L’ansia, in tutte le sue forme, è una delle cause più frequenti, per le quali ci si rivolge prima al medico, poi allo psichiatra. Sebbene come tipo di disturbo non sia sicuramente ‘grave’, esso da al paziente sensazione estremamente sgradevoli, lo fa vivere in uno stato di costante attesa angosciosa, quando no, per forme particolari che questo disturbo assume, limita in misura notevole le sue potenzialità. Ma è anche un disturbo che spesso si sottovaluta, lo si affronta con rassicurazioni, si pensa assai spesso che sia dovuto ad un capriccio del paziente, e non ad una malattia reale.
CHE COS’È L’ANSIA?
L’ansia (patologica, ovviamente) è un insieme di reazioni emotive, che si manifesta con delle caratteristiche tipiche, che riguardano sia la sfera psichica, che quella fisica. Dal punto di vista psichico il paziente si sente irrequieto, impaziente, in apprensione, qualunque stimolo esterno lo può mettere in allarme. Si affatica per nulla, si distrae, ha rilevanti disturbi della memoria, non dorme la notte, e se dorme, dorme male e magari fa anche degli incubi. A questi penosi sintomi ‘psicologici’ si accompagnano disturbi strettamente fisici: ha la sensazione di soffocare, non riesce a respirare bene, si sente la gola stretta. Sente il cuore che batte forte (tachicardia) o che ha dei ‘tuffi’, ‘come se perdesse un colpo di tanto in tanto’ (extrasistoli). E’ irrequieto anche sul piano motorio, non riesce a star fermo; suda, ha tremori, ha senso di vertigine, che si accompagna quasi inevitabilmente alla paura di svenire, o di morire. Talvolta lamenta anche mal di testa. Uno degli apparati che maggiormente risente dell’ansia è quello gastrointestinale: il paziente non ha fame, o, al contrario, ha una fame ‘da lupo’. Può avere nausea, talvolta presenta vomito mattutino. Sente un ‘vuoto’ alla bocca dello stomaco (aura gastrica). Non raramente ha un bisogno frequente di andare in bagno ad urinare. Tutti questi disturbi possono essere presenti contemporaneamente, o separatamente, ed alcuni possono essere più intensi di altri.
QUALI SONO LE ORIGINI DELL’ANSIA?
Sull’ansia esistono ovviamente molte teorie. Quella psicoanalitica, la più antica, sottolinea che l’ansia è la manifestazione esterna di un conflitto all’interno del sistema psichico, per cui l’ansia è un segnale dell’esistenza di una discrepanza in genere tra l’Io, la parte cosciente e controllata della mente, e la parte inconscia, che è invece depositaria di istinti e pulsioni assolutamente primitive e irrazionali. Quando questi due tipi di contenuto (quello dell’inconscio e quello dell’io) vengono in conflitto, il soggetto avverte il conflitto attraverso l’ansia. E’ una teoria affascinante, ma ne esistono altre che sono forse ancora più precise. Esiste, per esempio, un modello ‘relazionale’ che sostiene che l’ansia è un segnale di disagio all’interno di un sistema di relazioni (familiari, interindividuali, sociali). Allora, quando qualcosa non funziona all’interno della comunicazione (sia essa la comunicazione all’interno di una coppia, di una famiglia, di un sistema più ampio) si manifesta l’ansia. Che, a sua volta, ha la funzione di essere essa stessa messaggio e comunicazione all’interno di questo sistema disturbato. Il soggetto, insomma, esprime con l’ansia qualcosa – di cui lui stesso è entro certi limiti inconsapevole – che va decodificato per riportare il sistema alle sue condizioni orginarie ( e ideali) di equilibrio.
Ogni persona, infatti, ha una propria modalità di risposta emozionale ed affettiva ad uno stimolo. Questo significa che di fronte allo stesso stimolo non tutti i soggetti rispondono allo stesso modo: la modalità della risposta dipende dalle aspettative, dalla personalità del paziente, dalle sue esperienze precedenti. Un soggetto, cioè, attribuisce un certo significato, assolutamente individuale ad uno stimolo, lo stesso stimolo che ad un’altra persona può provocare una reazione del tutto opposta. Nel caso dell’ansia, è evidente che la persona attribuisca ad uno stimolo un particolare significato di minaccia soggettiva (indipendentemente dal valore reale dello stimolo stesso, e dalla sua effettiva minacciosità). Il contenuto fondamentale sembra possa essere quello relativo alla controllabilità o meno di un evento: più un evento appare incontrollabile, più la persona è predisposta alla reazione d’ansia. Questo scatena una attivazione emozionale. Si attiva pertanto una strada a due vie. la prima porta alla esperienza soggettiva, estremamente sgradevole, dell’ansia (il ‘sentirsi in ansia’), la seconda, (attraverso una mediazione cerebrale che implica soprattutto il sistema limbico e poi l’ipotalamo) attiva il sistema neurovegetativo e neuroendocrino, producendo tutti i sintomi somatici (fisici) che sono tipici dell’ansia. Questo modello consente di capire perché l’ansia sia un fattore così variabile, e la risposta ad uno stesso stimolo causi in persone diverse reazioni talmente differenti.
