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Termini Imerese, Conversazioni in giardino: quattro incontri su paranormale e esoterismo

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Promosso dalla Sede locale di BCsicilia e dall’Università Popolare Termini Imerese si terrà da luglio a settembre l’iniziativa “Conversazioni in giardino”: quattro incontri su paranormale e esoterismo. Queste le date e i titoli degli incontri: venerdì 26 Luglio “Terra di mezzo: scienza e fenomeni paranormali”; venerdì 23 Agosto “Nulla accade per caso? Quando le coincidenze diventano significative”; venerdì 6 Settembre “Fenomeni paranormali nella vita quotidiana” infine venerdì 20 Settembre “Esoterismo e Letteratura”. Tutti gli incontri si terranno alle ore 21,00. La presentazione sarà a cura del dott. Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale BCsicilia, mentre le conversazioni saranno tenute dal dott. Giovanni Iannuzzo, psichiatra e psicoterapeuta, considerato, a livello internazionale, uno dei massimi esperti di parapsicologia.

Appuntamento in Via Gregorio Ugdulena, 78 a Termini Imerese. E’ obbligatoria la prenotazione. Tel. 333.6754806 – Email: [email protected].

La prima conversazione sarò centrata sul rapporto fra ricerca scientifica e fenomeni paranormali alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche; la seconda affronta invece l’argomento delle coincidenze significative, cioè di quei fatti che sembrano del tutto casuali, ma che in realtà sembrano avere un significato specifico per le persone che le esperiscono. Nella terza conversazione viene invece discusso il modo in cui i cosiddetti fenomeni paranormali possono condizionare la nostra vita quotidiana, anche in maniera parzialmente inconsapevole. Il ciclo di incontri si concluderà con una ampia riflessione sull’esoterismo e sul modo in cui messaggi e significati segreti o conosciuti da pochi iniziati, vengono proposti in maniera sottile nella letteratura, in particolare in alcune notissime opere.

Trabia, Campo Estivo della Comunità MASCI a Castelbuono

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“CostruiAmo insieme una Comunità più fraterna, più gioiosa, più responsabile”. È stato questo il tema conduttore del Campo Estivo che la Comunità MASCI di Trabia si è dato per vivere una tre giorni nel “Castelbuono Experience”, dal 12 al 14 luglio.

Con campo base presso il seminario estivo Vescovile “San Guglielmo” di Castelbuono, molte sono state le attività nei boschi ed in natura alla scoperta e godimento: in zona San Focà, alle rocche di Gonato, alla base scout Monticelli e nel bel sentiero attorno, immerso nella splendida vegetazione, in cui, fra l’altro in escursione sono stati incontrati alcuni gruppi di daini e cerbiatti.

Non è mancata una apprezzata e colta visita dei monumenti ed opere d’arte al castello dei Ventimiglia, alla Matrice vecchia, al Museo naturalistico, ed ovviamente la degustazione dei buoni “prodotti” al Bar/laboratorio Fiasconaro, etc.; tutto preparato e curato da una guida turistica della Pro Loco.

L’esperienza ha visto, sin dalla preparazione, la collaborazione con il gruppo Agesci di Castelbuono, e con il reparto Scout Agesci dell’Alcamo 2, che campeggiava alla Base Scout “Monticelli”, e con il quale è stato condiviso un cerimoniale di Promesse, e poi un creativo ed animato fuoco di bivacco, sul tema “Natura”, proprio nel loro campo immerso nel bosco di Monticelli abbracciati dagli alberi e sotto lo splendido cielo stellato.

L’Assistente Ecclesiastico, don Marco Lupo, ha proposto un forte momento di Catechesi ed ha celebrato la Santa Messa.

Un altro momento significativo è stato quello del cerimoniale per la Promessa Scout di due componenti della Comunità MASCI di Trabia.

Nell’economia dei tempi il gruppo si è anche dedicato anche ad una attenta “rilettura”, e conseguente riflessione, del “Patto Comunitario” del MASCI Nazionale e, chiaramente, alla fine la verifica dell’esperienza di Castelbuono Experience. Tutti i componenti della Comunità si sono ritrovati nel ritenere questo campo estivo una tappa forte, significativa e costruttiva del cammino comunitario.

Termini Imerese, la Regia trazzera di Contrada Bragone è una discarica a cielo aperto

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Anticamente era una regia trazzera oggi è una discarica di rifiuti. Il tratto di strada compreso tra la Chiesa Santa Marina e il sottopassaggio autostradale in contrada Bragone, in territorio di Termini Imerese, è caduto nel dimenticatoio da parte delle istituzioni pubbliche, ed è diventato, tra l’indifferenza generale, un deposito abusivo di materiali altamente inquinanti con la presenza rilevante di amianto, inoltre sacchetti di spazzatura accatastati in più punti, cumuli di immondizia di varia provenienza come materassi, elettrodomestici, mobili, rifiuti plastici, bidoni di vernice: insomma una discarica a cielo aperto. Un’area in cui è evidente lo stato di abbandono e il degrado del territorio.

E’ necessario un immediato intervento della autorità competenti per la pulizia e la bonifica con rimozione dei materiali inquinanti e cancerogeni per salvaguardare la salute delle persone.

Nel frattempo i residenti e i villeggianti della zona stanno preparando una petizione indirizzata al sindaco di Termini Imerese per denunziare, oltre la presenza dei rifiuti, anche la pericolosità della strada a causa di numerose buche e l’abbondanza di erbacce incolte lungo i bordi che, riducendo drasticamente la larghezza della carreggiata utile, impedisce il regolare transito dei mezzi sul senso di marcia con concreti pericoli per la sicurezza stradale.

