A tu per tu con Giampiero Amato: il custode di un’anima antica che fa vibrare la sua terra

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In un’epoca in cui il tempo corre veloce e la tradizione rischia di perdersi, abbiamo avuto il privilegio di incrociare il nostro cammino con Giampiero Amato, un vero custode della cultura siciliana. Non è solo un musicista polistrumentista e cantautore, ma un uomo di spettacolo poliedrico e brillante. Artigiano dalla raffinata accuratezza, prende vita tutto ciò che le sue mani plasmano: dalla realizzazione di strumenti musicali tradizionali al cucito a mano, percorrendo l’antico mestiere del siddunàro.

È inoltre l’anima di un progetto folk-popolare chiamato “KISTISEMU”, da lui stesso fondato e sostenuto. Per conoscerlo ancora meglio, gli abbiamo posto alcune domande: quelle alle qualsi solo lui sa “rivolgersi”.

Giampiero, tu che sei un uomo di spettacolo e di musica, ti sei mai chiesto se i tuoi personaggi e le tue canzoni si ‘parlano’ a vicenda? E quale dei due, tra una melodia e un testo, si rivela più testardo quando si tratta di raccontare una storia?

“Certo, c’è un legame indissolubile tra le mie canzoni e i miei personaggi. Il dialogo tra di loro avviene in maniera naturale e spontanea, una complicità innata che mi permette di raccontare ogni storia in modo diretto. E sicuramente il più testardo tra le due compagini sono io, perché profondamente devoto al mio istinto e alle mie intuizioni.”

Passiamo al siddunàro: un’arte antica e quasi dimenticata. Se dovessi scegliere tra cucire una bardatura per un cavallo e realizzare un friscaletto, quale dei due mestieri ti richiederebbe più pazienza? E il filo che usi per i finimenti è più resistente dell’amore che metti nella tua musica?

“Beh, entrambi richiedono davvero molta pazienza, quasi in egual misura. Realizzare un friscaletto significa dare vita e liberare l’anima che si nasconde in una semplice canna da fiume, mentre cucire una bardatura per un cavallo significa creare un vestito su misura per adempiere a una mansione specifica… nulla può essere trascurato, e quindi la pazienza è fondamentale per evitare errori. Il filo – anzi, lo spago – che uso per cucire le bardature diventa molto resistente dopo aver applicato la cera d’api; allo stesso modo, metto passione nell’amore che riverso nella musica, affinché possa resistere a qualsiasi ostacolo che la vita mi riservi”.

Il progetto KISTISEMU, che unisce musica, usi e costumi della tradizione, ti ha portato al fianco di Sasà Salvaggio e ora ti porterà a New York per il tuo quarto Columbus Day. Ti sei mai chiesto cosa potrebbero pensare i tuoi antenati nel vedere un pezzo di Sicilia sfilare tra i grattacieli? E cosa direbbe la tua fisarmonica

Il logo dei KISTISEMU
Il logo dei KISTISEMU

in mezzo a tutto quel cemento?

“Spero, intanto, che i miei antenati siano fieri di me. Penso che mi osservino dall’alto: in ogni cosa che faccio, il mio pensiero va a loro. Sono molto legato alle mie radici e alla mia terra, ho consacrato la vita alla cultura e alle tradizioni di quest’isola. È una missione per tutelare la memoria della nostra identità. Vedere i carretti sfilare tra i grattacieli di New York è qualcosa di surreale, incredibile! La mia fisarmonica, in mezzo a tutto quel cemento, sembrerà dire: ‘Unni mi purtasti stavota?!’ Ah ah ah… (sorride). Lei è parte di me, e anche se non è fatta della stessa materia del mio corpo, saprà adattarsi al contesto senza compromettere la sua essenza”.

Tu che sei un artigiano e costruttore di strumenti tradizionali, ti sei mai chiesto se i tuoi strumenti, una volta costruiti, ti ringraziano per averli fatti nascere? E qual è il ritmo del tuo cuore quando batti su un tamburo fatto con le tue mani?

“Non me lo sono mai chiesto prima, ma ci rifletto volentieri. Non credo debbano ringraziarmi: sono io che ringrazio ogni strumento che realizzo per l’energia e le emozioni che dona alla mia anima, permettendomi di sognare e gioire attraverso la musica. Quando suono un tamburo da me realizzato, il mio cuore esplode di gioia, come se al suo interno scoppiasse un fuoco d’artificio durante una festa patronale. È un’emozione intensa, quasi indescrivibile”.

Infine, se un giorno le tue mani non potessero più suonare, cosa faresti per far conoscere al mondo le tue storie? Le racconteresti ai tuoi strumenti? E cosa direbbe la tua zampogna, che sa di montagna e di avventure incredibili?

“Sarebbe un bel problema… (sorride nuovamente). Lo spirito di adattamento mi accompagna da sempre, e gli sono immensamente grato. Mi adatterò e cercherò di restare fedele a me stesso e alla mia essenza. Troverò un modo per continuare a fare ciò che amo fino all’ultimo respiro. Allenerei la mente raccontando i ricordi ai miei strumenti, compagni di vita, delle avventure vissute in giro per il mondo, tra mille canzoni e infinite note, avvolti dall’energia delle persone che ci ammiravano. A quel punto, la mia zampogna direbbe senz’altro: ‘Un c’è bisognu ca m’accordi, u sai, fammi cantàri!’ E la magia mi avvolgerebbe ancora una volta, come la prima volta”.

Con queste domande, Giampiero Amato si svela al pubblico, mostrando il legame profondo tra la sua arte e la sua terra. Una vita, un ritmo, tante storie da raccontare… una canzone dopo l’altra.

William Salina

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