Polizzi Generosa, il “Fiume Secco” tra idrologia, etimologia, storia e prospettive di musealizzazione

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Il Rio Secco è un corso d’acqua a carattere torrentizio, affluente in destra idrografica dell’Imera settentrionale o Fiume Grande, nel gruppo montuoso delle Madonie. Il torrente è orientato approssimativamente in senso NNO-SSE, avendo come affluenti il Vallone S. Croce-Madonna degli Angeli ed il suo immissario Fosso Cuca-Vallone del Canalotto, nonché il Rio Giulfarìa. Il vallone drena le acque dei versanti occidentali dei rilievi calcareo-dolomitici di Dirupo Bianco e di Monte Quacella (1869 m s.l.m.), di quelli prevalentemente quarzarenitici di Monte Scalone (1654 m s.l.m.), Monte Cavallo (1751 m s.l.m.), Timpi di Monte Cavallo (1579 m s.l.m.), propaggini del Monte S. Salvatore (1912 m s.l.m.), nonché della pittoresca dorsale calcareo-marnosa che si estende da Monte  Rotola Vecchia alla Rocca del Castello di Polizzi Generosa (916 m s.l.m.) sino al Cozzo S. Calogero (Rovine S. Calogero nella cartografia ufficiale, 790 m s.l.m.). Sia i rilievi calcareo-dolomitici, sia quelli quarzarenitici, ospitano falde idriche sotterranee in rete di fratture, le cui acque vengono a giorno dando vita a numerose emergenze sorgentizie, che sgorgano alla base di una lunga fascia e falda detritica che orla gran parte delle pendici dei detti rilievi.

Sin dal medioevo il Rio Secco si caratterizzava per una serie di mulini ad acqua, vere e proprie opere di ingegneria idraulica che, nel loro complesso, costituivano la fiumara dei mulini (flomaria molendinorum) di Polizzi. La presenza dei mulini in tale area è attestata durante il dominio normanno, sin dal 1156 (dotazione di Adelicia a S. Nicola di Malvicino), regnando Guglielmo I d’Altavilla, mentre la denominazione della fiumara dei mulini è documentata a partire dal XIII secolo (cfr. I. Peri, Rinaldo di Giovanni Lombardo habitator terrae Policii, in AA. VV., Studi Medievali in onore di Antonino De Stefano, Società Siciliana per la Storia Patria – Palermo, Boccone del povero, Palermo 1956, pp. 429-506; L. T. Withe jr., Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Dafni Catania 1984, pp. 297-298).

Apparentemente, sembrerebbe un curioso controsenso che il Rio Secco (in siciliano Sciumi Siccu), così ricco di acque, vista la presenza di ben 33 sorgenti che lo alimentano, abbia questa denominazione.

In realtà, c’è una spiegazione, che tra l’altro appare alquanto interessante e che ci riporta a paradisiaci contesti orientali. Del resto, proprio nella millenaria cultura semitica, e nello specifico, islamica, l’acqua assume una valenza al contempo religiosa, sociale ed estetica, non solo in relazione alle caratteristiche climatiche aride dei territori, solcati da corsi d’acqua, asciutti per molti mesi, che si possono però gonfiare per delle improvvise piogge, divenendo particolarmente insidiosi. In forza di ciò, l’acqua, è febbrilmente ricercata, ampiamente ambita, sapientemente incanalata e sfruttata per rendere fertili oasi e giardini, largamente ritualizzata, vista come speciale dono celeste quando è copiosa, temuta come castigo divino quando eccede in quantità e diviene improvvisamente minacciosa (cfr. A. Vanoli, a cura di, Acqua, Islam e arte, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano) 2019, 192 pp.).