Medicina contemporanea ed epidemie: il colosso dai piedi d’argilla

La visione moderna della medicina – sia nei suoi aspetti teorici sia in quelli più strettamente clinici – è un prodotto della filosofia positivista del XIX secolo. Credo sia condivisibile l’idea che i progressi sia in campo diagnostico, sia in campo terapeutico che hanno caratterizzato il sapere medico dalla seconda metà dell’800 ad oggi siano ascrivibili al poderoso sviluppo nelle scienze di base che ha consentito l’individuazione di strutture, meccanismi e processi dalla cui conoscenza, o dalla cui comprensione sono derivati nuovi modi di intendere la malattia e nuove tecniche per curarla. Insomma, e inevitabilmente, l’accresciuta conoscenza medica nasce da maggiore consapevolezza delle leggi di natura.

Fisica, chimica e biologia in particolare hanno consentito insomma la costruzione di un modello di riferimento imponente, di un framework teorico all’interno del quale la clinica ha potuto trovare strade sempre più nuove e precise. Fu così che, già dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, la medicina si trasformò da arte approssimativa in scienza sperimentale e sempre più tesa all’obiettivo dell’esattezza. Si trattò di un processo in qualche modo assai vicino al concetto espresso dal matematico Henry Poincaré che “non c’è scienza se non del misurabile”. La ricerca di substrati organici passò lentamente dagli aspetti macroscopici a quelli progressivamente più microscopici, molecolari, sub- molecolari; l’attenzione dei ricercatori si concentrò sulla identificazione di relazioni di causa ed effetto dimostrabili e ripetibili. Di conseguenza la ricerca di terapie sempre più finemente eziologiche e sempre meno empiriche ha trasformato di fatto la medicina in una disciplina rigorosa, con importantissime implicazioni pratiche, sia dal punto di vista individuale sia da quello collettivo e sociale. Da scienza soft, la medicina si è trasformata in scienza hard. E questo è un dato di fatto storico.

In apparenza le cose continuano ad andare in questo modo; intendo dire che questo paradigma “forte” della medicina come scienza si è andato rafforzando col tempo. O almeno avrebbe dovuto essere così. Stabilita una rotta, la nave delle nostre conoscenze dovrebbe seguirla imperterrita e sicura. Certo, è possibile che esista la necessità di correzioni o aggiustamenti, possono esserci imprevisti e difficoltà, ma tracciata una rotta e verificata la sua praticabilità, la nave affronta l’oceano con sicurezza, sino alla meta da raggiungere, sino al suo obiettivo, alla sua terra promessa. Che è un po’ quello che è successo con la fisica, con la chimica o la biologia. Nella storia di queste scienze aristocratiche si sono presentati tanti aggiustamenti di rotta, tante difficoltà, tanti periodi di bonaccia. Le ciurme si sono ammutinate, ed è venuto a mancare cibo ed acqua, ma, per continuare la nostra metafora, il loro viaggio sugli oceani della conoscenza è proseguito. Faccio solo un esempio: il passaggio dalla fisica tradizionale alla fisica quantistica è stato equiparabile ad una vera tempesta, ma le nuove acquisizioni sulla struttura della materia non hanno cambiato il paradigma generale delle scienze fisiche o il loro modello di riferimento. Hanno modificato la rotta, ma la nave ha continuato a navigare in acque tornate sicure. In medicina è successo qualcos’altro. E’ difficile capire esattamente quando questo qualcosa è successo. Nella storia della scienza è spesso problematico identificare momenti storici specifici nei quali si verifica un cambiamento, ciò che muta e le ragioni del mutare; questi eventi sono più i prodotti di una evoluzione lenta e non tanto di una esplosione. Nel caso specifico della medicina, appare molto difficile capire quando il cambiamento sia avvenuto. Credo comunque che possiamo con buona approssimazione collocare i primi segni di questo cambiamento nel periodo successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con una vera e propria esplosione intorno agli anni ’70. Cosa avviene in quel periodo storico? Avviene semplicemente che il mondo cambia. Vi è un superamento delle frontiere occidentali ed una sempre più approfondita percezione della diversità. Il moderno Occidente industrializzato si deve confrontare con altri popoli e culture. Non si trattò ovviamente di un confronto intellettuale o pacifico. Alla base di questa caduta delle frontiere vi è la fine del colonialismo, e l’inizio di quel processo sociale e politico che anni dopo avremmo definito ‘globalizzazione’. La medicina moderna si confronta con altri modi di fare medicina che esistevano anche in occidente, ma solo sotto forma di modesta enclaves culturali.

La medicina che si affaccia agli anni ’70 – attraversati comunque da forti inquietudini politiche e sociali, da cambiamenti epocali – è una scienza orgogliosa di sé sino all’arroganza. Fiera dei risultati ottenuti in campo epidemiologico o sociale (ha vinto pochi decenni prima la battaglia contro la terribile influenza spagnola, ha sconfitto – sembra definitivamente – grandi flagelli epidemici come il vaiolo e la tubercolosi, tiene perfettamente sotto controllo e cura la peste nera, così come tutte le malattie infettive). Nulla sembra minacciare il suo tranquillo impero scientifico. E’ una pax augustea.

Poi accade qualcosa e la sicurezza delle mura che la moderna medicina scientifica ha costruito intorno al suo sapere cominciano a vacillare pericolosamente. Sarebbe compito di uno storico della medicina, ovviamente, indagare sui fatti che sono all’origine di queste oscillazioni. Io, che storico della medicina non sono, mi limito a citare pochi eventi che la dicono lunga sulla prima sconfitta in epoca moderna della medicina per così dire scientifica. Anzitutto il ritorno di grandi e pericolosissime epidemie. Dopo avere orgogliosamente sostenuto che nel campo delle epidemie la medicina non temeva più assalti da virus o batteri, nella seconda metà degli anni ’70 emergono nuove malattie, quasi tutte provenienti da Paesi in via di sviluppo, che colgono di sorpresa la medicina: si tratta delle prime febbri emorragiche virali, che in genere vengono battezzate con nomi esotici, perché realmente è esotico il luogo della loro origine: la febbre di Nassa, la febbre di Marburg, la spaventosa febbre di Ebola – con una mortalità che viene quantificata originariamente oscillante fra il 99 e il 100%. Il panico viene contenuto, ma per la prima volta dopo la fine (spontanea, beninteso…) della grande epidemia di spagnola, la medicina si trova impossibilita a capire e a curare.

