Il sito noto con il toponimo di “Mura Pregne”, ubicato al confine tra gli odierni territori comunali di Termini Imerese e Sciara, sorge alle pendici del Monte Castellaccio, a sua volta propaggine orientale del S. Calogero o Euraco (1326 m s. l. m.). Il toponimo deriva essenzialmente dalla presenza delle strutture murarie “megalitiche” di incerta datazione (manca sinora un’apposita indagine scientifica interdisciplinare e multidisciplinare). Queste architetture in pietra a secco di tipo “megalitico”, caratterizzate dall’impiego di elementi litici di grandi dimensioni, sono provvidenzialmente sopravvissute soprattutto all’attività estrattiva di una cava di calcare del Giurassico superiore e del Cretacico superiore. Tale cava, gestita dalla Lambertini, per circa un trentennio, ha prodotto l’irreversibile distruzione dell’assetto paesaggistico, topografico e geomorfologico dell’area, con danni incalcolabili al patrimonio storico, archeologico (dal Paleolitico al medioevo) e geologico. Oggi, rimane solo un barlume di questo straordinario sito dove, oltre alle esistenti mura megalitiche ed al cosiddetto “dolmen”, erano presenti importanti emergenze geologiche e geomorfologiche, come la Grotta del Drago ed altre cavità pseudocarsiche anch’esse a marcato controllo tettonico (Ciacca e Ciacchitedda ‘ra Chiusa; le due cavità dette Grutta ri’ Pecuri, nonché lo Zubbiu ru’ Dragu, e la Caràmula ‘ra Chiusa).
Per una recente rassegna relativa a questo sito, dal punto di vista archeologico, corredata da ampia bibliografia, rimandiamo all’articolo dell’archeologa Vincenza Forgia (cfr. V. Forgia, Mura Pregne: una revisione dei dati archeologici e una ricostruzione virtuale del sito. “Agri Centuriatian An International Journal of Landscape Archaeology”, 15, 2018, pp. 25-49). Per chi voglia ulteriormente approfondire l’argomento, segnaliamo: C. A. Di Stefano, Mura Pregne. Ricerche su un insediamento nel territorio di Himera, in N. Allegro, a cura di, “Secondo Quaderno Imerese”, L’Erma di Bretscheider, Roma 1982, pp. 175-194; P. Ghizolfi, Mura Pregne in “Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle Isole Tirreniche”, 12, Année 1993, Siti Monte Sant’Angelo (1) – Orsomarso. pp. 129-138, https://www.persee.fr/doc/btcgi_0000-0009_1993_num_12_1_3803; il saggio del compianto Giovanni Mannino sulla preistoria di Termini Imerese (cfr. G. Mannino, Termini Imerese nella Preistoria, Gasm, Termini Imerese 2002, 206 pp., in particolare, pp.121-147); S. Vassallo, Mura Pregne-Brucato, in S. Vassallo, a cura di, “Archeologia nelle vallate del Fiume Torto e del San Leonardo”, Palermo 2007, pp. 108-116; Idem, L’enigma del muro megalitico e dello pseudo-dolmen di Mura Pregne, in D. Gullì. ed., “From Cave to Dolmen: Ritual and symbolic aspects in the prehistory between Sciacca, Sicily and the central Mediterranean”, Archaeopress Publishing Ltd, Oxford 2014, pp. 247-252.
Questo sito fu reso noto per la prima volta da Luigi Mauceri (Siracusa, 27 settembre 1850 – Roma,18 aprile 1940), ingegnere appassionato di archeologia che, sin dal 1877, lo aveva esplorato. Diciannove anni dopo, Mauceri aveva finalmente raccolto le sue osservazioni in un saggio, dedicato alle nozze tra Gaetano Mario Columba e Giulia Salinas (figlia di Antonino e di Anna Ciotti) avvenute il 31 dicembre 1896 (cfr. L. Mauceri, Sopra un’Acropoli pelasgica esistente nei dintorni di Termini Imerese, Giornale di Sicilia, Palermo 1896, 15 pp.). Egli descrisse il rilievo di Monte Castellaccio, che appariva «tagliato di alte balze quasi a picco» e «la parte orientale del monte così naturalmente difesa, doveva, in epoca remota, essere quasi inaccessibile in ogni lato, se si eccettui una piccola insenatura, costituita forse da una grande spaccatura verificatasi nei calcari, la quale formando un certo pendio permetteva, fra i detriti ed i dirupi del monte, un possibile accesso, Nell’anno 1877 visitando la detta località scoprii, appunto in questo accesso del monte che guarda verso mare, una grande muraglia ciclopica che, per la sua posizione e struttura, a me parve uno sbarramento [sic] all’unico accesso alla montagna. La grandiosa muraglia è intestata, come rilevasi dall’annessa tavola, nelle due pareti della spaccatura ed è costituita di grandi e piccoli blocchi naturali sul fare delle opere di Kephaloedion [Cefalù]. Essa in sommità ha le dimensioni di circa m.[sic] 20 x 3 ed è leggermente arcuata; ha nel mezzo l’altezza di m.[sic] 9 circa, ed ha il parametro alquanto a scarpa. Però negli estremi è ingombra da una gran quantità di detriti della montagna. In basso, nel mezzo della muraglia scorgesi un piccolo vano che, malgrado non abbia alcuna impronta d’arte, pure a me sembrò una galleria di accesso [sic]» (Mauceri, Sopra un’Acropoli pelasgica…cit., p. 6). Il Mauceri, nel suo saggio, usando il passato remoto, ci conferma che egli scrisse utilizzando pochi appunti e molto sui ricordi e sulle impressioni suscitate da quella visita del lontano 1877, non su osservazioni recenti. Ciò lo ha condotto a vedere nelle mura “megalitiche” un’opera di «sbarramento», verso la montagna, non rendendosi conto della reale inconsistenza del suo assunto. Quest’ultimo, del resto è incredibilmente contraddetto dalla stessa Planimetria del Monte Castellaccio e dei suoi dintorni (tav. I), disegnata dal Mauceri, che riporta l’ubicazione delle strutture “megalitiche” nel settore NE del sito. Infine, lo Schizzo planimetrico del muro ciclopico del Monte Castellaccio (tav. II), è ben poco aderente alla realtà dell’opera “megalitica”. E’ forzatamente somigliante alle mura di Cefalù, esibendo anche una fantasiosa postierula, basata sulla suggestione di una presunta “galleria di accesso” del tutto inesistente, trattandosi dello spazio lasciato da un blocco mancante.
