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Recupero arretrati contrattuali ai forestali. La Uil di Palermo diffida la dirigenza generale del Corpo

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“Molti dei nostri lavoratori stanno esercitando il diritto di accesso agli atti; altri, assistiti dal Prof. Avv. Giovanni Catalisano, patrocinante in Cassazione, hanno anche diffidato la dirigenza generale del Comando Corpo Forestale in opposizione alla comunicazione di recupero arretrati contrattuali 2006-08 che il Dirigente Generale del Comando Corpo Forestale della Regione Siciliana sta facendo recapitare in questi giorni in tutta la Sicilia, tramite gli Ispettorati Ripartimentali e le pattuglie forestali in turnazione h12, ai lavoratori e alle lavoratrici; agli eredi dei lavoratori e delle lavoratrici morti, compreso i caduti sul lavoro; ai lavoratori e alle lavoratrici a tempo determinato, ancora non assunti e dunque disoccupati; ai lavoratori e alle lavoratrici già in pensione”. Lo dichiara Michelangelo Ingrassia, componente dell’Esecutivo Territoriale Uila Uil di Palermo, in merito alla vicenda degli arretrati contrattuali 2006-2008 che, a parere dell’Ente forestale, sarebbero stati percepiti indebitamente dai lavoratori del Servizio Antincendio Boschivo tra il 2011 e il 2012.

Nelle lettere che gli agenti del Corpo Forestale stanno notificando ai lavoratori, si fa riferimento a una Sentenza della Corte di Cassazione, la n. 355/2016, che per gli uffici del Dirigente Generale della Forestale sancirebbe che gli arretrati contrattuali risultino non dovuti.

“La diffida oppugna tale enunciazione – afferma Ingrassia – rileviamo infatti che la Sentenza Cass. n. 355/2016, in realtà, non pronuncia alcun diritto di credito dell’Amministrazione né un indebito pagamento in favore dei lavoratori. Si pronuncia, invece, esclusivamente sul rapporto tra i vari livelli di contrattazione. La Sentenza, peraltro, ha rinviato alla Corte d’Appello di Palermo, dove il giudizio andava riassunto. A oggi, però, non è noto se la ricorrente Amministrazione abbia effettivamente riassunto, davanti al giudice del rinvio, il giudizio entro i previsti tre mesi pena l’estinzione del giudizio stesso. Né tantomeno si conosce l’esito dell’eventuale giudizio di rinvio. Per questi motivi riteniamo illegittimo il recupero tentato dalla dirigenza generale del Comando e inesistente l’obbligo dei lavoratori di restituire le somme percepite. Pertanto, abbiamo diffidato la dirigenza generale del Comando ad annullare la richiesta di rimborso”.

Alle imperfezioni segnalate da Ingrassia, altre se ne aggiungono per l’organizzazione sindacale. Le spiega il Segretario Territoriale della Uila Uil Palermo, Giuseppe La Bua, per il quale: “in questa vicenda qualcuno ha giocato e continua a giocare a fare confusione tra il recepimento del CCNL 2006-2009, riconosciuto e recepito per la parte economica con la Delibera della Giunta Regionale n. 195 del 9 agosto 2008 con istituzione degli appositi capitoli di spesa n.ri 155318 e 150536, e l’Accordo sindacale siglato dal Presidente della Regione e dagli Assessori al ramo pro-tempore il 14 maggio 2009, che stabiliva quote, tempi e modalità di erogazione ai lavoratori delle somme arretrate.  Nella Sentenza della Corte di Cassazione, però, non c’è alcun richiamo o imputazione all’accordo del 2009”, conclude La Bua. I due sindacalisti, infine, sostengono che “dai lavoratori che vengono in sede per sottoscrivere la richiesta di accesso agli atti, stiamo acquisendo notizie che riguardano le modalità di notificazione dell’atto interruttivo del 2016, che stiamo verificando e valutando per tutte le conseguenze del caso”.

Il Sindacato, insomma, è intenzionato a dare battaglia sulla vicenda: “si tratta di una questione di principio e di giustizia sociale, che va risolta annullando le procedure di recupero e restituendo ai lavoratori ciò che nel frattempo è stato tolto”, concludono Ingrassia e La Bua.

 

Anche Cefalù avrà finalmente la scuola primaria a 40 ore

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Per la prima volta viene introdotta anche alla scuola elementare di Cefalù la possibilità, fino ad oggi negata ai bambini della locale scuola primaria e alle loro famiglie, di optare per un tempo scuola “pieno” a 40 ore settimanali. I nuovi bambini iscritti in prima elementare all’anno scolastico 2024/2025 potranno finalmente scegliere, come accade nel resto d’Italia, e vedere attuato un piano orario fin qui loro negato.

La realizzazione di questo progetto e di questa svolta epocale per la scuola cefaludese è stata merito del nuovo dirigente scolastico, Giuseppe Carlino, il quale ha ritenuto di dare seguito alle richieste dei rappresentanti di numerose famiglie in tal senso, facendosi parte attiva e intraprendendo interlocuzioni con l’amministrazione locale e col sindaco di Cefalù, Daniele Tumminello, al quale è adesso demandata l’attivazione della mensa scolastica.