L’unica cosa che in qualche modo rassicura è il fatto che si tratta di febbri per l’appunto esotiche che quindi rendono estremamente improbabile una loro estensione al di fuori delle zone endemiche. Insomma, una consolazione della serie “non è roba che ci riguarda”. Le comunicazioni sono ancora povere e gli spostamenti per via aerea piuttosto modesti. La cittadella scientifica e medica occidentale può ancora trincerarsi dentro le mura del suo castello.

Ma questa metafora ricorda un celebre racconto di Edgar Allan Poe, “La maschera della morte rossa” (che guarda caso descrive una forma di pestilenza che per molti versi ricorda le febbri emorragiche virali): durante una pestilenza un nobile e la sua corte si rifugiano dentro il loro castello, pensando così di restare immuni dal morbo. Ma la “morte rossa”, questa misteriosa e mortale malattia, si insinua nel castello durante una festa – con cibi abbondanti e allegre danze – e reclama il suo tributo. Bene, è più o meno quello che succede negli anni ’80. Un altro virus esotico spunta fuori dalle ombre della foresta pluviale africana. Ma stavolta non vi resta confinato. Quel virus che sarà poi definito HIV prende le strade del mondo, e da origine alla più spaventosa epidemia della storia moderna dall’epoca della peste nera medioevale. La medicina è del tutto priva di strumenti. L’AIDS devasta furiosamente il mondo occidentale e in pochi anni i morti si conteranno a centinaia di migliaia, gli infettati a milioni. E’ una catastrofe senza precedenti. Si riesce a individuare l’agente eziologico, ma passeranno ancora anni prima che si riesca a trovare forme di terapia che consentono di rallentare il decorso della malattia e aumentare la sopravvivenza degli ammalati. Ma a sinora non esiste alcun vaccino, non esiste alcuna terapia risolutiva e, secondo molti, non esiste nemmeno una chiara definizione epidemiologica di questa misteriosa malattia. L’AIDS, così come la peste nera, cambia il mondo. Ne cambia la morale, ne cambia i sistemi di credenze, ne cambia usi e costumi sessuali, ne cambia la cultura. Ha un violento rebound sia sulla politica sia sull’economia. Non credo improbabile che uno storico del futuro potrebbe descrivere il mondo moderno come un mondo prima e un mondo dopo l’AIDS.

L’HIV – come evidenzia Preston – è un virus emergente del Secondo Livello, proveniente dalle foreste pluviali africane. Le origini esatte ci sono del tutto ignote. Sappiamo solo che, anche attualmente, è in fase di amplificazione globale; il suo potenziale di massimo livello di penetrazione nella specie umana è del tutto sconosciuto. Il problema è che non si tratta di un caso isolato. Il virus di Marburg compare per la prima volta nel 1967, virus africano che deve il suo nome tedesco al fatto di essere stato isolato in Germania settentrionale, in un paziente infetto presumibilmente arrivato con un volo a partenza da Entebbe in Uganda.

Ancora più minacciosa è la prima emergenza dal virus Ebola Zaire (ne esiste una specie isolata in Sudan e quindi detta Ebola Sudan) che prende il nome dal fiume Ebola, un affluente del fiume Congo in Zaire. Nel settembre 1976 fa la sua prima comparsa simultanea in 45 villaggi situati nei pressi delle sorgenti del fiume. La mortalità è di nove ammalati su dieci. E’ un filovirus e compare dal nulla. Ha tempi di incubazione così brevi e una mortalità talmente alta ed è localizzato in una regione così lontana dalle comuni rotte aeree e commerciali occidentali da non riuscire a diffondersi.

Ma, nel 1989 nella cittadina di Reston in Virginia, nel centro della medicina moderna, a pochi chilometri da Washington, per una serie accidentale di eventi, il virus di Ebola arrivò negli Stati Uniti attraverso scimmie di laboratorio importante dalle Filippine. Diede il nome ad una specie ulteriore di visus, l’Ebola Reston. L’epidemia fu limitata sostanzialmente per caso ed una serie di eventi fortunati.

Non è andata così bene per l’epidemia da Covid 19, che ha colto di sorpresa l’intera comunità medica internazionale nel 2020, con effetti drammatici sulla popolazione mondiale e non solo dal punto di vista sanitario, ma anche da quello sociale. Agli esordi della pandemia ci si trovò di fronte ad una comunità medica disorientata, confusa, incerta, che esprimeva opinioni totalmente diverse l’una dall’altra, che sembrava andare avanti a tentoni, senza alcuna cognizione di causa, spesso orientata da pregiudizi ideologici più che da dati scientifici. Questa situazione ha poi riverberato anche sulla sintesi di vaccini sperimentati poco e male che, se da un lato hanno in qualche modo frenato l’andamento pandemico (anche se qualcuno si continua a chiedere se sia stato davvero questo a frenare la pandemia…) hanno anche aperto una ulteriore polemica, che continua tuttora, sugli effetti collaterali a breve e lungo termine degli stessi.

La sensazione generale che se ne ricava è che non solo la medicina clinica e scientifica ha margini di incerta efficacia, ma anche che lo stesso concetto di malattia andrebbe rivalutato e ridiscusso. Il concetto di malattia in generale così come nella sua particolarità (la malattia specifica) infatti, non deriva dalla nostra esperienza, elude infatti qualsiasi tipo di giuria empirica. Si tratta sostanzialmente di un modello esplicativo della realtà e non di un elemento costitutivo di essa, insomma un’idea che interpreta una realtà empirica complessa in base ad una filosofia, ovvero ad un sistema di riferimento patologici selezionati.