Nei primi del Novecento, Mauceri tornò ad esplorare il sito di “Mura Pregne” ed il Castellaccio. In un nuovo suo contributo, lo studioso lamentava che «a causa della solita deficienza di fondi, nessun provvedimento dagli uffici dello Stato fu preso, non dico per tentare uno scavo e risolvere qualcuno dei problemi da me ventilati, ma neppure per difendere il muro e le altre opere, da possibili devastazioni. In questi ultimi anni ebbi occasione di ritornare sul posto per riconoscere gli antichi avanzi, e con dolore dovei rilevare che, essendo stato costruito lì presso un tratto della grande condotta d’acqua potabile per la città di Palermo [Acquedotto di Scillato], una testata del gran muro fu convertita in cava di pietra, e quindi demolita barbaramente. Il gran muro aveva in origine la lunghezza di m. 20, l’altezza massima di m. 9 e la larghezza di m. 3 in sommità; alcuni dei massi hanno un volume maggiore di un metro cubo. Fu certamente edificato facendo ruzzolare grandi blocchi staccati ad arte dal sovrastante pendìo, per posarli successivamente gli uni sugli altri. La faccia esteriore fu grossolanamente scalpellata ad opera finita, ed è leggermente convessa. Può darsi che altri brevi tratti di muri megalitici fossero stati innalzati per sbarrare le due grandi spaccature che interrompono la balza di oriente del monte, e che ora costituiscono due ripide gole che permettono di arrivare al cacume (…). La gola di sinistra è più stretta ed è molto difficile a superarsi: quella, di destra è più ampia, meno erta, sebbene frastagliata da massi, e permette di superare la balza alta circa 30 metri. Salendo questa gola si trova, sulla sinistra, una spaccatura trasversale nella roccia, che si allarga in basso, così da formare una grotta à padiglione che i naturali del luogo chiamano grotta del Drago» (cfr. L. Mauceri, IV Il Kronion d’Imera, in Idem, Cenni sulla topografia di Imera e sugli avanzi del tempio di Buonfornello, “Monumenti Antichi – Accademia Nazionale dei Lincei”, XVIII, 2, Milano 1908, coll. 385-436, in particolare, coll. 426-436). A seguito dei nuovi sopralluoghi, Mauceri, pur essendosi reso conto che non vi era un’unica via di accesso al rilievo del Castellaccio, come precedentemente affermato, continuò a portare avanti l’erronea interpretazione delle mura “megalitiche” come opera di sbarramento, anche se si rese conto dell’esistenza di uno «spazio chiuso».
Nel contempo, il luogo aveva attirato l’attenzione anche di Giuseppe Patiri (Termini Imerese, 10 ottobre 1846 – ivi, 1º marzo 1917), paletnologo ed etnologo (cfr. G. Patiri, Termini Imerese antica e moderna, Tipografia Marsala, Palermo 1899; Idem, Le mura e le costruzioni ciclopiche della contrada Cortevecchia in Termini Imerese, Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia, vol. XXXVIII, fasc. I, 1907, pp. 17–23). Lo studioso riconobbe l’esistenza di un’area recintata dalle strutture megalitiche, che egli designava «quadrilatero» per la forma planimetrica. Nel secondo saggio, relativamente alla grotta del Drago, Patiri forniva interessanti informazioni relative agli aspetti del folklore locale riguardanti le mura: “Nelle tradizioni del luogo vive la leggenda che il Drago, abitatore della misteriosa caverna, uscisse nottetempo per le sue opere magiche; e segnatamente, per andare a costruire di sua mano le vicine mura ciclopiche, dette oggi Mura-Prene”. Nel 1936-1937, l’archeologa Jole Bovio Beccaria Marconi (Roma, 21 gennaio 1897 – Palermo, 14 aprile 1986) effettuò dei saggi di scavo nell’area di “Mura Pregne”, pubblicando solo alcuni risultati preliminari (cfr. J. Bovio Marconi, Termini Imerese (Monte Castellaccio). Relazione preliminare, in “Notizie degli Scavi di Antichità”, Accademia dei Lincei, serie VI, XII, 15, Roma 1936, pp. 462-473). In tale contesto, il disegnatore Rosario Carta, rilevò due planimetrie del sito, con l’ubicazione delle strutture esistenti, antecedenti all’apertura della cava (cfr. Di Stefano, Mura Pregne….cit. p. 182, figg. 26-27).
