Collesano. Borgo Bagherino: nuova nota di risposta dello storico dell’arte Marco Failla alle opinioni espresse dal sindaco Giovanni Meli

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Marco Failla
Lo storico dell’arte Marco Failla risponde ancora una volta alla nota del sindaco su quello che è diventato per i due tema di scontro diretto. Continua in fatti il botta e risposta tra il primo cittadino di Colesano Giovan Battista Meli e lo storico dell’arte sui lavori di ripavimentazione di alcune aree del centro storico del comune madonita. Di seguito la lettera di Failla.


“Di verità, come è noto, ne esistono tante. In Sicilia, poi, queste verità diventano una, nessuna, centomila, come l’omonima opera di Luigi Pirandello. Ma c’è una verità che voglio dimostrare con questa lettera di risposta alle opinioni espresse in merito al mio articolo contro la pavimentazione in cotto delle due piazze del quartiere medievale di Collesano: quanta falsità e quanta ipocrisia vi sia da parte di chi ancora si ostina a difendere una posizione difficilmente difendibile, innescando a tal fine una polemica per quanto mi riguarda mai accesa, attraverso dei tentativi maldestri di screditare delle sane e valide argomentazioni ed il suo autore con ragionamenti superficiali, errati e soprattutto contraddittori e privi di consistenza.
Tentativi rivelatisi sempre un clamoroso buco nell’acqua, che sono arrivati a toccare persino il grottesco e l’assurdo, come di seguito ho modo di argomentare.

Ecco, dunque, la mia verità:

1) Non ho mai parlato di tracce di una pavimentazione medievale nel mio articolo (leggerlo per verificare), facendo riferimento semmai a tracce di una precedente pavimentazione, rinvenuta tra l’altro sotto il cemento e non sotto l’asfalto. Che non si tratti di una pavimentazione medievale ma al massimo ottocentesca risulta piuttosto scontato, ma ho ritenuto di non specificare la cosa perché il senso del mio discorso era un altro: non dimostrare che si tratti di una pavimentazione medievale ma di una precedente pavimentazione in pietra, coerente con la tradizione locale. Quindi tutta la tiritera sul Medioevo e le pavimentazioni stradali medievali crolla come un castello di carte, e ne deduco anche che qualcuno non sa né leggere, né comprendere bene. Vorrei precisare inoltre allo sconosciuto autore delle osservazioni in risposta al mio articolo, pubblicate a nome del sindaco Meli, che Collesano viene fondata nel 1140 circa, quindi se è vero che il Medioevo dura mille anni (476-1492), avrebbe dovuto sapere che i secoli cui avrei dovuto fare riferimento se avessi parlato di una presunta pavimentazione medievale in Piazza Castello, vanno dal XII al XV secolo. Credo che questa osservazione sia stata la dimostrazione di una profonda ignoranza.

2) Mi ricollego con questo alla seconda puntualizzazione: non avendo mai parlato di pavimentazioni medievali, di conseguenza non ho mai sostenuto la tesi del rispetto di una fedeltà filologica verso qualcosa di inesistente; né di conseguenza ho proposto una ricostruzione storica basata su una pavimentazione medievale mai citata. Quello che ho cercato di dimostrare è – lo ribadisco – l’esistenza di una radicata cultura e tradizione locale (e madonita) di pavimentazioni stradali in pietra. Pertanto, le tesi dei rappresentanti illustri del mondo dell’architettura, di cui sarebbe interessante conoscere i nomi, sono totalmente fuori luogo, perché non interessano nemmeno lontanamente l’oggetto di questa discussione.

3) Sul fatto che ogni generazione ha il diritto di lasciare la propria impronta senza necessariamente dover imitare opere del passato mi trovo d’accordo; ma posto e premesso che nessuno ha mai parlato di imitare qualcosa, ma di rispettare una radicata tradizione, voglio far presente che ogni generazione ha anche il dovere di rispettare ciò che ha trovato e che ha prodotto la generazione che l’ha preceduta, perché è fuori ogni logica pensare che ogni generazione che viene, per lasciare la propria impronta, debba cancellare quelle della generazione che l’ha anticipata. Perché se questa fosse stata la regola generale adottata nel corso dei secoli, noi oggi non possederemmo niente del nostro passato.

4) Vengono citate città come Orvieto e Volterra come esempi virtuosi per le pavimentazioni stradali in cotto. Posto che in queste due città personalmente non ho memoria di pavimentazioni stradali in cotto (e lo affermo sotto il rischio di essere smentito), ricordo come molte località che si trovano in Umbria e in Toscana, due regioni lontane sia geograficamente che culturalmente dalla Sicilia, hanno una tradizione plurisecolare di pavimentazioni stradali in cotto (vedi Siena, Pienza, Gubbio ecc.), mentre Collesano, assolutamente no. Sulla base dei ragionamenti addotti, quegli architetti che hanno scelto, in quei luoghi, di rispettare la tradizione locale, hanno quindi intrapreso la più banale e mortificante delle strade? Come mai sono diventati esempi virtuosi? La contraddizione è evidente.

5) Nella mia prima nota di risposta facevo presente che non conoscevo il progetto dei lavori di riqualificazione del centro storico e che sono venuto a conoscenza della pavimentazione in cotto delle due piazze soltanto in corso d’opera. Quindi come potevo esprimere la mia opinione al riguardo prima che iniziassero i lavori, se non ne ero al corrente? Chi invece sapeva, perché non mi ha contattato a tempo debito per ascoltare il mio parere al riguardo, considerata la mia veste di consulente gratuito? Perché non l’ha fatto? Chi ha commesso un grave errore? Colgo questa occasione per informare tutti che in data 13/08/2014 ho presentato le mie dimissioni da un incarico di consulenza rivelatosi inutile a tutti gli effetti.