E’ illuminante in proposito l’esempio suggerito da Grmek: se “un uomo che soffre, tossisce, sputa sangue e dimagrisce, se il bacillo che si insedia nel suo organismo e le caratteristiche lesioni dei polmoni esistono nel senso forte di questo termine, tutt’altro avviene per la tubercolosi, la cui esistenza è legata a quella di una struttura concettuale ben articolata, a un’ideologia medica particolare”. Ne deriva che ogni civiltà ed ogni cultura, in ogni periodo storico, ha una propria concettualizzazione delle malattie e non è detto che il modello moderno occidentale sia l’unico o il più appropriato. La diagnosi medica è semplicemente l’istituzione di un legame, in un caso concreto, fra la realtà osservata e la dottrina nosologica. Un tempo ciò era semplice. Era una catalogazione, una classificazione. Oggi la situazione è più difficile perché la definizione si è trasformata da clinica in anatomica, da anatomica in micro-anatomica, e da micro-anatomica in biochimica molecolare. Oggi invece di descrivere e classificare una malattia in funzione dei suoi sintomi, ovvero delle sue caratteristiche manifeste, cerchiamo di indovinare la lesione fondamentale, il vizio nascosto. Può essere utile, in questo contesto, il concetto, ampiamente elaborato da Grmek, di “patocenosi”. La patocenosi è un insieme di stati patologici che sono presenti all’interno di una determinata popolazione in un momento dato; si tratta di un sistema dotato di proprietà strutturali particolari che deve essere studiato determinando sia qualitativamente sia quantitativamente i suoi parametri nosologici. La frequenza e la distribuzione di opini malattia dipendono, oltre che da diversi fattori endogeni ed ecologici, dalla frequenza e dalla distribuzione di tutte le altre malattie. Inoltre, la patocenosi tende a uno stato di equilibrio, cosa che si avverte in modo particolare in una situazione ecologica stabile.

Questo implica che due malattie facenti parte di una patocenosi possono avere fra loro una relazione di simbiosi, antagonismo o differenza. I casi di simbiosi sono i più frequenti. Dipendono dal fatto che le medesime condizioni ambientali favoriscono due o più malattie (come le malattie di logoramento in una società ad avanzato sviluppo tecnologico). Sia a un legame eziologico (febbre reumatica ed endocardite); sia a un sinergismo genetico; sia a un complesso gioco di fattori che agiscono contemporaneamente sul piano sociale e su quello individuale (per esempio: avitaminosi, tifo, malnutrizione e malattie infettive).

L’antagonismo fra due malattie può scaturire dallo stato genetico dell’uomo e il germe (si veda l’esempio del rapporto fra talassemia e malaria), o presentarsi come effetto finale di una concatenazione complicata dalle cause più varie. Le malattie infettive dovute all’assenza di pulizia e all’inquinamento dell’aria (tifo, dissenteria, ecc.) sono antagonistiche rispetto alle malattie dette di degenerazione (arteriosclerosi, cancro) già per il semplice fatto che uccidono gli individui prima ancora che siano invecchiati, esponendosi alla degenerazione. Si tratta però di una interdipendenza complessiva di tutte le malattie presenti in una popolazione. Tralascio le valutazioni matematiche che rendono affine il comportamento della patocenosi con la biocenosi, ovvero l’esame della distribuzione delle specie, in funzione della loro importanza quantitativa, che corrisponde ad una serie logaritmica normale. E’ probabile che simili regolarità possano essere rintracciate nelle serie di malattie che appartengono ad una patocenosi in stato di equilibrio. Se l’istituire relazioni sincroniche fra le malattie in un dato momento storico è un fatto acclarato sino all’ovvietà, è pur vero che occorre seguire i cambiamenti diacronici delle malattie. A questo provvede il concetto teorico di dinamica della patocenosi con due caratteristiche fondamentali: i periodi di equilibrio della patocenosi da un lato e i periodi di squilibrio della patocenosi stessa dall’altro (rivoluzione neolitica, urbanizzazione, grandi migrazioni, espansione coloniale, rivoluzione industriale, nuove migrazioni, globalizzazione). E’ proprio il concetto di squilibrio nella patocenosi che ci interessa. [Un esempio attuale di questo squilibrio è quello della encefalopatia spongiforme, malattia insidiosa e degenerativa nota con l’eponimo classico di morbo di Creutzfeld-Jacob, che poi Carleton Gajduseck ritrovò in una epidemia che stava decimando una tribù di cannibali della Nuova Guinea e che prese il nome di “kuro”. Nel 1976 Gajduseck ebbe il Nobel per la medicina].

Dobbiamo purtroppo insistere, pertanto, sul fatto che la medicina non è una scienza esatta, e che le certezze scientifiche della scienza medica trovano un limite invalicabile in una serie di variabili intervenienti, molto più ricca di quella delle costanti individuabili. Un esempio? Il 23 aprile del 1984 il ministro della Sanità del governo americano, Margareth Heckler, sostenuto da Robert Gallo e dal suo staff, del National Cancer Institute, a Washington nella sale dell’Huber Humphrey Building, annunciò trionfalmente: “ Oggi aggiungiamo un altro miracolo alla lunga serie di onori accumulati dalla medicina e dalla scienza americana. La scoperta di oggi rappresenta il trionfo della scienza su una malattia terribile”. Gallo aveva individuato un retrovirus responsabile dell’AIDS, HTLV. E aggiunse che “un vaccino per prevenire la malattia sarebbe stato prodotto entro i due anni successivi”. Da allora ad oggi sono passati quarant’anni e alcuni milioni di morti per AIDS.

La verità – o almeno una delle verità possibili – è che la proiezione nel futuro è una fondamentale corruzione intellettuale della medicina, così come delle scienze contemporanee. La tentazione di prevedere come si evolveranno le cose nel futuro, implica una forma estremamente sofisticata (quantificabile e verificabile) di comprensione e valutazione del processo sociale e scientifico. E questo è estremamente difficile, per quanto al contempo estremamente esaltante, perché la capacità di proiettare gli eventi nel futuro con una certa esattezza possa estendere il potere, perché sarebbe un’immensa fonte di insegnamenti nuovi su come affrontare il presente. Ma oggi lo sguardo che la medicina rivolge al futuro, con la straordinaria quantità di conoscenze a nostra disposizione, si è tramutato in una visione catastrofica, una previsione che è sostenuta da strumenti tecnici, primo fra tutti quello statistico ed epidemiologico. La medicina moderna oscilla fra timide speranze di pace ed aggressive visioni di guerra. Mi piace, allora, in proposito, ricordare una bella espressione usata da Susan Sontag [L’AIDS e le sue metafore] a proposito dell’AIDS: “No, non è auspicabile che la medicina, come la guerra, diventi “totale”. Né la crisi provocata dall’Aids può essere “totale”. Nessuno ci sta invadendo. Il corpo non è un campo di battaglia. I malati non sono né le vittime né il nemico. Noi – la scienza medica, la società – non siamo autorizzati a passare al contrattacco con qualunque mezzo… E per quanto riguarda la metafora in questione, quella militare, io direi, se mi è concesso parafrasare Lucrezio: rendetela a chi fa la guerra”.