Nelle varie culture del mondo esistono molte leggende e miti legati ai Draghi e vi sono diverse grotte che prendono nome da essi (cfr. E. Ingersoll, Dragons and Dragon Lore. Payson and Clarke Ltd, New York 1928, 236 pp.; R. Blust, The Origin of Dragons, “Anthropos”, 95, 2000. pp. 519-536; Ad de Vries, Arthur de Vries, Elsevier’s Dictionary of Symbols and Imagery, Brill, Leiden 2004, s.v. Dragon; D. Ogden, Drakon: Dragon Myth and Serpent Cult in the Greek and Roman Worlds, Oxford University Press, Oxford 2013; Idem, Dragons, Serpents, and Slayers in the Classical and Early Christian Worlds, Oxford University Press, Oxford 2013; E. A. Penman, An Exploration of Dragons in Classical Mythology, thesis, Faculty of Humanities and Social Sciences, The University of Queensland 2020, 118 pp.). Una possibile origine del mito, soprattutto in contesti di grotta potrebbe essere legata al ritrovamento di resti fossili di vertebrati, interpretati popolarmente come ossa di Draghi (cfr. A. Mayor, The First Fossil Hunters: Dinosaurs, Mammoths, and Myth in Greek and Roman Times, Princeton University Press, Princeton 2011, 400 pp.).
Nella leggenda locale di “Mura Pregne”, il Drago svolge anche la funzione di “costruttore” delle mura ciclopiche. Il legame tra strutture “megalitiche” e draghi, non è prerogativa esclusiva di questo sito siciliano. Infatti, in Grecia, nel settore meridionale dell’isola Eubea, precisamente a 1400 m s.l.m. sul Monte Oches (varianti Ochi, Ocha, Oche, altrimenti detto S. Elia, per la chiesetta eponima) esistono i “drakospita” (ή σπηλιὰ τοῦ Δράκου o Δρακόσπιτα ‘case del drago’), scoperte nel 1797 da John Hawkins (1758-1841) geografo, ingegnere e geologo inglese, che le interpretò come antiche strutture templari (cfr. J. Hawkins, An Account of the Discovery of a very Ancient Temple on Mount Ocha in Euboea, in: R. Walpole, ed., “Travels in Various Countries of the East”, London 1820, pp 285-293). In seguito, furono dettagliatamente descritte nel 1842 da Heinrich Nicolaus Ulrichs (1807-1843), linguista ed archeologo tedesco (cfr. H.N. Ulrichs, Intorno il tempio di Giunone sul monte Ocha vicino a Carystos. “Annali dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica”, XIV, Roma 1842, pp. 5-11). Nel folklore eubòico, anche in questo caso i draghi sono visti come depositari di facoltà straordinarie ed in veste di costruttori (cfr. J. Carpenter, D. Boyd, The Dragon Hauses of Southern Euboia, “Archaeology”, 29, 1976, pp. 250-257, Idem, Dragon-Hauses: Euboia, Attika, Caria, “American Journal of Archaeology”, 81, 1977, pp. 179-215). Altri siti similari sono stati successivamente scoperti nella medesima isola, nella regione di Styra e recentemente censiti in modo dettagliato (cfr. K. Reber, The Dragon Houses of Styra: Topography, Architecture. and Function, “Mediterranean Archaeology and Archaeometry”, 10 (3), 2010,, pp 53-61).
Tornando al nostro sito siciliano, la più antica menzione di “Mura Pregne”, risale al Cinquecento, in relazione alla famiglia nobile genovese dei Picaluga (“Pizzica l’uva”), la quale essendo in patria iscritta alla consorteria (albergo) nobiliare degli Spinola, antepose il cognome di questi ultimi al proprio. A Termini, infatti, la casata appare inizialmente designata Picaluga o Spinola Picaluga, sino a divenire semplicemente Spinola, come del resto appare inserita al n. 96 della Mastra de’ Nobili riportata dallo storico locale sac. Don Vincenzo Solìto (cfr. V. Solìto, T, Termini Himerese Città della Sicilia posta in teatro. Cioè, l’Historia della Splendidissima Città di Termini Himerese nella Sicilia, Nella quale si rappresentano li di lei progressi, le guerre, e li fatti illustri de’ Cittadini di essa, esposti nelli suoi anni, e secoli, da qua[n]do furono cacciati dalla Sicilia li Saraceni insino al te[m]po presente, Composta dal Signor Don Vincenzo Solito Nobile Termitano Protonotaro Apostolico Archiprete, e Commissario Ordinario della S. Inquisitione nella medesima Città, Bisagni, Messina 1671, II, pp. 154-157).
Maria, vedova del Magnifico Gregorio Spinola, fece testamento il 15 (25 nel calendario gregoriano) Gennaio XIa Indizione 1568, agli atti di notar Antonio Martorana di Termini. Dal testamento predetto e dall’Inventario dei Beni risulta che gli Spinola possedettero a Termini una Casa Grande nella Strada dei Barlaci (oggi via Garibaldi), data in affitto agli eredi di Bartolomeo Aglieri alias Rinella, delle case nella Contrada della Cortina o di S. Caterina ed un giardino, nel territorio di detta città, nel feudo di Brucato chiamato dello muro della Prena, chiaramente corrispondente alla contrada “Mura Pregne” (cfr. Atti della comunìa del Clero di Termini, d’ora in poi ACCT, Mazzo XIII, ms. della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT, ai segni Atti 222, Testamento ai ff. 78 e segg. ed Inventario ai ff. 80 e segg.).
Prendendo atto delle preziose informazioni ricavate dalla detta documentazione, ci sembra doveroso fare alcune riflessioni. Il sito in oggetto, nel XVI secolo ricadeva ancora nell’ambito del feudo di Brucato e nel territorio della cittadina demaniale di Termini Imerese. Il toponimo Brucato, che designava l’antico abitato ed il feudo in cui ricadeva, è di origine musulmana (Būrqād da cui il latino medievale Burcatum e Brucatum), a sua volta, derivante da un idronimo. Esso, infatti, si lega all’antico nome arabo del fiume Torto, Wädi abï Ruqqâd, «il fiume di ‘Abū Ruqqâd» dove ‘Abū Ruqqâd significa “padre del sonno” o “dormiglione” (cfr. M. Amari, C. Schiaparelli, cur., L’Italia descritta nel “Libro del re Ruggero” compilato da Edrisi, Reale Accademia dei Lincei, Salviucci, Roma 1883, p. 28 e p. 68). Il toponimo siciliano presenta affinità con il Wadi ar Ruqqad nel distretto di Quneitra in Siria, essendo l’affluente principale del fiume Yarmouk, costituendo il confine orientale delle alture del Golan. Il toponimo Brucato (italianizzato in Brocato) designa ancor oggi il gruppo sorgentizio omonimo che rifornisce ancor oggi la cittadina di Termini Imerese. Ormai scomparso è invece il toponimo Serra di Brucato, corrispondente all’attuale contrada Serra con la sua scinnùta (discesa) verso la valle del Torto.