Anche i bambini cefaludesi potranno così frequentare la scuola secondo quanto previsto da una legge dello Stato che non aveva finora mai visto attuazione in questa realtà, diversamente da quanto accade nei comuni limitrofi, quali Lascari e Finale di Pollina, in cui tale soluzione è attuata da anni e soprattutto rispetto alle avanzate scuole del nord Italia in cui è l’assoluta normalità.

Il divario scolastico tra nord e sud in tal senso è grandissimo.

Basti pensare che la scuola organizzata in 40 ore settimanali curricolari di didattica, anziché in 27 ore, è attiva per il 93 % dei bambini milanesi, il 62 % e oltre dei bambini dell’Emilia Romagna, del Piemonte, della Liguria, della Toscana e del Lazio, il 17 % per cento degli alunni siciliani (dati miur).

Il gap è dovuto alla mancanza di strutture ma anche di mentalità che al sud, talvolta, pesa più delle carenze strutturali.

E’ bene ricordare che la scuola senza tempo pieno equivale ad un anno di lezioni in meno per i bambini del sud rispetto a quelli del nord che, se protratta fino alla scuole medie, si traduce in circa due anni di tempo scuola in meno per i bambini che non vi accedono.

Questo, inevitabilmente, si riflette sulla preparazione dei nostri studenti creando divari nei rendimenti scolastici tra studenti del Nord e Sud, in particolare di quelli siciliani che risultano essere agli ultimi posti all’esito delle valutazione delle rilevazioni INVALSI.

I bambini siciliani sono meno intelligenti di quelli del nord o gli insegnanti del sud sono meno preparati? No di certo e dunque occorre riflettere e lavorare anche sul poco tempo che i nostri piccoli studenti trascorrono sui banchi come uno degli elementi che incide su questi risultati.

Se al nord Italia le 40 ore scolastiche sono un diritto, al sud diventano un lusso, riservato solo ai più abbienti che possono permettersi scuole private con orari prolungati.

Da quest’anno a Cefalù non sarà più così.

E questa novità sarà un grandissimo aiuto per le famiglie e per le madri lavoratrici che non possono conciliare una qualunque attività lavorativa con l’orario scolastico ridotto, attualmente in vigore.

Anche l’organico del corpo docente si avvantaggerà di nuove cattedre che compenseranno quelle che vengono meno col calo demografico ormai diffuso. Per non parlare della didattica che, soprattutto nei bambini più piccoli, può solo trarre giovamento dalla distribuzione in un tempo scuola più ampio.

La riuscita di questa formula oraria anche a Cefalù, oltreché dalla scelta fatta dalla locale istituzione scolastica d’Istituto, dipenderà anche ed inevitabilmente dalla sinergia con il Comune il quale si è dimostrato disponibile ad adoperarsi per l’attivazione della mensa.

Da quest’anno dunque, anche a tutti i bambini di Cefalù che lo volessero, non soltanto ai più agiati, verrà riconosciuto un diritto fin qui negato e potranno godere di un’offerta formativa che al Nord Italia è già una realtà consolidata da anni. Una svolta epocale per la cittadina turistica e per il suo futuro, che parte dai banchi di scuola.

Enzo Cesare

L’efficacia dei farmaci tradizionali e popolari

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Un campo di ricerca elettivo dell’etnologia è da sempre stato lo studio delle strategie terapeutiche tradizionali. Tale studio implica l’esplorazione di un’area ovviamente molto estesa. In genere viene sottovalutato (o è poco noto) il fatto che fra i tanti obiettivi della ricerca etnologica (e più in generale di quella specializzazione che viene definita ‘etnomedicina’) c’è quello dei rimedi farmacologici. Sembrerebbe una stramberia un po’ esotica, più topi di biblioteca che da clinici. Sono infatti indiscutibili i progressi della medicina scientifica moderna. Perché allora andare ad occuparsi di metodi di diagnosi e di cura differenti, addirittura preesistenti alla nascita della scienza occidentale moderna, e che affondano le loro radici in sistemi culturali e sociali profondamente diversi dal nostro. Ma diverso non significa necessariamente peggiore o semplicistico. E chi, non più giovanissimo, non ha mai fatto esperienza nella propria infanzia di medicine popolari, di decotti strani, di miscugli poco appetibili o di unguenti preparati in casa? In realtà la ‘vera’, evolutissima farmacologia moderna ha spiccato il volo da circa un cinquantennio. Prima in qualche modo ci si arrangiava, integrando quei pochi farmaci ‘ufficiali’ che erano disponibili con rimedi del tutto domestici. Le multinazionali farmacologiche erano ancora di la da venire.

La dimostrazione di questo assunto sta proprio nei dati scientifici disponibili sugli aspetti farmacoterapici delle medicine tradizionali. In modo del tutto indipendente dalle concezioni della natura e dell’origine delle malattie, spesso intrise da concezioni magiche o religiose, in qualunque epoca e in qualsiasi latitudine, è possibile rintracciare farmacopee estremamente specifiche, utilizzate per le più diverse affezioni.

