L’evento: la frana del 1851
Nel 1851 Montemaggiore Belsito fu colpita da una devastante frana, conseguenza di piogge intense e prolungate che trasformarono il terreno argilloso in una colata di fango incontrollabile. Il 14 marzo, giorno in cui la frana raggiunse il suo culmine, oltre 1.500 abitazioni crollarono e 4.000 risultarono gravemente minacciate. Il disastro coinvolse sia case popolari, spesso costruite con materiali poveri e modesti come i dammusi (case a un piano con soppalchi in legno), sia edifici prestigiosi come il palazzo dei principi e il teatro settecentesco, costruito sulle rovine di una chiesa storica. Circa 285 famiglie persero la propria abitazione, trovandosi costrette a trasferirsi o addirittura ad abbandonare il paese.
A peggiorare la situazione, un violento temporale tra il 7 e il 9 novembre causò ulteriori danni e crolli, ampliando la ferita aperta dal disastro primaverile.
Via Stazzone e la frana: il contesto di fra Giovannangelo
Per introdurre la biografia di fra Giovannangelo da Montemaggiore, abbiamo scelto di descrivere la situazione drammatica che si visse in quegli anni nel quartiere in cui egli abitava, precisamente in via Stazzone.
In quella via, proprio a pochi passi dalla sua casa, la frana avanzava lenta ma inesorabile, travolgendo le abitazioni circostanti: “Proprio a un tiro di schioppo da casa sua, la frana avanzava, lenta ma inesorabile e molte case terranee erano crollate per lo smottamento. La casa di Antonino era una casa, come tante, a un piano con un soppalco in legno, un ‘dammuso’, e spesso monolocale… Oltre millecinquecento case crollarono, mentre quattromila risultarono minacciate dal movimento franoso.”
Questa descrizione vuole restituire l’intensità e l’impatto personale del disastro, evidenziando come la frana non risparmiasse nessuno, colpendo ugualmente i più umili e i palazzi nobiliari.
Interessante è anche il riferimento alla chiesa delle Anime Sante del Purgatorio, posta accanto alla casa di fra Giovannangelo (al secolo Antonino felice), che pare aver in qualche modo rallentato la frana grazie alla sua mole e alle sue solide fondamenta. Nonostante ciò, anche questa chiesa fu poi demolita e ricostruita, a testimonianza della vastità dei danni subiti.
La narrazione, pur essendo un testo introduttivo scritto in fase di ricerca e non un racconto diretto del frate, offre un importante quadro di riferimento per comprendere il contesto storico e sociale in cui fra Giovannangelo visse, nonché l’intensità di un evento che segnò profondamente la comunità di Montemaggiore.
Il consolidamento e la lotta contro la frana: l’opera degli ingegneri borbonici
Dopo il disastro, per fermare definitivamente l’avanzata della frana e mettere in sicurezza il territorio, il Comune di Montemaggiore Belsito si adoperò con le autorità del Regno delle Due Sicilie e affidò il progetto a un ingegnere di grande competenza, l’ingegnere Palermo.
L’intervento più significativo fu la costruzione di un imponente muro di contenimento, realizzato sotto il livello del suolo e lungo diverse decine di metri, la cui funzione era quella di bloccare il movimento franoso alla sua base. Il costo di questi lavori fu sostenuto in parte dalle casse comunali, a testimonianza dell’importanza che l’amministrazione locale attribuì alla messa in sicurezza del paese.
Ancora oggi è possibile osservare parti di questa opera ingegneristica: in via Arciprete Calogero Licata, alcuni tratti del muro emergono dal terreno, così come nel livello basso all’esterno del centro polifunzionale Giovanni Paolo II. Questi resti costituiscono una testimonianza tangibile di un intervento fondamentale che permise a Montemaggiore di fronteggiare e superare una delle sue crisi più drammatiche.
La frana nelle vie di Montemaggiore: la toponomastica come memoria del disastro
La devastazione provocata dalla frana lasciò un’impronta indelebile anche nella toponomastica del paese. I nomi delle vie raccontano storie di perdita, rinascita e memoria.
Via Flora un tempo conduceva a una delle zone più rigogliose e fertili di Montemaggiore. Travolta dalla frana, quell’area perse la sua vocazione verde, ma il nome sopravvive, spesso accompagnato dal termine popolare “Sciurera”, a evocare la trasformazione del paesaggio.
Similmente, via del Pesco e via Noce indicavano territori ricchi di vegetazione, ormai devastati dal disastro. La persistenza di questi tòponimi rappresenta un legame tangibile tra il presente e la memoria di un passato agricolo e florido.
Un caso particolare è via Scuole, il cui nome deriva da un progetto risalente al 1913 per la costruzione di una scuola in un’area denominata “Largo Frana” o “Flora”, spiazzo creato dallo smottamento che distrusse gli edifici originari. Questo esempio mostra come la toponomastica non solo registri la storia, ma anche le speranze di ricostruzione e rigenerazione.
Infine, la necessità di ricollocare gli abitanti in un nuovo quartiere dopo la frana ha probabilmente dato origine a tòponimi legati alla rinascita e al cambiamento, segnando ulteriormente la trasformazione urbana e sociale del paese.
La frana del 1851 ha segnato indelebilmente Montemaggiore Belsito, segnando non solo il territorio fisico ma anche la memoria collettiva. Attraverso la toponomastica, che conserva nomi e tracce di quel passato tragico, e attraverso il racconto introduttivo che abbiamo scritto per la biografia di fra Giovannangelo, emerge un quadro vivo e complesso di un evento che ha ridefinito la comunità.
Questo intreccio tra narrazione, storia e geografia ci permette di comprendere come il paesaggio non sia mai neutro, ma un archivio vivo di esperienze e memorie, che continua a parlare a chi lo attraversa ogni giorno.
Cronologia essenziale della frana di Montemaggiore Belsito
12–17 marzo 1851 Piogge torrenziali colpiscono il territorio di Montemaggiore Belsito, saturando il terreno argilloso e predisponendolo allo smottamento.
13–15 marzo 1851 La frana si attiva con forza distruttiva. Crollano oltre 1.500 abitazioni, compresi il palazzo dei principi e il teatro tardo-settecentesco. Più di 4.000 case risultano minacciate. Circa 285 famiglie rimangono senza casa.
7–9 novembre 1851 Un violento temporale e forti venti aggravano la situazione. Altri edifici già compromessi vengono abbattuti dalle intemperie.
Dopo il 1851 Il Regno delle Due Sicilie, in collaborazione con il Comune di Montemaggiore, affida all’ingegnere Palermo il progetto di consolidamento del suolo franoso. Viene realizzato un muro di contenimento sotterraneo, lungo diverse decine di metri, per bloccare il fronte della frana. Alcune sezioni del muro sono ancora visibili in via Arciprete Calogero Licata e nei pressi del centro polifunzionale Giovanni Paolo II.
1851–fine anni ‘50 dell’800 Avvio delle opere di ricostruzione urbana, assistenza agli sfollati e riallocazione in nuovi quartieri. Diverse aree assumono nuovi tòponimi legati alla frana (es. via Flora, via Scuole).
Santi Licata