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Dissesto idrogeologico: arrivano a Pollina 1,4 milioni per consolidare la rupe San Pietro

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Risorse per 43 milioni di euro: è questa la dotazione finanziaria che il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha riconosciuto alla Sicilia per interventi prioritari di mitigazione del rischio idrogeologico.

Nella provincia di Palermo, 7,8 milioni di euro saranno utilizzati per le opere di mitigazione del rischio idrogeologico sul versante del Monte Triona a Bisacquino; a Villabate, invece, è previsto un intervento da 2,6 milioni per sistemare le pareti rocciose sovrastanti via La Torre; mentre a Pollina con 1,4 milioni verrà consolidata la rupe San Pietro.

Le risorse del Mase saranno gestite dagli uffici di piazza Ignazio Florio, diretti da Sergio Tumminello, che si occuperanno dell’attuazione degli interventi per tutti gli aspetti tecnici e amministrativi, nel rispetto dei cronoprogrammi indicati e attraverso un’interlocuzione costante con il ministero dell’Ambiente, che verrà aggiornato non soltanto sullo stato di avanzamento fisico, procedurale e finanziario dei lavori, ma anche sulle eventuali criticità riscontrate.

Si conclude con una lezione su Gioielli e ornamenti contemporanei il Corso on line promosso da BCsicilia

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Promosso da BCsicilia e dall’Università Popolare si terrà mercoledì 19 marzo 2025 alle ore 17 l’ultimo incontro del corso on line su “I Gioielli siciliani tra Storia e Arte”. Dopo la presentazione di Alfonso Lo Cascio, Presidente  regionale di BCsicilia, seguirà la lezione di Maria Teresa Di Blasi, Storica dell’Arte e Presidente della Sede di BCsicilia di Catania, dal titolo “I gioielli e gli ornamenti contemporanei in Sicilia”. Sabato 22 marzo è invece prevista la visita guidata al Museo Pepoli di Trapani e al laboratorio artistico del corallo. Il corso prevedeva nove lezioni e tre visite guidate. Per informazioni: Tel. 346.8241076 – Email: [email protected]. Alla fine del Corso verrà rilasciato un Attestato di partecipazione.

In questa ultima lezione del corso on line su “I Gioielli siciliani tra Storia e Arte” verranno esplorate le opere di artisti che hanno segnato, con le loro creazioni, un’epoca d’oro del Liberty siciliano e, tra questi, Sebastiano Sberna (1870-1942) che approderà a Palermo presso la famosa Casa Ducrot dove conoscerà Ernesto Basile, già noto architetto, anch’egli collaboratore della Ducrot, e si specializzerà a Firenze nel disegno di ornato e di architettura, assecondando anche la sua naturale attitudine per la scultura in legno, in argilla, marmo e pietra e per la creazione di gioielli e argenterie. Si proseguirà poi con la conoscenza di artisti orafi contemporanei che hanno tratto dalla natura la loro principale ispirazione. I gioielli siciliani della contemporaneità ripropongono, con materiali preziosi, le forme sinuose delle piante, i colori sgargianti del mare, i neri profondi dei vulcani. Si scoprirà, infine, quali sono le attuali scuole del gioiello che formano i futuri orafi dell’Isola.

“Maree”: i colori cristallini di Loredana La Placa in una mostra antologica Cefalù

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Nella splendida cornice di Cefalù, paese di mare cristallino, di storia millenaria e di aspri monti a picco sulla costa Loredana La Placa espone una vasta panoramica delle proprie ricerche con la mostra antologica “Maree” curata dal critico d’arte Massimiliano Reggiani.

Le opere, basate per lo più su di una raffinata e personalissima tecnica di scivolamento dei pigmenti ancora liquidi, assecondando o accentuando gli effetti della gravità e la sorprendente varietà delle forme create attraverso la chimica dei colori, dialogano con il mare poco distante in un fraseggio leggero e scintillante. L’inaugurazione è fissata il 5 aprile alle ore 18,30  presso lo “Spazio Eventi Bastione” in piazza Francesco Crispi 13/14 a Cefalù.

I colori di Loredana La Placa e le sue composizioni che sembrano fluttuare in uno spazio senza peso saranno accompagnati dalla musica dell’arpa, suonata da Romina Copernico mentre la voce dell’evento sarà di Damiano Giunta. Oltre la musica anche le poesie di Domenico Galioto, La Mareni e Chiara Malvolti – tutte ispirate all’arte di Loredana La Placa – contribuiranno alla comprensione emozionale della mostra.

Come sottolinea il critico d’arte Massimiliano Reggiani: “L’arte di Loredana La Placa nasce da un’intima necessità di conservare un’emozione importante, di cristallizzare attraverso la materia e il colore un momento di pura bellezza. Il suo significato più profondo risiede nella volontà di opporsi alla superficiale frenesia del momento: le tecniche, gli stili caratteristici che ha creato sono strumentali a questa esigenza. Le sue opere sembrano danzare con ritmi differenti in un’unica grande sinfonia. L’artista si stacca completamente dalla tradizione figurativa abolendo scorcio e prospettiva, illusione e profondità spaziale suggerita con artifici visivi. Prende dall’informale novecentesco la libertà del gesto e l’attenzione alla materia, il giusto dosaggio del peso visivo, il gusto raffinato dell’esplorazione cromatica e ne fa ingrediente della propria narrazione. Questi dipinti, infatti, raccontano ben oltre il proprio fascino materico”.

La mostra, con ingresso gratuito, rimarrà aperta dal 5 al 27 aprile 2025 alle ore 11.00 /15.00 e dalle 18.30/23.30.

Piano di Sviluppo Terna: Sicilia con 3,5 miliardi prima regione per investimenti a livello nazionale

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Il Piano di Sviluppo 2025-2034 di Terna, con oltre 23 miliardi di euro di investimenti nei prossimi dieci anni (+10% rispetto al precedente Piano), consolida il ruolo di Terna al servizio del paese per un futuro sostenibile e decarbonizzato. Gli interventi previsti dal Piano sono essenziali per il perseguimento degli obiettivi nazionali ed europei di transizione energetica, indipendenza, resilienza ed efficienza del sistema elettrico.

Con 3,5 miliardi di euro previsti dal Piano di Sviluppo 2025-2034, la Sicilia è la prima regione a livello nazionale per investimenti sulla rete elettrica.

Gli interventi previsti nel Piano sono progettati per garantire la stabilità e la sicurezza della rete elettrica, promuovendo al contempo l’integrazione dei mercati attraverso le interconnessioni con l’estero.

In particolare, il Piano offre una visione di lungo termine, affrontando le esigenze della rete e puntando a sviluppare infrastrutture innovative per incrementare la capacità di transito tra le sezioni di mercato e massimizzare lo scambio di energia.

Inoltre, le azioni previste mirano a risolvere le congestioni locali, assicurando un esercizio sicuro all’interno delle zone di mercato grazie a interventi intrazonali, e a rispondere in modo efficiente alle richieste di connessione alla rete, attraverso un nuovo modello di Programmazione Territoriale Efficiente.

Tra le opere principali il Tyrrhenian Link che prevede la realizzazione di due linee elettriche sottomarine in corrente continua a 500 kV, per un totale di 970 km di cavo e una capacità di trasporto di 1.000 MW per ciascuna tratta.

L’infrastruttura si compone di due tratte, entrambe già autorizzate: la tratta Est, che si estende per circa 490 km e collega la Sicilia alla Campania, dall’approdo di Fiumetorto, nel comune di Termini Imerese, fino a Torre Tuscia Magazzeno, a Battipaglia, e la tratta Ovest, lunga circa 480 km, che unisce la Sicilia alla Sardegna, sempre dall’approdo di Fiumetorto fino a quello di Terra Mala. Grazie alla sua capacità di trasmissione, il Tyrrhenian Link rappresenta un passo decisivo per il futuro della rete elettrica italiana ed europea.

Nei primi mesi del 2025 sono stati avviati i lavori per la posa del cavo sottomarino del ramo Est in Sicilia, con l’inizio delle attività da Fiumetorto, nel comune di Termini Imerese che si estenderanno fino a Battipaglia. L’operazione rappresenta un’installazione da record: per la prima volta, un cavo HVDC verrà posato a 2.150 metri di profondità.

L’opera riveste un ruolo cruciale nel percorso di decarbonizzazione previsto dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), incrementando la capacità di trasporto e favorendo la transizione energetica. Inoltre, contribuirà a migliorare la sicurezza, l’adeguatezza e la flessibilità della rete elettrica di trasmissione nazionale.