6) Quando si citano i requisiti culturali locali e la presenza delle cave di argilla nel nostro territorio per andare in controtendenza rispetto alla pietra, utilizzata invece negli altri paesi delle Madonie per pavimentare le strade, e per giustificare pertanto l’utilizzo del cotto come un materiale idoneo per ammattonare le piazze del centro storico di Collesano, penso che si lambisca veramente il grottesco e l’ipocrisia. – Primo perché, come ho già argomentato nel mio articolo, Collesano ha sì una tradizione secolare della ceramica, ma questa riguarda suppellettili, pavimentazioni di case, chiese e palazzi, guglie di campanili ecc. e non certamente pavimentazioni stradali. Se si vuole lanciare un nuovo tipo di pavimentazione stradale in cotto, lo si faccia in zone più idonee e dove l’estetica lo permette, non mettendo a contatto un finto antico con un antico vero, che richiede invece l’utilizzo della pietra, come tradizione locale impone; – Secondo perché, come è ampiamente noto e dibattuto, i mattoni per pavimentare le due piazze del centro storico di Collesano sono stati realizzati da una ditta non locale che, di certo, non si fornisce nelle nostre cave: magari quella stessa “Terracotta Anicito” di Paternò alla quale, con Determinazione N. 372 del 5.5.2011, “a seguito di indagini di mercato” (Quali? Sono stati richiesti dei preventivi alle aziende ceramiche locali?), è stata affidata la realizzazione di quegli scomodi quanto antiestetici recipienti per le cicche di sigarette, i tanto odiati e vilipesi “assi di coppe”, nonché delle grandi fioriere di cui è disseminato l’intero paese, per un importo di oltre 12.000 euro. Veramente dei bei esempi di sfruttamento e di valorizzazione delle imprese e delle risorse locali. I miei più vivi complimenti.

7) Si parla prima di difesa dell’identità quale vera forza dirompente, e subito dopo del sacrosanto diritto di perseguire il nuovo: un’altra bella contraddizione. Che dobbiamo fare allora? Seguiamo l’una o seguiamo l’altra? Voglio far presente inoltre che non è stato il “nuovo” a far sì che in Sicilia noi oggi possiamo godere di quella straordinaria varietà architettonica che ci ha reso famosi in tutto il mondo, quanto semmai il passaggio sulla nostra isola di numerose culture diverse (Greci, Romani, Bizantini, Musulmani, Normanni, Angioini, Spagnoli ecc.). Se ci fossimo affidati sempre al nuovo, dimenticandoci del preesistente, al contrario non avremmo mantenuto niente di ciò che una Storia plurimillenaria e multiculturale come quella siciliana ci ha tramandato, condannando le testimonianze del passato alla più totale decadenza, con la conseguenza che oggi non possederemmo un bel nulla. Chissà chi siano questi “grandi esperti” e “grandi architetti” (se ne possono conoscere i nomi?) consultati in forma riservata, che hanno espresso una valutazione così brillante: ho l’impressione che si tratti di un tentativo di dare valore a delle tesi sconnesse e prive di fondamento chiamando in causa personaggi immaginari mai ascoltati.

8) Non ho mai parlato nel mio articolo di cave di pietra arenaria sfruttabili nel territorio di Collesano (leggerlo per verificare), ma ricordo comunque che la pietra arenaria attualmente è ancora disponibile in commercio e facilmente reperibile. Però noi abbiamo le cave di argilla, che esistono ancora e che possono essere rese fruibili: forse che la ditta che ha realizzato i mattoni in cotto per la nuova pavimentazione stradale delle due piazze di Collesano ne ha usufruito o ne sta usufruendo?

9) Arriviamo, infine, alla mia parte preferita contenuta nelle osservazioni in merito al mio articolo, che considero come un vero e proprio trionfo del linguaggio politichese ipocrita e populistico, e cioè quando si afferma che “Le ultime generazioni, in molti casi, hanno inflitto ferite gravi che difficilmente potranno essere curate”. Pavimentare in cotto una zona dell’abitato che merita assolutamente una pavimentazione in pietra, invece, cos’è? Come la definiamo? Collesano, come tristemente noto, ha una identità urbanistica e architettonica piuttosto compromessa e poco riconoscibile a causa di gravi errori commessi in passato. Pavimentare in cotto le due piazze del centro storico di Collesano significherebbe stravolgere ancora di più l’identità storico-urbanistica già pesantemente danneggiata del nostro paese. Preso atto ed accertato in maniera chiara e definitiva che le opinioni espresse in merito al mio articolo costituiscono un nuovo e maldestro tentativo, tra l’altro pieno zeppo di contraddizioni ridicole, di denigrare una tesi insieme al suo autore, quanto piuttosto di un confronto serio e reale su un argomento, voglio far presente che questa polemica vuota e sterile, tra l’altro non da me cominciata e nemmeno perseguita, per quanto mi riguarda si conclude qui, e che pertanto, sulla scorta di tale considerazione, non risponderò a nuove e inutili provocazioni.

In chiusura, voglio mostrare ad amici, concittadini e ai tanti che mi hanno espresso il loro apprezzamento e il loro appoggio, alcune immagini che dicono più di mille parole: si tratta di una fotografia risalente agli anni ’60 in cui è visibile la vecchia pavimentazione stradale di Piazza Castello, di un’altra del 1982 in cui è visibile la vecchia pavimentazione stradale di Salita Castello, e di un’ultima, infine, che raffigura le attuali pavimentazioni stradali di alcuni vicoli dei paesi delle Madonie (Gangi, Pollina, Geraci Siculo, Gratteri)”.

Marco Failla