L’idronimo Rio Secco, contrariamente a quanto si potrebbe desumere dal significato letterale del lemma, è del tutto coerente con le caratteristiche idrologiche ed idrogeologiche dell’area. Esso, infatti, si ricollega proprio all’arabo mediterraneo. In particolare, l’arabo andaluso aveva verosimilmente la voce *siqāya ‘condotto dell’acqua’, ‘noria grande’ che, a sua volta, derivava dall’arabo classico siqāyah, letteralmente fonte d’acqua (pubblica)’, nonché ‘bacino idrico’, ‘serbatoio’, ‘acquedotto’ (cfr. A. De Biberstein Kazimirski, Dictionnaire arabe-français contenant toutes les racines de la langue arabe, leurs dérivés, tant dans l’idiome vulgaire: que dans l’idiome littéral, ainsi que les dialectes d’Alger et de Maroc, W. Remquet et  Co., Paris 1860, 2 voll., I, s. v., p. 1111; R. Dozy, Supplément aux Dictionnaires arabes, 3ème édition, Brill-Maisonneuve, Leyde-Paris 1967, I, s.v., p. 665).

Dall’arabo andaluso discendono altresì, sia il castigliano azacaya (cfr. F. Corriente, Hacia una revisión de los arabismos y otras voces con étimos del romance andalusí o lenguas medio-orientales en el Diccionario de la Real Academia Española,  “Boletín de la Real Academia Española”, tomo 76, cuaderno 269, Real Academia Española, Madrid 1996, pp. 371-416; Diccionario de la lengua española, Real Academia Española, Fundación «La Caixa», https://www.rae.es/), sia il catalano síqia dal medesimo significato (cfr. A. M. Alcover, F. B. De Borja Moll, Diccionari català-valencià-balear. Palma de Mallorca 1927-62, 10 voll., 9738 pp., ad vocem). Del resto, nel contesto dei dialetti berberi del Maghreb, abbiamo voci del tutto affini, come attesta l’arabo marocchino sǝqqāya avente il medesimo significato (cfr. A.-L. De Prémare et al., Dictionnaire Arabe-Français. Langue et culture marocaines établi sur la base de fichiers, ouvrages, enquêtes, manuscrits, études et documents divers, 12 tomes, L’Harmattan, Paris 1993-99, VI, pp. 130-131).

Curiosamente, alla fine del Settecento, l’erudito siciliano Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca (Palermo, 12 Marzo 1720 – ivi, 6 Febbraio 1802) giunse a sostenere erroneamente che la denominazione del Fiume Secco di Polizzi, a suo dire, sarebbe stata  legata alla scarsa presenza d’acqua! (cfr. F. M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, Ponti sui fiumi di Sicilia, ms. XVIII sec., Biblioteca comunale di Palermo “Leonardo Sciascia”, ai segni Qq E 97, edizione a stampa a cura di S. Di Matteo, Giada, Palermo 1986, 63 pp.).

Le opere di canalizzazione polizzane erano dedicate, sia ad usi produttivi, quali l’irrigazione e la movimentazione di opere idrauliche dei mulini, sia ad usi di consumo, quali fontane e vasche di raccolta, similmente a quanto si riscontra nei contesti islamici spagnoli dell’Andalusia (cfr. M. Barceló, El diseño de los espacios irrigados en Al-Andalus: un enunciado de principios generales, “I Coloquio de historia y medio fisico. El agua en las zonas áridas: arqueologia e historia”. Instituto de Estudios Almerienses. Almería. 1989, pp. 15-52, in particolare, p. 18).

Come è da aspettarsi, proprio in Spagna esistono degli omologhi dell’idronimo siciliano Rio Secco di Polizzi, anch’essi caratterizzati da una notevole abbondanza di risorse idriche sotterranee e superficiali. Emblematici a riguardo, sono i casi dei centri abitati di Rioseco de Soria e di Medina de Rioseco, entrambi in provincia di Valladolid, nella comunità autonoma di Castiglia e León.

