Termini Imerese, la città medievale e gli amalfitani tra il XIII ed il XVI secolo

1
686

La vera storia di Termini Imerese nel medioevo è ancora da scoprire. Infatti, il principale corpus documentario (conservato presso la sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo), dato dai rogiti degli antichi notai che vi tennero banco,  non solo è tardo, risalendo a gran parte del XV secolo, ma è affetto da lacune o si presenta spesso in condizioni di conservazione affatto “ottimali”.
Un dato assodato è, invece, l’importanza economica e strategica della cittadina imerese nel medioevo, grazie alla felice posizione sulla costa settentrionale della Sicilia, quale naturale punto di sbocco di un fecondo entroterra e principale fonte di approvvigionamento, soprattutto cerealicolo, di Palermo. Si spiega così l’esistenza dell’importante Caricatore del Grano (complesso di magazzini per il deposito provvisorio di «vettovaglie», soprattutto cereali e legumi, da sdoganare prima del carico), rimasto in funzione sino al 1819. Tale prerogativa produsse flussi commerciali import-export tra Termini Imerese ed i maggiori attracchi, non solo mediterranei. La presenza nella cittadina imerese di mercanti di varia estrazione e provenienza, soprattutto extra Regnum, favorì la loro stabile dimora e, conseguentemente, la nascita di vere e proprie colonie, particolarmente in relazione alle cinque repubbliche marinare (Amalfi, Pisa, Genova, Venezia e Ragusa dalmata).
La repubblica marinara di Amalfi fu retta dapprima da prefetti o «forteris» (dall’840), da due «conti» (dall’842), infine dai dogi (dall’897), appartenenti all’oligarchia locale (cfr. G. Gargano, Le origini della nobiltà nello Stato medievale amalfitano, «Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana», n. s., I, 1991, 2, pp. 7-35).
Per eventuali approfondimenti relativi alle vicende storiche del ducato di Amalfi rimandiamo il lettore a G. Sangermano, Il Ducato di Amalfi, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso e R. Romeo, vol. II/1, Il Medioevo, Napoli, 1988, pp. 279-340.
Questa repubblica, al pari di Venezia, costituì una vasta rete commerciale e coloniale a scala mediterranea, con empori dotati di strutture ricettizie, società bancarie e luoghi di culto (cfr. ad es. A. Citarella,  Il commercio di Amalfi nell’alto Medioevo, Salerno 1977).
Nel X sec., durante il dominio islamico in Sicilia, il viaggiatore e mercante di Baghdad, ‘Ibn Ḥawqal, nel suo Libro delle vie e dei reami (Kitâb al masâlik), chiamò questa città Malf ed entusiasticamente, così la descrisse: «la più prospera città di Longobardia, la più nobile, la più illustre per le sue condizioni, la più agiata ed opulenta» (cfr. M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, vol. I, Loescher, Torino-Roma 1880, pp. 24-25).
La potenza marittima amalfitana fu poi progressivamente messa in crisi dalla concorrenza delle altre repubbliche marinare e dallo scontro con altri potentati (come i Normanni di Roberto il Guiscardo che la saccheggiarono nel 1073).
Nel 1131, dopo alterne vicende, Amalfi fu definitivamente conquistata da Ruggero II (cfr. U. Schwarz, Amalfi im frühen Mittelalter (9.-11. Jahrhundert). Untersuchungen zur Amalfitaner Überlieferung, Tübingen, 1978, Bibliothek des Deutschen historischen Instituts in Rom, 49, p. 67 e p. 251 e segg.). Quest’ultimo, grazie al trattato di pace con papa Innocenzo II (1130-1143) stipulato il 25 luglio 1039, e con la successiva relativa bolla pontificia emessa il giorno 27, ebbe definitivamente il dominio regale sulla Sicilia e sull’Italia meridionale.
Estinta la repubblica marinara, il ducato di Amalfi fu inserito nel regio demanio essendo governato da un apposito funzionario (stratega). Nel 1135, Amalfi subì il primo devastante saccheggio perpetrato dai pisani che però furono duramente sconfitti a Ravello.