Giovanni Iannuzzo

Cefalù, parapendista precipita dalle alture sopra l’hotel Costa Verde: interviene il Soccorso Alpino

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Soccorso Alpino e Speleologico Siciliano e IV Reparto Volo della Polizia di Stato sono intervenuti  nella zona di Cefalù per recuperare una giovane parapendista vittima di un rocambolesco incidente. La ragazza, una diciassettenne di Velletri, faceva parte di un gruppo di appassionati del volo a vela che stavano per lanciarsi dalle alture sopra l’hotel Costa Verde. Si era già imbracata e stava sistemando la vela quando un’improvvisa raffica di vento l’ha sollevata da terra scaraventandola nel pendio più in basso dove ha sbattuto violentemente contro le rocce riportando diversi traumi e fratture.

Il padre, che faceva parte del gruppo, ha chiamato il Numero Unico di Emergenza 112. La centrale del 118, trattandosi di un intervento sanitario in ambiente impervio, ha allertato il Soccorso Alpino che per ridurre al minimo i rischi di una complessa operazione via terra, viste anche le alte temperature registrate oggi, ha chiesto l’intervento del IV Reparto Volo.

Un elicottero AW139 ha imbarcato due tecnici di elisoccorso del Soccorso Alpino all’aeroporto di Boccadifalco e in pochi minuti ha raggiunto la zona. Intanto i carabinieri di Cefalù avevano fatto sgomberare la zona da altri parapendisti e sganciare la vela dell’infortunata. I soccorritori si sono calati col verricello ed hanno raggiunto la ragazza mentre l’elicottero atterrava poco distante, l’hanno stabilizzata e imbarellata per poi caricarla sul velivolo e portarla a Boccadifalco dove ad attenderla c’era un’ambulanza medicalizzata del 118 che l’ha trasferita all’ospedale Villa Sofia di Palermo.

In caso di incidenti su pareti di roccia, sentieri, ambienti montani, ambienti innevati, scogliere, in grotte e gole fluviali o in caso di persone disperse in ambiente montano, impervio e ostile, per allertare il Soccorso Alpino è necessario chiamare il Numero Unico di Emergenza (NUE) 112, specificando che si richiede un intervento di soccorso sanitario in ambiente montano o impervio. L’operatore del #NUE112, applicando la specifica “Procedura operativa ambienti montani ed impervi”, trasferirà la chiamata di soccorso alla Centrale Operativa del 118, la quale provvederà ad allertare il Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS).

Altavilla Milicia, ufficio postale chiude per circa quindi giorni: attivata postazione mobile

Poste Italiane ha attivato da oggi un ufficio postale mobile per garantire ai cittadini di Altavilla Milicia il regolare svolgimento delle operazioni postali e finanziarie durante la chiusura della sede di piazza Giacomo Matteotti per lavori interni.

L’ufficio postale mobile, posizionato nel piazzale antistante, fornirà i servizi postali e finanziari dal lunedì al venerdì dalle ore 8.20 alle 13.35 e il sabato fino alle 12.35.

Durante il periodo degli interventi, resterà disponibile con i medesimi orari anche il vicino ufficio postale di Porticello, sito a Santa Flavia in via V. Emanuele Orlando, dotato di ATM Postamat h24.

L’ufficio di Altavilla Milicia riaprirà presso la sua sede abituale con i consueti orari al termine dei lavori, previsto entro fine mese.

Alessandro Musco e la Gurfa di Alia: “Leggenda vera di Minosse in Sikania”

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Di Alessandro Musco (1950-2014) questo si disse in occasione della sua prematura scomparsa sul sito ufficiale dell’Università di Palermo: Titolare di Storia della filosofia Medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e Presidente dell’Officina di Studi Medievali di Palermo. Uomo di indiscussa ed appassionata dedizione ai Saperi, ha indagato su vari aspetti delle culture mediterranee, delle tradizioni arabo-islamiche, ebraiche, greco-bizantine, greco-albanesi, armene, latino-cristiane e dell’Oriente cristiano. Grazie al suo instancabile lavoro sono state portate avanti innumerevoli attività formative, culturali, scientifiche ed editoriali per la promozione degli studi medievali con un approccio di studio multidisciplinare ed interdisciplinare. Tutti lo ricorderemo per la sua grande capacità di intessere relazioni tra tutte le persone che lo frequentavano, dagli studenti, ai colleghi, ad uomini politici. Creativo nel trovare ogni soluzione, anche nelle situazioni più complesse. È entrato in contatto con le più svariate Università Internazionali, sempre con l’intento di aprire le frontiere e seminare il campo per i suoi allievi. Membro della Reale Accademia di Spagna, docente presso l’Università di Leòn, nella quale ha inoltre gestito progetti per master internazionali. Ha organizzato innumerevoli convegni nel territorio di respiro mondiale, riuscendo a coinvolgere le più autorevoli personalità, che solo grazie al suo impegno e contagioso amore per la cultura, sono stati ospitati in Sicilia per la prima volta. Tra le altre collaborazioni, menzioniamo quelle con prestigiosi studiosi delle Università di Madrid, di Barcellona (Autonoma), di Leòn, di Oporto, di Freiburg, di Paris-Sorbonne, di Gerusalemme, di Bersheva (Israele), di Damasco.

