Il rumore del silenzio. Palermo, 23 maggio

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C’è un’ora, a Palermo, in cui il tempo si ferma. È il pomeriggio del 23 maggio. Non importa che anno sia: quella data non passa mai. Rimane incisa nei muri, negli occhi, nelle sirene… colonna sonora di questa tragica data.

Alle 17.58 il cielo non cambia colore, eppure si incrina. È il momento in cui la memoria si fa detonazione. Non c’è solo l’asfalto sventrato di Capaci, ma ci sono i pensieri spezzati di chi ha creduto fino in fondo che la giustizia non dovesse inchinarsi alla paura.

Quel giorno, il giudice Giovanni Falcone viaggiava verso Palermo. Accanto a lui, sua moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei. Davanti e dietro, gli uomini della scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani. Uomini che sapevano di essere bersagli, ma non per questo si sono tirati indietro.

Non c’è bisogno di retorica, il 23 maggio. C’è bisogno di verità. Di un’Italia che non smetta di interrogarsi. Che si chieda non solo chi ha messo l’esplosivo, ma anche cosa esplode ogni giorno, quando l’indifferenza prevale, quando la memoria si riduce a cerimonia.

Perché la strage di Capaci non è solo cronaca: è una ferita che ci riguarda. Un nodo che stringe Palermo alla coscienza nazionale. È il giorno in cui un’autostrada si è fatta cratere, e un popolo ha dovuto scegliere da che parte stare. Non tutti l’hanno fatto, non ancora.

Eppure, ogni anno, il 23 maggio, Palermo torna a parlare. Lo fa con i passi dei ragazzi che sfilano con lenzuola bianche e cartelli scritti a mano. Con le voci delle scuole, dei familiari, dei cittadini comuni. Con chi ha scelto di non dimenticare, ma anche con chi ha imparato a ricordare lentamente, con fatica, togliendo la polvere da nomi che sono diventati statue prima di essere conosciuti.

In questa giornata, la Sicilia smette di essere periferia e si fa centro morale. Una Sicilia che non è solo terra di omertà, ma anche di coraggio. Dove le parole “Stato” e “legalità” non suonano più astratte, ma prendono il volto di chi, come Falcone, ha avuto il coraggio di non arretrare.

Il 23 maggio non è un giorno qualsiasi. È un giorno che ci chiede di scegliere. Di essere parte attiva della memoria. Di capire che “mafia” non è solo un’organizzazione, ma un sistema di potere, di convenienze, di silenzi. E che combatterla significa, ogni giorno, scrivere il contrario di quello che è accaduto a Capaci: non una strage, ma una rinascita.

Giovanni Falcone diceva: “Gli uomini passano, le idee restano.”

Ma chi porta avanti quelle idee, oggi?

A voi, ragazzi, ragazze, figli di questo tempo confuso, io voglio parlare con la voce ferma di chi educa e non si arrende. Perché la mafia si insinua nel vuoto. Dove c’è ignoranza, dove c’è rassegnazione, dove c’è il “tanto non cambia niente”.

Siate voi il cambiamento. Studiate, scegliete, gridate. Disobbedite al silenzio, alla complicità, all’ingiustizia. Non vi chiedo eroismi, ma presenza. Non vi chiedo martirio, ma responsabilità. Diventate cittadini, prima ancora che professionisti. Portate la memoria viva nelle scelte di ogni giorno: a scuola, nei rapporti, nelle strade che percorrete.

Falcone non è un santino da commemorare una volta l’anno. È una voce che brucia ancora. Ascoltatela. E fatevi voce anche voi. Perché il 23 maggio non è finito. È un seme. E la terra siete voi.

Salvina Cimino

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