Al-Idrīsī, geografo islamico alla corte normanna del XII secolo, nella sua opera Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo (Nuzhat al-mushtāq fî ikhtirāq al-āfāq), così descrisse Amalfi (che, con la medesima grafia di ‘Ibn Ḥawqal, chiamò Malf): «è città popolata; essa offre ancoraggio ben difeso dalla parte di terra, [ma] facilmente fu presa dalla parte del mare quando venne assalita. È antica, [anzi] primitiva, ha mura solide e popolazione molta ed agiata» (cfr. M. Amari – G. Schiaparelli, L’Italia descritta nel «Libro del Re Ruggero» compilato da Edrisi. Memoria letta nella seduta del 17 dicembre 1876, «Atti della Reale Accademia dei Lincei», anno CCLXXIV, 1876-77, serie seconda, vol. VIII, Salviucci, Roma 1883, p. 96).
Con la fine del ducato indipendente iniziò il progressivo esodo individuale e/o di intere famiglie, non solo da Amalfi, ma anche da altri centri dalla costiera amalfitana, come Scala e Ravello, verso altri centri dell’Italia meridionale ed insulare. Nello specifico, la diaspora verso i maggiori scali marittimi della Sicilia è stata oggetto di un approfondito studio da parte dello storico Gerardo Sangermano (cfr. G. Sangermano, La diaspora degli Amalfitani dalla fine del ducato indipendente alla crisi del  Vespro: il problema della loro presenza nei porti siciliani nella dialettica dei rapporti fra Amalfi e Genova, in: Caratteri e momenti di Amalfi medievale e del suo territorio, Amalfi-Roma, 1981, Centro di cultura e storia amalfitana, Quaderni, 3, pp. 97-121).
Nel XIV secolo, la ricettività della rada di Amalfi fu totalmente sconvolta da un evento catastrofico naturale, che produsse ingenti ed irrimediabili danni alla fascia costiera tirrenica: il disastroso tsunami del 24 Novembre 1343 che fu generato da un forte sisma con epicentro al largo (sull’evento cfr. M. Camera, Memorie storico-diplomatiche della città e ducato di Amalfi cronologicamente ordinate e continuate sino al secolo XVIII e divise in due volumi, seconda edizione, Stabilimento tipografico nazionale, Salerno 1876, vol. I, p. 550; S. L. Soloviev,  O. N. Solovieva, Ch. N. Go, K. S. Kim and  N. A. Shchetnikov, Tsunamis in the Mediterranean Sea 2000 B. C. – 2000 A. D., Dordrecht, Springer, 2000, XX+240 pp.).
Alla fine del secolo, si ebbe l’infeudazione con il titolo ducale a Venceslao (Vincilaus) Sanseverino nel 1398 (Cfr. M. Camera, Memorie…cit., vol. I, 1876, p. 592; vol. II, 1881, pp. 3-6), seguita poi dal dominio dei Colonna (1419), degli Orsini (1438) e dei Piccolomini già Todeschini (1461), con una parentesi di ritorno al regio demanio dal 1583 al 1644.
Prima di focalizzare l’argomento sulla cittadina imerese, ci sembra appropriato delineare le principali tappe della storia dei millenari contatti tra la costiera amalfitana e la Sicilia.
La presenza amalfitana in Sicilia è molto antica essendo ben documentata sin dal dominio normanno, anche se non è da escludere una precedente frequentazione nel periodo musulmano vista la peculiare posizione dell’Isola nel quadro dei commerci mediterranei.
Nell’età normanna, le tracce tangibili dei contatti con Amalfi si reperiscono ad es. nella documentazione ecclesiastica.  Relativamente alla diocesi di Cefalù, emblematica, a tal proposito, è una pergamena bilingue latina e greca, priva dell’indicazione dell’anno, con indicato il giorno 8 gennaio e l’indizione XIIIa, nella quale Goffredo di Modica, camerario palatino (magistrato per le cause d’appello), ad istanza del vescovo di Cefalù ordinò a tutti i baiuli (funzionari che amministravano la bassa giustizia) e portolani (funzionari portuali) di Sicilia, di Calabria e del principato di Salerno che, in esecuzione del real diploma del marzo Xa Indizione 1132, ai vascelli del vescovo e della chiesa di Cefalù che portavano vettovaglie commerciando sino ad Amalfi, fosse accordato il diritto di libera e franca entrata ed uscita nei porti (cfr. G. Spata, Le pergamene greche esistenti nel grande archivio di Palermo, appendice quarta, seconda serie – chiesa e vescovato di Cefalù, X, pp. 447-449).