La regione è interessata anche da uno dei progetti del Piano Mattei per l’Africa: ELMED. Si tratta della prima interconnessione elettrica in corrente continua tra Europa e Africa, che prevede la realizzazione di un cavo sottomarino di circa 200 km tra l’Italia e la Tunisia. L’infrastruttura, che verrà realizzata da Terna e STEG, garantirà una maggiore integrazione di energia prodotta da fonti rinnovabili e costituirà un ponte energetico tra i due continenti, con benefici in termini di sicurezza, diversificazione dell’approvvigionamento energetico e sostenibilità, in linea con gli obiettivi europei di decarbonizzazione.

Finanziato con oltre 300 milioni di euro dal programma comunitario Connecting Europe Facility, il progetto di interconnessione tra Italia e Tunisia è stato autorizzato dal MASE a maggio del 2024 e, dopo pochi mesi, dal governo tunisino.

Un’altra opera fondamentale è l’elettrodotto Bolano-Annunziata, che collegherà la Sicilia alla Calabria tramite un cavo sottomarino in corrente alternata da 380 kV. L’infrastruttura, autorizzata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) a fine 2024, incrementerà fino a 2.000 MW la capacità di interconnessione tra la Sicilia e il Continente, a beneficio dello sviluppo e dell’integrazione delle fonti rinnovabili previsto nel Sud Italia. Il collegamento permetterà, inoltre, di migliorare la magliatura della rete e la flessibilità di esercizio, rendendo ancora più sicuri i sistemi elettrici del Mezzogiorno e dell’Isola.

Per collegare l’area orientale e occidentale della Sicilia, Terna ha previsto l’elettrodotto Chiaramonte Gulfi – Ciminna, una linea elettrica da 380 kV lunga 172 km. L’opera, per cui è in corso la fase di progettazione esecutiva propedeutica all’avvio delle attività di realizzazione, attraverserà sei province: Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Palermo, e Ragusa e ventiquattro comuni. Si tratta del primo collegamento ad altissima tensione nella parte occidentale dell’isola, che garantirà gli scambi di energia tra diverse aree della regione.

Tra le opere attualmente in fase di realizzazione, il progetto Paternò-Pantano-Priolo, lungo 63 km, che attraverserà le province di Catania e Siracusa, potenziando la capacità di generazione della regione. L’opera migliorerà l’efficienza della rete elettrica della Sicilia Orientale e permetterà la dismissione di 155 km di vecchie linee e circa 400 i tralicci restituendo al territorio oltre 300 ettari di terreno liberati.

Di prossima cantierizzazione è anche il collegamento Messina Riviera – Messina Nord, che contribuirà a ridurre il rischio di interruzioni di alimentazione causate da eventi climatici estremi, aumentando la sicurezza della rete elettrica. Si tratta di un elettrodotto in cavo interrato da 150 kV lungo circa 10 km, che collegherà la Cabina Primaria “Messina Nord” con la Cabina Primaria “Messina Riviera”.

Infine, Terna prevede di realizzare l’elettrodotto Ciminna – Caracoli, una linea da 380 kV che collegherà la stazione elettrica di Ciminna a quella di Caracoli di Termini Imerese, completando la direttrice tra la Sicilia orientale e occidentale.

Terna gestisce in Sicilia oltre 4.500 km di linee di alta e altissima tensione e 78 stazioni elettriche.

Cefalù, Contrada Capo Plaia terra di nessuno: denuncia del direttivo di Forza Italia

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Il direttivo di Forza Italia Cefalù, denuncia il grave stato di degrado in cui versa la zona di Capo Plaia e lo fa attraverso una lettera aperta indirizzata al sindaco Daniele Tumminello:

“Egr. Sig. Sindaco, preso atto che le nostre precedenti segnalazioni regolarmente inviate all’indirizzo PEC del protocollo comunale alla sua cortese attenzione non sono neanche state prese in considerazione, abbiamo deciso di scriverle pubblicamente nella speranza di ottenere una risposta nell’esclusivo interesse della comunità.

La contrada Capo Plaia, versa in gravi condizioni di degrado urbano e come tante zone della periferia cittadina è totalmente dimenticata dall’amministrazione comunale che da anni non si preoccupa di intervenire, lasciando i residenti in uno stato di totale abbandono.

Come può vedere dalle foto allegate, la situazione è ormai insostenibile, le pessime condizioni del manto stradale e l’assenza di una segnaletica adeguata, rappresentano un serio pericolo per chi transita, la vegetazione infestante presente in tutta la zona favorisce la proliferazione di ratti ed insetti e la scarsissima illuminazione pubblica, quasi assente, rappresenta un rischio per la sicurezza degli abitanti.

Purtroppo molto spesso i residenti della zona hanno manifestato questo grave disagio, rivendicando il legittimo diritto di essere trattati alla stregua di tutti gli altri e non come cittadini di serie B.

La invitiamo ad intervenire con urgenza non tanto in virtù della nostra segnalazione quanto per quel senso di responsabilità legato al ruolo che riveste che deve spingerla a proteggere il bene comune a tutela del decoro, dell’immagine della nostra città e del benessere di cittadini.

Nella speranza che questa lettera aperta possa essere utile alla risoluzione delle criticità rappresentate, le manifestiamo la nostra disponibilità ad un confronto civile e democratico, perché non è nostro costume fermarci alla sterile critica fine a se stessa ma rivendichiamo il diritto di dire la nostra per il bene della città”.

Cordialmente

Coordinamento Forza Italia Cefalù

Yari Lepre Marrani: un poliedrico intellettuale proposto al Premio Strega Poesia 2025

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Yari Lepre Marrani, un intellettuale poliedrico, un poeta che ha saputo coniugare la rigidità della formazione giuridica con un un’esplosione di versi, un giornalista che ha fatto della cultura un mezzo per perseguire la sua missione. La sua terza silloge poetica, “I canti di un pellegrino”, è un viaggio nell’anima “un prisma che riflette le mille sfaccettature dell’esistenza”, ed oggi la casa editrice Booksprint ha scelto la sua silloge da inviare al Premio Strega Poesia 2025 .

Classe 1982, maturità classica e formazione giuridica conseguita con una laurea a pieni voti in giurisprudenza all’Università degli studi di Milano-Bicocca. Nato e cresciuto a Milano, ha sempre lavorato in questa città come Legal credit collector e consulente legale.

Vi presento Yari Lepre Marrani e la sua erudizione. Una penna raffinata che, come un pennello intinto nell’inchiostro e nello spirito, dipinge affreschi di storia e di attualità, di sentimenti e di riflessioni. Ho cercato di catturare l’essenza di questo artista straordinario, di svelare i segreti della sua anima prismatica.

La sua figura emerge come un raro esempio di intellettuale poliedrico, in cui la rigorosa formazione giuridica convive con una fervida passione per la letteratura. Come si intrecciano questi due ambiti nella sua produzione, e in che modo l’uno influenza l’altro nel suo processo creativo?

Questa domanda mi riporta a due momenti chiave della mia vita: lo studio universitario del diritto, in età adulta, e la genesi della mia passione per la lettura prima ancora che per la letteratura. Il diritto è una materia arida che lascia poco spazio all’immaginazione ma molto attraente per chi ama studiare perché lo studio e la successiva applicazione del diritto è una continua corsa all’aggiornamento, all’approfondimento degli studi passati e la conoscenza della legge, di conseguenza, non è solo una questione lavorativa o di erudizione ma costituisce un elemento imprescindibile per potersi agevolmente muoversi nella nostra società dove è fondamentale sapersi difendere e destreggiarsi tra le mille incognite cui il consorzio sociale ti pone di fronte. La letteratura, al contrario, è fantasia e piacere. Per me è stato così. Ho iniziato a leggere da adolescente sino a diventare un lettore onnivoro, capace di “divorare” ogni libro di qualsiasi genere: credo che leggere solo romanzi possa essere piacevole e arricchente ma anche limitante; leggere, invece, libri di ogni genere ti permette realmente di arrivare a quella conoscenza del mondo che la narrativa filtra attraverso una scrittura solamente creativa. Alla fine, i risultati della coltivazione di queste due sfere – quella giuridica e quella letteraria – ti permettono di raggiungere lo stesso fine: la conoscenza della società, del mondo, della vita, della bellezza, delle trappole.

Avere una formazione accademica giuridica mi ha permesso sicuramente di dare particolare attenzione alla precisione stilistica nella scrittura per produrre scritti – poetici o narrativi – che vogliono seguire la logica oltre la fantasia. Un bellissimo connubio, quello tra diritto e letteratura che però non deve diventare strumento per tarpare le ali ad uno scrittore, soprattutto ad un poeta.