Naturalmente, è estremamente difficile fare un inventario preciso di tali farmacologie, o disegnare una mappa ideale che le comprenda tutte. Secondo Norman R. Farnsworth, direttore del dipartimento di farmacognosia e farmacologia dell’University of Illinois a Chicago, stime attendibili hanno evidenziato che, sul nostro pianeta, esistano da duecentocinquantamila a settecentomila specie di piante superiori, molte delle quali ancora sostanzialmente sconosciute, e il dieci per cento di esse potrebbe essere stato, o essere tuttora, usato come farmaco nelle medicine tradizionali.

Ciò significa che un numero di piante variabile da venticinquemila a settantamila dovrebbe essere considerato parte integrante delle farmacopee tradizionali; a ciò si deve inoltre aggiungere un numero non precisabile di sostanze di altra natura. Il che dà un’idea approssimativa della reale fattibilità di questo inventario.

Ancora più difficile risulta, poi, una corretta valutazione dell’efficacia terapeutica delle sostanze un tempo impiegate come agenti terapeutici. Una corretta valutazione, infatti, implica studi in vitro e in vivo, sperimentazioni cliniche, confronti crociati con placebo in doppio cieco. Il che trasforma l’intento di verificare la validità delle farmacopee non ortodosse più impossibile che difficile, almeno allo stato attuale. Esistono comunque numerosi elementi storici e culturali che consentono una prima valutazione della reale efficacia dei rimedi farmacologici tradizionali, che derivano da una serie di studi compiuti con metodi classici di farmacologia sperimentale. Per esempio due grandi sistemi medici tradizionali, quello Ayurveda e quello Unani-Tibb, diffusi rispettivamente nel subcontinente indiano e in Pakistan, utilizzano ampiamente la Rauvolfia Serpentina, nell’ipertesione e specialmente nei casi di encefalopatia ipertensiva. Anche se già dal 1563 Garcia de Orta rese nota in occidente l’utilizzazione di questa pianta, bisognò aspettare quasi quattrocento anni, prima che i medici ne prendessero sul serio l’uso.

Alcune verifiche scientifiche

Fu infatti nel 1952 soltanto che fu isolato dalla Rauvolfia Serpentina l’alcaloide reserpina, un farmaco che, negli stati ipertensivi, produce una normalizzazione dei parametri cardiovascolari. Nello stesso tempo la sostanza dimostrò una spiccata azione psicotropa, il che ne spiegava l’uso indo-pakistano in certe forme di “pazzia”.

Un altro esempio eclatante è quello del ginseng, la celebratissima pianta in grado di ridare vigore psicofisico in tutta una serie di situazioni ampiamente propagandate. In realtà il ginseng (Panax Ginseng) è una pianta asiatica (ma ne esiste anche una specie americana, Panax quinquefolius) perenne, con radici carnose utilizzata in Cina, e anche altrove, da tempi immemorabili per un suo generico effetto anti stress.

L’analisi chimica della pianta ha consentito di evidenziare in essa alcuni composti, come il B-sitosterolo, l’acido oleanolico e il panaquilone. Quest’ultimo sembra stimoli le secrezioni endocrine, mentre la panoxina, anch’essa rinvenuta nella pianta, sembra avere una attività stimolante e tonica sul sistema cardiovascolare. Un’altra significativa attività del panacene sembra essere quella analgesica e tranquillante.

Le pianta contiene anche la “ginsenina” dalle proprietà antidiabetiche. Anche questa pianta classica delle farmacopee tradizionali sembra quindi avere un effetto reale, dovuto alle combinazioni dei suoi principi attivi. Pur essendo un toccasana miracoloso il suo impiego appare razionale.

Quelli appena riportati sono solo due esempi, ai quali se ne potrebbero aggiungere molti altri, in qualunque branca medica. Già negli anni 70 del secolo scorso, una commissione statunitense, l’American Herbal Pharmacology Delegation, analizzò le sostanze descritte in un libro di medicina tradizionale cinese, che erano impiegate come componenti di 796 ricette indicate per usi terapeutici.

Lo studio in questione appurò che molte di quelle sostanze erano farmacologicamente attive sui disturbi per la cura dei quali venivano usate. Risultò, così, che il 45% delle ricette esaminate avevano una solida base razionale. Per quanto riguarda invece il 49% di esse non si disponeva di informazioni sufficienti per una valutazione.

L’esempio non è valido solo per sistemi medici tradizionali altamente strutturati, come quello cinese che vanta una storia plurimillenaria. Una ulteriore conferma del significato autenticamente terapeutico delle farmacopee tradizionali viene anche dallo studio delle medicine più primitive.

Nel basso Zaire, per esempio, come risulta da uno studio di Janzen e Arkinstall, due esperti psicofarmacologi, esiste un trattamento, più o meno standardizzato, della crisi psicotica acuta. Esso prevede la somministrazione di estratti preparati da quattro piante: Brillantaisia Patula (delle Acanthacee), Virectaria multiflora (delle Rubiacee), Erigeron Floribundus (delle Compositae) e Piper Umbellatum (delle Piperacee). L’estratto di queste piante viene diluito in acqua e somministrato diverse volte al giorno. L’effetto è potentemente sedativo.