Un’altra pergamena del Giugno IIa Indizione 1140, appartenente al tabulario della cattedrale di Cefalù, ci informa che Adelicia, nipote di Ruggero II, donò a Iocelmo, vescovo electus, per la chiesa di S. Pietro di Collesano (Golosanum), un forno, alcuni terreni, diritti di pascolo e di far legna, nonché sei villani. L’atto è sottoscritto, al penultimo posto, da un certo Martinus Amalfitanus (cfr. C. A. Garufi, I documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, documenti per servire alla storia di Sicilia pubblicati a cura della Società Siciliana di Storia Patria, prima serie, diplomatica, vol. XVIII, Tip. Lo Statuto, Palermo 1899, doc. XV, pp. 38-40). Da notare, inoltre, che nel documento il re normanno è qualificato con l’altisonante titolo di gloriosissimi regis italie o magnifici regis italie.
In relazione a Palermo, un documento di primaria importanza è la lettera a Pietro tesoriere della chiesa palermitana sulla calamità della Sicilia (cfr. S. Tramontana, Lettera a un tesoriere di Palermo – Epistula ad Petrum Panormitanae ecclesiae thesaurarium de calamitate Siciliae, Palermo, 1988, p. 138), redatta verosimilmente nei primi anni del regno di Enrico VI, che offre una descrizione della città nella quale si rammenta chiaramente il vicum amalphitanorum asse  principale dell’Amalphitania, vero e proprio settore commerciale a sé stante, sito tra la città e l’area portuale, «dovizioso di mercanzie nel quale ai compratori si espongono abiti di diverso prezzo e colore». Anche Messina ebbe una sua strada degli amalfitani (Malfitanam viam), come ricordava ancora nel XVI secolo, il matematico, astronomo, letterato ed agiografo, Francesco Maurolico (1494-1575) nella sua opera Sicaniarum Rerum Compendium (Messanae, Spira, 1562).
Sotto gli svevi e gli angioini, gli amalfitani non solo continuarono i loro lucrosi commerci, ma riuscirono ad inserirsi abilmente nei ruoli del personale amministrativo, ricoprendo anche delle cariche di primaria importanza (cfr. H. Bresch, La noblesse française, la noblesse provençale, les Amalfitains et la Sicile, 1266-1282, «Annales universitaires d’Avignon», 1-2, 1979, pp. 5-12; La mala signoria” ou l’hypothèque sicilienne, «Collection de l’École Française de Rome», 245, 1998, Roma, pp. 577-599; si veda anche F. Giunta, Amalfitani in Sicilia nel Medioevo, in: Amalfi nel Medioevo, Atti del Convegno internazionale, Amalfi-Salerno, 14-16 giugno 1973, Centro “R. Guariglia” di studi salernitani, 1, Salerno 1977, pp. 349-356).
Il 15 Ottobre XVa indizione 1211 ed il 4 Aprile IIIa indizione 1215, Federico II di Svevia, I di Sicilia, concedette e confermò alla chiesa palermitana tutti i diritti spettanti, tra i quali quello di esigere annualmente la somma di 200 tarì sulle botteghe dell’Amalfitania (cfr. A. Mongitore, Bullæ privilegia et instrumenta Panormitanae Metropolitana Eccesiæ, Regni Siciliæ Primariæ, Felicella, Panormi MDCCXXXIV, pp. 86-89, 92-96). Ricordiamo che il tarì era un’antica moneta, corrispondente alla trentesima parte dell’oncia (quest’ultima unità di misura fu utilizzata in Sicilia fino all’annessione al regno d’Italia, allorché fu fissato il cambio a £ 12,75).
Durante il regno angioino di Carlo I, il 3 Giugno IIa indizione 1274, il regio segreto di Sicilia, Giacomo Ruffolo (di famiglia d’origine amalfitana) fece effettuare una verifica dei diritti, decime e proventi spettanti all’arcivescovo ed al capitolo dei canonici della cattedrale di Palermo (cfr. A. Mongitore, Bullæ cit., pp. 128-138). Documento questo che ci informa delle cariche amministrative che, sin dal dominio svevo, erano state e continuavano ad essere appannaggio delle maggiori casate amalfitane (Ruffolo, Pando, Comitis Ursonis etc.) risiedenti nella capitale del regno.