Per quest’ultimo motivo, il diritto serve poco alla poesia che è e sarà sempre l’arte letteraria più elevata e struggente. Cantare in versi un crepuscolo, un cerbiatto o la memoria richiedono una grande emotività e voglia di esprimersi. In questo il diritto ha poca influenza. La poesia si affina con la pratica e se accompagnata dalla musica diventa anche uno strumento di arteterapia. In conclusione, lo studio del diritto ti permette di scrivere seguendo una certa, rigorosa attenzione ai dettagli ma non può instillarti la creatività.

La sua produzione poetica, intrisa di una palpabile affinità con il mondo della natura e di una profonda introspezione, evoca inevitabilmente la tradizione romantica. Come descriverebbe il suo temperamento artistico e quali sono le fonti di ispirazione che alimentano la sua creatività?

Il mio temperamento artistico è tutto racchiuso nella vastità dei temi e delle immagini che ho affrontato da quando coltivo la scrittura poetica: le mie ispirazioni poetiche sono diverse, molteplici, multiformi e addirittura contrastanti. Posso passare da un componimento che canta la bellezza di un temporale ad un altro che affronta in versi temi biblici o storici, sino alla poesia romantica pura che unisce il tema dell’amore con determinate vibrazioni di tempo e di suono. Ho un carattere romantico e meditativo ma anche burrascoso e tutte queste caratteristiche si riflettono nella mia scrittura poetica. Come dal titolo dell’ultima mia silloge, proposta dalla casa editrice Booksprint come titolo da inviare al Premio Strega Poesia 2025, “I canti di un pellegrino”, la poesia è per me un canto – non una canzone – che un viandante dolce e trascinatore recita a tutti coloro che incontra nel suo pellegrinaggio.

Un’immagine che sento affine alla mia poetica è quella di un personaggio mitologico molto amato, Orfeo, una personalità romantica ante litteram che viaggiava con la sua lira incantando natura, persone, animali. Ma l’immagine più potente è quando Orfeo scese disperato nell’Ade per riportare alla luce la sua Euridice: il grande incantatore attraversava il Regno dell’Oltretomba cantando i suoi versi accompagnato dalla lira. Gli spiriti dei defunti ascoltavano incantati, sconvolti, attoniti la voce di quell’uomo magico, disperato ma anche terribilmente romantico. Questa è l’immagine mitologica che più sento affine alla mia poesia e il romanticismo la fa da padrone. Traggo fonti di ispirazione prevalentemente da pensieri bucolici e arcadici ma, alla fin fine, tutto nasce da una scintilla del momento.

Ieri, per esempio, in pieno giorno, ho pensato di scrivere una lunga ed elaborata “Ode alla notte”, ed eravamo in pieno giorno. L’ispirazione è mutevole, mi coglie all’improvviso, talvolta provocata da stimoli esterni, altre volte da ambizioni letterarie. Un dato è costante: mi piace commuovere, amo la teatralità dei versi, il potere di affascinare e sedurre l’ascoltatore. La natura è stata e rimane certamente una delle principali fonti d’ispirazione. Ma, come anticipato, i miei orizzonti immaginifici sono vasti: la poesia più importante dei Canti di un pellegrino è un componimento che lascia poco spazio al romanticismo e affronta in pochi versi il dramma così attuale di un popolo, quello ebraico. La poesia si intitola “Israele” e definisce i figli del suo popolo come “perseguitati” e “persecutori”: nella connessione di queste due parole cerco di riassumere il significato storico del popolo israelitico tra passato (persecuzione) e presente (guerra e sterminio). La poesia “Israele” è stata anche pubblicata su “Ha Keillah”, bimestrale ebraico del Centro Studi Ebraici di Torino.

Alfonso Maria Petrosino ha definito i suoi versi ‘da pulpito’, sottolineando una carica emotiva e spirituale che sembra trascendere la pagina. Nello specifico, Petrosino scrive: “L’assertività delle frasi e il modo in cui vengono modulate sembrano quelli di una persona animata da una grande fede; e le cose dette (arcangeli, tramonti che annunciano aurore, contrizioni di peccatori) corrispondono a questa modulazione e a quest’assertività. Più che da schermo o da pagina, sono versi da pulpito”. In un’epoca dominata dal nichilismo, come interpreta questa sua capacità di evocare il sacro attraverso la parola?

Amo molto la dimensione sacrale che è insita nel nostro mondo. Le religioni, la storia delle religioni, la Bibbia con tutti i suoi contenuti meravigliosi e metafisici. E’ da questa passione collegata all’erudizione che nasce la mia tendenza a intingere di sacralità le mie poesie; talvolta lo faccio indirettamente attraverso parole o loro accostamenti che rimandano all’aldilà, a Dio, alla dimensione spirituale e finanche esoterica della vita. Petrosino ha centrato perfettamente le sfumature più profonde del mio stile poetico e lo ringrazio. Credo che esistano due dimensioni della vita: quella visibile, materiale, carnale e quella invisibile, onirica. Questa mia convinzione mi aiuta nel creare scritti e poesie dove emerge la dimensione sacrale non solo dell’uomo ma del mondo.

Una dimensione, oserei dire, più sacra che santa, perché tra i due termini c’è differenza. Dio è santo e sacro ma è un caso unico. Per evocare il sacro attraverso la parola occorre, credo, spingere il proprio intelletto all’interno di quel mondo invisibile di cui ho accennato e narrarne le vibrazioni che esso ti suscita. C’è poi la questione del lessico, dell’accostamento di determinate parole e del contenuto della poesia. Quando scrivi componimenti dedicati ad Abramo (Poesia “Sacrificio” tratta da Quel sentiero in mezzo al bosco”, Altromondo Editore, 2022) o ispirati ai cipressi e al vento che alleviano il dolore dei morti – mi riferisco ad un’altra mia poesia di carattere spirituale, “La tomba”, sempre tratta da Quel sentiero in mezzo al bosco – la dimensione sacrale e ultraterrena emerge con più immediatezza. Credo in Dio, ho fede nella sua onnipotenza e onniscienza, nella sua volontà. E’ questa fede che Petrosino ha saputo cogliere.

La sua terza silloge poetica, “I canti di un pellegrino”, rappresenta un’opera di notevole profondità e intensità emotiva, che sembra segnare un’evoluzione nel suo percorso poetico. Quali sono state le principali sfide e le maggiori soddisfazioni nel dare vita a questa raccolta?

“I canti di un pellegrino” sono figli di una meditazione maturata nel tempo, dopo un’interruzione nella scrittura poetica durata molti mesi. Ma credo che il risultato finale, culminato nella proposta dalla casa editrice Booksprint come titolo da inviare al Premio Strega Poesia 2025 e nell’apprezzamento da parte di diversi critici, abbia compensato i tempi di attesa. Ho scritto quattro sillogi e “I canti di un pellegrino” rappresenta una punta di diamante nel mio percorso poetico. La stesura della silloge è durata due mesi e la sfida più grande è stata quella di rivoluzionare, in qualche modo, il mio stile poetico, mantenendo al contempo molto salde le radici alla mia natura artistica classica. Mi riferisco al mio stile molto vicino al classicismo, al tardo romanticismo. L’opera è composta da poesie che affrontano stili diversi: dal componimento che segue una tradizione indubbiamente classica e arcaica, dalla poesia romantica che insegue una certa bellezza espositiva sino all’Haiku giapponese, composto da soli tre versi, in cui accosto l’atmosfera poetica ad un realismo abbastanza vicino alla corrente detta del Realismo Terminale. Ho scelto di usare meno le rime e più il dialogo poetico diretto con il protagonista, di volta in volta diverso, delle poesie, come in “Israele”, in cui mi rivolgo direttamente al popolo di Israele usando la seconda persona singolare. Ho voluto maggiormente seguire la ragione nella composizione delle ultime poesie, elaborandole meglio nello stile, seguendo meno l’impeto e l’irruenza tipici di alcuni componimenti contenuti nelle precedenti raccolte. Sono soddisfattissimo del risultato che dà ragione al titolo dell’opera: mai come ora mi sento di chiamare queste poesie come veri e propri canti elegiaci. La mia immaginazione li vede in bocca ad un errante pellegrino sempre in movimento con il mio libro sotto braccio, che apre di fronte ad un campo dorato di grano o in un’osteria o in una affascinante foresta.

La scelta della casa editrice Booksprint di inviare “I canti di un pellegrino” al concorso Premio Strega Poesia 2025 rappresenta un prestigioso riconoscimento per il suo talento. Quali emozioni ha provato nell’apprendere questa notizia e cosa significa per lei questo importante traguardo?