Rioseco de Soria, a SE di Valladolid, bagnata dal copioso fiume Sequillo, con un territorio ricco di molti ruscelli e sorgenti, è particolarmente nota per i resti archeologici della villa romana residenziale di “Los Quintanares”, organizzata su due cortili fiancheggiati, ma indipendenti, esempio pregnante della romanizzazione della Spagna centrale. Nell’ambito di tale villa romana, si inserisce anche il Molino de Abajo che è stato ampiamente recuperato e reso fruibile come struttura museale dotata di pannelli retroilluminati e dispositivi multimediali ed una sala convegno. La cittadina, inoltre, esibisce anche due gioielli romanici: la parrocchiale di San Giovanni Battista e l’eremo-santuario della Virgen del Barrio (la cui festa si celebra nel mese di Agosto), che conserva, sia pure rimaneggiato, l’importante edificio di culto a navata unica con abside semicircolare. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo il lettore alla bibliografia seguente: T. Ortego y Frías, Memoria de las excavaciones en la villa romana de “Los Quintanares”, en el término de Rioseco de Soria, in “Noticiario arqueológico hispánico”, n. 10-12, 1966-1968, pp. 235-242; F. Diestro Ortega, La imagen de piedra de la “Virgen del Barrio” de Rioseco de Soria (Soria), in M. Casas Hernández, cur., “Jornadas de Estudio y Difusión del Patrimonio”, 1. 2009. Soria, Fundación Las Edades del Hombre, 2010, pp. 279-287.

Medina de Rioseco, sita a circa 40 Km da Valladolid, al nucleo della Tierra de Campos (comprendente le provincie di Valladolid, León, Palencia e Zamora) fu antico feudo della nobile e potente casata degli Enríquez, almirantes di Castiglia. Si tratta di una pittoresca antica città fortificata, non lontano dalle rive del già citato copioso Sequillo, dal quale deriva il nome Rioseco. Essa conserva ancora tre delle otto porte di accesso che anticamente si aprivano nelle sue possenti mura.  Un importante esempio di archeologia industriale, acquisito dall’amministrazione comunale ed inserito poi tra i beni culturali nel 2008, è l’ottocentesco mulino Fábrica de harinas San Antonio, dotato di un impianto rinnovato nel 1944.

Per ulteriori approfondimenti, rimandiamo il lettore alla seguente bibliografia: J. M. Parrilla, Medina de Rioseco. Ciudad de los almirantes, Colección Valladolid, vol. II, Caja de Ahorros de Salamanca, Valladolid 1990, 92 pp.; P. Serra Navarro, cur., Inventario del archivio de la Casa ducal de Medina de Rioseco, Ministerio de Educación y Cultura, Dirección General del Libro, Archivos y Bibliotecas, Archivo de la Casa Ducal de Medina de Rioseco, Archivo Histórico Nacional de España. Sección de Osuna, Asociación de Amigos del Archivo Histórico Nacional, Madrid 1997, 264 pp.; R. Pérez de Castro, M. García Marbán, cur., Cultura y arte en Tierra de Campos. I Jornadas. Medina de Rioseco en su Historia, Diputación Provincial de Valladolid, Valladolid 2001, 560 pp.

Tornando alla nostra area di indagine, cioè al Rio Secco di Polizzi Generosa, come accennato in precedenza, caratteristica precipua è la presenza di impianti molitori idraulici a ruote orizzontali (che consente la rotazione diretta dell’asse verticale collegato alla macina), disposti in serie lungo lo stesso corso d’acqua, al fine di ottimizzare in maniera razionale, i processi produttivi, creando una serie di cisterne di distribuzione e relativi salti, al fine di sfruttare l’energia dell’acqua in caduta. In tal modo, i diversi impianti macinatoi, collocati topograficamente in maniera opportuna, al fine da scongiurare eventuali danni prodotti dalle piene, erano disposti in successione lungo uno stesso corso torrentizio, essendo mossi in modo sequenziale, da monte a valle, essendo alimentati dal medesimo sistema di condotta idrica, a partire da una presa d’acqua principale.

