccamese, qual’e’ sempre stata da una vita,l’intelligentissima Concetta Minerva da tanti giustamente definita la degna erede di Vera Pegna. Invito comunque tutti i caccamesi in primis, Concetta Minerva inclusa, ad avviare qualche iniziativa in merito su facebook, magari costituendo un gruppo intitolato”Non vogliamo l’intitolazione del Liceo delle Scienze umane di Caccamo a Teotista Panzeca”.Ovviamente, un gruppo del genere non dovrebbe fossilizzarsi solo sull’argomento in questione, ma, prendendo spunto su tale vicenda, potrebbe avviare una discussione generale sulla cittadina di Caccamo e sui falsi profeti dell’antimafia di maniera, i professionisti dell’antimafia insomma, che cosi’ come diceva Leonardo Sciascia, sono in non pochi casi “l’anticamera della mafia” . Una mafia dello Stato, la mafia dei colletti bianchi, che spesso sta a Roma e che non e’ meno pericolosa della mafia dei piccoli centri di provincia. Anzi… Per eventuali iniziative sono a vostra disposizione su facebook e non solo. Il link e’ il seguente: https://www.facebook.com/salvatore.sansone.12 (cell.3201994373)

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