Montemaggiore Belsito. A 400 anni dall’“Inventio” dell’immagine del Crocifisso: aprite le antiche porte al Re della gloria

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Nel 400° anniversario del ritrovamento, secondo la tradizione e la leggenda, dell’immagine miracolosa del Crocifisso, la comunità di Montemaggiore Belsito rinnova la propria memoria e la propria fede. Non si tratta soltanto di ricordare un evento del passato, ma di riscoprire il legame profondo che unisce il paese al segno della Croce, divenuto nei secoli simbolo di identità, speranza e salvezza. Questo racconto, tramandato con devozione di generazione in generazione, continua a parlare oggi come allora, illuminando il cammino dei fedeli e richiamando tutti ad aprire le porte del cuore al Re della gloria.

Nel cuore di Montemaggiore Belsito, piccolo borgo incastonato tra le colline della Sicilia, si respirava un’aria di pace immutabile, quasi sospesa nel tempo. Gli abitanti, legati profondamente alla terra e alle tradizioni, vivevano scandendo le loro giornate tra il lavoro nei campi e le funzioni religiose nella chiesa del paese. Ed era proprio lì, tra quei vicoli silenziosi e le campagne circostanti, che una leggenda si stava per intrecciare con la storia, portando con sé un mistero che avrebbe cambiato per sempre la vita di quella piccola comunità.

Era una sera d’inizio estate, il sole stava calando dietro le colline, quando il sacerdote don Giuseppe Cangelosi, stanco ma sereno, faceva ritorno da un piccolo podere che possedeva poco fuori dal paese. Le giornate erano lunghe e il calore si faceva sentire, ma quella sera l’aria era più fresca e avvolgente, quasi carica di qualcosa di inaspettato. Passando nei pressi della chiesetta della Madonna degli Angeli, situata ai margini di un campo, il suo sguardo si posò su un punto preciso del terreno.

Rimase immobile per un attimo, colpito da una visione insolita: fiamme brillanti si innalzavano dal suolo a una ventina di metri dalla chiesetta. Ma quelle fiamme, di uno splendore mai visto, non sembravano distruggere nulla. Don Giuseppe sentì il cuore battere più forte: c’era qualcosa in quel fuoco che andava oltre la semplice apparenza.

Mosso da un misto di timore e curiosità, decise di avvicinarsi, chiedendo aiuto a due contadini che si trovavano nelle vicinanze. Insieme si diressero verso il luogo da cui provenivano quei bagliori misteriosi. Giunti sul posto, Don Giuseppe si accostò al cespuglio avvolto dalle fiamme.

Si chinò, osservando attentamente. Qualcosa stava accadendo. Il rovo ardeva, eppure non si consumava.

Il sacerdote si fece coraggio, il cuore martellava nel petto. E lì, tra le radici del cespuglio, vide qualcosa di incredibile: un’antica immagine di legno del Crocifisso, alta circa quattro piedi, distesa a terra, intatta nonostante il fuoco.

Il sacerdote si lasciò sfuggire un grido di stupore. Si voltò verso i contadini, che fissavano la scena con gli occhi spalancati. Poi, senza esitare, si inginocchiarono tutti insieme.

Pregavano, piangevano, toccati da quella scoperta che sentivano sacra. Dopo un momento di silenzio e raccoglimento, Don Giuseppe si fece avanti, prese il Crocifisso tra le braccia con una cura quasi paterna, lo strinse forte al petto e lo baciò, come se avesse trovato un antico tesoro perduto. Quella sera lo portò con sé a casa, certo che qualcosa di grande si era appena compiuto.

Molti anni dopo, nel 1898, un altro sacerdote di Montemaggiore, Filippo Chianchiana, decise che quella storia non poteva rimanere solo una narrazione orale, ma doveva essere scritta e tramandata alle generazioni future. Così pubblicò un libretto che raccontava la leggenda del Crocifisso ritrovato, la stessa che da bambino aveva ascoltato tante volte con meraviglia.

Ma cos’è una leggenda? Chianchiana lo sapeva bene. Molti pensano che sia una favola, qualcosa di inventato, eppure per lui, e per la sua gente, una leggenda era ben altro: un racconto da leggere e interpretare, che custodisce verità nascoste sotto simboli e immagini.

La leggenda del Crocifisso di Montemaggiore, così vicina al racconto biblico del Roveto Ardente, era una di quelle storie capaci di toccare le corde più profonde dell’anima. Nel libro dell’Esodo si narra di Mosè, che davanti al Roveto Ardente riceve da Dio la rivelazione del suo nome misterioso: “Io sono colui che sono”.

Ma per il popolo ebraico, allevatori e agricoltori, quel nome aveva un senso ancora più concreto: Dio voleva dire “Io ci sono, sono presente nella vostra vita, dentro la vostra storia”. E così, come Mosè vide il Roveto ardere senza consumarsi, anche Don Giuseppe aveva visto quel miracolo, ma con una rivelazione in più.

Sotto il Roveto non c’era solo un segno della presenza di Dio, ma un’immagine tangibile di Gesù crocifisso. Quella scoperta riscrisse la storia della comunità di Montemaggiore: Dio non era più soltanto colui che c’è, ma portava un nome nuovo, Gesù, “Dio salva”, un nome che indicava salvezza, presenza e resurrezione.

Il Crocifisso risorto divenne il simbolo di Montemaggiore, attorno al quale la comunità cristiana si raccolse per secoli. Da quel momento, il piccolo borgo non fu mai senza quell’immagine, come se la sua stessa esistenza fosse intrecciata al volto di Gesù.

Chianchiana sapeva che quella leggenda non era un semplice racconto da ascoltare con leggerezza, ma un richiamo: un invito a riscoprire la propria identità cristiana e a comprendere che il volto di Gesù, il Crocifisso risorto, era la risposta alle paure e ai dubbi di ogni tempo.

Anche nei momenti più bui e difficili, la presenza di Gesù era lì, a ricordare che Dio è con noi. Quella storia, con il suo fascino antico, continuava a illuminare il cammino dei fedeli di Montemaggiore, come un faro nella notte. E così, ancora oggi, nelle preghiere della comunità si riflette quel messaggio eterno: siamo liberi, perché Gesù, il Crocifisso risorto, è il Salvatore che ci guida, ieri come oggi.

Santi Licata

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