Quest’ultima, convogliava una certa aliquota della portata  all’interno di un canale murario, generalmente a cielo aperto ed a bassa pendenza, reso impermeabile internamente utilizzando apposite malte idrauliche. Come ha ben evidenziato Girolamo Cusimano (ordinario di Geografia presso l’Università degli Studi di Palermo), si tratta di una cultura idraulica di matrice islamica che accomuna la Sicilia con il nord Africa (cfr. G. Cusimano, La cultura idraulica nel bacino del Mediterraneo. Territorio e irrigazione in Sicilia, in G. D’Agostino, a cura di, Tunisia Sicilia. Incontro di due culture, Atti e materiali del servizio museografico della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, 3, Arti Grafiche Siciliane, Palermo, 1995, pp. 83-116, ripubblicato in “Geotema”, 4, 1996, pp.109-122).

Nelle medievali consuetudini di Polizzi, di datazione incerta, ma comunque della seconda metà del Trecento, vi sono tre articoli che specificatamente si riferiscono alla disciplina dell’attività molitoria nella cittadina demaniale. L’articolo 16, decretava che ciascun mugnaio «doveva tenere le misure che saranno a lui assegnate dagli acatapani [ufficiali annonari], colle quali ricevono la molitura passata per la tramoggia, sotto pena di una oncia aurea da pagarsi ai medesimi acatapani». L’articolo 17, disponeva che i detti «acatapani non potevano ricevere più di un tarì da ciascun molino per l’aggiustamento della misura». Infine, l’articolo 18, sanciva che ciascun mugnaio, vendendo il frumento, doveva «misurarlo col tumolo marcato dagli Acatapani, sotto pena di un augustale [moneta aurea fatta coniare dall’imperatore Federico II di Svevia, con valore nominale pari ad un quarto dell’oncia siciliana] da pagarsi agli acatapani medesimi» (cfr. A Flandina, Statuti ordinamenti e capitoli della Città di Polizzi, estratto dai Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. 2., vol. 1, fasc. 3, Società siciliana di Storia Patria – Palermo, Amenta, Palermo  1884, pp. 246-247 e p. 261).

Nel tardo medioevo, la proprietà dei mulini era spesso in mano alle famiglie più abbienti, molte delle quali appartenenti al locale patriziato urbano, come la florida casata dei Salamone o Salomone. A titolo di esempio, ricordiamo che il 12 Giugno IXa Indizione 1431, il nobile Ruggero de Salamone, habitator Politij, vendette a Leonardo de Fasana (Faxana), habitator terre Calatabuturij, alcuni beni, tra i quali anche un mulino sito proprio nella flomaria molendinorum, per il prezzo di 20 onze (cfr. P. Bova, A. Contino, Ercole e l’idra: i Miroldo tra le Madonie e Termini Imerese dal Trecento al Seicento, 7 Novembre 2021, on-line in questa testata giornalistica).

Gli impianti molitori a forza idraulica di Polizzi Generosa, come già accennato, costituivano uno dei numerosi sistemi denominati flomaria molendinorum, che, assieme ad altri siti, meriterebbero il loro razionale recupero con finalità storiche, didattiche e scientifiche, magari creando una apposita rete turistica. Relativamente all’argomento rimandiamo al saggio curato da Maria Carcasio (cfr. M. Carcasio, Flomaria molendinorum. Commissione Europea DG X, programma Raffaello 1997-1999; progetto Pótamos; i mulini ad acqua: tecnologia e tradizioni culturali, Centro Regionale per la progettazione e il restauro e per le scienze naturali e applicate ai beni culturali, Sezione tecnico-scientifica per i beni etno-antropologici, Regione Siciliana, Palermo 2000, 214 pp.).

Ricordiamo ai lettori che nel comprensorio Termini Imerese-Cefalù-Madonie abbiamo testimonianza non solo della presenza dei mulini a forza idrica, ma anche di qualcuno a forza eolica, come abbiamo ben documentato nel caso della cittadina imerese, relativamente al Cinquecento (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, un mulino a vento tra S. Caterina e S. Giovanni nel Cinquecento, “Esperonews”, 15 Novembre 2022, on-line in questa testata giornalistica).