La scelta della casa editrice Booksprint come opera da inviare al Premio Strega Poesia 2025 è già un iniziale traguardo, un notevole passo avanti rispetto alle precedenti raccolte. Ma ora la partita è tutta da giocare. Non posso negare che miro ad un riconoscimento sempre maggiore, e se vincessi i miei sforzi artistici non sarebbero stati vani. Ringrazierei le Muse che mi hanno ispirato.

La casa editrice ha scelto la mia silloge tra decine di altre pubblicate nel corso del 2024.

E’ stato un grande onore per me. Ma, ripeto, un concorso così prestigioso merita di essere vissuto con la massima energia e voglia di farcela, due corollari della fiducia che nutro nei miei scritti. Concludo dicendo che una prima meta è stata raggiunta, ora spero di cuore che capacità e fortuna portino ad un felice compimento quest’avventura. La fortuna, purtroppo, gioca un ruolo fondamentale nelle vicende umane ma non credo sia questa la sede per spiegare cosa intendo con questo giudizio negativo sulla fortuna. Sarebbe un discorso troppo esteso.

Nella quarta di copertina de “I canti di un pellegrino” lei afferma: “Lo specchio dell’anima è un prisma dove i raggi di luce che incidono su di essa emergono da un’altra parte, con un nuovo colore. Nell’infrangersi dei sentimenti con le gioie e i tormenti della vita quotidiana, la poesia manifesta diversi colori e, come il prisma, restituisce i moti più profondi e complessi dell’anima”. E ancora, “creare è sinonimo di vivere'”. In un’epoca segnata da rapidi cambiamenti e incertezze, come si riflette questa visione prismatica dell’anima e della creazione nella sua poesia, e in che modo questa concezione può offrire spunti di riflessione e conforto ai lettori contemporanei?

L’idea dell’anima come un prisma è una metafora non solo poetica ma, credo, molto più realistica di quanto si creda. Il cervello, come le emozioni – che partono sempre dal primo – possono essere di una tale complessità da rendere l’animo umano un universo di grandissima complessità, di fronte al quale solo l’universo inteso come spazio intergalattico, in senso fisico, può stare alla pari. L’arte è figlia del cervello e delle emozioni pertanto è capace di riflettere la più grande complessità, bellezza e profondità possibili. Così l’anima dalle mille sfaccettature non può che generare creazioni dai mille volti. Il prisma rappresenta la caleidoscopica e gigantesca realtà della nostra essenza di esseri umani.

Nel momento in cui un autore mostra i diversi colori e tracce della sua anima, tali si riflettono nelle sue creazioni artistiche e i lettori possono così immedesimarsi in molti sentimenti e compartecipare di diverse idee o fantasie. Ecco che la visione prismatica dell’arte comporta la vastità delle esperienze emotive e intellettuali che il destinatario dell’arte letteraria, il lettore, può vivere leggendo. E la lettura è sempre una forma di rilassamento e conforto. Gaio Sallustio Crispo iniziò a scrivere monografie storiografiche anche come rifugio dalle desolazioni della vita.

La sua collaborazione con testate prestigiose come “L’Avanti”, “Il Pensiero Mazziniano”, “L’Occidentale” e molte altre, spaziando dalla divulgazione storica alla critica letteraria e alla politica contemporanea, testimonia un impegno culturale e sociale di grande rilievo. In un’epoca in cui l’informazione è spesso frammentata e superficiale, quale ritiene sia la sua missione come giornalista culturale dalle intense effusioni poetico letterarie, e quali strategie adotta per continuare a offrire un contributo significativo nel panorama mediatico attuale?

A questa domanda rispondo inserendo subito una mia idea: il giornalismo culturale, la divulgazione storica e tutto ciò che attiene all’informazione politica o geopolitica non devono essere soggetti ad intrusioni di natura artistica. Lo dico perché tratto giornalisticamente e culturalmente argomenti molto pratici, attuali e storici che richiedono uno studio attento ed una ancor più attenta esposizione. In questa attività, la mia missione se così possiamo chiamarla è quella di esprimere sempre perentoriamente e senza compromessi le mie idee, riflessioni, anche in un’ottica di analisi obiettiva dei temi trattati. Ho iniziato la mia attività di giornalista culturale spinto da un prepotente bisogno di esprimere, con brevi saggi o articoli, il mio punto di vista sull’attualità politica attraverso il prezioso contributo degli insegnamenti della Storia recente e remota. Ho preso atto che stiamo vivendo un periodo di grandissimi e velocissimi cambiamenti, un periodo dove può accadere tutto e il contrario di tutto: un periodo tra i più complessi e tormentati della storia. La solitudine interiore degli uomini si sposa con eventi politici e geopolitici delicatissimi, tali da portare gli attuali equilibri storici verso orizzonti che potrebbero cambiare i destini dell’umanità, come avvenuto in altre epoche “calde”. E’ per questo che ho deciso di far sentire la mia voce attraverso gli scritti culturali. Sono un collaboratore freelance di molti giornali. Sicuramente l’Avanti!, il glorioso Avanti!, ha un ruolo particolare perché dà la possibilità di esprimersi senza tante remore, restrizioni o censure. Ma essendo anche un profondo studioso della Storia, non posso non esprimere la mia simpatia per il quadrimestrale dell’AMI (Associazione Mazziniana Italiana), il “Pensiero Mazziniano”, dove i contributi di carattere storico sono i benvenuti. E’ una rivista di nicchia ma proviene, come l’Avanti!, da una lunga tradizione repubblicana che affonda le sue radici nel secondo dopoguerra.

La strategia che utilizzo come giornalista culturale è quella di non usare mezzi termini ma andare dritto all’obiettivo di riflessione che intendo trasmettere al lettore. Per questo, inserisco molti cenni storici nei miei articoli, paragoni tra il passato e il presente, episodi della storia passata che possono fornire insegnamenti ai contemporanei. Sono d’accordo con Cicerone il quale ha affermato che la Storia è Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis. Raccontare il passato per trarne insegnamenti e rimodellare presente e futuro. Poi ci sono ovviamente le sfide attuali e occorre essere coraggiosi, non solo nella scrittura anche se è già un buon inizio.

Salvina Cimino

Festa di carnevale con cocaina: a Castellana Sicula arrestato 21enne

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I Carabinieri della Stazione di Castellana Sicula coadiuvati dai colleghi dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia di Petralia Sottana hanno arrestato un 21enne castellanese, accusato di spaccio droga.

I militari, di pattuglia in occasione dei festeggiamenti del carnevale Castellenese che prevedeva anche una serata danzante organizzata nella piazza della frazione Calcarelli del piccolo centro madonita, a poca distanza dalla piazza in quel momento gremita di giovani intenti a divertirsi, hanno notato in una stradina poco illuminata, tre giovani accanto a una macchina che confabulavano tra loro.

Il particolare che ha fatto insospettire i Carabinieri è stato l’atteggiamento del 21enne che si guardava intorno con circospezione e per tale motivo, hanno deciso di procedere al controllo degli stessi ma dei tre ragazzi, solo il castellanese è rimasto vicino la vettura mentre gli altri due hanno fatto perdere le proprie tracce confondendosi repentinamente tra la folla carnevalesca.

Poco prima dell’arrivo dei militari, il 21enne ha tentato di disfarsi di un piccolo involucro ma il movimento non è sfuggito ai tutori dell’ordine che lo hanno recuperato constatando che si trattava di una dose di cocaina.

La successiva perquisizione veicolare ha permesso di rinvenire abilmente occultato all’interno del vano portaoggetti, un sacchetto di plastica trasparente con all’interno altri 10 gr. di cocaina e 2,2 grammi di ketamina.

Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Termini Imerese ha convalidato l’arresto, applicando all’indagato l’obbligo di dimora nel comune di residenza e la presentazione alla polizia giudiziaria.

Il ‘mercator’ ligure Nicolò Fieschi a Termini Imerese nella seconda metà del Cinquecento

La casata ligure dei Fieschi fu il ramo più importante della numerosa stirpe dei conti di Lavagna, un gruppo consortile composto da varie famiglie discendenti da uno stipite comune e che, intorno alla metà del XII secolo, ebbero diversi soprannomi distintivi, successivamente tramandati come cognomi alla loro progenie: Bianchi, Cavarunchi, Cogorno, Conti, Della Torre, Fieschi, Penelli, Rapallini, Ravaschieri, Scorza, Secco, San Salvatore ed altri.

