Già alla fine dell’800 vari monumenti siciliani di età medievale subirono l’effetto delle pratiche di restauro teorizzate in Francia da Eugène Viollet-le-Duc: una modalità che solitamente prevedeva interventi distruttivi nei riguardi delle aggiunte delle epoche successive a quella di costruzione degli edifici, considerando quelle uno stravolgimento rispetto ad un passato in verità interpretato in modo romantico e convenzionale tra la fine del XIX secolo e il primi decenni del ‘900 castelli e chiese medievali videro interventi di ripristino piuttosto aggressivi, oltretutto deplorati da illustri professionisti e studiosi tra cui anche Ernesto Basile.
In realtà la tendenza ebbe strascichi fino al decennio 1960-1970, anni in cui nella cattedrale di Cefalù la serie delle demolizioni venne completata a carico della navata sud e del presbiterio. Anche in questo caso gli appelli di illustri esponenti della critica d’arte come Cesare Brandi e Wolfgang Kröenig rimasero inascoltati.
Insieme agli altari laterali vennero rimossi e posti in locali del palazzo vescovile adibiti a deposito i relativi gli arredi liturgici, oltre a tele e sculture e persino i monumenti funebri di alcuni vescovi per l’occasione scomposti in frammenti.
Secondo l’inventario redatto dal decano Antonio Maria Musso ai primi del XIX secolo gli altari della cattedrale erano cinque su ciascun lato: quelli della navata settentrionale erano dedicati a san Giovanni Battista, a san Francesco di Paola, all’Angelo custode, a san Nicola, e alla Madonna di Gibilmanna; in quella meridionale si trovavano invece gli altari dei santi Gioacchino e Anna, Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, i Santi apostoli Pietro e Paolo, San Giuseppe e infine sant’Agostino. Tutti erano dotati di una tela o di una statua raffigurante il santo o i santi titolari. Dalle immagini d’archivio sappiamo che ciascun altare aveva il proprio apparato architettonico in stile barocco.
Fra le tele recentemente esposte lungo le pareti della basilica cattedrale alcune sono certamente quelle superstiti della demolizione degli altari.
Sul lato nord si ammirano oggi un Cristo vittorioso sulla morte. Tardo cinquecentesca nell’impianto e nella gamma cromatica la tela presenta il messia affiancato a sinistra da due santi domenicani e a destra dai santi martiri Bartolomeo col coltello e santo Stefano con la pietra.
Le altre tele sono seicentesche e settecentesche: san Gioacchino con la Madonna fanciulla e sant’Anna, accompagnati da angeli e alla presenza della colomba, anticipazione e simbolo dell’incarnazione; l’arcangelo Raffaele e Tobiolo; San Giuseppe e Gesù bambino in cammino, secondo la simbologia attribuita al padre terreno nel proprio ruolo di accompagnare il cammino di crescita umana.
A sud, per il momento, è ritornata un’ unica tela, seicentesca, con la Madonna che riceve il patrocinio di Cefalù o viene comunque invocata dai due santi gesuiti, sant’Ignazio Loyola
e san Francesco Saverio, il primo dei quali mostra attraverso una inquadratura architettonica la città sul mare con la rupe e il profilo delle torri campanarie del duomo.
Eretto accanto alla Madre sul supporto di una nuvola, il bambino Gesù regge lo stemma della compagnia IHS, mentre due angioletti puttini a sinistra mostrano un libro in cui si può leggere il motto più diffuso nelle chiese e nelle opere ispirate dalla teologia gesuitica: Ad Maiorem Dei Gloria.
Barbara De Gaetani