L’antico sito medievale di Brucato, dotato di castrum ed annesso burgum, è ancora adombrato dal toponimo Monte Castellaccio. Da notare che la “Carta Tecnica Regionale della Regione Siciliana” sezione 609020 “Buonfornello”, continua a perpetuare l’errore della cartografia dell’Istituto Geografico Militare, collocando nella cima più elevata del rilievo, 413 m s.l.m., l’oronimo Monte Castellaccio che, invece, corrisponde al colle (366,5 m s.l.m.), nella medesima impropriamente indicato come Mura Pregne (Zona Archeologica), corrispondente proprio ai ruderi della Brucato medievale castramentata. La Carta Topografica della Regione di Palermo levata dal Reale Officio Topografico di Napoli, Foglio 16, Termini Imerese, 1849-1852 alla scala 1: 20000) edita durante il dominio borbonico è la prima fonte cartografica a tiportare l’esatta collocazione di Monte Castellaccio (indicato semplicemente «Castellaccio») con la dicitura «rud.» (ruderi), in riferimento ai resti del castrum di Brucato. Nella successiva cartografia unitaria (Carta dell’Italia meridionale edita dall’Istituto Topografico Militare Italiano, Carta dell’isola di Sicilia, Foglio 142, “Ciminna”, alla scala 1: 50000), il toponimo predetto è ancora esattamente collocato.
Nell’antico sito di Brucato, tra il 1971 ed il 1975, sono state condotte quattro campagne di scavo, dirette dall’archeologo Jean-Marie Pesez e finanziate dall’École Française de Rome e dall’École Pratique des Hautes Etudes, VIe Sectione, in accordo con la Soprintendenza Archeologica di Palermo ed in collaborazione con l’Istituto di Storia Medievale dell’Università di Palermo (cfr. J.-M. Pesez, dir., Brucato. Histoire et archéologie d’un village médiéval en Sicile, Collection de l’École française de Rome, 78, École française de Rome, Rome 1984, 2 voll., VIII+828 pp.; Idem, Brucato et la civilisation matérielle du village en Sicile médiévale, “Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, Temps modernes”, 86-1, 1974, pp. 7-23; per le vicissitudini storiche si veda, H. Bresc, Les sources historiques, in J.-M. Pesez, dir., Brucato…cit., I, pp. 37-84).
Tommaso Fazello O. P. (Sciacca, 1498 – Palermo, 1570), oratore, docente e storico (cfr. T. Fazello, Le due deche dell’historia di Sicilia del R.P.M. Tomaso Fazello siciliano, Guerra, Venetia 1574, lib. IX, p. 177), ricorda il sito attorno alla metà del Cinquecento: “Dopo la città di Termine quattro miglia lontano, segue la fortezza di Brucato, & una grande hosteria del medesimo nome, dove era già un castello, che Brucato riteneva il nome, il quale per essersi ribellato, e dato a’ Francesi, fu rovinato infin fortezza. da fondamenti da Pietro secondo, Re di Sicilia. Le cui reliquie si vedono in quel luogo, che anchor hoggi si chiama Corte vecchia, dove si vedono le rovine di molti casamenti, e dove anchora si vede rovinata una fortezza, che hoggi si chiama Castellaccio, le cui vestigia chiaramente si vedono”.
Nel Settecento, F. M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, rammenta «Brocato grossa Baronia, che vedesi nella Valle di Mazara. Consisteva ella anticamente in 18, tenute, o feudi, delli quali oggi il M[archese]. di Marinco 8. solamente ne possiede, motivo a’ essere stati dismembrati della medesima dal M[archese]. Vincenzo Pilo e Calvello quei nove feudi, che oggi formano lo Stato della Xiara: e innoltre [sic] il feudo della Signora fu da esso alienato nel 1673. dal M[archese]. Girolamo Pilo e di Bologna» (cfr. F. M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Della Sicilia Nobile, Bentivenga, Palermo 1757, parte II, lib. III, v. Marineo, in particolare, p. 306, nota c). Lo smembramento del feudo di Brucato, spiega la conseguente perdita di territorio a favore dello Stato feudale della Xiara detenuto dai Notarbartolo.
Il precitato testamento e divisione ereditaria (1568) di Maria, vedova del Magnifico Gregorio Spinola, attesta inequivocabilmente che l’attuale toponimo “Mura Pregne”, originariamente era differente: «muro della Prena». Intanto, in siciliano, “prèna” significa “gravida”, derivando dal latino *praegnis o *praegnus -a -um, rifacimento di praegnas -atis, altra forma per praegnans -antis «pregnante». Particolarmente interessante a riguardo è quanto ebbe a scrivere il compianto Salvatore Santangelo (Adrano, Catania, 1878 – Catania 1970), filologo attivo nel campo della lingua e della letteratura siciliana (cfr. S. Santangelo, Scritti varii di lingua e letteratura siciliana, Centro di studi per la cultura siciliana, Palermo 1960, p. 22): «Secondo me, PLĒNU e PRĚGNU hanno subito influsso reciproco, sì da dare in volgar latino PLĚNU e PRĒGNU, da cui i riflessi toscani pieno e prégno. In siciliano PLĚNU assunse significato specifico e diede il semipopolare PRENU -A, ma rimase anche PLĒNU con significato generico, che diede il popolare CHJNU CHJNA». Un detto siciliano che, a tal proposito, ci piace rammentare è il seguente: “ricchìzzi, biddìzzi e prinìzzi, ‘un si pònnu ammucciàri” (ricchezze, bellezze e gravidanze non si possono nascondere).