Le antiche origini del casato dei Conti di Lavagna sono controverse e per una disamina delle varie ipotesi rimandiamo il lettore, per eventuali ulteriori approfondimenti, al documentato saggio di Marina Firpo (cfr. M. Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna. Strutture familiari a Genova e nel contado fra XII e XIII secolo, Collana di Studi Fondazione Conservatorio Fieschi fondata da Agostino Crosa di Vergagni, De Ferrari, Genova 2006, 332 pp.).

La bibliografia sui Fieschi è alquanto corposa, per cui rimandiamo al lettore ai lavori da noi consultati che, a loro volta, contengono ampi riferimenti.

I Fieschi discendevano da un appartenente alla consorteria dei conti di Lavagna, Ugo soprannominato Fliscus, documentato già ai primi del Duecento (cfr. G. Petti Balbi, I “conti” e la “contea” di Lavagna, Genova 1984, p. 24; M. Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna…cit.; A. G. Remedi, Il cardinale Manfredo da Lavagna e l’origine del cognome Fieschi da alcuni documenti dugenteschi inerenti i rapporti fra i conti di Lavagna, Milano e l’Impero in D. Calcagno, a cura di, “I Fieschi tra Papato e Impero”, Atti del convegno, Lavagna, 18 dicembre 1994, pp. 285-322).

La casata dei Fieschi, nel XIII secolo si divise in due distinte diramazioni: di Torriglia (Toriggia in ligure, oggi comune della città metropolitana di Genova) e di Savignone (Savignon in ligure, oggi comune della città metropolitana di Genova), rispettivamente discendenti da due figli di Ugo, Tedisio e Opizzone.

La casata annoverò diversi personaggi illustri: diede alla chiesa cattolica due papi, Sinibaldo di Ugo (Manarola, 1195 c. – Napoli, 1254, pontefice con il nome di Innocenzo IV dal 1243 al 1254) ed il nipote Ottobuono (Genova, 1205 c. – Viterbo, 1276, pontefice con il nome di Adriano V per soli 39 giorni), e ben settantadue cardinali (cfr. F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, ms. sec. XVII, Biblioteca civica Berio, Genova, ff. 221, 236-241v; L. T. Belgrano, Illustrazione del Registro arcivescovile, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. II, parte I-II, Genova 1862; E. Berger,  cur., Les registres de Innocent IV, Paris 1884-1897, ad undicem; N. Schöpp, Papst Hadrian V, Heidelberg 1916, ad indicem). Alla famiglia appartennero anche due religiose, entrambe vissute fra il sec. XV e il XVI: la mistica Caterina o Caterinetta Fieschi (c. 1447-1510), figlia di Giacomo e di Franceschetta di Negro (Santa Caterina da Genova, cfr. G. D. Gordini, Caterina da Genova, in “Bibliotheca Sanctorum”, III, coll. 984-989) e  suor Tommasina O. P. (c. 1448-1534), mistica, pittrice e ricamatrice (cfr. U. Bonzi, Fieschi (Tommasina), in “Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique, doctrine et histoire”, Beauchesne, Paris, V, 1964, coll. 332-336).

Come ricostruito da Marina Firpo (cfr. M. Firpo, La famiglia Fieschi dei Conti di Lavagna…cit.), attraverso una dettagliata ricerca archivistica, i Fieschi si espansero nell’Appennino tosco-ligure-emiliano, possedendo vaste zone-chiave per il controllo del transito appenninico. A Genova, grazie ad un’accorta politica matrimoniale, contrassero legami con altre importanti casate nobiliari (Bulgaro, Camilla, Grillo,  della Volta, Doria, de Mari, Malaspina etc.). Inoltre, nel corso dei secoli contrassero parentele con importanti casate italiane, quali i Visconti, i Savoia, gli Este, i Gonzaga etc.

Nei loro possedimenti fondarono numerosi edifici ecclesiastici (chiese private e conventi appartenenti ad ordini mendicanti, soprattutto francescani). Tra le chiese di patronato appare emblematica quella di Sant’Adriano, all’interno dei possedimenti della casata siti a Trigoso che, oltre ad essere avulsa dalla giurisdizione dell’arcivescovo di Genova, era legata di diritto al patronato dei membri ecclesiastici della famiglia, ai quali spettava l’elezione del preposito e dei componenti del capitolo. Nel 1336, il cardinale Luca Fieschi di Nicolò, stabilì che tutto il suo patrimonio fosse destinato alla costruzione di una ulteriore chiesa, giuridicamente legata a Sant’Adriano, che avrebbe dovuto derivare la sua denominazione dal suo titolo cardinalizio, Santa Maria in Via Lata,  e che avrebbe dovuto sorgere in Genova, sulla collina di Carignano, dove il padre aveva edificato un vero e proprio quartiere gentilizio (cfr. M. Firpo, I Fieschi. Potere, chiesa e territorio. Sant’Adriano di Trigoso e Santa Maria in Via Lata, Frilli, Genova 2007, 320 pp.). Nel borgo di San Salvatore (oggi frazione del comune di Cogorno, nella città metropolitana di Genova), invece, papa Innocenzo IV a metà del Duecento, aveva dato l’avvio all’edificazione della basilica del SS. Salvatore, che divenne la sepoltura gentilizia elettiva della stirpe dei Fieschi.

Gian Luigi (Gottardo) Fieschi Fregoso (c. 1441-1510) figlio di Gian Luigi (di Antonio fu Nicolò), del ramo di Torriglia, fu l’artefice dell’apogeo della famiglia e ricoprì lungamente l’ufficio di ammiraglio della repubblica; fu il capo della nobiltà vecchia e si distinse per una accorta opera di mediazione tra le diverse fazioni genovesi (cfr. M. Traxino, Gian Luigi Fiesco il Grande e la sua opera equilibratrice tra le fazioni genovesi, in D. Calcagno, a cura di, I Fieschi tra Papato e Impero, atti del convegno (Lavagna, 18 dicembre 1994), Lavagna 1997, pp. 269-285).

Sinibaldo Fieschi Del Carretto (c. 1485-1532), ultimogenito di Gian Luigi Fieschi Fregoso, per la prematura morte dei fratelli Gerolamo e Scipione, nel 1520 ereditò tutti titoli e domini feudali della famiglia. Fu un abile continuatore della politica paterna, volta ad una azione equilibratrice in seno alle fazioni della città di Genova. Egli passò alla storia anche per la sua fastosa e signorile munificenza che aveva il suo fulcro nel palazzo di Via Lata in Carignano (che per suo volere fu ingrandito ed impreziosito, dotandolo anche di una cospicua biblioteca). Però, tutte le enormi spese affrontate indebitarono la casata intaccandone la potenza economica. Alla sua morte, il figlio maggiore, Gian Luigi Fieschi Della Rovere (c. 1522-1547), dall’eredità paterna ricevette un complesso ed articolato patrimonio feudale, che le fonti spagnole indicano come Estado de los Fliscos, comprendente ben 33 castelli che permettevano il controllo delle principali strade appenniniche che fungevano da collegamento con la pianura padana. Nel 1547, riprendendo la politica filofrancese della casata, ordì la disastrosa e tragica congiura contro i Doria (divenuti ormai i dominatori di Genova con l’appoggio spagnolo) che portò alla confisca dei beni ed alla distruzione del fastoso palazzo di Via Lata, nonché il brillamento del castello di Montoggio.  Scipione Fieschi, fu l’unico di quattro fratelli che sopravvisse e che dopo vari passaggi riparò nel  regno di Francia sotto la protezione di Caterina de’ Medici ed il cognome della casata divenne de Fiesque. Nel 1548, l’imperatore Carlo V, con apposito diploma, concedette ad Ettore Fieschi fu Giacomo, del ramo di Savignone, per la fedeltà dimostrata nei confronti dell’impero durante la congiura precitata, l’octava pars del feudo omonimo unita alle tre “ville” di Sorrivi, Braia e Ternano, allora ricadenti nella giurisdizione di Montoggio [cfr. M. Firpo, Introduzione, in G. B. Crosa di Vergagni,  I Diplomi imperiali per i feudi di Savignone, Mongiardino, Vergagni (Fieschi – Spinola – Crosa), Collana di Studi Fondazione Conservatorio Fieschi,  Frilli, Genova 2008, p. 12 e doc. I]. Iniziò così la decadenza del ramo di Torriglia della casata, mentre quello di Savignone continuò a fornire funzionari governativi e diplomatici (cfr. M. Firpo, Gerolamo Fieschi. Un aristocratico genovese tra Repubblica e Impero 1701-1784, Collana di Studi Fondazione Conservatorio Fieschi, Sagep, Genova 2022, 256 pp.).

