Tecnologia e società: la possibile nocività dell’esposizione a campi elettromagnetici

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Conosco una persona che si chiama Mario Rossi. La conoscete anche voi. E’ il vostro vicino di casa, uno dei vostri amici, quel tizio che incontrate sull’autobus ogni mattina, quel simpaticone col quale di tanto in tanto andate a cena fuori, o a giocare a poker. Forse è anche quella persona che vi sbircia curiosamente dallo specchio quando vi ci guardate dentro.

Mario Rossi non ha caratteristiche particolarmente salienti, anzi, è una persona assolutamente normale, con i suoi vizi, le sue virtù, le sue abitudini.  Ha un titolo di studio, un lavoro tranquillo, vive da solo o, se preferite, è sposato,  ha un certo numero di amici e di amiche, ovviamente, e coltiva hobbies ed interessi.

La sua casa è piccola, ma arredata secondo tutti i dettami della moderna architettura tecnologica. E’ una persona che si aggiorna costantemente, il signor Rossi, e ci tiene  ad essere sempre all’avanguardia.

La sua giornata comincia alle sette del mattino, in genere. A quell’ora – minuto in più, minuto in meno – la melodia che ha programmato sulla sua radiosveglia digitale lo scuote dai torpori notturni, e gli sussurra che una nuova giornata è incominciata. Si gira dall’altra parte, ma per non più di dieci minuti, perché a dieci minuti e un secondo di distanza, la sveglia del cellulare strimpella imperiosa un altro motivetto. E’ ora di alzarsi. Con uno sbadiglio, il nostro amico preme il pulsante della suoneria, e si alza. In cucina preme ancora, sbadigliando, l’interruttore della macchinetta elettrica per il caffè, e accende il televisore per vedere cosa è successo nel mondo, mentre lui beatamente dormiva. Ha un televisore nello stesso angolo della macchina del caffè, e mentre aspetta che il marchingegno sprema fuori un po’ di espresso, sta a guardare a cinquanta centimetri di distanza, la faccia sorridente della presentatrice che promette una mattinata ricca di servizi esclusivi.

Prende infine il caffè e si ficca sotto la doccia. Dieci minuti dopo è già pronto, sale in macchina e si reca al lavoro. Nel frattempo continua ricevere chiamate al sempre presente cellulare. E’ ormai diventato una sua appendice anatomica, sempre in stand by. Se non riceve o effettua telefonate, manda messaggi. E’ il leit motiv, il ritornello della sua giornata.

Mario Rossi lavora in una azienda. La sua mansione è di stare seduto al computer, per rispondere alle telefonate o alle mail dei clienti, prendere appuntamenti, disdirli, fornire tutte le informazioni che i clienti desiderano, e questo con ritmi praticamente ininterrotti, dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio, a parte un breve intervallo per uno spuntino. Lavoro pesante, sempre lì a guardare parole e dati che occhieggiano da dietro lo schermo di vetro del computer, a pochi centimetri di distanza dal suo naso. Il sole fa capolino assai timidamente dalle finestre, in inverno. Le lampade al neon forniscono però una illuminazione uniforme e, tutto sommato, gradevole.

A pranzo Mario Rossi, che non ama i tramezzini, fa un salto a casa, che dista pochi minuti di macchina dal suo posto di lavoro. Apre il frigo, prende un surgelato e lo mette nel forno a micro-onde. In pochi minuti, può gustare una pietanza sfiziosa e non il solito panino.

Poi di nuovo al lavoro, sino alle diciassette, orario in cui Mario Rossi, è libero di dedicarsi del tempo.

Anzitutto arrivato a casa, dopo uno spuntino, si piazza davanti al suo personal computer. Sempre un computer è, certamente, ma è del tutto diverso utilizzarlo per faccende di lavoro, o per chattare su Internet o addirittura per sfidare una intera squadriglia di incrociatori alieni che vogliono invadere la terra. E’ il suo modo di difendersi dallo stress, dice. E che soddisfazione, quando vince una partita!

Non sappiamo molto della vita privata del signor Rossi. Sicuramente andrà a cena fuori con la sua compagna, andrà a ballare, al cinema, al teatro, o magari sarà un pantofolaio, ma qualunque cosa faccia non ci riguarda. Sappiamo che in genere torna a casa verso le 23, nei giorni lavorativi, stanco e soddisfatto. Poi va in camera da letto e accende La televisione, programmandone a suo piacere lo spegnimento.  La giornata è finita. Buona notte, signor Rossi.