Per quanto ebbi modo di conoscerlo e stimarlo dal  2004, con affetto reciproco, tutto vero e conforme al suo complesso profilo umano di sintesi fra pensiero ed azione. Addirittura venne a cercarmi, incuriosito dall’eco dei miei primi studi sulla Gurfa. Mi “rimproverò” bonariamente al telefono per avergli “creato problemi di credibilità scientifica” con i suoi colleghi medievisti stranieri, che gli chiedevano notizie più precise nella polemica che cominciava ad ingrossarsi sull’asserita “medievalità conclamata della fossa granaria” da parte degli archeologi di Soprintendenza accreditati, quando, mi disse grosso modo, nel suo parlato misto colorito ed efficace di siciliano colto: “io che sono del mestiere non ne so quasi niente e modestamente pensavo fossero strutture più antiche, tranne gli accenni alla sicura presenza dei Teutonici con preesistenze islamiche e bizantine che ho rintracciato qua e la nell’alta Valle del Platani-Fiumetorto…”.

Cercai allora di rendermi disponibile per tentare di alleviare almeno a parole le sue imbarazzate responsabilità accademiche e concordammo di discuterne di presenza; cosa che avvenne in tempi rapidi ed in più occasioni, fra testi specialistici e citazioni nelle sterminate biblioteche del suo Istituto a Lettere e dell’Officina Studi Medievali.

Poi mi chiese di andare alla Gurfa, di cui aveva solo vaghe notizie contraddittorie e dove non era mai stato.

Quella giornata fu memorabile: dopo un viaggio in cui parlammo d’altro mi chiese di entrare da solo nella thòlos portandosi appresso uno sgabello pieghevole, per i suoi acciacchi all’anca. Restai da solo fuori ad aspettare.

Passato un quarto d’ora circa mi chiamò ad alta voce dandomi del tu, rompendo il reverenziale distacco con cui lo avevo omaggiato. Sempre nel suo parlato misto colorito ed efficace di siciliano colto mi disse lapidario: “Pigliati carta e pinna e scriviti questa consulenza scientifica che ti dò. Primo: conoscendo il rapporto storico che c’è fra noi siciliani ed il lavoro, tutto stu scavo è opera sicura di architetti e maestranze forestiere. Secondo: dobbiamo cercarli nella prima cerchia di Dedalo e suoi seguaci. Terzo: i miei colleghi archeologi se ne sono usciti con la storia frumentaria del granaio medievale, io che sono studioso del medioevo ti dico che è cosa molto antica che sa di preistoria. Così stiamo uno a uno e palla al centro! E dobbiamo fare scrusciu se te la senti”.

Ripresomi dalla posizione inattesa che assumeva da accademico gli chiesi conferma e se per caso non si trattava di battute di sfogo occasionali per la fortissima emozione estetica che sprigiona normalmente quell’ambiente suggestivo.

Mi confermò con calma le sue opinioni e poi discutemmo per una settimana del seguito, giungendo alla sua conclusione di studioso ed editore, con la proposta di farne intanto un breve testo divulgativo bilingue … “per vedere l’effetto che fà” mi disse “poi ne faremo un’edizione definitiva corposa e completa”. Cercò quindi la collaborazione del prof. D. Gailor per la versione inglese del testo riassuntivo che mi chiese di elaborare, al di là delle polemiche contingenti.

Mi comunicò pure il titolo per lui più adeguato, per scuotere una discussione importante sul sito: “Tesoro di Minos”. Vedendo la mia titubanza ad esporci nella prevedibile polemica archeologica con quell’attribuzione “forte”, in assenza di altri dati legittimi di scavo purtroppo mancanti, mi disse: “Capisco la prudenza, ma tu devi fare carriera accademica?” , alla mia risposta decisa “No”, replicò “Allura cafuddramu!”.

Andò esattamente così ed il seguito fu la stampa del testo, che mi disse “deve raccontare in breve la ‘leggenda vera’ di Minosse in ‘Sikania’ “, per giunta in una collana specialistica di testi filosofici importanti quale è Machina Philosophorum.

Fu così che da grande medievista ebbe il coraggio di sostenere la mia ricerca sulla “preistoricità” della Gurfa, definendola giustamente “architettura fisica e sapienziale”. Ecco il suo pensiero in breve: “… La storia della Sicilia e del Mediterraneo è stracolma di magazzini rinserrati e murati: si narra che vi siano raccolte solo cose note … schedate, catalogate, sapute e risapute. Si dice, appunto. Ma è poi vero che tutto abbiamo capito e che di tutto possediamo sapere e che di tutto c’è traccia sicura a partire dai libri di scuola? Su questa presunta sicurezza, i Carmelo Montagna ed, in piccolo, anche chi scrive, amano impiantare il proprio intrigante eros nel voler cucinare pietanze nuove e diverse, molto meno certe delle apparenti sicurezze della cultura accreditata… L’architettura fisica e sapienziale della Gurfa di Alia, santuario irripetibile di una sacralità tutta mediterranea che trova le sue ragioni proprie in diversi millenni alle nostre spalle, diventa un’occasione su cui si misurano taluni di questi inusitati sapori e saperi. Una sorta di DNA che, seppure di memoria antichissima, deve ancora svelare il suo più autentico mysterion e quanto di assolutamente inedito si nasconde tra le pietre, gli anfratti delle rocce e nelle luminose oscurità delle grandiose strutture scavate dalle mani degli uomini. E scavate con arte e tecniche sopraffine. La casualità, certamente segnata non dal caso, come avviene spesso nella strana terra di Sicilia…Questa casualità non casuale si incrocia … con la mia frequentazione con Carmelo Montagna… prima, organica, attenta riflessione su temi ed aspetti che … trova ora … più compiuta espressione in queste pagine che qui presento, con convinta partecipazione, nella collana Machina Philosophorum … Con questo studio, che proponiamo in italiano ed inglese, Machina inaugura una sezione espressamente intitolata Catasto Intellettuale Mediterraneo (CIM). Inventario delle Culture e dei Saperi Mediterranei, un progetto di ricerca internazionale che da qualche tempo ha preso l’avvio con significative collaborazioni scientifiche. … In questo largo scenario di riferimento la Gurfa di Alia occupa uno spazio di prima grandezza: si tratta … di un documento assolutamente unico per ciò che si vede e per ciò che, in quanto invisibile, chiede studio, indagine e ricerca a più mani. La sua arcaica ed aristocratica architettura sacrale che ha percorso tutta l’antichità e per intero l’età medievale e moderna, fino alle pecore cui dava rifugio e tana fino a pochissimi anni fa (!), è veramente un accumulo catastale di saperi in larghissima misura ancora inedito su cui vale la pena investire la sfida di chi, intellettuale per mestiere e professione, vuole ancora curiosare tra visibile ed invisibile, solo per capire. Per nient’altro che per capire se la linea dell’orizzonte è un limite o un confine o una sfida, oppure semplicemente ‘un punto di vista’ che richiama sempre il gusto e la passione del giudizio, dell’affermazione: in una parola, del criterio.” (Dalla Presentazione di A. Musco, in: C. Montagna, Il Tesoro di Minos. L’architettura della Gurfa di Alia tra Preistoria e Misteri, ed. O.S.M., 2009)