Nel 1995 si è avuta la nascita dell’Istituto di Studi sui Conti di Lavagna ISCL (cfr. https://istitutodistudisuicontidilavagna.weebly.com/) con sede a Genova. Ciò è avvenuto in seguito all’esperienza maturata dall’organizzazione del convegno “I Fieschi tra Papato ed Impero” (Lavagna, 18 dicembre 1994) e  successiva pubblicazione (Lavagna 1997) dei relativi atti, a cura di Daniele Calcagno, con prefazione di Gabriella Airaldi.

Relativamente a Termini Imerese, le nostre ricerche d’archivio hanno permesso di rintracciare negli anni 1562 e 1563 un Nicolò Fieschi, esponente della casata omonima, sinora non noto, che nei rogiti notarili di notar Tommaso Bertòlo (che teneva banco in detta città), risulta costantemente indicato come stabilmente dimorante (degens) nella Splendidissima, anche se non ancora divenuto cittadino, con il titolo nobiliare di Magnifico, la qualifica professionale di mercator e l’indicazione di provenienza januens.

Il primi due documenti rintracciati dagli scriventi si collocano allo scadere dell’anno 1562. Infatti, il 3 dicembre VI Indizione 1562 (corrispondente al 13 di detto mese ed anno, secondo il vigente calendario gregoriano, d’ora in poi cg), agli atti del detto notaio termitano, furono stipulati due rogiti che riguardano transazioni commerciali operate dal Nicolò Fieschi, relative soprattutto alla compravendita di partite di cereali e prodotti caseari stagionati.

Nel primo atto notarile, l’Honorabilis Magister Vincenzo Rizzo de Regno Neapolis si impegnava a pagare la somma di onze 10 e tarì 12 al Magnifico Nicolò Fieschi (ms. Fesco), per una partita di cacio di cui non è fornita alcuna ulteriore indicazione relativa alla quantità in peso. Nel detto registro notarile tale atto, però appare cassato e solo il 13 agosto (23 agosto cg) VI Indizione 1563 fu redatta a tergo la postilla, nella quale il Magnifico Nicolao Flisco ricevette dal detto Rizzo, il compenso per la precitata partita di cacio (cfr. Archivio di Stato di Palermo, Sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, notar Tommaso Bertòlo di Termini, vol 12954, f, 235v). Nel secondo rogito, l’honorabilis Sabbatus Greco, civis thermarum avendo sposato una termitana (propter ductionem uxoris), ricevette dal detto Nicolao Flesco, onza 1 per pagamento di merci acquistate su suo incarico nella vicina Caccamo (in terre caccabi). L’onza (od oncia) fu una moneta di conto, cioè puramente nominale, che ebbe corso nel Regno di Sicilia, corrispondente a 30 tarì, a 600 grani (o grana) ed a 3600 pìccioli.

Una sequela di ulteriori attestazioni documentarie, relative al Magnifico Nicolò Fieschi, sono state da noi reperite nei registri de detto notaio a partire del mese di settembre 1563, con il quale iniziava il successivo anno VII Indizione 1563-64.

Il XX settembre (30 settembre cg) VII indizione 1563, il Magnifico Nicolò Fieschi (Flesco) dichiarò che furono esibite e presentate al Magnifico Rainerio Serravallino, pisano, pubblico magazziniere del caricatore di detta città, certe lettere riguardanti la consegna di una partita di cantàri di cacio (cfr. ASPT, 1562-63 vol. 12954 ff. 15r-16v).

Ricordiamo che il cantàro (derivante dal latino centenariŭs, attraverso il neo-greco κεντηνάρι e l’arabo qinṭār, da cui trae origine anche l’italiano quintale attraverso il castigliano) era un’unità di misura di peso, vigente in Sicilia prima dell’introduzione del sistema metrico, pari a 79,3419 kg.

Il magazziniere era un ufficiale del locale Caricatore demaniale (complesso di magazzini per lo stoccaggio delle vettovaglie ed il successivo imbarco, previo dazio, per l’esportazione), addetto alla ricezione in deposito, con la mansione di riscuotere le concessioni di estrazione di vettovaglie (tratte), nonché i diversi diritti sull’esportazione, fungendo altresì da intermediario delle transazioni commerciali, lucrando sull’interesse legato alle oscillazioni positive dei prezzi di mercato. Nei decenni successivi, il notevole potere di questi funzionari fu in un certo qual modo arginato da una sequela di prammatiche (1585, 1587, 1594, 1604, cfr. C. Fimina, R. Potentianus e P. Amico, Pragmaticarum Regni Siciliæ novissima collectio, 2 voll., Orlando, Panormi 1636-37, II, ad indicem) atte a limitare l’ampia discrezionalità ed i possibili conseguenti abusi, derivanti dall’esercizio di tale carica.

Il rogito in questione riferisce che, agli atti di notar Giacomo (jacobo) Corsello di Palermo, era stato in precedenza stipulato l’atto di vendita della partita di formaggi. Da notare che nell’inventario del fondo notarile dell’Archivio di Stato di Palermo, invece, è attestato il notaio Giacomo Corsitto, documentato dal 1533 al 1567 (cfr. M. Vesco, a cura di, Fondo Notarile (già Notai Defunti). Elenco alfabetico. Stanze I-VII, Soprintendenza Archivistica della Sicilia – Archivio di Stato di Palermo, Palermo 2022, ad indicem). In virtù della detta stipula, il giorno XXXI agosto (10 settembre gregoriano) VIa Indizione 1563, nella città di Palermo, 200 cantàri di formaggio erano stati caricati per essere trasportati al «Caricatore della marina di Termini» ad ordine del detto Serravallino. Si trattava di formaggio «amezato» (maturo), della stagione precedente, del peso complessivo di 200 cantàri, al prezzo di tarì 43 il cantàroformagi amezato della staxione passata cantareorum dugento et sono per tanti ve[n]dutoli li iorni passati per tutto il presente mese a tarì 43 lo cantàro»)

Questo rogito appare emblematico, relativamente ad un’attività particolarmente ricercata dai mercanti liguri dimoranti a Termini Imerese, cioè l’acquisto e la vendita di prodotti caseari ben stagionati. L’attività di immagazzinamento e di commercializzazione del formaggio era spesso gestita da società di liguri, come nel caso specifico che stiamo trattando. Emergono, quindi, nuovi aspetti relativi alle relazioni tra i vari hombres de negocios di origine ligure che operavano nella piazza commerciale di Termini Imerese, scalo marittimo di riferimento di un ampio e fertile entroterra collinare e montuoso con il suo Caricatore. La cittadina imerese esercitava la sua preminenza economica su una larga porzione della Sicilia centro settentrionale, cioè gran parte dell’attuale comprensorio Termini-Cefalù-Madonie, per il quale rappresentava il punto di raccolta cerealicolo e di vendita dei prodotti agro-pastorali, oltre che il mercato di approvvigionamento di mercanzie e manufatti d’importazione. Termini Imerese, pertanto, costituisce un osservatorio privilegiato sulla presenza dei mercanti genovesi nelle città portuali siciliane del Cinquecento e del Seicento. Il trasporto dei formaggi dalla piazza commerciale di Palermo ai magazzini del Caricatore di Termini Imerese, doveva essere condotto con la massima perizia, evitando di  rompere le pezze che, di conseguenza, avrebbero subito un immediato deprezzamento. Il rogito non dà ragguagli sulla sua destinazione finale del prodotto caseario, anche se è plausibile ipotizzare il trasporto extra regnum che doveva avvenire con una certa sollecitudine, al fine di contenere i costi di ancoraggio che rappresentavano una spesa non indifferente a carico degli armatori.

