L’uomo che ebbe due funerali: un racconto tra paradosso e umorismo pirandelliano

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Due funerali: un ridanciano paradosso, e paradossali infatti sono le tragicomiche peripezie della statua e dell’uomo che intendeva celebrare, l’uno e l’altra in balìa di una preoccupante insipienza, contro la quale, ci avverte Schiller, “anche gli dei lottano invano”.

Una farsa in due tempi: da vivo don Firdinannu, ricco e tirchio, non benvoluto, non rispettato: al suo funerale, nessuno, desolato; da morto, quando si seppe di tutto il lascito per un Ospedale alla salute del popolo, tutti, come formicole sulla goccia di miele, proclamarono rispetto, ossequi, benevolenza, baci e abbracci postumi.
E tutti in coro: rifacciamo funerali degni, banda, quattro cavalli e seguito compreso; di più: la statua! la statua!, una statua grande e costosa.
E qui comincia la pantomima della collocazione della statua, con un finale comico, se non ammiccasse alla distorsione mentale ed al malcostume diffuso d’oggidì.
Delizioso, poetico, perspicace, sono sicuro che Piero Carbone molto si sia divertito nel seguire morto e vivi in questa specie di racconto/pamphlet, come d’altronde anche noi tanto ci divertiamo nel leggerlo.
Divertimento, si capisce, non nel senso di inerte passatempo, ma di ricreazione: dieci ariose paginette che ci fanno ridere sorridere riflettere.
Insomma, paradosso e umorismo pirandelliani, dove il “sentimento del contrario” assurge a metafora e, qui, tutto il racconto assurge a parabola con finale giustamente beffardo.
Una parabola di come quel tanto di positivo possa trascorrere insensatamente in esito negativo: dalla collocazione della statua, per cui “…ci fu bisogno di ricorrere ad un referendum per stabilire se la statua doveva essere collocata con o senza piedistallo, dieci passi avanti o dieci passi indietro..”, alla benaccetta rimozione, per cui “il Sindaco uscente…la fece impacchettare e rinchiudere dentro lo sgabuzzino del mattatoio comunale…”; dalla successiva ricollocazione, alla rimozione terminale.
E l’Ospedale? “…la cerimonia della posa della prima pietra…venne annunciata e celebrata ben cinque volte”, ma, come fu come non fu, l’Ospedale non si fece.
Dunque, un frammento di storia patria, un fermento di teste confuse, di vuotaggine, di agitazione umorale, con incombenti risvolti burocratici politici amministrativi.
Io non so se lo scrittore prende spunto, se c’è allusione, ma, volente o nolente, il pensiero corre dritto dritto a Sciascia, e non solo per la statua a grandezza naturale a suo tempo collocata in corso Garibaldi a Racalmuto (nel racconto Racalò), ma anche, e soprattutto, perché, se così fosse, il racconto verrebbe (e varrebbe) a misurare l’incolmabile, allarmante, distanza tra l’intelligenza votata a un possibile riscatto civile e morale, e la sconfortante, inconcludente miopia che affligge “la palma” da Nord a Sud.
Come a dire: un Maestro senza discepoli: la personificazione del “tenace concetto” per ritrovare verità e giustizia, in balìa dell’estemporaneo, risibile tornaconto del “primo cittadino” di turno  con il relativo, solito seguito acclamante.
Comechessia, c’entri o non c’entri, Sciascia, stante a questa “storia semplice”, un discepolo come Piero Carbone lo accetterebbe volentieri, non solo per “il lungo studio e il grande amore”, ma anche per la pervasiva ironia con sottesa polemica che anima questi “Due funerali”.
Con la differenza che la “polemica” di Piero Carbone è in stile burlesco, come di chi è consapevole che non c’è altro modo di raccontare fatti e fatterelli che lasciano perplessi e interdetti.Ad es. : sul marciapiede? “…ma gli uccelli ci andranno a cacare….buttato lì sul marciapiede…come una donnaccia….da marciapiede…”; oltre a questo “al calar della sera sembrava un losco figuro…ma che dite sembrerà uno che aspetta la corriera…”.
Rimozione quindi, e quindi seconda collocazione e ulteriore controdanza: “chi gli poggiava la mano sopra la spalla…chi gli faceva una carezza o gli aggiustava i capelli…per i ragazzi un divertimento: a carnevale lo riempivano di coriandoli…”.
Anche i dettagli sono uno sberleffo: “Il Sindaco, il Priore delI’Itria e l’Arciprete lessero ai cittadini accorsi il testamento della buonanima…Iniziò, dopo parecchi colpi di tosse, il Sindaco… l’Arciprete in cotta ricamata e stola dorata…non meno commosso il Priore con gagliardetto e scapolare…”.
A questo punto, di fronte a tanto, si potrebbe immaginare la statua che, per ritorsiva sconvolgente ultima beffa, lentamente nottetempo si sarebbe allontanata, lasciando al paese la folgorazione di un possibile rinsavimento.
Ma sarebbe un’ipotesi narrativa troppo fiduciosa. Invece, il nostro Piero Carbone, più coerentemente, immagina un finale di esemplare “apoteosi” di questa miserevole Italia , finale che lasciamo volentieri al godimento dei prossimi lettori.
Se vogliamo rimanere con un filo di speranza, ci affidiamo alle parole del nostro Montale: “I miracoli possono essere sempre in agguato dietro la porta”.
Nicola Lo Bianco