L’anno seguente, il 1° Maggio, Luca de Castanea e la moglie Bona dichiararono di possedere una casa concessa loro dal priore di S. Maria di Ustica sulla quale pagavano un censo di tarì 2 annuali. L’atto appare sottoscritto al quarto posto da un certo Jacobus de Amalfia (cfr. V. Mortillaro, Catalogo ragionato dei diplomi esistenti nel Tabulario della Cattedrale di Palermo, in V. Mortillaro, Opere, tomo I, Palermo 1848, n. 61, pp. 224-226).
Nel 1302 fu stipulato un trattato commerciale tra Amalfi e Genova che fu in vigore anche nel XV secolo, grazie ad altre franchigie accordate (Cfr. M. Camera, Memorie…cit., vol. II, pp. 39-44). Riguardo i commerci tra la costiera amalfitana e la Sicilia, mete privilegiate furono oltre a Palermo, Trapani, Messina, Agrigento (Girgenti) e Sciacca, anche Termini Imerese (Cfr. M. Camera, Memorie..cit.,   vol. II, pp. 44-46).
Ancora attorno alla metà del XVI secolo, lo storico, filosofo e teologo bolognese, fra Leandro Alberti (1479-1552) nella sua Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l’origine, et le Signorie delle Città et delle Castella… (Anselmo Giaccarelli, Bologna 1550, p. 175v) riferisce con entusiasmo delle passate glorie marinare della città di Amalfi: «Di quanta grandezza, & possanza già fosse detta Città facilmente si può darne giudicio, vedendo la sontuosità de gli edifici, che in essa si ritrovano, & altresì per lo gran numero de i navighevoli legni, che haveano gli Amalfitani, seco[n]do, che si ritrova scritto, coi quali facevano gran mercatantie, navigando in quà [sic], & in là per il mare». Relativamente alla presenza amalfitana in Sicilia, l’Alberti, si avvalse degli Annales omnium temporum, opera manoscritta dell’umanista siciliano Pietro Ranzano (1426/7-1492/3) che allora si conservava nel convento dell’ordine di S. Domenico di Palermo ed oggi nella biblioteca comunale di Palermo ai segni 3 Qq C 54-60. Sulla scorta del Ranzano, l’Alberti scrisse: «Et che ciò fosse vero (come scrive il Razzano [sic, Ranzano]) se può giudicare per alcuni particolari luoghi, quali anche oggi si ritrovano in Siracusa, in Messina, & altrove per molte città di Sicilia, ove conducevano le loro mercatantie, & quivi le trafficavano. Et parimente si veggono i loro luoghi deputati, & fra gli altri de i tessitori di panno, & tali luoghi, etiandio hora si addima[n]dano de gli Amalfitani. Anche insino ad hora sta in piedi la Chiesa di S. Andrea in Palermo fatta da gli Amalfitani, & ordinata Parrocchia del Vescovo p[er] loro commodità».
Similmente, lo storico Tommaso Fazello nella sua opera De Rebus Siculis (Panormi, apud Ioannem Matthaum Maidam, & Franciscum Carraram, MDLVIII, prima deca, lib. VIII, cap. I, 185), riferendo della quarta parte della città di Palermo, tra la città vecchia ed il porto, rammenta la presenza del sobborgo dell’Amalfitania con la parrocchiale chiesa di S. Andrea degli Amalfitani (Quarta et ultima Panormi pars id totum spatium quod inter veterem urbem, duasque urbis prædictas partes & portus littora interjacet, complectitur: ingens sane, & pluribus regionibus, sacrisque ac profanis ædibus praclaris ornatissima…Quorum præcipuum Amalphitanorum fuit, & eorum Parochialis ædes D[ivo]. Andrea sacra, qua; adhuc extat).
Queste notizie furono poi riprese nel Seicento anche da Francesco Pansa, nel primo tomo della sua Istoria dell’antica repubblica d’Amalfi, pubblicata  postuma dal nipote sac. Giuseppe (Napoli, Paolo Severini, MDCCXXIV, p. 92): «essendo stati in sì gran numero gli Amalfitani […] che ingrandirono la quarta parte di Palermo, con maravigliosi [sic] edifici, e con la Chiesa dedicata à [sic] S. Andrea, la quale poscia dal Vescovo di quella Città, fù [sic] ordinata Parrocchia della Nazione Amalfitana, chiamata à [sic] tal effetto S. Andrea degli Amalfitani».