La giornata del signor Rossi è una giornata ‘media’. Ciascuno di noi può riconoscere in ciò che fa il nostro amico una, due o più azioni assolutamente quotidiane. Sembra che non ci sia nulla di misterioso o insolito nel quotidiano, che è tale proprio in quanto assolutamente noto e routinario. In realtà non sempre è così.

Molti psicologi ed esperti delle strategie della comunicazione sostengono che le cose appaiono come appaiono semplicemente perché esse sono guardate da una certa prospettiva e non da un’altra. E’ anche questo il caso del signor Mario Rossi.

Mettiamola così: il signor Rossi ha fatto, dalle otto del mattino alle 24, una serie di azioni (ne ha fatte ovviamente molte di più ma noi ne abbiamo sommariamente descritto solo alcune, quelle che più ci interessano). Viste da una certa prospettiva le azioni del signor Rossi sono abituali sino alla noia. Viste da una prospettiva diversa, sono molto più inquietanti di un film di Hitchock.

Perchè il signor Rossi ha usato un certo numero di cose, anch’esse estremamente quotidiane. Dalla radiosveglia, al televisore, al personal computer, al cellulare si tratta di oggetti che vengono utilizzati con estrema frequenza e facilità. Ed è proprio questo uso che è fonte di inquietudine.  Tutti questi oggetti, infatti, sono accomunati dal fatto di creare ed emettere radiazioni elettromagnetiche. L’innocua giornata del signor Mario Rossi è stata anche una pericolosa gimkana tra fonti di energia delle quali non sono il signor Rossi, ma anche la scienza tuttora non conosce ancora esattamente gli effetti sulla salute.

Tecnologia e società

Viviamo in una società altamente complessa e ‘tecnologica’. Nel contempo per motivi strettamente connessi alla stessa struttura produttiva e alle esigenze sempre più pressanti di una società complessa, viviamo in un ecosistema che è lontano anni luce da quello originario della nostra specie. Viviamo in città che sono giganteschi alveari, secondo regole quanto mai distanti dai ritmi biologici e psicologici naturali.

Questa situazione è complicata dal fatto che, per potere adattarci meglio ai nuovi ritmi di vita e alle nuove esigenze, dobbiamo utilizzare una serie di strumenti che sembrano ormai indispensabili. L’elenco è lungo: anzitutto l’illuminazione artificiale. Poi il telefono cellulare, il televisore, lo stereo, i computer, le stampanti, gli orologi digitali, la Playstation, la macchinetta elettrica per il caffè, l’agenda elettronica, i forni a microonde. Al lavoro pure la fotocopiatrice e il fax. Insomma, tutta una serie di apparecchiature che semplificano le nostre attività, e ci lasciano più tempo libero per fare molte altre cose. Che a loro volta implicano l’uso di altre apparecchiature, con finalità ludica, anziché lavorativa. Ma si tratta sempre di apparecchiature.

Il nuovo ‘habitat’ dell’uomo moderno, è rappresentato da spazi reali limitati (il mono-appartamento in un condominio alveare) e di spazi virtuali vastissimi (Internet, o i social) che consentono di rapportarsi con un mondo altrimenti troppo vasto e dispersivo o di ricevere in tempo reale una mail da qualsiasi angolo del mondo.

Questo implica una problematica medica che sino a pochi anni fa era del tutto sconosciuta, o quasi: quella degli ‘spazi confinati’. Detto in altri termini, viviamo in ambienti piccoli circondati da una serie di apparecchiature che realmente emettono radiazioni. Che beninteso potrebbero essere anche innocue, ma che, anche, sono talmente ‘concentrate’ da aver creato non poche perplessità sulla loro reale innocuità.

Alcuni fenomeni strani debbono suscitare la nostra attenzione. Per esempio vi sono alcune specie di uccelli migratori che sbagliano i luoghi dove andare a svernare e lo stesso avviene per alcune specie marine. Il fatto è che questi animali si orientano seguendo il campo geomagnetico terrestre e che sono confusi dai campi Elettro Magnetici artificiali, il che la dice lunga sulla loro diffusione e la loro intensità.