Chi somministra il farmaco ha una chiara idea dei suoi effetti collaterali, conosce la dose tossica e sa gestire la terapia in maniera razionale. I dati emersi dimostrano che l’uso di queste sostanze è farmacologicamente giustificato. Tutto questo proietta una nuova luce sulla validità scientifica delle sostanze usate come presidi terapeutici in etnomedicina. Cancella, cioè, da un certo punto di vista, diffusi pregiudizi. D’altra parte, per individuare farmacopee tradizionali non è necessario indagare i sistemi tradizionali complessi, sviluppatisi in zone lontanissime del globo.

Anche la medicina popolare delle nostre zone fornisce validi esempi di approcci apparentemente empirici che in realtà hanno una base e un fondamento scientifico. Si pensi per esempio alle diverse varietà di funghi con proprietà psicotrope presenti nelle Madonie – i cui effetti sono quasi sovrapponibili a quelle del Peyotl o della Mescalina – , all’uso ormai tradizionali di sedativi naturali come le foglie d’alloro, in varie concentrazioni per i suoi effetti spasmolitici sedativi e blandamente ipnotici (l’alloro può però avere, in alte quantità, effetti psicotropi potenti: si pensi che la Pizia, la sacerdotessa dell’Oracolo di Delfi, prima di vaticinare, masticava grandi quantità delle foglie di questa pianta); all’uso tradizionale dell’aglio come ipotensivo, vermifugo e disinfettante intestinale; all’uso popolare del decotto di prezzemolo (che contiene apiolo) per l’aborto ‘casalingo’ nelle nostre zone; o ancora all’uso del decotto di cipolla come diuretico, della malva e dei fiori di fichi d’India come antinfiammatorio e disintossicante, del biancospino come sedativo ed ipnotico; o ancora a quella ricchissima farmacopea erboristica che continua ad essere usata non solo nelle nostre campagne ma anche nelle isole di cultura tradizionale ancora esistenti nelle realtà metropolitane.

Il dubbio che sorge, a questo punto, non è tanto quello della validità dei rimedi antichi, quanto quello della differenza con i farmaci moderni.  Se infatti diciamo che la medicina tradizionale utilizza sostanze farmacologicamente attive, in base a criteri empirici e non scientifici, nel senso che comunemente diamo a questi termini, potremmo pensare che si tratti solo di rimedi primitivi, di quando ancora, cioè, le proprietà di certe sostanze si intuivano anziché essere inconfutabilmente dimostrate. E quindi sono potenzialmente insicure. In realtà è proprio questa la concezione che si deve evitare. Infatti la differenza tra farmacopee tradizionali e farmacopea moderna risiede non tanto nel tipo di farmaco utilizzato, quanto all’uso che se ne fa.

Dove sta la differenza?

In tutte le medicine tradizionali, infatti, da quelle più esotiche alla medicina popolare delle nostre montagne, la farmacopea rappresenta solo un mezzo, non il mezzo per produrre la guarigione. Per quanto i principi utilizzati siano attivi è molto importante il modo in cui essi vengono somministrati, l’atmosfera nella quale la somministrazione avviene, il rapporto che, nell’atto della prescrizione, esiste tra paziente e terapeuta.

Il farmaco infatti ha una funzione simbolica che spesso travalica ampiamente il suo contenuto chimico. Esso è anche un contenitore di valenze affettive, culturali, sociali e in questo senso somministrarlo significa fare agire non solo un composto chimico, ma anche ciò che tale composto rappresenta.

I medici Unani attribuiscono, per esempio, a ogni sostanza terapeutica delle qualità umorali uguali a quelle degli umori: una medicina calda, per così dire, produce un temperamento caldo e quindi va prescritta a quei soggetti i cui disturbi sono dovuti a un temperamento freddo. Quanto nell’azione terapeutica può essere attribuito alle specifiche significazioni simboliche attribuite al farmaco? Un rimedio in forma di pillole non è la stessa cosa di un rimedio in forma globale, per esempio, una pianta somministrata nella sua interezza. Se a una pianta viene attribuito uno specifico valore culturale c’è da chiedersi quanto questo possa interagire col processo terapeutico affettivo. Nello stesso tempo il medico tradizionale, oltre al farmaco, deve essere in grado di “prescrivere se stesso”, per usare una metafora del medico e psicoanalista Michael Balint. Una consuetudine che la moderna medicina occidentale ha da molto tempo dimenticato.

Tutti questi fattori, molti dei quali ancora non esplorati compiutamente hanno un’importanza rilevante nella comprensione delle farmacologie tradizionali. Esse infatti uniscono alla utilizzazione di sostanze efficaci, come è stato dimostrato dalla ricerca di base, un modo specifico di utilizzarle. Lo studio di questo secondo fattore potrebbe contribuire validamente al raggiungimento di due obiettivi: il primo attiene alla formulazione di strategie efficaci per un’utilizzazione clinica diretta dei rimedi farmacologici popolari, in una prospettiva globale del  processo terapeutico, molte caratteristiche del quale ci sono tuttora sconosciute. Il secondo, molto più prosaicamente, riguarda il possibile risparmio sulla spesa sanitaria, scegliendo anche l’uso di farmaci tradizionali (laddove ragionevolmente efficaci) insieme ai farmaci di sintesi. E’ questa la grande terra di nessuno nella quale medicina, psicologia e farmaco economia possono incontrarsi, collaborare e, forse, integrarsi.