Allo stato attuale delle ricerche, una datazione cronologia dettagliata delle strutture molitorie di Polizzi Generosa appare ancora un miraggio da realizzare forse in futuro, poiché mancano del tutto, sia indagini sistematiche in seno alle fonti archivistiche, soprattutto all’interno delle serie notarili, sia analisi stratigrafiche sugli elevati superstiti. I documenti d’archivio di epoca medioevale e moderna, sinora noti, forniscono informazioni sufficienti soltanto per ricavare un primo inquadramento storico generale dell’attività molitoria.

Una puntualizzazione merita il più basso di tutti i mulini della fiumara di Polizzi; si tratta di quello che ancora agli inizi del Novecento, era denominato di Paraturazzo. Quest’ultimo è ricordato alla fine degli anni 70’ del XIX secolo, dal geologo ed ingegnere piemontese Sebastiano Mottura (Villafranca Piemonte, 4 Marzo 1831 – ivi, 2 Dicembre 1897), nella sua dotta monografia, nella quale trattava delle ragioni a favore della realizzazione di una linea ferrata detta delle due Imere (il cui tracciato, mai realizzato, avrebbe dovuto attraversare la vallata dei due corsi d’acqua, Imera settentrionale e meridionale), della quale era il promotore: «Il molino Paraturazzo è situato proprio al livello del fiume, e, se vi può sussistere il fabbricato egli è perché il confluente Rio Secco spinge la corrente del torrente Fichera (confluente principale della Imera settentrionale) verso la sponda del fiume opposta al Molino» (cfr. S. Mottura, Sulle ferrovie proposte per la congiunzione delle linee Palermo-Girgenti e Catania-Licata. Osservazioni, Tip. del Giornale di Sicilia, Palermo 1878, 126 pp., in particolare, p. 22).

Il toponimo Paraturàzzu, è il dispregiativo del lemma siciliano paratùri ‘gualchiera’, cioè macchina tessile, costituita da una coppia di mazze lignee, mossa alternativamente da una ruota idraulica verticale, ordinariamente collegata all’apparato di un mulino, utilizzata per battere e pressare tessuti (generalmente di lana), feltri o pelli, in modo da rassodarli, alleggerirli ed ammorbidirli opportunamente (follatura).

Negli anni 1926-1937, sorse una lunga ed affatto serena diatriba, marcata anche da colpi di scena, che si acuì progressivamente, contro la captazione dei gruppi sorgentizi denominati Pietà, Cilio e Sorgitore, nel territorio di Polizzi Generosa. Tali scaturigini erano state destinate per alimentare l’acquedotto delle Madonie onde rifornire alcuni comuni della provincia di Palermo e di Caltanissetta, al fine di alleviarne i cronici problemi di approvvigionamento idrico, nonché per approvvigionare l’utenza ferroviaria. Però le sorgenti del gruppo Cilio e Sorgitore, erano state già da secoli asservite agli usi irrigui e di forza motrice, proprio in relazione al Rio Secco (dal quale prendeva nome un apposito consorzio irriguo, legato soprattutto alla fiorente e redditizia coltivazione dei noccioleti). Rimandiamo, pertanto, il lettore al nostro contributo precedente, già edito, per ulteriori approfondimenti sull’argomento (cfr. P. Bova, A. Contino, Polizzi Generosa, 1926-1937. Contro la captazione delle sorgenti a servizio dell’acquedotto delle Madonie, “Esperonews”, 19 Settembre 2023, on-line in questa testata giornalistica).