Da un punto di vista strettamente biologico, l’ansia appare correlata a particolari sistemi di regolazione cerebrali. Detto in termini molto semplici, sembrano esistere nel cervello dei sistemi neurochimici che controllano l’ansia, in maniera estremamente complessa, anche attraverso la secrezione di sostanze endogene che sarebbero una specie di ‘ansiolitici’ naturali, o sostanze che al contrario incrementano l’ansia. E’ all’interno di questi meccanismi di regolazione neurochimica che andrebbe cercata l’origine fondamentale dell’ansia. Il nostro cervello, insomma, risponde alle interazioni tra individuo e ambiente, le reinterpreta e le traduce il linguaggio neurochimico.
L’ansia non si presenta sempre nello stesso modo. In psichiatria si distinguono diversi ‘quadri clinici’ tutti caratterizzati dalla presenza in varia misura dell’ansia, ma con caratteristiche molto diverse. Quando l’ansia si presenta nel modo che abbiamo descritto, più o meno, si parla di disturbo d’ansia ‘generalizzata’, nel senso che tutta l’esistenza dell’individuo è permeata da questo stato emotivo e da questi stati d’animo., Ma questo è solo un modo nel quale l’ansia si presenta. Un tipico ‘stato d’ansia’ è, per esempio, agorafobia, dal greco=paura delle piazze, degli spazi aperti. Il paziente con questo disturbo ha ‘paura’: paura di trovarsi da solo per strada, di andare in luoghi affollati o chiusi, di attraversare piazze grandi, o semplicemente di uscire da solo. Non guida, anche se prima guidava, non prende più il treno o l’areo, non esce più da solo. Ha paura che gli succeda qualcosa, che possa svenire, o addirittura morire. Se esce da solo (e in certi stati non molto gravi succede) segue solo percorsi particolari costellati da precisi punti di riferimenti, luoghi nei quali se stesse male può trovare aiuto. Non si discosterà da quei percorsi tracciati dalla sua paura per nulla al mondo. Spesso associato a questo disturbo ce n’è un altro, il Disturbo da attacchi di panico: il paziente, sia che abbia la sua agorafobia, sia anche che non l’abbia, è preso improvvisamente dal panico, in apparenza senza alcuna causa scatenante. Averte una intensa paura, ha una sensazione di morte imminente e presenta tutta una serie di sintomi fisici tipici dell’ansia: palpitazioni, senso di soffocamento, tremore, vertigini, sudorazione profusa, paura di perdere i sensi. In genere questi pazienti si rivolgono immediatamente al medico, o vanno al pronto soccorso per sincerarsi di non avere avuto un attacco cardiaco. Il DAP può, o meno, essere associato all’agorafobia, che complica, ovviamente la situazione. Abbastanza spesso, dopo il primo attacco di panico, il paziente tende accuratamente ad evitare tutte le situazioni (del tutto casuali) che erano connesse all’attacco stesso: se era in una strada molto grande, eviterà con cura tutte le strade con quelle caratteristiche. Se stava guidando eviterà di guidare o almeno di guidare da solo, se era al cinema, si rifiuterà caparbiamente di andare al cinema. Ed è inutile tentare di convincerlo: tutte queste situazioni, infatti, gli scatenano una ‘ansia anticipatoria’, che non riesce assolutamente a controllare.
L’ansia infatti è stata definita “la paura di avere paura”. Nel mondo psicologico della persona con un disturbo d’ansia tutto è “pericoloso”, tutto può avere effetti catastrofici. Ed è lì che passa il misterioso confine con la paura., sentimento che fa parte della nostra stessa natura, al pari con gli animali di altre specie. Tutti, cioè, uomini e animali, abbiamo paura, ma nel provare questo sentimento, abbiamo dei motivi specifici, delle motivazioni realistiche, rispondiamo a stimoli che possono essere, o viviamo, come pericolosi. Nella condizione ansiosa la paura non è, invece, per così dire ragionevole. Intendo dire che la paura è fisiologica, l’ansia no. Facciamo un esempio.