Giovanni Iannuzzo

A Ribera tutto pronto per “Terra Mia”, il Festival per celebrare le eccellenze agricole e lo sviluppo sostenibile

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Dal 23 al 26 Maggio 2024, la città di Ribera si appresta ad accogliere “Terra Mia” Festival dell’agricoltura e dello sviluppo sostenibile. L’evento, annunciato dal sindaco avv. Matteo Ruvolo, è organizzato dall’Associazione “Luna e dintorni”, sotto la guida di Vincenzo Tudisco, l’evento, si pone l’ambizioso obiettivo di consolidare il ruolo di Ribera come fulcro dell’agricoltura siciliana.

La storia di Ribera nel contesto agricolo risale al lontano 25 aprile del 1962, quando, alla presenza del sindaco Santo Tortorici e dell’on. Angelo Bonfiglio, si tenne la prima fiera dell’agricoltura.

Nell’anno precedente era intervenuto l’on.le Giovanni Leone, futuro presidente della Repubblica sempre per inaugurare la fiera riberese.

Il territorio di Ribera, ricco di risorse idriche grazie al fiume Sosio-Verdura, è da sempre destinato alle produzioni agricole di eccellenza. La sua storia è intrinsecamente legata all’agricoltura italiana, con produzioni di successo che si sono avvicendate nei secoli. Si sono così susseguite, le colture più redditizie: riso, canna da zucchero, cotone, la famosa fragolina, la vite, fino ad arrivare ai giorni nostri con l’eccellenza italiana: l’arancia bionda Wascinton Navel Dop, vanto di un’agricoltura d’avanguardia.

Un aspetto significativo della storia di Ribera è la presenza di una cartiera, testimone dell’operosità della popolazione dalla metà dell’Ottocento fino agli anni Quaranta. Oggi, la produzione della pera coscia si sta facendo strada nella grande distribuzione, diventando un punto di orgoglio per la comunità. Non è di meno la produzione olivicola con la delicata cultivar Biancolilla coltivata lungo il fiume Verdura, con un olio delicato e fortemente aromatico, con un leggero retrogusto piccante che ne conferisce un gusto molto particolare.

Il “Terra Mia” Festival non si limita a mettere in mostra le eccellenze agricole, ma abbraccia l’intero paesaggio di Ribera, includendo la Foce del Sosio-Verdura, la Via della zagara, il castello di Poggio Diana e il geosito della gola del Lupo. La prospettiva culturale si estende anche a personaggi illustri come Francesco Crispi e al prestigioso Conservatorio “A. Toscanini”.

La location è quella fascinosa della villa comunale, fiore all’occhiello della città. Un luogo incantevole che invita a perdersi tra viali fioriti e alberi secolari, in un tripudio di colori e profumi inebrianti.

L’evento affronta tutte le sfaccettature dell’agricoltura, con soluzioni espositive che coprono l’intero ciclo produttivo, dalla lavorazione del terreno alla trasformazione dei prodotti. L’Agricoltura 4.0 si integra armoniosamente con l’obiettivo di sostenibilità, evidenziato dal Sindaco Ruvolo.

Particolare attenzione è dedicata all’enogastronomia regionale, con corsi di analisi sensoriale e degustazioni della triade alimentare mediterranea, curati da Slow Food.

“Terra Mia” è un festival ricco di sfaccettature: oltre attrezzature agricole con tecnologia 4.0, verranno allestiti l’agri-villaggio gastronomico e street food, saranno realizzati convegni, seminari, workshop, laboratori, prove in campo e spettacoli musicali. L’evento offre uno spazio significativo anche alla cultura, con spettacoli musicali con presentazioni di libri.

In quattro intensi giorni, il festival si propone di favorire incontri e sinergie tra espositori, produttori, visitatori e l’intera comunità locale. L’Associazione “Luna e dintorni”, presieduta da Vincenzo Tudisco, esperto nella promozione del territorio e delle produzioni di eccellenza siciliane è l’organizzatrice dell’evento. Per ulteriori informazioni, è possibile visitare il sito ufficiale del festival: www.festivalterramia.it o contattare il numero telefonico 377.6829949.

Inaugurazione Festival 2023

Campofelice di Roccella: “Voltaire, l’Apostolo della tolleranza” al Salotto letterario “A casa di Anna”

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Promosso  da BCsicilia, Casa Editrice Don Lorenzo Milani, Associazione L’Isola possibile, nell’ambito della rassegna “Libri in campo 2024”  si terrà l’iniziativa “Le parole dei filosofi: Francois-Marie Arouet detto Voltaire (1694-1778), l’Apostolo della tolleranza”, cura del

prof. Frank La Brasca. Introduce l’incontro Anna Laurà, Presidente BCsicilia Sede di Campofelice di Roccella. L’incontro si terrà domenica 25 febbraio 2024 alle ore 17.00 al Salotto letterario “A casa di Anna” in viale Italia, 1 – Campofelice di Roccella. Info e prenotazioni: email campofelicediroccella @bcsicilia.it – Tel. 340.1775806.

