Essere Guida Turistica ai tempi del Covid (ovvero perché non possiamo accontentarci dei tour virtuali)

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In Sicilia come in Veneto, in Uzbekistan come in Marocco, in Africa come ai Caraibi, chiunque abbia acquistato e usufruito di un servizio guida in occasione di un viaggio in qualunque parte del mondo porta nel proprio bagaglio un’esperienza che presenta sicuramente alcune costanti.

Perché ci comprendiamo e facciamo riferimento alla stessa esperienza deve, però, trattarsi di un professionista, una persona motivata anche da una condizione di appartenenza a un ruolo, poiché tale condizione rende diversi a prescindere da una presunta predisposizione e da una sempre presunta preparazione eventualmente vantate da soggetti che operano in modo occasionale.

Fatta salva la professionalità, possiamo dunque dire che qualcosa accomuna una guida siciliana estroversa e molto spontanea e un riservato finlandese o un più compassato inglese? Nel mondo delle guide professioniste l’indole personale e il carattere nazionale sono un plus valore, un ingrediente a sorpresa che aggiunge sapore al contatto umano che la guida stabilisce con i propri clienti. Vi è certamente uno standard derivato dal fattore know how ma è indiscutibile che ciascuno porti nella relazione che si instaura il proprio personale approccio tanto alle cose note quanto alle novità.
Si perché anche per noi Guide ogni ospite è “nuovo”; ciascuno rappresenta un’incognita, una pagina bianca, qualcosa su cui ci auguriamo di imprimere un segno delicato, senza snaturarla o deformarla con un tratto troppo marcato.
L’empatia è la prima qualità di una buona guida; la prima abilità quella di saper interpretare, quasi decifrare, quei pochi indizi che emergono nei primi momenti  successivi all’incontro o persino già prima, magari attraverso una breve corrispondenza o una conversazione al telefono. Tutto è affidato all’intuito e persino a un pizzico di fortuna: a volte capita che la persona che ci troviamo e avremo accanto per le successive cinque, sei o sette ore, sia, diciamo cosi, in una cattiva giornata. E allora, dove la dea bendata non è stata molto benevola, devi fare buon uso delle tue risorse e non solo di quelle “erudite”. Una visita guidata è principalmente un’esperienza di relazione; certo questa esperienza è tanto più approfondita quanto più individuale è la relazione in questione; tuttavia esiste anche una identità di gruppo, specie in uno chiuso, costituito di individui che hanno scelto di compiere quel tour insieme, che magari si conoscevano e si frequentavano già prima e soprattutto provengono da un contesto omogeneo: uno stesso paese o villaggio, un circolo. In realtà esiste un identità di gruppo traducibile in una “individualità surrogata” persino in un gruppo di formazione, come quelli che si formano nei porti di attracco delle navi da crociera, quando 50 fra i 3000 passeggeri che abitano quei giganti del mare si ritrovano per mezza giornata o più in un bus per condividere un determinato itinerario. Perché si tratta sempre di persone, che in più stanno viaggiando. Con quella identità la Guida deve confrontarsi e interagire.
“Turista” è una parola che oggi va cadendo in disuso: sembra quasi riferirsi a un ritratto deprimente di gente con grandi obiettivi al collo ma senza una idea precisa di ciò che vuole in mente; in realtà non è davvero così e turisti lo siamo tutti, e spesso e volentieri. Ci ritroviamo all’altro capo del mondo, in luoghi di cui sappiamo poco o nulla e compriamo quell’unico giro organizzato che troviamo disponibile, cos’altro siamo? Facciamo tutti le stesse identiche cose e scattiamo persino la stessa fotografia, poco importa se siamo ordinari di cattedra in un ateneo o possediamo un’attività di commercio ambulante.
Sul finire del ‘700 era proprio questo che facevano i giovani imbevuti di cultura classica (e più o meno standard): il tour. E beh, quello era il Grand  Tour, ma perché era lungo, e toccava molti paesi. E del resto con i mezzi di trasporto dell’epoca, doveva esser lungo per forza! Facevano il Grand Tour, infine, ed erano turisti. Non esistevano vie di mezzo. Tutti  riportano esperienze di incontro e si soffermano molto sul rapporto con la gente dei luoghi visitati: albergatori, barcaioli, venditori, artisti e studiosi, principi e persino uomini di stato.
Ecco perché non possiamo riciclarci come guide sul web; ecco perché non possiamo sostituire il nostro essere animali da contatto, leoni sul campo e non in video, con la modalità virtuale in cui c’è tutto: belle immagini, effetti col drone, musica suggestiva, le nostre conoscenze – si possono realizzare documentari bellissimi con questi mezzi e la Angela & son S.p.a. docet –  ma manca la cosa più importante e cioè un pubblico presente. Forse il musicista, il ballerino, l’attore, possono praticare le propria disciplina e realizzare momenti di spettacolo e d’arte anche in assenza di qualcuno che assista; quantomeno in alcune occasioni particolari possono sicuramente dare luogo a una performance completa sotto l’aspetto dell’esecuzione; una guida turistica no. Senza il feeback, negativo o positivo, la reazione di chi ascolta e rende la comunicazione limpida e intellegibile e allo stesso tempo ricca di spunti, siamo privati di un elemento essenziale.
Abbiamo solo accennato, finora, al reale motivo per cui una esperienza di visita in compagnia di una guida diventa una parte importante del patrimonio di ricordi legati ad un viaggio e cioè all’aspetto dell’accoglienza. Forse si pensa che quest’aspetto riguardi più chi viene accolto, il visitatore, lo straniero; in effetti accoglienza è un termine che di recente ha assunto un significato specifico in merito ad un certo atteggiamento sociale e persino politico. Tuttavia chi svolge la professione di guida turistica è soprattutto un professionista dell’accoglienza. Un ruolo nient’affatto semplice ma bellissimo, che ci manca tanto quando non possiamo metterlo in pratica. Direi senza tema di smentite che per una guida turistica realizzare il proposito  dell’accoglienza è la base della pratica professionale quotidiana, e si traduce in mille sfumature tutte volte a far sentire le persone che stiamo accompagnando a proprio agio, a farle star bene perché possano ricordarsi di noi e del luogo in cui ci siamo incontrati come di un’avventura piacevole. Tolta questa sfida, azzerato il ‘rischio’, eliminato il fattore sorpresa, soppresso il contatto con il pubblico ci ritroviamo privi di stimoli e non è sufficiente apparire come immagine né avere qualcosa da raccontare. Abbiamo storie a centinaia dentro di noi e una miriade di particolari da far notare, tutto quello che ci manca in questa situazione è proprio l’essenziale, è in altri termini il nostro lavoro, che non ha nulla a che fare col mettersi in una stanza e dispensare nozioni. In verità non ha a che fare nemmeno con lo stare in giro a dispensare nozioni. Essere guida non è fare la guida. Ma chi guida non è non potrà mai capire tutto ciò.
Barbara De Gaetani
Guida turistica

2 COMMENTS

  1. Bsera,
    tra tutti gli interventi letti ed ascoltati, questo di Barbara è il più vicino al mio modo di concepire il lavoro della guida. I clienti vanno culturalmente provocati, il dialogo che ne consegue arricchisce di conseguenza. Un commento associato ad un volto, ad un sorriso, viene ricordato per molto tempo. Lo stesso commento ascoltato da un guida elettronica, si dimentica in poche ore.

  2. gradirei essere contattato 338 78 044 59 da Lei o collega devo venire da quelle parti grazie

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