Nel Settecento, il canonico palermitano Antonino Mongitore ci informa che il patronato degli amalfitani su S. Andrea Apostolo giunse al termine nel 1346, e la chiesa divenne poi appannaggio della congregazione degli aromatari, cioè farmacisti (A. Mongitore, Bullæ…cit, notæ al privilegio di Federico I di Sicilia del 1215, pp. 95-96).
Relativamente alla storia dei commerci tra Amalfi e Termini Imerese, allo stato attuale delle ricerche, particolarmente ardua è la possibilità di ricostruirla nel dettaglio. Pertanto, questo studio costituisce soltanto un primo tentativo di tratteggiare i contatti tra la cittadina imerese e la costiera amalfitana, in special modo con Amalfi, Ravello e Scala.
La prima traccia tangibile della presenza di famiglie originarie dalla costiera amalfitana a Termini Imerese, allo stato  attuale delle ricerche, risale alla fine del XIII secolo. Ciò è provato dalle imbreviature (minute) di notar Adamo de Citella di Palermo, per la prima volta edite dallo storico, paleografo ed uomo politico siciliano Raffaele Starrabba di San Gennaro (1834-1906), in alcuni numeri della rivista «Archivio Storico Siciliano» (d’ora in poi ASS), organo ufficiale della benemerita Società Siciliana di Storia Patria. Tali imbreviature ci attestano che il 28 aprile 1299, il genovese Nicolò Vicenti, affittò la propria galea chiamata Sanctus Victor a Simone de Ravello habitator Thermarum, per il trasporto del carico di 800 salme di frumento, a ragione di tarì 4 ½, dal portus di Termini sino all’isola di Ischia, delle quali 600 dovevano vendersi al prezzo di un tarì aureo e grana cinque per salma ad un compratore locale, tal Blasius Bonumanu (cfr. R. Starrabba, Catalogo ragionato di un protocollo del notar Adamo de Citella dell’anno di XII indizione 1298-99, che si conserva nell’Archivio comunale di Palermo, in «ASS»,  anno XIII, 1888, pp. 165-182). Il cognome Ravello del detto Simone, tradisce l’origine dall’omonima località della costiera amalfitana, vero e proprio «belvedere» sul mare per la sua splendida posizione naturale.
L’accademico euraceo Uranio Bellino, al secolo Gerolamo Maria Sceusa Provenzano, nel suo ms. del 1796, che si conserva nella biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese ai segni AR d β 22, dal titolo Termini Imerese Splendidissima, e Fedele Città Della Sicilia, suo Nome, sua Origine, suo culto, e Suoi progressi, sotto i Dominij che il nostro Regno han governato, nella prima metà del XIV secolo rammenta l’esistenza del notaio termitano Lancia de Ravello, forse consanguineo del predetto Simone, il quale è attestato nel 1342 come procuratore del comune (universitas) di Termini. I Ravello erano quindi un’importante famiglia mercantile che comprendeva anche esponenti del ceto notarile e che ricopriva anche cariche pubbliche nella cittadina imerese.
Del resto, è attestato che nel 1327, i mercanti di tutte le «nazioni» (nationes), cioè provenienti al di fuori del Regno di Sicilia, compresi quelli delle quattro repubbliche marinare, ebbero stabilmente strutture ricettizie (fondaci) a Termini Imerese (cfr. V. Cusumano, Storia dei banchi della Sicilia. I Banchi privati, Loescher, Roma 1887).
E’ noto che la città di Amalfi ha come patrono S. Andrea Apostolo, del quale conserva le reliquie trafugate da Costantinopoli agli inizi del XIII sec. (Cfr. M. Camera, Istoria della città e costiera di Amalfi, Dalla stamperia e cartiera del Fibreno, Napoli MDCCCXXXVI1, pp. 45-51), e non è certo un caso che proprio a questo santo fu  intitolata la più antica chiesa dei pescatori termitani, sita nella parte alta della cittadina, non lontano dal quartiere vecchio.