Fra le rrecensionii librarie che ebbe Il Tesoro di Minos mi piace ricordare questa: “Iniziativa intelligente quella di offrire un contributo così specifico e serio, ma al contempo del tutto godibile, in doppia lingua, italiano e inglese. …Il volumetto inaugura una collana, Catasto intellettuale Mediterraneo, offrendo studi su una perla: la ‘leggenda vera’ di Minosse in ‘Sikania’ ” (Marco Respinti, Perle di cultura mediterranea, in: Il Domenicale, settimanale, n°37-12.9.2009, p.5)

Fra le idee più importanti che ci lasciò Sandro Musco c’è quel formidabile progetto di ricerca interdisciplinare che volle chiamare Catasto Intellettuale Mediterraneo (CIM). Inventario delle Culture e dei Saperi Mediterranei. Ne varrebbe la pena di continuare a ragionarci, oltre quanto di meritorio già fatto dalla sua Scuola.

Alessandro Musco e la copertina de Il Tesoro di Minos.

Carmelo Montagna

Acqua di Scillato: sospensione dell’erogazione per tre giorni in diverse contrade di Termini Imerese

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Amap informa che, con riferimento al piano erogazione straordinario attuato a partire dal mese di aprile per le utenze del Canale di Scillato ricadenti nel territorio comunale di Termini Imerese che vanno dalla botola 34 alla botola 92 in corrispondenza delle contrade: Cortevecchia, Patteri, Caracoli, Madonna Diana, Barcoco, Balata, Dollarita, Fontana Superiore, Impalastro, Figurella, Pileri, Comuni, Acquaspina, Camercia, Danigargi, S. Onofrio, verrà attuata esclusivamente per questa settimana la variazione di seguito descritta.
La sospensione della erogazione verrà effettuata a partire dalla prima mattina di sabato 13 luglio mentre la riapertura verrà eseguita entro la giornata di martedì 16 luglio.
L’esatto intervallo temporale dipenderà comunque dalla posizione delle botole di presa rispetto ai punti di immissione idrica.
Amap ricorda inoltre che, per tutte le utenze dalla botola 34 alla botola 64 (C.de Cortevecchia, Serra, Scirocco, Patteri, Caracoli, Madonna Diana, Varcoco, Balata, Dollarita, Fontana Superiore, Impalastro, Figurella) continua a permanere il divieto dell’uso dell’acqua a scopo idropotabile.

Isnello: La maggioranza dice no per la seconda volta alla diretta streaming del Consiglio comunale. Nota del gruppo “Fare Comunità”

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Il piccolo comune di Isnello, poco meno di 1300 abitanti a 80 km da Palermo, entra nel guinness dei primati.  Il Consiglio Comunale nella seduta del 10 luglio 2024 ha infatti bocciato per la seconda volta in meno di due anni il regolamento per la diretta streaming proposto dal gruppo consiliare “Fare Comunità”.

Risultato: anche per questa volta la cittadinanza si vede negare un diritto che nella maggior parte dei comuni d’Italia è qualcosa di estraneo alla contesa politica.

Al Comune di Isnello, guidato dal sindaco Marcello Catanzaro – astro nascente del PD nella Provincia di Palermo e in particolare sulle Madonie -, la prima volta che è arrivato in Consiglio il Regolamento per la diretta streaming era il 10 febbraio 2023. In quell’occasione, con dichiarazione della capogruppo di maggioranza (lista civica “Partecipazione e Impegno 2.0”), Maria Enza Capitummino, venne spiegato che “il coinvolgimento si realizza soltanto programmando e sacrificando del tempo per assistere concretamente ad un appuntamento importante come lo è il Consiglio Comunale”, che “la partecipazione deve essere attiva e fisica”, che  “tutto diventerebbe ‘televisione’, tutto diventerebbe film”, che viviamo “in un momento storico in cui il pensiero e le opinioni personali si riducono troppo spesso alla apposizione di un semplice like o di commenti polemici, vuoti di contenuti, poveri di conoscenza e pieni, troppo pieni di pregiudizi e luoghi comuni”.

In pratica il diritto dei cittadini ad essere meglio informati e la conoscenza dei fatti ad Isnello diventerebbero l’origine dei “pregiudizi” e dei “luoghi comuni”.

Tutto legittimo, per carità, ma poi succede che il 25 gennaio 2024 il Consiglio dell’Unione dei Comuni Madonie a Petralia Soprana approva all’unanimità il regolamento per la diretta streaming, quindi con il voto favorevole anche dei due consiglieri di maggioranza di Isnello.

Lo stesso regolamento, per non creare imbarazzi alla maggioranza viene inviato al Comune (prot. 3434 del 27 maggio 2024) un mese e mezzo prima del Consiglio che lo boccerà nuovamente.