Spesso si manifesta, comunque, con caratteristiche molto delimitate, quelle che chiamiamo ‘fobie specifiche’. Si tratta di paure assolutamente irragionevoli, ed assolutamente specifiche: ne esistono addirittura decine, tutte identificate con un termine che trae abitualmente origine dalla paura greca che indica l’oggetto di cui si ha paura: allora, abbiamo la paura degli spazi chiusi (claustrofobia), la paura delle altezze (acrofobia), la paura degli animali (zoofobia), la paura dei cani (cinofobia), e chi più ne ha più ne metta (in fondo esistono centinaia di cose di cui si può, a ben pensarci, avere paura). Un particolare tipo di fobia è la ‘fobia sociale’, cioè la paura irrazionale di tutte quelle situazioni che ci mettono a contatto con gli altri. Si ha paura di ciò che gli altri possano pensare di noi, del giudizio altrui, insomma. Il paziente con questo disturbo ha una grande paura di essere criticato, e pertanto eviterà tutte quelle situazioni nelle quali potrebbe perdere la stima degli altri.
QUALI TERAPIE PER L’ANSIA?
Per quanto variegati e complessi, i sintomi d’ansia (che riguardano numericamente, circa il 28% della popolazione mondiale, secondo stime recenti), diciamo pure che oggi esistono ottimi rimedi terapeutici. Anzitutto diverse classi di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale, sulle ‘fonti fisiche’ dell’ansia. I farmaci più famosi sono le benzodiazepine, ma esistono altri tipi di farmaci attivi contro i sintomi dell’ansia. Una delle classi più interessanti appartiene alla categoria dei cosiddetti ‘antidepressivi’, cosiddetti perché, inventati per la depressione, si è visto che curano, anche stabilmente, numerosi disordini ansiosi. Per esempio, il rimedio farmacologico per il disturbo da attacchi di panico, o le fobie, non è un ansiolitico, ma sono proprio gli antidepressivi. Poi naturalmente esistono le psicoterapie, da quelle comportamentali (efficacissime per le fobie, o il disturbo ossessivo, compulsivo, per esempio) a quelle di tipo cognitivo, senza per questo voler trascurare le altre. L’ansia infatti è un disturbo abbastanza facilmente ‘aggredibile’; poiché cede spesso anche alla semplice rassicurazione. Diciamo che un’azione combinata, su una base razionale, tra appropriate terapie farmacologiche e una psicoterapia adeguata possono sicuramente risolvere il problema clinico, e, in altri termini, guarire del tutto il paziente. Il problema, semmai, è un altro e cioè quello delle origini dell’ansia. Perché, cioè, si diventa ansiosi? L’ansia è una reazione psichica di allarme che in natura è utilissima. Aumenta il nostro grado di vigilanza e ci rende pronti all’azione. Che sia una reazione costruttive, che sia una reazione di fuga verso un pericolo che vediamo come insormontabile non importa. Ci aiuta comunque ad essere ‘operativi’, pronti comunque a reagire di fronte ai pericoli. Non a caso si parla di ‘livello ottimale’ di ansia. Il problema è quando questa condizione diventa eccessiva, esagerata – sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo – di fronte a situazioni che realisticamente non rappresentano pericoli reali, bensì immaginari. In tal caso l’ansia diventa patologica perché abbassa globalmente il livello delle nostre prestazioni. Anziché aiutarci ci danneggia. La soluzione sarebbe allora quella di imparare a valutare i pericoli in modo obiettivo, a non sopravvalutarli. Ma la società nella quale viviamo oggi di certo non ci aiuta. Crea, al contrario, motivi di ansia ad ogni piè sospinto. E allora? Come e cosa fare? Cambiamo la società? Sarebbe come suggerire di debellare le epidemie sterminando tutti i virus e i batteri del nostro ecosistema. Meglio abituarsi all’idea che l’ansia è un fastidioso coinquilino della nostra mente. Se proprio diventa un rompiscatole, facciamoci aiutare, dal medico o dallo psicologo. Altrimenti impariamo a conviverci, seguendo magari l’antico aforisma attribuito a Giulio Cesare: “ Si non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum”: se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico…
Giovanni Iannuzzo