Il toponimo “Mura Pregne” è entrato nella letteratura archeologica grazie a Giuseppe Patiri che nei suoi scritti riporta costantemente la grafia “Mura-Prene”, dalla quale deriva l’attuale denominazione. Inoltre, questo studioso fu il primo a collegare correttamente il toponimo alle mura “megalitiche”. Curiosamente, Luigi Mauceri, scopritore delle mura “megalitiche”, dopo aver menzionato il Castellaccio, aggiunge che «anche più giù, nel pendio del monte si trovano fabbriche e mure cadenti del seicento, che per la loro forma diedero al luogo il nome di mura prena» (Mauceri, Sopra un’Acropoli pelasgica…cit., p. 7). Nonostante l’abbaglio, Mauceri ci fornisce la preziosa testimonianza che nel 1877 il toponimo era ancora al singolare e somigliava molto di più alla versione originaria, menzionata nel precitato rogito cinquecentesco: “Mura della Prena”. A nostro avviso, la versione dialettale ottocentesca doveva essere “Mura prèna” o “Muraprèna”, forme contratte di “Mura ‘a prèna”, cioè “Mura della Prèna”.
Una volta che è entrata nell’uso la forma del toponimo “Mura-Prene” del Patiri e, successivamente quella di “Mura Pregne”, non poteva che prendere piede l’interpretazione legata alla grossezza dei blocchi lapidei che costituiscono la struttura, megalitica appunto, dell’opera muraria. Nella versione corrente, del resto, l’aggettivo Pregne o Prene è riferito alle Mura. Nella versione originaria del toponimo («muro della Prena»), invece, non è il muro “megalitico” ad essere preno o pregno, ma è “della prena”, con il complemento di specificazione e ciò apre le porte ad altre chiavi di lettura, sinora mai considerate dagli studiosi che si sono occupati dell’argomento. Infatti, non si può fare a meno di effettuare un parallelismo con le tradizioni folkloriche legate alle cosiddette “pietre della fertilità”, diffuse non solo nell’area centro-continentale dell’Europa, ma ampiamente presenti anche in contesti nordici (es. Norvegia) e mediterranei (es. Italia). Si tratta di tradizioni legate alla fertilità, come quella relativa alla pratica propiziatoria che in ambito francofono è detta glisse (scivolata). In pratica, delle donne che desideravano convolare a nozze, oppur – e – se già sposate – che aspiravano ad avere figli, dovevano recarsi in un sito megalitico, generalmente in ore notturne, dove vi era un particolare masso di una certa dimensione, considerato adatto e propizio alla bisogna, ed andare a sedersi su di esso in modo da consentire l’azione di scivolamento. Invece, le coppie di sposi novelli si recavano a strofinarsi su di una di queste rocce (cfr. J. D. McGuire, The Cult of Stones in France, «American Anthropologist» 4, 1902, pp. 76-107; P. Saintyves, Corpus du folklore préhistorique en France et dans les colonies francaises: enquête entreprise avec le concours des membres de la Société du folklore français et du folklore colonial et de la Société préhistorique française, 3 voll., E. Nourry, Paris, 1934-1936, II, pp. 347 e segg.; P. Sebillot, Le folk-lore de France. Le ciel et la terre, 1, Guilmoto, Paris 1904, pp. 335-340; A. Lang, Myth, Ritual and Religion, I, Longmans, Green. and Co., London. New York, Bombay and Calcutta 1913, pp. 97-98; P. Sartori, gleiten (scivolare), in H. Bächtold-Stäubli, E. Hoffmann-Krayer, hrs., “Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens”, de Gruyter, 1927-1942, vol. III, Freen – Hexenschuss. Berlin/Lipsia 1930-31, pp. 864-865; J. L. De Vasconcellos, Opúsculos, 7 voll., VII, . Etnologia (parte II), Universidade de Coimbra Impresa Nacional de Lisboa, Lisboa 1938), pp. 653-654; M. Eliade, Traité d’histoire des religions, Payot, Paris 1948, cap. VI).
A tali scopi propiziatori venivano utilizzati anche singoli elementi monolitici originaramente verticali (menhir), generalmente abbattuti, oppure una grande lastra orizzontale, sorretta da piedritti lapidei, a costiture degli elementi trilitici (dolmen). A Carnac (Bretagna), le donne che volevano sposarsi e quelle sposate che desideravano rimanere gravide, andavano a sedersi sul dolmen di Creuz-Moquem (o Cruz-Menquen) e le autorità ecclesiastiche, per interrompere questa consuetudine di origine pagana, fecero collocare sulla lastra orizzontale una grande croce litica (cfr. Saintyves, Corpus du folklore préhistorique en France…cit., III, p, 431). Similmente avveniva per il Grand-Menhir spezzato di Locmariaquer, nel dipartimento del Morbihan, nella Bretagna meridionale (J. L’Helgouac’h, Locmariaquer. J.-P.Gisserot, Paris 1994, 32 pp.). Relativamente al menhir abbattuto di Petersberg (Germania, Sassonia), non a caso era detto Brautstein (“pietra della sposa”); infatti gli sposi novelli dopo la cerimonia nuziale, per consuetudine si andavano a sedere su questo monolito, al fine di propiziare la fecondità della coppia. In ambito mediterraneo, ad Atene vi era la pratica rituale pagana che vedeva le donne che desideravano divenire feconde strofinarsi su una roccia, ritenuta sacra alle Moire, sita vicino alle sorgenti Calliroe (cfr. E. S. Hartland, Primitive Paternity: The Myth of Supernatural Birth in Relation to the History of Family, 2 voll., 1909-10, I, Nutt, London 1909, p. 130). In Italia, nella “Riserva naturale speciale della Bessa” (Piemonte, provincia di Biella), la cosiddetta “Ròch d’la Sguja” (roccia dello scivolo della fertilità), di forma grossolanamente ovoidale, era utilizzata come “scivolo” dalle donne sposate per rimanere gravide (cfr. G. R. Varner, Menhirs, dolmen, and circles of stone: the folklore and magic of sacred stone, Algora, New York 2004, p. 171).