Stavolta la dichiarazione del capogruppo di maggioranza ribalta quella di un anno e mezzo prima sostenendo che “il gruppo di maggioranza consiliare non riscontra motivi ostativi nel riconoscere nel merito la opportunità̀ di provvedere alla diretta streaming delle sedute del Consiglio Comunale”.

E così assistiamo alla prima giravolta, con l’ostentata sicurezza di chi non teme di contraddirsi, dal momento che i “film” di cui si parlava prima sembra siano spariti dalla testa dei consiglieri di maggioranza. Però nasce un nuovo problema: il “metodo”.

Infatti la capogruppo scrive che un regolamento così importante “deve essere necessariamente un regolamento largamente condiviso” che non può essere “imposto da un quinto dei consiglieri, pretendendo che gli altri siano semplicemente d’accordo”.

Come se la maggioranza non avesse avuto un mese e mezzo per contattare la minoranza per uno schiticchio o un aperitivo, dal momento che non esistono altri spazi di confronto (come le commissioni consiliari, le conferenze dei capigruppo e altro) sia pur richiesti da due anni con insistenza e fino alla nausea dalla minoranza con interrogazioni, dichiarazioni in consiglio e comunicati.

Cosa si pretendeva? Che l’avremmo chiesto in ginocchio per non essere tacciati di “volgarità” e di usare “metodi populisti” come è stato affermato durante la lettura della dichiarazione di voto allorquando la maggioranza consiliare ha posto come “condizione il fatto che il gruppo consiliare (ndr: il gruppo “Fare Comunità”) riveda i presupposti che hanno animato il loro (sic) agire, in particolare su questo punto”? Che una ipotetica “pace politica” sarebbe il presupposto dell’approvazione di provvedimenti dei quali non si vuole entrare neanche nel merito? Che a Isnello non è possibile fare opposizione se non affiancando la maggioranza?

Noi non ci stiamo!

Come se la maggioranza, e qui assistiamo alla seconda giravolta, non condividesse quel regolamento adottato dall’Unione dei Comuni con il voto favorevole dei suoi consiglieri.

In fondo è una declinazione del metodo NIMBY, (Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”) per cui quello che va bene a Petralia non va bene a Isnello. Sarebbe troppo comodo.

Del resto, la condivisione non è mai stato il metodo della maggioranza che non ha mai in questi due anni coinvolto la minoranza quando si trattava di adottare o cambiare dei regolamenti (da quello del  funzionamento del Consiglio Comunale a quello della distribuzione dell’acqua potabile a quello sulla protezione civile o sulla videosorveglianza (ah, la privacy) e nonostante tutto, in diverse occasioni la minoranza ha votato a favore pensando che il bene della comunità fosse superiore a certe beghe da comari. Cosa che è successo anche durante la seduta del 10 luglio, sia prima che dopo la bocciatura del regolamento per la diretta streaming.

E allora, perché si dovrebbe credere alle parole della maggioranza sul metodo? Semplicemente perché se non c’è traccia (se non nei verbali, necessariamente sintetici, dei vari segretari che si succedono) di quanto e di come si discute nei Consigli comunali, non c’è modo di dimostrare le qualità politiche delle proposte di una parte o dell’altra. Diventa così un modo per silenziare la minoranza facendo pagare il prezzo ai cittadini a cui viene tolta un’opportunità per essere informati su fatti che riguardano le loro esistenze e la loro vita quotidiana.

Se è vero che la maggioranza non ha nulla da nascondere rispetto a quanto accade in Consiglio lo dimostri con i fatti, presenti lei il regolamento per la diretta streaming e dimostri di non avere paura e di essere per una volta coerente. E dopo il regolamento non faccia aspettare anni prima di attrezzare l’aula del Consiglio per la diretta. L’Unione dei Comuni dopo aver approvato il regolamento ci ha messo solo 5 mesi per trasmettere online il suo primo consiglio.

Gianpiero Caldarella e Filippo Alfonso per il gruppo consiliare “Fare Comunità”

Nella foto sindaco di Isnello, Marcello Catanzaro (al centro con camicia verde) con consiglieri comunali e assessori.

Petralia Sottana, concluso con un concerto alla pineta comunale il progetto “Maria e Rosalia: il dono, la speranza e il futuro”

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La Pineta comunale di Petralia Sottana riapre il suo teatro con un concerto d’eccezione. Il folto pubblico presente all’evento ha di fatto inaugurato l’importante luogo comunitario per il paese e l’intero territorio madonita. È stato un momento di pura emozione che segna la rinascita di uno spazio iconico da sempre punto di riferimento dei giovani e non solo.

Il concerto ha visto la presenza di tre colonne della musica siciliana: lo storico gruppo della “Taberna Mylaensis” che, con il loro leader Luciano Maio, hanno proposto una musica caratterizzata da ritmi  vivaci, melodie coinvolgenti e testi che narrano storie di vita, amore e tradizione; Mario Incudine che, con la sua voce potente e la sua presenza carismatica, ha incantato il pubblico rievocando e portando nel presente la tradizione dei cantastorie e dei cuntisti; la Cicciuzzi che con i loro ritmi e composizioni originali creano un mix eccezionale che esalta la vita e l’impegno civile.

Un evento unico nel suo genere che ha rivitalizzato e fatto da apripista alle tante attività estive di Petralia Sottana, molte delle quali si svolgeranno proprio nella pineta.

L’appuntamento di ieri sera chiude l’evento storico dedicato ai 400 anni del festino di Santa Rosalia, “Maria e Rosalia: il dono, la speranza e il futuro” che unisce Petralia Sottana a Palermo. Un evento che ha visto la realizzazione dei disegni votivi con sale colorato per il Corpus Domini con l’artista Mirco Inguaggiato, un importante convegno sulle cure palliative della Samo e il laboratorio di racconto con i bambini a cura dell’associazione Fuori di Testa.

Tutti gli eventi del progetto “Maria e Rosalia: il dono, la speranza e il futuro” sono finanziati dalla città metropolitana di Palermo con un bando del settore cultura. L’organizzazione della manifestazione è stata curata dall’Asc. Production in collaborazione con il comune di Petralia Sottana.