Lo storico termitano Vincenzo Solìto, nella sua opera Termini Himerese Città della Sicilia posta in teatro etc. (tomo II, Bisagni, Messina 1671, pp. 89-90), fece rimontare al 1437 la costruzione della chiesa di S. Andrea Apostolo, basandosi soltanto sulla detta data apposta in un dipinto murale, raffigurante il medesimo santo: «Nel 1437. fù [sic] eretta in Termine unа chiesa dedicata al glorioso Apostolo S. Andrea; la quale hoggi [sic] è rifatta alla moderna appare ciò da una figura del medesimo Santo dipinta sul muro dove vi è il detto millesimo, & anno. Al lato della detta chiesa vi era anticamente un’hospedale [sic] hoggi destrutto, le cui rovine hoggi compariscono: si sà [sic] dal contratto della concessione del terreno fatto a i Padri Zocсоlanti di S. Maria di Giesù [sic] nel 1472. dove si fà [sic] mentione, del detto hospedale come confinante al detto terreno».
La datazione del Solìto è stata poi acriticamente e pedissequamente ripresa dalla maggior parte della storiografia, non solo locale. Ma il Solìto è totalmente smentito dal predetto Gerolamo Maria Sceusa Provenzano che, nel suo manoscritto già citato, riporta gli estremi dei rogiti notarili risalenti agli inizi del XV secolo, nei quali si fa menzione di detta chiesa come già esistente da tempo, consentendo quindi di retrodatare l’edificio almeno al XIV secolo.
Infatti, lo Sceusa Provenzano, al f. 48r del suo manoscritto riporta testualmente: «duodecima la chiesa di S[an]: Andrea che fù [sic] Parrocchia (54)» e, alla medesima nota, apposta a margine sinistro, riporta: «a 26 nov[emb]re 1409 e p[ri]mo ott[ob]re 1426», con riferimento alla fonte documentaria da lui consultata cioè gli atti di notar Giuliano Bonafede di Termini Imerese, il più antico pervenutoci (a partire dal 1407-8).
Ed è proprio sulla scorta della detta fonte notarile, che Gerolamo Maria Sceusa Provenzano poté affermare che la chiesa termitana di S. Andrea Apostolo ebbe un tempo la qualifica distintiva di «parrocchia», intitolazione che doveva essere già un ricordo agli inizi del XV secolo.
La detta chiesa di S. Andrea Apostolo nel Quattrocento era ancora ubicata in posizione decentrata rispetto alla città medievale essendo fuori la cinta muraria, in un’area ancora poco o affatto edificata, accanto all’importante asse viario che da Termini conduceva ad Agrigento (ciò spiega la presenza di un ospedale o xenodochium, cioè ospizio di pellegrini). Nella piazza antistante si aprivano diversi fondaci e botteghe di macellai.
Pertanto il titolo parrocchiale dato al S. Andrea Apostolo di Termini si può spiegare soltanto ritenendolo analogo a quello dell’omonima chiesa palermitana che, come abbiamo visto in precedenza, per disposizione arcivescovile fu ordinata Parrocchia, essendo quindi retta da un parroco che aveva la cura spirituale degli appartenenti alla Nazione Amalfitana, cioè degli amalfitani «residenti et in qualsivoglia modo confluenti», secondo la formula consueta per i commercianti provenienti al di fuori del Regno di Sicilia. Il Mongitore, come già riferito sopra, ci assicura che il patronato amalfitano sulla loro chiesa palermitana venne meno nel 1346 (riteniamo non a caso dopo tre anni dal terrificante tsunami del 24 Novembre 1343 che devastò il porto di Amalfi). Quindi, anche la parrocchiale chiesa termitana di S. Andrea Apostolo, omologa di quella palermitana, dovette sorgere per volere della locale comunità amalfitana che però agli inizi del Quattrocento era già da tempo decaduta, anche se rimasero tracce nell’antroponimia termitana.  La chiesa termitana di S. Andrea Apostolo, successivamente fu affidata alla congregazione dei pescatori.
Viene quindi confermata l’intuizione che, nell’ormai lontano 1994, ebbe uno di noi due, Antonio Contino, il quale per primo propose l’esistenza di un collegamento tra il titolo della chiesa di S. Andrea Apostolo di Termini e l’antica repubblica marinara di Amalfi. La tesi fu presentata nel corso della video-conferenza (con riprese curate da Vincenzo Candioto D’Angelo), dal titolo “Termini medievale città marinara e commerciale e “le repubbliche di Genova e di Pisa” tenutasi presso il Circolo Universitario di Termini Imerese, il 10 settembre di detto anno, sotto la presidenza di Giuseppe Palmisano, poi ripetuta dopo una settimana presso il centro sociale “Il Faro”.