Nel rogito in questione, inoltre, sono altresì riportati i vari passaggi di consegna della partita casearia, all’interno di un gruppo di mercanti liguri che fungevano da intermediari: da Vincenzo La Rocca a Tiberio Pallavicino, da costui a Nicolò Spinola figlio di Domenico, indi a Giuseppe Costa, per giungere finalmente a Nicolò Fieschi: «per vincenzo la Rocca le sopra detti cantàri 200 di formagi amezati le consegnerete al magnifico tiberio palavicino»; «e per me tiberio palavicino le sopra detti cantarata 200 di formagi le consignereti [sic, consegnerete] al magnifico nicolò spinola de dominici pertanti li ho venduti a tt.[tarì] 42,5 lo cantàro et del prezo [sic] mi contento per banco e per me nicolò spinola consignereti [sic, consegnerete] le restanti di detti cantarato 200 de formagi al magnifico joseph costa». «Io joseph costa ho reciputo [sic, ricevuto] li sopra detti ca[n]tarata ducento di formagi da voi magnifico raynerj serravallino supra cantarata 100 dal magnifico nicolò spinola de dominici et le restanti cantarata 100 li ho fatti bonj al magnifico nardo di alongi pro parti del magnifico vincenzo spinola dico cantarata 200 unde ut in futurum appartengono per sortij magnifici nicolao flisco». Testimoni alla stipula del rogito furono il nobile Gerolamo Carbone, il Magnifico Simone Rocca ed il Magnifico Nicolò Garifo (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertolo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. ff. 15r-16v).  Da notare che dei tre firmatari, due appartenevano a casate nobiliari di origine ligure che, in quel torno di tempo, erano presenti a Termini Imerese. Il detto Magnifico Simone Rocca appare menzionato in un rogito del XXIII settembre di detto anno, contenuto nel detto registro notarile, con l’indicazione di «mercator et januens» (f. 18). Del resto, sia i Carbone, sia i Rocca, infatti, appaiono menzionati nello stemmario manoscritto delle famiglie nobili liguri, opera di Giovanni Andrea Musso, che annovera ben 2569 insegne araldiche (cfr. G. A. Musso, La università delle insegne ligustiche delineate da Gio. Andrea Musso, manoscritto cartaceo datato 1680 della Biblioteca civica Berio di Genova,  ai segni m.r.C.f.2.22, rispettivamente al n. 344 ed ai nn. 90 e 162). Infine, è da notare il coinvolgimento nella transazione commerciale anche del Magnifico Leonardo (nardo) di Alongi (o Alonge), personaggio appartenente ad una illustre casata nobiliare termitana, dedita ai commerci e legata al locale Caricatore. Leonardo, nell’anno indizionale 1573-1574, fu Governatore della Cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini assieme al Magnifico Andrea Bertòlo ed all’Honorabilis Magister Antonino Maglietta di Pietro. Inoltre, Giacomo de Alonge, figlio del detto Magnifico Leonardo, fu Regio Pesatore (Regio Pisature) del Caricatore di Termini, come appare nel suo atto di morte, redatto il 24 febbraio IIIa Indizione 1620, essendo sepolto nella chiesa di Santa Maria della Misericordia (cfr. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese d’ora in poi AME, Defunti, vol. 92, 1615-22, f. 75v).

Due giorni dopo del rogito precedente, il XXII settembre (2 ottobre cg) VII indizione 1563, il Magnifico Nicolò Fieschi (Flesco o Flesca), presso il detto notaio stipulò altri tre atti notarili. Nel primo, vendette ad Andrea Rosolmini (Rosolminj) di Palermo e dimorante nella cittadina imerese, cantàri 150 caseorum amezatorum, depositati nel pubblico magazzino di Termini, al prezzo di tarì 40 e grana 2 (f. 16r e v). Testimoni all’atto furono i liguri Tommaso (Masio) Rocca, Bartolomeo Imperiali (Impiali) ed il nobile Benedetto Carbone (Carbuni). Da notare che Andrea Rosolmini apparteneva alla omonima casata (detta anche Resolmini) di mercanti e banchieri d’origine pisana (cfr. A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, 2 voll., Palermo, 1912-15, II, p. 107), attiva a Palermo sin dalla metà del Quattrocento e che, proprio in quel torno di tempo, appare diramata a Termini Imerese, Del resto, già agli inizi del Trecento esistette a Termini una colonia di Pisa, con la chiesa dei SS. Quaranta Martiri di Sebaste, sita nell’area dell’attuale Piazza del Carmelo (cfr. P. Bova – A. Contino, Termini Imerese: l’antica Chiesa madre era dedicata ai “SS. Filippo e Giacomo il Minore” e non a S. Giacomo Maggiore, “Esperonews”, 28 Luglio 2021, on-line su questa testata giornalistica). Il testimone Bartolomeo Imperiali (Impiali), in realtà apparteneva alla famiglia dei Baleano, originaria di Levanto (nella Riviera Ligure di Levante) e trasferitasi a Genova dove successivamente fu ascritta nel 1528 nella consorteria o albergo nobiliare degli Imperiali di cui assunsero il cognome. Un ramo si trapiantò a Termini Imerese dove è documentato attorno alla metà del Cinquecento, con il doppio cognome Imperiali Baleano (cfr. A. Contino – S. Mantia, Vincenzo La Barbera Architetto e Pittore Termitano, Gasm, Termini Imerese 1998, p. 26).

Nel secondo atto, Nicolò Fieschi, per suo nome e per conto del Magnifico Giuseppe Besio, dimorante nella città di Palermo, come da delega in un certo notar Xirunj (di Palermo?), rogata nel precedente anno VI indizione 1562-63, incaricarono Vincenzo Li Maistri di Termini, assente alla stipula, in qualità di loro procuratore, in solidum, di sbrigare i loro affari nella città di Termini e per loca partibus regni Sicilie (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. ff. 17v-18v), Testimoni al rogito, i Magnifici Simone La Rocca e Giacomo Garifo.  Da notare che i Besio furono un’antica famiglia mercantile ligure oriunda da Savona, diramatasi a Palermo dove è documentata sin dal Cinquecento.

Nel terzo atto, il Magnifico Nicolò Fieschi (Fiesco) vendette al Magnifico Gerolamo di fu Giovanni de Vecchiano (ms. Aveczano), pisano, salme 100 di frumento da consegnare nel pubblico magazzino di Termini entro gennaio p. v. al prezzo della meta (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. f. 18v). La salma era un’antica misura siciliana, nel caso specifico di capacità per aridi, che ammontava ad ettolitri 2,750888.

Il XXIII settembre (3 ottobre cg) VII indizione 1563, il Magnifico Nicolò Fieschi (Fiesco), stipulò altri due rogiti. Nel primo, nominò due soci, i Magnifici Gerolamo Vivaldi e Gerolamo Pinelli, quali procuratori (come da atto di procura in notar Vincenzo Cottonaro di Palermo) per l’acquisto presso lo zuccheriere (czuccararius) Giovanni Longo, di circa cantàri 60 «di seconda pasta di bianchi di melj bona» al prezzo di onze 6 e tarì 6 ed una seconda partita, di qualità leggermente inferiore, ad onza 4 per singola canna, da consegnare entro 17 giorni dalla data di stipula del rogito (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954. ff. 18v-19v). Testimoni: Giovanni Pietro Sans ed il nobile Vincenzo Giamboni.

Il Magnifico Gerolamo Pinelli, con tutta probabilità apparteneva agli Adorno (casata presente a Genova sin dal Duecento) che, essendo confluiti nel 1528 nell’albergo nobiliare dei Pinelli, assunsero il cognome di questa casata. Si trapiantarono a Termini Imerese nella prima metà del Cinquecento, dove infatti sono inizialmente attestati con il doppio cognome Pinelli Adorno [cfr. AME, Battesimi, 1542-48, f. 55r n. 5: 22 febbraio (4 marzo cg) IIIa Indizione 1545, battesimo della Magnifica Minichella figlia del Segreto Bernardino Romano, padrino il Signor Giambattista Pinello Adorno] e, successivamente, soltanto Pinelli. Anche il Magnifico Gerolamo Vivaldi doveva essere di origine ligure, ma allo stato attuale delle ricerche non abbiamo a disposizione ulteriori riscontri documentari.

Nel secondo atto, il Fieschi vendette al Magnifico Giuseppe Costa, anch’egli genovese dimorante in Termini, salme 200 di frumento di buona qualità, della varietà chiamata Maiorca, al prezzo di tarì 15 e grana 14 per ogni singola salma.

Il XXX settembre (10 ottobre cg) VII indizione 1563, l’honorabilis Giovanni Antonio Giallongo, del foro della Santa Inquisizione, attestava che i precitati Magnifici Vivaldi (ms. de Vivarj) e Pinelli, quali soci del magnifico de Fresco procuratorio nomine, secondo quanto asserivano, entro settembre avevano consegnato la quantità di 2 cantàri (di zucchero?) nel castello di Brucato, ad oriente di Termini (cfr. ASPT, atti Notar Tommaso Bertòlo di Termini Imerese, anno indizionale 1562-63, vol. 12954 f. 21).

Due rogiti, datati rispettivamente V (15 cg) Ottobre  e VI (16 cg) ottobre 1563, documentano i rapporti commerciali che il Fieschi intratteneva con altri mercanti abitanti nelle Madonie e, nello specifico, a Caltavuturo, nel settore occidentale di questo gruppo montuoso.