Nel complesso, si tratta di tradizioni legate ad interpretazioni popolari, sorte per fornire una sorta di spiegazione della presenza dei megaliti. Pertanto occorre essere molto cauti nell’interpretare queste tradizioni come retaggi di presunti culti preistorici/protostorici legati alla fertilità (cfr. E. Anati, The question of fertility cults, in A. Bonanno, ed., “Archaeology and Fertility Cult in the Ancient Mediterranean: First International Conference on Archaeology of the Ancient Mediterranean”. University of Malta, 2-5 September 1985. B. R. Grüner, Amsterdam 1986, pp. 2-15).
Non è da escludere che anche il sito di “Mura Pregne” sia stato oggetto di tali pratiche popolari, volte a favorire la procreazione, come del resto allude il toponimo “muro della prena”,attestato nel Cinquecento, successivamente divenuto “mura prena” ed entrato nella letteratura archeologica nella versione “Mura-Prene” di Patiri, donde l’attuale. Inoltre, l’etnofonte orale riferita da Patiri, collega chiaramente i siti rupestri e relativi ingrottati, con quello “megalitico”, attraverso la leggenda del “Drago costruttore”. Ciò induce ad ipotizzare una connessione geomitologica tra le mura “megalitiche”, i grandi blocchi lapidei e le grotte, viste non singolarmente, ma come un unico complesso, purtroppo ormai devastato dall’attività estrattiva.
Relativamente agli aspetti geologici e geomorfologici, il rilevamento del sito di Monte Castellaccio-Mura Pregne è stato edito nella “Carta Geologica d’Italia” alla scala 1:50000 dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) – Fogli 609-596 (R. Catalano et alii, 2011). Nella cartografia edita, soprattutto nell’area dell’ex cava, appare sovrastimata l’estensione degli affioramenti calcarei del Giurassico superiore a discapito di quelli del Cretaceo superiore, questi ultimi ribassati da faglie a cinematica distensiva non cartografate.
Nel sito di “Mura Pregne”, spicca la presenza di sproni calcarei, veri e propri corpi rocciosi di varia entità ed estensione tra i quali, peraltro, appaiono inserite le stesse strutture murarie “megalitiche”. Lo sviluppo di tali corpi rocciosi, è strettamente correlato alla presenza di una maglia di discontinuità tettoniche (fratture e faglie) che, suddividono la roccia calcarea, generano delle zone di debolezza che allentandosi tendono a suddividere la roccia calcarea in blocchi di dimensioni variabili che, sotto l’azione della forza di gravità tendono ad allontanarsi reciprocamente. All’interno della cava, osservando i vecchi fronti estrattivi si riscontrano diverse trincee strette e allungate, riempite di detrito calcareo con scarsa matrice intermedia. Ciò porterebbe a considerare lo stato di attività di tali morfologie come prevalentemente di tipo quiescente. In tutta l’area tra “Mura Pregne” e Monte Castellaccio, si osservano ancora creste doppie, contropendenze, scarpate e gradini, fratture e fessure, mentre la maggior parte dei canaloni (come quelli detti della Chiusa e del Drago) sono stati distrutti dai lavori di cava. Le stesse cavità naturali (Grotta del Drago, Ciacca e Ciacchitedda ra’ Chiusa; Grutta ri’ Pecuri, Zubbiu ru’ Dragu; Caramula ra’ Chiusa) a marcato controllo tettonico erano delle vere e proprie fratture della rocca calcarea, più o meno modellate da fenomeni carsici di concrezionamento. I nomi dialettali Ciacca e Ciacchitedda, derivano da ciàcca ‘fenditura’ (cfr. arabo šaqqah ‘crepaccio’. R. Dozy, Supplément aux dictionnaires arabes. Brill, Leyden 1881, 2 voll., IV+358 pp.; 864 pp., ad vocem) e zùbbiu significa ‘fossa’, ‘inghiottitoio’ (cfr. arabo zubyah ‘fossa scavata per trabocchetto di animali’, Dozy, Supplément…cit.. ad vocem). Caràmula è un altro termine siciliano, utilizzato per indicare una cavità ad andamento verticale, costituita da un angusto cunicolo a decorso irregolare (cfr. F. Giuffrida, I termini geografici dialettali della Sicilia, in “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, LIII, Catania 1957, pp. 5-108). Questo lemma siciliano, a nostro avviso, appare affine al neogreco salentino, caràmbula «infossatura e dislivello nella via» ed al calabrese carámba ‘fessura’ derivato dal greco charagma (χάραγμα), di analogo significato [cfr. G. Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto), Bayerische Akademie der Wissenschaften Philosophisch-Historische Klasse. Abhandlungen. Neue Folge, Heft 41, 48, 53, 3 voll., München 1956-1961, I, p. 112].