Un retaggio della presenza amalfitana in Termini Imerese si rintraccia ancora nella documentazione notarile del Quattrocento dalla quale si evince che molte famiglie ancora sussistevano come quelle dei Pando, dei Curiale ed altre.
I Pando furono un’importante casata oriunda di Scala, nella costiera amalfitana, dove fondarono la chiesa di S. Andrea Apostolo detta appunto de Pando (Cfr. M. Camera, Memorie..cit., vol. II, pp. 288-289). Passati in Sicilia, i Pando si diramarono in Messina, Palermo e Termini Imerese.
In quest’ultima cittadina, la famiglia fu trapiantata dal padre fra Tommaso da Palermo, al secolo Tommaso de Pando. Questo prelato, nei rogiti termitani del primo ventennio del Quattrocento è qualificato con il titolo di Episcopus Caliponiensis (o Caliponensis). La prima menzione nota di questo prelato appare in due documenti dell’archivio dell’archidiocesi di Palermo, datati rispettivamente 10 ottobre e 22 ottobre 1375 (cfr. V. Mortillaro, Catalogo ragionato…cit., n. 110, pp. 299-303 e n. 111, p. 304). E’ probabile, quindi, che il titolo vescovile sia stato concesso attorno al 1375, sotto Gregorio XI. Nei rogiti degli inizi del XV sec., il Pando continuò ad essere indicato, almeno in maniera nominale, con il detto titolo vescovile fino al suo testamento del 2 novembre 1419 in notar Giuliano Bonafede (cfr. Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT,  vol. 12831, 1417-22, f. 37 r.).
Riguardo al titolo episcopale Caliponensis, riteniamo si tratti di una variante di Ca(l)lipolensis o Ga(l)lipolensis, relativa alla diocesi dell’antica Callipolis (Καλλίπολις) in Tracia, oggi la turca Gelibolu. Del resto, la serie vescovile di questa città dell’oriente mediterraneo, redatta da Konrad Eubel, presenta delle lacune specialmente nel Trecento (cfr. C. Eubel, Hieraechia Catholica Medii Aevi sive summorum pontificum, S. R. E. cardinalium, ecclesiarum antistitum ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta, Sumptibus et typis Librariae Regexsbergianae, MDCCCCXIII, pp. 158-159).
La proposta di identificare Caliponensis con la diocesi di Leiria (Calipo) in Portogallo, formulata in A. Contino – S. Mantia, Dallo Studium medievale al Liceo classico “Gregorio Ugdulena”, Termini Imerese 2007, pp. 18-20, è da respingere perché questo vescovato fu istituito soltanto nel 1545 essendo in precedenza un priorato di quello di Coimbra (cfr. ad es. S. A. Gomes, Organização paroquial e jurisdição eclesiástica no priorado de Leiria nos séculos XII a XV, in Lusitania Sacra, 4, 1992, pp. 163-310).
Il detto vescovo Tommaso, come non era infrequente a quel tempo, ebbe un figlio, Giovanni de Pando, qualificato negli atti notar Giuliano Bonafede come habitator terre termarum (cfr. ad es. ASPT, vol. 12831, 1417-22, 9 ottobre 1419, f. 28), che era sposato con una certa Giovanna, di cui non si conosce il cognome. 
Il 21 aprile 1436, agli atti del detto notar Bonafede, fu stipulato il contratto matrimoniale tra Antonia de Pando, figlia di Giovanni e di Giovanna, da un lato, ed un certo Bartolomeo de Curiali, dall’altro, tutti di Termini. La sposa portava in dote una casa solerata, cioè raddoppiata da un solaio, con gli ambienti collegati da una scala di legno, sita in Termini nel quartiere vecchio, confinante con la casa di Pietro de Xillufo (cfr. ASPT, vol. 12834, 1436-1449. s. n.). Da notare che lo sposo, Bartolomeo Curiali, apparteneva anch’egli ad una famiglia termitana di antica ascendenza amalfitana (documentata sin dal XII secolo), che dalle cariche sostenute in patria prese il nome di Curiale o di Correale (cfr. G.B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane, estinte e fiorenti, 1819-1892, vol. I, pp. 324-325).