In tale torno di tempo, un vero e proprio flagello meteorologico venne ad abbattersi sulla Sicilia, colpendo con particolare veemenza questo settore del territorio polizzano che, per la presenza di un’ampia fascia pedemontana di affioramento di terreni prevalentemente argillosi, con scadenti caratteristiche meccaniche, si presenta intrinsecamente vulnerabile. Si ebbero, infatti, a seguito delle sovrabbondanti piogge, dei grandi movimenti di frana, legate ad un’area ciclonica che investì direttamente la Sicilia  soprattutto nei giorni 21-22 Febbraio 1931. Le frane furono particolarmente frequenti ed estese soprattutto nel versante destro del Rio Secco, provocando danni enormi alle coltivazioni, ai caseggiati ed agli impianti a forza idraulica (cfr. C. Crema, Alcune grandiose frane prodottesi nel territorio di Polizzi Generosa (prov. Di Palermo), “Bollettino della Società Geologica Italiana”, vol. 69, Roma 1931 p. LXIX; D. M.  16 Novembre 1931, Elenco dei comuni danneggiati dalle alluvioni, frane e mareggiate verificatesi nell’inverno 1930-1931, Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 15 Febbraio 1932 n. 37, in “Bollettino ufficiale della legislazione finanziaria e della cassa depositi e prestiti, del debito pubblico, delle pensioni di guerra, della ragioneria generale dello stato, del tesoro, dell’ufficio del contenzioso”, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1932, pp. 403-404).

Nel secondo dopoguerra, con alterne vicende, ebbe inizio la parabola discendente dell’attività molitoria a forza idraulica, che andò progressivamente spegnendosi man mano che si affermavano i nuovi mulini a cilindro e, nel contempo, andavano scomparendo, senza alcun avvicendamento, le figure di qualificati mugnai, tenacemente legate alle tradizionali attività dei loro padri.

Il Rio Secco, con la fiumara dei mulini di Polizzi, costituisce un’area di elevata valenza culturale che potrebbe essere opportunamente rivalutata turisticamente, con una accorta politica di valorizzazione, attraverso la creazione di un vero e proprio ecomuseo, promuovendo attività didattiche e di ricerca, in un’ottica di “musealità diffusa”, secondo quanto teorizzato sin dalla seconda metà degli anni 70’, dall’architetto Alfredo (Fredi) Drugman (Feurs 1927 – Milano 2000), rendendo partecipe la popolazione alla conservazione del proprio patrimonio culturale, Per ulteriori approfondimenti sull’argomento rimandiamo il lettore alla seguente bibliografia: F. Drugman. Musei. Casseforti o strumenti di lavoro, “Progetto-dimensione associativa”, Luglio-Agosto 1976, pp. 4-5; Idem, Il museo diffuso. Atti del seminario promosso dal Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano il 29 e 30 maggio 1980, in “Hinterland”, V, 21-22 Marzo 1982, pp. 24-25; Idem, Idee per un progetto di museo lungo il Trebbia, edizione a cura di L. Basso Peressut, M. Ricci, collana “Le voci del museo”, EDIFIR, Firenze 2016, 208 pp.

A nostro giudizio, questo sistema museale “diffuso”, contraddistinto da un ampliarsi dei confini dell’esposizione al di là dell’ambito ristretto intramurario, che potrebbe essere creato nella verdeggiante valle del Rio Secco di Polizzi, potrebbe caratterizzarsi per una serie di tappe, tasselli importanti per ricostruire e raccontare, anche con l’ausilio di teche, audiovisivi e pannelli informativi, la sorprendente storia del corso d’acqua, delle famiglie dei mugnai con i loro mulini, di quelle dei proprietari dei noccioleti e dei giardinieri che sapientemente ne avevano cura, dei contadini che utilizzando animali da soma trasportando i cereali alla struttura molitoria e quanto altro.

Vista la medesima matrice araba dell’idronimo polizzano del Rio Secco di Sicilia e di quelli di Rioseco in Spagna, a nostro giudizio, si potrebbe suggellare un vero e proprio gemellaggio, propugnando apposite strategie turistiche comuni, basate su tale indiscutibile affinità semantica e culturale.

Patrizia Bova e Antonio Contino