Una serata di solidarietà per i migranti di Piano Torre e Baita del Faggio

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I Mandé Tubabù
«È venuto il momento che questi ragazzi inondino il paese, qui dove un punto nero non passa inosservato». Ci scherza su qualcuno che, saputo della festa organizzata per il 5 agosto, non vuole mettere in chiaro il suo nome. E lo dice con seria soddisfazione. Sarà una festa. «I ragazzi dei centri sono stupendi – precisa subito Giovanni Dispenza, mediatore interculturale per la cooperativa Scarabeo che gestisce i due centri di accoglienza per i richiedenti asilo (Cara) di Piano Torre e di Baita del Faggio –. Volti puliti, volti che già dicono tutto. E quegli occhi…» mentre mi indica le foto sul cellulare.

E non nasconde l’emozione davanti alle loro storie. «I casi umani sono parecchi e a volte ti senti davvero impotente; si tratta di gente spesso impaurita e che certo non rappresenta un pericolo per la comunità» sottolinea Dispenza, che opera su, in territorio di Isnello insieme a Maristella Mogavero, mediatrice linguistica, Sara Failla in amministrazione e Mariarita Cirrito che si occupa delle lezioni di italiano, tutti collesanesi. I migranti sanno che questo territorio, come il resto della Sicilia, è il primo pezzo di terra che li accoglie dopo la tragica traversata in mare. E sanno anche che è l’unica àncora per proseguire il loro viaggio fuori dall’Italia.

«Soggetti in alcuni casi fuggiti da reali drammi, tra macerie ed esecuzioni, nei teatri di guerra sparsi a sud e a est dell’Europa» precisa Dispenza, cui fa eco Piersanti Liberti, altro mediatore collesanese in forza al centro di Santa Flavia, gestito da Rita Capitano, pure lei di Collesano, per conto dell’associazione “Ius vitae” che fa capo al consorzio Sol.Co. «Un siriano, oggi in nord Europa, mi raccontava d’aver perso la madre in un’esplosione causata dai militari di Assad. Scavando trovò il corpo sotto le macerie…» ricorda Liberti. Che continua: «Non comprendono perché la burocrazia italiana sia così lenta» riferendosi all’attesa risposta delle commissioni territoriali che, purtroppo, hanno un’enorme mole di lavoro da smaltire e analizzare 6-7 casi al giorno non è operazione al ribasso se, come è, ogni richiedente è un caso umano a sé. «Ma comprendo il loro stato: arrivano senza documenti e qualsiasi pezzo di carta per loro è vitale».

Il 5 agosto sera, dunque, alle 21, in piazza Quattro Cannoli, sarà organizzata dal comune di Collesano e dalla cooperativa Scarabeo una festa «all’insegna della solidarietà – ricorda Dispenza – facendola coincidere con la fine del Ramadan». Arriveranno tutti i ragazzi dei due centri e il cuscus verrà preparato dalle famiglie tunisine presenti ormai da anni a Collesano «per integrare ancor di più pure loro – continua Dispenza – insieme a carne arrostita procurata da padre Lorenzo Marzullo che, lo sottolineo, sta facendo un sacco di bene per questi migranti».

E in più suoneranno i Mandé Tubabù, con le percussioni e le danze dell’Africa occidentale. «Riproporremo i canti e i ritmi delle terre africane da cui provengono i nostri Fratelli meno fortunati – precisano i Mandé Tubabù – con i quali condivideremo in una grande festa la musica, la gioia e la danza per abbracciare con calore chi arriva da lontano nella nostra amata terra». Il gruppo è giovanissimo: nasce nel gennaio di quest’anno dall’incontro di musicisti siciliani che condividono la passione per la musica tradizionale africana.

«La musica delle popolazioni “mande”, – ricordano sulla loro pagina facebook – tra cui i mandinka, i maninka e i bamana, ha origine con la nascita di un antico impero del Mali o Mandeng in Africa. Oggi la musica mande è suonata principalmente in Mali e in parte degli stati confinanti quali la Guinea, la Costa d’Avorio, la Guinea-Bissau, il Senegal e il Gambia. Una vastissima regione culturale – continuano – composta da tanti popoli con dialetti diversi, che da millenni utilizzano la percussione come principale mezzo di comunicazione, di espressione e di aggregazione. Grazie all’enorme potere di questa musica, infatti, è possibile realizzare una profonda integrazione tra popolazioni mande e “tubabu”, termine che significa “uomo bianco” in lingua mande».

Amano ripetere che “il bene fatto non è mai perso”. Già. Ci sono vite dietro ogni sbarco, dentro ogni barcone, sul legno bagnato che racconta storie tragiche. Fuggire da un orrore, sia esso una guerra o la nuda povertà, è un diritto. E la condivisione, fin dove possibile, un dovere.

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