Nel primo rogito, un certo Giovanni Lambersa fu Nicolò della terra di Caltavuturo, presente alla stipula, dichiarò di aver venduto al Magnifico Nicolò Fieschi (Flesca), cantàri 30 di cacio da consegnarsi in Termini per prezzo di onze 40 (f. 24). Testimoni: l’honorabilis magister Matteo Di Giovanni, Filippo Romano ed il nobile Giangiacomo La Tegera. Nel secondo atto notarile, gli Honorabiles Vincenzo de Oddo e Giuseppe Lomberso di Caltavuturo, in solidum, si obbligarono con il Magnifico Nicolò Fieschi (Flesca) a fornirgli cantàri 47 di cacio da consegnare entro 15 giorni dall’inizio del mese venturo, franco di ogni dazio, da pagare in base alla meta. Testimoni: il Magnifico Gerolamo Carbone (Carbuni) ed il precitato Honorabilis <magister Matteo> Di Giovanni (f. 36v).

Infine, il VII ottobre (17 cg) VIIa Indizione 1563, il nobile Filippo Giampallari cittadino di Termini propter ductione uxoris ed il Magnifico Nicolò Fieschi (Fresco), stipularono un contratto relativo alla vendita di salme 100 di frumento al prezzo della meta (f. 41v.). Testimoni alla transazione economica furono l’honorabilis Luciano Comella, il Magnifico Giuseppe Petrarugia (Priaruggia), ed il Magnifico Sigismondo Sitayola (Sitajolo, casato di origine pisana). Lo stesso giorno, il Fieschi vendette al detto Magnifico Giuseppe Petrarugia mercator januens dimorante in detta città, salme 100 di frumento al prezzo della meta. Ricordiamo che il detto Giuseppe appartenne alla cospicua casata nobiliare dei Priarùggia o Petrarùgia o Petra Rubra (Pietrarossa), ben radicata a Termini Imerese tra Cinquecento e Seicento (Cfr. P. Bova – A. Contino, Dalla Liguria a Termini Imerese: la casata nobiliare dei Priarùggia tra Cinquecento e Seicento, “Esperonews”, 6 Giugno 2021, in questa testata giornalistica on-line).

Concludendo, i risultati delle nostre ricerche archivistiche permettono di aggiungere nuovi dati sulla multiforme e variegata comunità ligure di Termini Imerese, particolarmente fiorente nel Cinquecento, e sui reciproci rapporti con quella presente a Palermo. Del resto, la cittadina imerese era sede di una fiorente colonia ligure che disponeva sia di un consolato proprio, sia del patronato di una propria cappella sub vocabulo Sancti Georgii Martiris Nationis Januensis, ubicata nella chiesa francescana di S. Maria di Gesù dei padri osservanti [cfr. P. Bova – A. Contino, L’importazione e l’uso dell’ardesia ligure o “pietra di Lavagna” nella Sicilia centro-settentrionale (XVI-XVIII sec.), in G. Marino – R. Termotto, a cura di, Arte e storia delle Madonie Studi per Nico Marino, vol. VI, Associazione Culturale “Nico Marino”, Cefalù 2018, pp. 101-126, in particolare, pp. 112-113]. Gli appartenenti a tale colonia ligure erano particolarmente attivi in una vasta gamma di lucrose transazioni economiche ed alcuni di essi riuscirono ad entrare a far parte del patriziato urbano termitano, soprattutto attraverso un’accorta politica matrimoniale.

Infine, le nostre indagini archivistiche hanno permesso di scoprire un inedito corpus di attestazioni documentarie relative al Magnifico Nicolò Fieschi, abile mercante degens nella Splendidissima nel 1562 e 1563, costituito da una sequela di atti rogati dal locale notaio Tommaso Bertòlo, che ci offrono un inedito spaccato della Termini commerciale del secondo Cinquecento.

Patrizia Bova e Antonio Contino

 

Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, al direttore ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo – sezione di Termini Imerese. Un ringraziamento particolare va a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare delle ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.

Nella foto: Castello di Torriglia (GE)

Giornale di Cefalù, rinnovate le cariche della Camera Penale Himera, Cefalù, Madonie, Termini

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Rinnovate le cariche della Camera Penale Himera – Cefalù, Madonie, Termini – sono 3 i legali cefaludesi e soltanto 2 le donne. L’assemblea degli avvocati penalisti ha confermato per il biennio 2025 – 2026 alla presidenza Vincenzo Pillitteri; vice presidente è Luigi Spinosa – intervista in studio al segretario della Camera Giovanni Iuppa. Gaspara Stampa, Veronica Gambara, Isabella Di Morra, Vittoria Colonna – 4 poetesse del ‘500 – rivoluzionando il costume dell’epoca, con coraggio dedicano le loro rime ad un uomo. Per le associazioni Auser, Fidapa e Mariposa, l’intervento di Rosalba Gallà.
Dagli anni sessanta protagonista del movimento femminista locale, in dialogo con movimenti femminili e realtà sociali, culturali e politiche di varie parti del mondo. Ad Angela Di Francesca, Cefalù intitola una strada della Kalura e la commemora con una manifestazione presso il Teatro Cicero. Intervento assessore alla cultura Antonio Franco. Educare le nuove generazioni a tenere comportamenti corretti, di rispetto e di libertà. La seconda edizione di “Cosa porta il vento” regala l’opera teatrale “Dissonorata, un delitto d’onore in Calabria” – interventi del direttore artistico Tiziana Giordano e del pluripremiato regista ed interprete Saverio La Ruina.
Questi i servizi principali del Giornale di Cefalù – anno 42 n.1831 – videonotiziario – web diretto e condotto da Carlo Antonio Biondo; dal 13 marzo 2025 su facebook profilo Adriano Cammarata e sul canale you tube (https://youtu.be/GBgOAgHnubc) Carlo Antonio Biondo. Archivio Giornale su cammarataweb; link su tutti i social.

Si conclude con una lezione su “Esoterismo e letteratura” il Seminario promosso a Palermo da BCsicilia e Università Popolare

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Si conclude giovedì 13 marzo 2025 alle ore 16,30 presso la Sala Novecento dell’Hotel Joli in via Michele Amari, 11 (Angolo Piazza Ignazio Florio) a Palermo, il Seminario sull’Esoterismo nell’arte promosso da BCsicilia e dall’Università Popolare. Dopo la presentazione di Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale di BCsicilia, è prevista la conferenza dal titolo “Sul non detto della parola e sulla parola del non detto. Esoterismo e letteratura” che sarà tenuta da Giovanni Iannuzzo, Psichiatra e psi­coterapeuta.

L’articolato seminario prevedeva otto lezioni e tre visite guidate: a Noto, a Termini Imerese e a Capo d’Orlando. E’ possibile seguire le lezione in presenza oppure in Live streaming. Alla fine del Seminario verrà rilasciato un Attestato di partecipazione. E’ obbligatoria la prenotazione. Per iscrizioni: WhatsApp: 346.8241076 – Email: [email protected]. Facebook: BCsicilia.

Nella lezione verrà descritto il significato di esoterismo, e la sua rilevanza come modalità di comunicazione trasversale e non aperta a tutti, partendo dal significato che alle parole esoterismo ed essoterismo era stato dato originariamente da Aristotele, ripercorrendo poi la storia dell’esoterismo e delle dottrine di natura esoterica nel mondo moderno. Verrà inoltre approfondito il significato dell’esoterismo come modalità elitaria di comunicazione, e quindi latrice di messaggi non da tutti comprensibili, e non universalmente accettati, visti i problemi storici, politici e filosofici connessi a tale forma di pensiero. Prendendo le mosse da tale disamina storica e filosofica e psicologica, verranno analizzate le modalità con le quali il sapere esoterico si è espresso, in modo assolutamente simbolico e trasversale, nella letteratura ‘essoterica’, pertanto non finalizzata agli iniziati, ma aperta a tutti e a tutti comune, traendo la conclusione che i principi del sapere iniziatico sono rintracciabili, sebbene in forme sapientemente nascoste, non solo nelle fiabe, ma anche in classiche e celebri opere letterarie che fanno parte del nostro comune patrimonio culturale.

Giovanni Iannuzzo è medico psichiatra e psicoterapeuta. Ha lavorato per alcuni anni in ambito universitario, per poi dirigere diverse unità operative nel Servizio Sanitario Nazionale. Attualmente svolge attività di libero professionista. Noto in Italia e all’estero per i suoi interessi verso i fenomeni paranormali, è stimato come uno dei maggiori esperti di parapsicologia, area nella quale per anni ha condotto ricerche sperimentali, storiche ed epistemologiche. Alla sua attività clinica affianca, inoltre, da decenni, un costante impegno di ricerca nel campo delle medicine popolari e tradizionali e dell’etnopsichiatria. E’ autore di centinaia di articoli scientifici e di numerosi libri su tematiche afferenti alle scienze del comportamento.