Oggi siamo sommersi dalle radiazioni Elettro-Magnetiche di giorno come di notte. E, non dimentichiamolo, il nostro organismo non è programmato per questa ‘immersione totale’. D’altra parte non siamo i soli bersagli di questa tempesta elettromagnetica artificiale. La fascia d’ozono è, per esempio, continuamente bombardata da energie invisibili: radar civili e militari, microonde e onde radio, e tutte le potenti energie che stanno oggi alla base delle telecomunicazioni. Esistono insomma dei dati generici quanto vogliamo, ma significativi a proposito degli effetti delle radiazioni elettromagnetiche sull’ecosistema. E anche se fossero semplici ipotesi meriterebbero lo stesso di essere prese in considerazione.

E così sono nati nuovi capitoli della medicina ambientale: oggi sappiamo perfettamente che esiste una ‘patologia da computer, o una patologia da ‘illuminazione artificiale’. E’ un dato di fatto che nel nostro mondo industrializzato viviamo immersi in una sorta di ‘smog elettromagnetico’ generato da cavi elettrici, linee di alta tensione, trasmissioni radio e televisive, trasmissioni radar. Tutto questo è ormai indispensabile, ma può, al contempo avere ipotetici effetti sulla salute. Certo, siamo ancora alle ipotesi, e vi sono numerosi tentativi di raccogliere dati certi sulla pericolosità per la salute delle radiazioni elettromagnetiche. Però, per pura e semplice logica, appare abbastanza ovvio che dalla continua esposizione ad energie estranee all’ecosistema naturale possano derivare danni alla salute. A conferma di questa ipotesi, studi condotti ripetutamente in aree geografiche diverse hanno evidenziato, per esempio, una relazione tra massiccia esposizione a radiofrequenze e microonde e un aumento di rischio di cancro, leucemia, cataratta; si è anche supposto che esista la possibilità di malformazioni fetali (specialmente la sindrome di Down). Al contempo, l’esposizione a intensi campi elettromagnetici sembra poter essere all’origine, sul piano clinico, di depressione, suicidi, malattie neurologiche gravi (per esempio l’encefalomielite mialgica). Tutti questi studi non sono ancora riusciti  a dimostrare una correlazione diretta tra inquinamento elettromagnetico e patologia, ma confermano che l’ipotesi che tale correlazione esista non è proprio strampalata. Di certo il problema esiste.

Ma non crediate che sia qualcosa di nuovo. Tutto sommato si tratta del vecchio aforisma di Paracelso, il medico-mago del Rinascimento: “E’ la dose che fa il veleno”. Basta capire di che tipo di veleno si tratti.

Affrontare globalmente il problema, nella sua scala planetaria è difficile, e richiede peraltro una competenza pluridisciplinare. Inoltre si tratta, anche in questo caso come in quello dell’inquinamento chimico o da sostanze radioattive, di una problematica enormemente complessa.

D’altra parte, scienziati e tecnologi, nel corso dei secoli, sono stati bravissimi nel riprodurre i fenomeni, ma assai meno bravi a controllarne le conseguenze. Fa ormai parte della storia della scienza, il fatto che i primi scienziati atomici a Los Alamos, maneggiavano tranquillamente e senza alcuna protezione le pastiglie di materiale radioattivo, del tutto ignari delle conseguenze letali di questa pratica. E si narra anche che la scoperta del radio, da parte dei Curie, sia stata dovuto proprio ad un errore di questo tipo: scoperto il misterioso minerale, Pierre Curie prese la pietra radioattiva e la mise nel taschino del panciotto, con la massima disinvoltura, salvo poi a scoprire poco dopo che questa azione gli aveva causato una ustione proprio all’altezza del luogo ove aveva posto la pietra. Esempi, si, ma che dimostrano come il passo dalla scoperta di fenomeni e leggi naturali, alla loro ‘riproduzione’ sia molto più breve di quello che si pensi, e che pur essere assai carico di conseguenze non controllabili. Cominciamo col valutare un dato di fatto indiscutibile: l’energia elettromagnetica è ormai parte integrante non solo del nostro stile di vita quotidiano, ma anche del nostro habitat e di quella che, a torto o a ragione, chiamiamo la nostra ‘civiltà’.

Di fatto, però, le discussioni, accademiche e non, sulla possibile nocività, sia fisica, sia psichica, di questa esposizione massiccia a campi elettromagnetici dura ormai, in una interminabile altalena di conferme e smentite, da decenni, spesso con toni eccessivi, sia da una parte che dall’altra, come è sempre accaduto nei grandi dibattiti scientifici. E si ha l’impressione che la parola “fine” a questa disputa sia ancora sia ancora ben lontana dall’essere scritta.

Giovanni Iannuzzo

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