Tutti queste forme e testimonianze linguistiche (microtoponimi) a carattere geomorfico, che hanno connotato ed ancora in parte connotano il paesaggio rupestre, trovano una loro giustificazione soltanto se lette in chiave di “Deformazione Gravitativa Profonda di Versante” (d’ora in poi DGPV; nella letteratura anglosassone Deep seated gravitational slope deformations DSGSD, cfr. Onida M., Deformazioni gravitative profonde di versante: stato delle conoscenze e progresso delle ricerche in Italia, in G. Pasquarè, a cura di, “Tettonica recente e instabilità di versante nelle Alpi Centrali”. Fondazione Cariplo per la Ricerca Scientifica – Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali del CNR, Milano 201, 208 pp., e bibliografia relativa) e di espansione laterale (nella letteratura anglosassone, lateral spread, cfr. O. Hungr, S. Leroueil, L. Picarelli, The Varnes classification of landslide types, an update, “Landslides”, 11, 2014, pp. 167–194, e bibliografia relativa).
I DGPV sono dei grandi e complessi movimenti gravitativi, che spesso coinvolgono ampi ed estesi tratti di versanti lapidei, e che generalmente appaiono caratterizzati da velocità di movimento estremamente lente (mm/anno, talvolta cm/anno) o addirittura non misurabili, i cui segni superficiali sono evidenziati da caratteristiche topografiche specifiche, quali scarpate/controscarpate, gradini, crepe, trincee e rigonfiamenti, ben visibili in corpi rocciosi a comportamento fragile (ad es. calcari), sovrapposti (stratigraficamente o tettonicamente per faglia inversa e/o sovrascorrimento) su litologie duttili (ad es. argillose). L’estrema lenta evoluzione della deformazione continua, però può essere periodicamente interrotta da input di movimenti a scatti, legati ad istantanei fenomeni di rottura, verosimilmente innescati da eventi sismici o meteorici estremi. Non mancano fenomeni legati a block slides (scivolamenti di blocchi/megablocchi), caratterizzati da ben definite superfici di scivolamento, sia ereditate (es. piani di faglia) sia di neoformazione. I block slides che caratterizzano la parte medio-bassa del versante, si ricollegano ad una fase progressiva dei fenomeni di “insaccamento” (sackung). ammettendo una transizione da una deformazione inizialmente lenta, ad un progressivo aumento fino alla rottura lungo una o più superfici di scorrimento (cfr. ad es. S. El Bedoui, Y. Guglielmi, T. Lebourg, J. Jean-Louis Pérez, Deep-seated failure propagation in a fractured rock slope over 10,000 years: the la Clapière slope, the south-eastern French Alps. “Geomorphology”, 105, 2009, pp. 232-238).
Soprattutto nelle aree perimetrali delle placche calcaree interessate da tali processi, non di rado è possibile l’innesco di fenomeni di instabilità secondaria, determinando un’evoluzione a crolli e/o ribaltamenti di blocchi lapidei. Pertanto, nel loro complesso questi movimenti svolgono un ruolo importante nell’evoluzione dei versanti e nel rischio geo-idrologico perché la loro possibile improvvisa accelerazione, in determinate condizioni, può addirittura causare il collasso catastrofico dei versanti deformati.
Lungo l’ampio fronte, separato dal S. Leonardo, che si estende per una ventina di km dal versante occidentale della dorsale di Monte Cane (tra Ventimiglia di Sicilia e Baucina) sino a quello orientale di Monte S. Calogero, vi sono diverse evidenze di tali processi, spesso evoluti a block slides, come attesta la presenza di grandi blocchi lapidei carbonatici scivolati, attorniati da potenti accumuli di detrito di falda e di versante (cfr. A. Contino, G. Cusimano, A. Frias Forcada, Assetto Idrostrutturale dei Monti di Trabia e Termini Imerese (Sicilia settentrionale) e valutazione delle risorse idriche immagazzinate. “Attività esplorativa e ricerca nelle aree carsiche siciliane”, Atti del 4° Convegno di Speleologia della Sicilia, 1°- 5 Maggio 2002, Custonaci (TP). Suppl. “Speleologia Iblea”, 10, 2004, Pubblicazione n. 2595 G. N. D. C. I. – C. N. R., Unità Operativa 4.17, pp. 99-106). Nel complesso, questi rilievi che costituiscono l’ossatura principale dei monti di Termini Imerese, sono caratterizzati da elevati valori dell’energia di rilievo, associati all’intenso sollevamento tettonico, avvenuto in tempi geologici relativamente recenti e che è ancora in atto. Inoltre, in questo fronte sono spesso presenti strati verticalizzati e sistemi di faglie compressive (inverse) che determinano non solo la sovrapposizione di corpi rocciosi a deformazione, rigida su livelli a deformazione duttile, ma anche ampie fasce di intensa fratturazione. Tutto ciò appare ulteriormente complicato dalla presenza di faglie ortogonali a componente estensionale e laterale, che hanno sollevato, ribassato e traslato singoli settori delle dorsali. A ciò si aggiunge il fatto che la successione litostratigrafica, nella sua porzione sommitale è caratterizzata dalla presenza di intervalli argillitici (argilliti silicee e selci stratificate del Giurassico inferiore-medio e del Cretacico inferiore) che si alternano a corpi rocciosi carbonatici (calcari e brecce calcaree del Giurassico superiore e del Cretacico superiore).
Dal punto di vista geomorfologico e morfostrutturale, quindi, l’area di “Mura Pregne” ubicata proprio sul fianco orientale del S. Calogero, rappresenta un emblematico esempio di DGPV, con la presenza diffusa di differenti forme: creste o blocchi separati da depressioni, nonchè grandi blocchi scivolati, a varia giacitura. Le fratture e le contropendenze appaiono disposte sia sub-parallelamente sia trasversalmente al versante. Le varie oscillazioni del livello del mare tra il Pleistocene medio ed il Pleistocene superiore rappresentano uno dei principali fattori di controllo dei fenomeni gravitativi, avendo ripetutamente agito sui processi erosivi che hanno interessato la vallata del fiume Torto contribuendo al progressivo deconfinamento laterale del fondovalle.