Laureato in filosofia e in italiano, specialista in umanesimo italiano (in latino e in volgare) dal XIV al XVI secolo. Autore di articoli sul pensiero e la letteratura italiana dal XIV al XVII secolo nonché sulla tradizione degli autori classici latini (Plinio il Vecchio, Virgilio, Catullo) nel Rinascimento. Ha pubblicato un estratto degli aneddoti fiorentini dello storico francese Antoine Varillas relativi all’epoca di Lorenzo de’ Medici (Parigi, 1998) nonché un estratto della traduzione francese (1562) della Storia naturale di Plinio. Noroy (Parigi, 1999). Partecipa ai progetti di edizione-traduzione presso Belles Lettres dell’opera omnia di Leon Battista Alberti e del Corrispondenza del Petrarca.

Giornale di Cefalù, questione acqua e bollette “pazze” di Amap al Consiglio comunale

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Nessun “goal” nella riunione straordinaria del Consiglio Comunale di Cefalù convocato su richiesta della minoranza sulla questione acqua e le bollette “pazze” inviate da Amap ai cittadini. La palla, nel nostro caso l’acqua, torna al centro del dibattito cittadino con tanti dubbi e zero soluzioni immediate. Da Amap arriva la disponibilità ad essere presente solo per 60 minuti e solo on line alla riunione del Consiglio. E la riunione viene con voto unanime rinviata per concordare una nuova data compatibile con l’azienda, intanto continua nelle buche postali il flusso delle incomprensibili bollette forfettarie “pazze”. Un resoconto della seduta del Consiglio nell’intervista al Presidente Francesco Calabrese (nella foto) e gli interventi dei Consiglieri: Carmelo Greco, Simona Vicari, Antoniella Marinaro, Sara Pizzillo ed il Vicesindaco Rosario Lapunzina. Archeoclub Cefalù insieme ad Archeoclub d’Italia ha presentato presso la Scuola media Porpora il progetto triennale – Alle fonti della nostra storia Le pietre identitarie, “Lumachella” di Cefalù. Il progetto gode della collaborazione della Diocesi e dell’Università di Palermo. Al Giornale di Cefalù gli interventi della Vicepresidente nazionale Flora Rizzo, la Presidente della sezione di Cefalù Stefania Randazzo e del Commissario dell’Ente Parco Madonie Salvatore Caltagirone.
“Femminicidio e narcisismo patologico” è il titolo di un saggio che è stato presentato alla Fondazione Mandralisca, un libro scritto a più mani da professionisti del settore e da donne che raccontano le loro esperienze. Gli interventi del curatore Andrea Giostra, psicologo clinico e dell’avv. Luigi Spinosa, Vice-Presidente della Camera Penale di Termini Imerese, Cefalù, Madonie.
Il Giornale di Cefalù – anno 41 n.1783 – videonotiziario – web diretto e condotto da Carlo Antonio Biondo; da giovedì 22 febbraio 2024 può essere seguito, e rivisto su facebook adrianocammarata e sul canale you tube Carlo Antonio Biondo (https://youtu.be/LVmkn8WDJhU). Archivio Giornale su cammarataweb; link su tutti i social.

Termini Imerese, due pali elettrici caduti a causa del forte vento

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Il forte vento sta causando diversi disagi a Termini Imerese. Le potenti raffiche hanno, tra le altre cose, prodotto la caduta di due pali elettrici, uno nella centralissima Piazza Umberto I, accanto al monumento dedicato al sovrano piemontese, in questo caso il lampione  si è adagiato all’interno dell’aiuola, il secondo in contrada Bragone, dove ha ostruito parte della carreggiata. I due pali della luce divelti sono stati messi immediatamente in sicurezza da tecnici comunali prontamente intervenuti sul posto.

Secondo le previsioni metereologiche il forte vento dovrebbe subire una attenuazione  nelle prossime ore.

 

Incendi, spopolamento, giovani, sinodo: nostra intervista al Vescovo di Cefalù, Mons. Marciante

«La chiesa, – dice la “Gaudium et Spes” – ha il compito di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche». Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. In tal senso infatti, la Chiesa di Cefalù, guidata da S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante, segue costantemente da molto vicino la vita dell’intero territorio diocesano, ed è attenta ai bisogni della comunità dei fedeli che la compongono. In tal senso, abbiamo intervistato il Vescovo di Cefalù per fare il punto su quanto accaduto la scorsa estate in materia di incendi, poi la crisi legata allo spopolamento delle Madonie, passando per il Sinodo in corso, fino al progetto di “Casa Betania”.

Eccellenza, grazie per aver accettato questa intervista. Questa estate, come ormai quelle degli ultimi anni, purtroppo, è stata segnata dagli incendi che hanno devastato e lacerato ancora una volta il nostro Comprensorio. Alla luce di quanto accaduto, cosa bisogna fare per porre fine, o almeno arginare questo fenomeno, ovviamente criminale?