Relativamente al Cinquecento, troviamo documentato il nobile Nicola Antonio Afflitto, cittadino di Termini (civis civitatis thermarum).  Il 27 Ottobre 1530, la nobile Elisabetta, vedova del detto  Nicola Antonio Afflitto, da lei sposato in seconde nozze, risulta erede del suo primo marito,  il nobile Antonio La Quaraisima (cfr. Libro II di Contratti e Scritture della Cappella del Santissimo Sacramento della Maggior Chiesa di Termini Imerese, ms. sec. XVI-XVIII, Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, d’ora in poi AME, ai segni Aε1a f. 233 e segg.).
La casata degli Afflitto, documentata sin dal IX secolo, fu nobile ad Amalfi, Scala e Napoli (cfr. G.B. di Crollalanza, op. cit., vol. I, p. 10), diramatasi in Sicilia, risiedette a Palermo, dove ricoprì cariche pubbliche e tenne banco, ed a Termini Imerese.
All’interno del più antico registro di battesimi (1542-48), conservato in AME, abbiamo scoperto alcuni atti che comprovano la presenza nella cittadina di esponenti di altre famiglie originarie della riviera amalfitana, come gli Scalisi (cfr. doc. n. 1, 2 e 3), variante siciliana di Scalese, abitanti di Scala, ed i già citati Curiale, divenuti a quel tempo degli artigiani con bottega propria ed il titolo di mastro (cfr. docc. n. 4 e 5). Da notare che la famiglia Scalisi di Termini, tuttora esistente, fin dal XVI sec. svolse un’attività prevalentemente marinara (furono padroni di imbarcazioni) attestata nei secoli successivi almeno sino alla metà dell’Ottocento quando risiedeva nella Strada della Piscaria, oggi Via Felice Cavallotti, presso le terme.
Questo studio ha permesso di retrodatare almeno al XIV secolo l’esistenza della chiesa di S. Andrea Apostolo e, attraverso la documentazione da noi scoperta, in gran parte inedita, di ricostruire tangibilmente i vicendevoli plurisecolari contatti attraverso l’importantissima rotta marittima tra la costiera amalfitana e la cittadina imerese.
Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo esprimere la nostra riconoscenza, per l’indispensabile supporto logistico nelle ricerche, rispettivamente, ai direttori ed al personale della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese. Un ringraziamento particolare va a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare delle fondamentali ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.  Questo studio è dedicato a nostro zio Andrea Graziano.

Documento n. 1
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 58r n. 6
Eode[m] [23 Marzo 1545] p[re]stj vjto [Pantano] b[attizzò] la f[iglia] dj paulu / lumbardo n[omine] laurja lj co[mpari] petro / Scaljsj et Stefano [Scaljsj, cassato]  Sasano / [la comare] catrjnj lajufrjda

Documento n. 2
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 75r n. 6
Eode[m] [22 Agosto 1546] p[re]stj siljvestri [La Tegera] b[attizzò] la f[iglia] dj / petro saragusano n[omine] petruza / lj co[m]parj petro Scaljsj / et mast[r]o / petro lu longu  la co[m]marj catrjnj / lajufrida 

Documento n. 3
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 120r n. 1
Die 18 [sic, 28] frebuarij [sic, februarij] vje Ind[ictioni]s 1548 / P[re]stj Stefano [Spataro] b[attizzò] lo f[iglio] dj colare [sic, cola, cioè Nicola, Re] n[omine] ph[ilipp]o / lj co[m]parj petro Scaljsj et augustino / dj laudato la co[m]marj [minica] lagrigola 

Documento n. 4
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1, f. 115v n. 4
Die 6 [Gennaio  1547] p[re]stj ph[ilipp]o guage[n]ti b[attizzò] / lo f[iglio] dj valencjo maximo / n[omine] joseppi lj co[m]parj gerardo / curialj et ant[onio] Indulcj /  la co[m]marj [minica] lagrigola 

Documento n. 5
Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, fondo anagrafico, Battesimi, vol. 1,  f. 121r n. 7
Die 25 [Marzo 1548] p[re]stj jo[hanni]: abb[attist]a graffeo b[attizzò] la /  f[iglia] dj vjto [Salamone alias] pinnjsi n[omine] petruza  lj / co[m]pari anflonsu [sic, alfonsu] russu et m[astr]o gerardo / curialj la co[m]marj margarita [minica] lachifa/lutana

1 COMMENT

Comments are closed.