Prima dell’inizio dell’attività estrattiva di materiale lapideo, i rilievi collinari del Castellaccio (Brucato) e di “Mura Pregne” cingevano la cosiddetta “Chiusa” che, a nostro giudizio, è da interpretare come un’area interessata da veri e propri processi di “insaccamento” (sackung). L’ evoluzione a grande scala di tali processi, ha determinato una caratteristica morfologia superficiale ad andamento concavo-convesso. La “Chiusa”, nelle parti topograficamente più elevate, era bordata da una zona arcuata, interpretabile come l’area “sorgente” dalla quale si sono staccati e mossi un gruppo di megablocchi e blocchi lapidei, interessati da processi di block slides, dei quali solo alcuni sono stati risparmiati dalla vorace attività distruttiva della cava.
L’area di “Mura Pregne”, per l’appunto, caratterizzata dalla presenza di blocchi più o meno imponenti, coinvolti da tali processi geomorfologici, esibisce una notevole valenza paesaggistica e, pertanto, meriterebbe di divenire un geosito, dedicato anche a questi aspetti di interesse geologico che, sinora, sono rimasti in subordine rispetto a quelli archeologici.
Un approccio “olistico”, che tenga conto delle caratteristiche geologico-geomorfologiche, geomitologiche, archeologiche linguistiche e storiche, può costituire un importante strumento di lettura per studiare e tentare di comprendere questo unicum costituito da “Mura Pregne”.
Visitando il sito, si rimane davvero colpiti dalla posizione dominante dei corpi rocciosi, che furono traslati e progressivamente smembrati nel tempo, per effetto combinato dei processi di DGPV e di block slides. È proprio in mezzo a questi megablocchi naturali che gli antichi costruttori decisero di elevare le strutture artificiali che costituiscono il sistema murario “megalitico”, in una sorta di trait d’union tra l’opera della natura e quella umana.
Inoltre, non è da escludere una possibile chiave di lettura geomitologica degli stessi megablocchi rocciosi, veri e propri monoliti naturali, con le loro singolari forme. Del resto, nel mondo indigeno vi dovevano essere diversi esempi di “pietrificazione” di personaggi mitici, di cui rimangono tracce anche nella letteratura greca e romana. Emblematico, a tal riguardo, è quanto riferito dal grammatico, filologo e commentatore latino Servio Mario Onorato nel suo commento alle Bucoliche virgiliane (cfr. Serv. ad Verg. Buc. VIII, 68 in G. Thilo, cur., Servii Grammatici qui feruntur in Vergilii Bucolica et Georgica Commentariii, vol. II, Teubner, Lipsia 1887, XX+360 pp., in particolare, p. 103). Questo scrittore latino riferisce del mito che interpretava la Rocca di Cefalù come il risultato della trasmutazione in roccia, per punizione, del leggendario pastore-poeta Dafni (ritenuto inventore della poesia bucolica). Si ritiene che la fonte serviana di questo importante geomito sia l’opera perduta che il poeta Stesicoro (pseudonimo di Tisia d’Imera), aveva dedicato al detto personaggio mitologico (cfr. A. Franco, Il toponimo di Cefalù e il mito di Dafni, “SEIA quaderni dell’Istituto di storia antica, Università di Palermo, Istituto di storia antica XI, Palermo 1994, pp. 95-105).
Nell’ambito del comprensorio Termini Imerese-Cefalù-Madonie, il caso di studio di “Mura Pregne”, rappresenta un’ulteriore restimonianza di un territorio che indubbiamente esibisce una notevole e specifica geodiversità, cioè una diversità geologica (minerali, rocce, fossili), comprensiva anche dei paesaggi geologici e delle loro peculiarità. Tale geodiversità del nostro comprensorio, esibisce elevati valori scientifici, turistici, naturali ed estetici. In tale comprensorio vi sono diversi miti intrinsecamente legati al paesaggio ed associati a vari elementi di geodiversità, quali rocche, pinnacoli di roccia, sorgenti, torrenti (cfr. ad es. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese odonomastica e geomitologia: l’esempio di via Monachelle, “Esperonews”. 6 Agosto 2021, on-line su questa testata giornalistica). Tutto ciò conferma come questo settore siciliano possieda notevoli potenzialità, non solo strettamente geoturistiche, ma anche per poter svolgere un ruolo considerevole come laboratorio naturale per lo studio dell’evoluzione dei versanti e del rischio geo-idrologico connesso ai DGPV.
Il 6 ottobre 2025 scorso si è tenuta la Giornata internazionale dedicata alla geodiversità, patrocinata dall’UNESCO, che annualmente pone l’accento sulla valorizzazione e tutela dell’ingente patrimonio mondiale.
La ricerca effettuata è stata basata su un approccio integrato, interdisciplinare/multidisciplinare, che ha consentito di coniugare i metodi d’indagine propri delle geoscienze con quelli delle scienze umanistiche Tale metodo, ha messo in luce la poliedrica complessità del sito di “Mura Pregne”, consentendo una chiave di lettura innovativa.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Ringraziamenti: vogliamo palesare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, rispettivamente, ai direttori ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese. Un grazie particolare a Michele e Francesco Ciofalo per la foto di Michele Salvo che raffigura le mura ciclopiche ed il sito relativo, come si presentavano agli inizi del Novecento. Questa ricerca è dedicata al compianto nostro carissimo zio Gaetano Contino Brucato (1931-2025).