«Grazie a lei. Il tema degli incendi è legato al cambiamento climatico in atto, che sta portando desertificazione al Sud, specialmente in Sicilia. Quando soffia poi lo scirocco si crea un mix pericoloso. In tutto questo c’è ovviamente chi ne approfitta, i cosiddetti piromani: dolosi e patologici. Cosa si può fare dunque per arginare questo fenomeno? Personalmente non sono un esperto in materia però posso sicuramente affermare che ci sono soluzioni. La prima azione è sicuramente quella di ridurre le emissioni di CO2. In secondo luogo, bisognerebbe tornare ad abitare le campagne perché i terreni lasciati incolti “raccolgono” il combustibile che alimenta gli incendi. La seconda azione è quella di combattere con pene severe chi commette questi reati perché al momento ci sono poche sanzioni in merito. Intanto si creano danni alla natura e alla società perché la natura è un bene comune. Forze dell’ordine e magistratura hanno il compito di vigilare e reprimere questi reati; capire in fondo chi sono coloro che hanno interesse ad appiccare il fuoco. La terza azione è sicuramente quella della prevenzione degli incendi monitorando il nostro patrimonio boschivo. Siamo nel secolo dell’intelligenza artificiale: usiamola. Ci sono droni che riescono ad individuare un incendio prima che divampi in maniera irreversibile. In tutto questo, cittadini, agricoltori e allevatori devono essere coinvolti nel principio di autoprotezione. Sarebbe interessante creare una rete; attuare una politica agraria per i terreni incolti. Far rinascere la passione per la terra: molti terreni appartenenti al demanio statale e regionale perché non affidarli a chi potrebbe coltivarli e proteggerli? In ultima analisi, gli enti competenti dovrebbero realizzare un ripristino del territorio per conoscere i punti fragili, rimboscare e mappare le aree bruciate; ripristinare tutto questo».

Quanto accaduto, può avere ricadute negative sull’economia, ma anche sui sentimenti delle persone che, magari, di fronte a tutto ciò cominciano a pensare di lasciare la terra natia, per dirigersi verso mete sconosciute, e spesso incerte?

«Provo un senso di scoraggiamento e abbandono. In questi ultimi incendi lo abbiamo avvertito ancor di più, specialmente nelle aree interne. Le conseguenze sono sicuramente l’abbandono delle attività legate alle aree interne, lo spopolamento e la desertificazione. Quest’ultima è palpabile. Lei si è accorto che non piove da tempo? Il cambiamento climatico è un problema serio. Ha ragione Papa Francesco ad insistere su questa problematica, ne vale del futuro della nostra Terra».

A proposito di lasciare la propria terra. Negli ultimi anni un altro fenomeno, purtroppo sempre più in divenire, è quello dello spopolamento delle Madonie: cosa possono, e devono fare le istituzioni (compresa la Diocesi che comunque sotto il suo ministero ha avviato tante iniziative) per fermare questa inesorabile fuga di giovani? La speranza è ancora viva?

«Oggi non vanno via solo i giovani, con essi partono anche i genitori dei ragazzi. Vanno via perché hanno paura di rimanere da soli. Nelle aree interne rimangono solo gli anziani: è drammatico. Questo significa che anche loro si sentono abbandonati. Dall’altra parte i figli, sentono il bisogno di avere i genitori accanto per creare ed organizzare una nuova famiglia. Abbiamo quindi l’emigrazione di famiglie oggi, non solo dei giovani. Questo aggrava ed accelera ancor di più lo spopolamento delle nostre terre. A ciò aggiunga anche il calo delle nascite. Purtroppo la nostra nazione si sta accorgendo in ritardo del calo demografico. Qualche stato europeo, penso alla Francia, ha cercato di porre rimedio. Continuando in questo modo il popolo italiano si estinguerà e con esso la sua cultura andando così ad impoverire l’Europa, il mondo. Occorre dunque dare nuove ragioni di vita creando nuove proposte di lavoro soprattutto attraverso la “green economy”. La Sicilia ha una vocazione green: non abbiamo le grandi industrie, ma la nostra vocazione non è questa. Adesso è necessario creare nuove proposte di lavoro, anche attraverso le nuove frontiere tecnologiche. Durante la pandemia ho visto tanti giovani reinventarsi con lo smart working: si sono industriati per mantenere il lavoro che avevano anche all’estero rimanendo però nel nostro territorio. A Castelbuono ad esempio c’è una bellissima esperienza giovanile di coworking (lavoro in condivisione), li ho incoraggiati e presto pensiamo di attuarla anche qui a Cefalù. Il settore turistico gestito in modo intelligente potrebbe dare lavoro in tutte le stagioni. Tutti sono concentrati sul turismo estivo e questo potrebbe quasi essere irrispettoso per la stessa città che ha tanto da offrire tutto l’anno. Noi abbiamo una grande fortuna: i monti, le colline e il mare. Ci vuole molta creatività, ma mi sembra che manchino (almeno nelle aree interne) dei centri per addestrare una nuova classe di giovani imprenditori. Sogno da tanto tempo una scuola per imprenditori».

Cambiamo argomento, la Diocesi di Cefalù prosegue il suo percorso sinodale. L’ascolto, durante tutta la sua fase è importante, cosa si auspica possa venir fuori da questo importante strumento che la Chiesa ha messo a disposizione dei vescovi? Si parla di crisi di vocazioni, in un certo senso, il sinodo diocesano può essere concime fertile per la fioritura di nuove vocazioni nella Diocesi di Cefalù?

