“Servi dell’Amore Misericordioso” impugnano il decreto di scioglimento: atto palesemente illegittimo

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E’ stato reso pubblico il decreto con cui si comunicava la soppressione dell’Associazione pubblica di fedeli di diritto diocesano ‘Servi dell’Amore Misericordioso”. Ma chi l’ha redatto ha dimenticato di dire che la comunità ha impugnato il provvedimento in quanto ritenuto palesemente illegittimo. Spirito cristiano avrebbe voluto che si aspettasse almeno la pronuncia del Dicastero per le Chiese Orientali che ha emanato l’atto e a cui per norma va proposto ricorso: ma si vede che in qualche zona della chiesa questo stile è poco conosciuto. Anche perché con la presentazione del ricorso il decreto, secondo le norme del diritto canonico, e come scrive nell’atto di appello la comunità, dovrebbe essere sospeso. Ma perché tutta questa fretta a far conoscere il provvedimento? C’entra nulla il fatto che è stato nominato il nuovo Vescovo che guiderà l’Eparchia di Piana degli Albanesi?

Ma andiamo ai fatti. “Al fine di fornire una informazione ufficiale e diffusa, confermando quanto già precedentemente comunicato, Mons. Domenico Mogavero, Delegato per quest’atto dal Dicastero per le Chiese Orientali, in data 10 settembre 2025 ha dato esecuzione a un Decreto del medesimo Dicastero del 21 agosto 2025, prot. n. 87/2010, con il quale è stata deliberata la soppressione dell’Associazione pubblica di fedeli di diritto diocesano ‘Servi dell’Amore Misericordioso’”. Così il comunicato a firma dello stesso delegato del Dicastero per le Chiese Orientali, mons. Domenico Mogavero, nel quale si rende noto che copia originale del Decreto “è stata consegnata a P. Emilio Cassaro e ne è stata data lettura ai membri dell’Associazione in seduta congiunta”.

Ad essere precisi questo è l’unico atto formalmente portato a conoscenza della comunità, di tutti gli altri provvedimenti prodotti, con cui si è trascinata questa bizzarra vicenda dello scioglimento, pervenuti alla stessa, non esiste nessuna notifica. Le altre comunicazioni sono stati inviate per lettera, email o comunicati stampa, niente di ufficiale. Questo di per se nel nostro diritto civile renderebbe già nullo l’intero procedimento.

Come detto nei dieci giorni successivi, come prevede il Codice di diritto canonico, la comunità ha presentato ricorso allo stesso Dicastero per le Chiese Orientali, che ha emanato l’atto. L’organismo ha un mese di tempo per decidere se accogliere il ricorso e rivedere tutto il procedimento oppure rigettarlo. In questo ultimo caso si passa al superiore istituto che è il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. E tramite i suoi avvocati l’associazione ha fatto sapere che intende proporre ricorso.

Cosa contesta nei fatti la comunità? Intanto le accuse semplicemente ridicole con cui si è pensato di sciogliere l’Associazione senza nessuna possibilità di conoscere realmente e avere la possibilità di difendersi da tali ingiuste falsità, e questo a molti ha reso palese che le motivazione erano altre, che niente avevano a che fare con la cura delle anime.

Ma la cosa che appare più incredibile alla comunità è che a costruire tutta l’accusa e a deciderne la soppressione è il Dicastero per le Chiese Orientali privo di ogni competenza nei confronti di realtà ecclesiali di rito latino, in questo caso solamente in base al mero elemento geografico: il fatto che la stessa ha sede a Santa Cristina Gela, uno dei cinque paesi di cui si compone l’Eparchia di Piana degli Albanesi.

La comunità contesta inoltre che tutta la vicenda sia palesemente cosparsa di tali e tanti vizi e infondatezze che si riserva di meglio delucidare nel momento in cui verrà finalmente chiamata a difendersi dalle accuse.

Se non fosse per il momento terribile e amaro che stanno attraversando moltissime persone che hanno vissuto questa straordinaria esperienza comunitaria e per cui la fede è una cosa molto seria, in questa storia ci sarebbe anche un aspetto comico. La comunità ha chiesto, come del resto previsto dal codice canonico, l’integrale refectio damnorum morali e materiali subiti e subendi a norma del can. 935 del Codice di Diritto Canonico in base al quale: “Chiunque danneggia illegittimamente un altro con un atto giuridico, anzi con qualsiasi altro atto posto per dolo o colpa, ha l’obbligo di riparare il danno arrecato”.

Sarebbe tutto da ridere che qualche prelato paghi di tasca propria dopo tutto questo “impegno” accusatorio.

Comunque chi pensava per ragioni che nulla hanno a che vedere con la fede di cancellare facilmente la più bella esperienza ecclesiale in Sicilia ha vinto una compassionevole battaglia: la strada è ancora molto ardua. La giustizia e la verità può farsi strada anche quando si ritiene che la malvagità, l’invidia e la falsità abbiano avuto il sopravvento. Ai membri della comunità e alle tantissime persone che vivono questo doloroso momento vogliamo dire coraggio, anche i primi cristiani furono perseguitati ma poi impressero una svolta nella storia. E i loro aguzzini per sempre additati al pubblico disprezzo.

Alfonso Lo Cascio

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