«Il Sinodo rappresenta un nuovo stile di essere Chiesa. Vivere l’esperienza sinodale significa innanzitutto una Chiesa dell’ascolto. La Chiesa deve essere attenta a questo ascolto della realtà e della società umana perché, se deve parlare agli uomini, li deve anzitutto conoscere perché altrimenti non può parlare loro. La Chiesa ha un messaggio da portare: è allora necessario un ascolto per una conoscenza vera della realtà. Dopo l’ascolto viene l’accoglienza e qui bisogna essere aperti ad ogni tipo di essa. Non bisogna volgere l’attenzione maggiore a chi è convertito o segue una prassi di vita cristiana, ma deve rivolgere lo sguardo oltre, andando anche oltre sé stessa, verso quelle realtà che sentono la chiesa “ostile”, non come Madre. La Chiesa Sinodale è la Chiesa della partecipazione cioè permette a tutti di poter esprimere la propria identità, carisma e ruolo facendo partecipare alle sue scelte pastorali: tutto questo per una missione. A tal proposito ci sono tre verbi che rendono quanto detto: ascoltare, partecipare e evangelizzare. Portare l’annuncio della Parola con i segni perché non ci può essere un annuncio senza di essi. Gesù ha chiesto ai suoi di evangelizzare, ma ha anche dato loro il potere dei segni. Ecco allora che la Chiesa sinodale è l’ambiente più idoneo all’emergere delle diverse vocazioni. Se c’è partecipazione, c’è anche diversità di vocazione. Direi che la vocazione viene da una semina: se trasmettiamo la fede seminando la parola, allora avviene la vocazione. Diversamente non si raccoglie. Il cristiano deve sapere qual è la sua identità, questo è importante anche ai fini delle stesse vocazioni delle nostre comunità».

Il progetto di Casa Betania ad Obala in Camerun, è sicuramente una splendida iniziativa. Quali saranno i prossimi passi per la costruzione di questo “ponte” tra Cefalù e Obala?

«È un’apertura importante per due motivi. Innanzitutto perché ci offre la cosiddetta spinta missionaria che oggi forse non è più considerata come un tempo; ormai molte terre sono raggiunte dai missionari dai cristiani. La missione oggi si concepisce quindi come una sollecitudine reciproca delle Chiese, cioè una collaborazione tra queste: idea questa che arriva dal Concilio che ho voluto sposare in pieno e con entusiasmo. Abbiamo aperto questo rapporto con la Diocesi di Obala che sta dando buoni frutti. Quest’ultima offre tanto alla Chiesa di Cefalù per la presenza di giovani seminaristi che una volta diventati sacerdoti rimarranno in diocesi come fidei donum. La nostra Chiesa si arricchisce quindi di gioventù, entusiasmo e gioia. Tutto ciò giova molto alle Chiese antiche. Cefalù esprime così la sua vita, la sua identità e la sua generosità verso una Chiesa giovane, creando  quelle realtà che possono essere d’aiuto specialmente per le nuove generazioni».

Giovanni Azzara

Cade un pezzo di cornicione da un palazzo a Termini Imerese, tragedia sfiorata

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Tragedia sfiorata questa mattina a Termini Imerese.

A causa del vento freddo, che sta interessando il nostro territorio, un pezzo di cornicione proveniente da un palazzo in Corso Umberto e Margherita (parte alta), si sarebbe staccato finendo così sopra una vettura. All’interno di quest’ultima era presente una donna la quale fortunatamente, da quanto si apprende, starebbe bene soltanto tanta paura.

Sul posto sono giunti tempestivamente i Vigili del Fuoco, la Polizia Municipale, e i Carabinieri per mettere in sicurezza la zona.

Salvarono tre minorenni in balia delle onde: encomio pubblico a tre militari della Guardia Costiera di Porticello

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La sera del 9 novembre 2022, i militari della motovedetta della Guardia Costiera di Porticello, già in attività di pattugliamento della costa, hanno tratto in salvo tre minorenni che si trovavano a bordo di un natante da diporto che era rimasto in balia delle onde a causa dell’improvvisa avaria al motore.

L’attività di soccorso, coordinata dalla Sala operativa della Direzione Marittima di Palermo, si è svolta nelle acque antistanti il Comune di Santa Flavia e si è conclusa con il rientro in sicurezza nel porto di Porticello, consentendo, così, ai tre minori di potersi ricongiungere con i loro familiari.

Per la professionalità, la tempestività e l’alto senso del dovere dimostrato in occasione del salvataggio, il Consiglio comunale ha deliberato all’unanimità il conferimento dell’encomio pubblico a memoria della meritevole attività che ha visto protagonista l’equipaggio della motovedetta, riconoscendo nella Guardia Costiera di Porticello “un baluardo della sicurezza del territorio flavese che si sviluppa sul mare”.

L’Amministrazione civica del Comune di Santa Flavia ha conferito un encomio pubblico all’equipaggio della motovedetta in servizio presso la Guardia Costiera di Porticello. La cerimonia di consegna si è tenuta presso la sede Municipale del Comune di Santa Flavia, in occasione della seduta del Consiglio comunale, alla presenza del Direttore Marittimo della Sicilia Occidentale e del Sindaco del Comune di Santa Flavia.