Montemaggiore Belsito, “Fino all’ultima alba”: i soldati deceduti nella Grande Guerra

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La mattina del 24 maggio 1915 il cielo su Montemaggiore Belsito era terso, come se non sapesse ancora delle nubi che si stavano ammassando sul destino dell’Italia e dei suoi figli. Allo squillo delle trombe e al fruscio delle bandiere, il paese salutava i primi giovani che partivano verso il fronte. Tra loro c’era Giuseppe Arcara, silenzioso e deciso, che pochi giorni dopo, il 9 giugno, sarebbe caduto nelle prime offensive oltre confine.

Iniziava così per Montemaggiore e per l’Italia un cammino di sangue, fango e dolore. Ogni conquista – Monte Altissimo, Cortina d’Ampezzo, la conca di Plezzo – veniva pagata a caro prezzo. Rosolino Bova, appena venticinquenne, cadde il 17 luglio, lasciando dietro di sé una madre affacciata alla finestra, che ogni sera scrutava la collina aspettando un ritorno che non ci sarebbe mai stato.

Il fronte dell’Isonzo diventò un nome inciso nella memoria dei soldati e dei familiari. Lì caddero Giovanni Arcara e Francesco Gullo, a pochi giorni l’uno dall’altro, il 27 e il 29 settembre 1915. Lì, durante la terza battaglia, il 23 ottobre, persero la vita Francesco Militello e Rosolino Siragusa. Avevano poco più di vent’anni, e sognavano forse un ritorno al paese, un bicchiere di vino in piazza, un matrimonio promesso.

Il 1916 portò in dono solo altro dolore. La “Strafexpedition” austriaca colpì con violenza e travolse gli altipiani. In quei giorni caddero Nicolò Coniglio, Cruciano Campo, Michele Chiappone. Carmelo Pace Battaglia risultò disperso, e la sua assenza divenne presenza perpetua nei racconti attorno al camino. Poi venne Gorizia. La città fu conquistata, ma Francesco Cascio non la vide. Il 12 agosto chiuse gli occhi per sempre, in una terra che non avrebbe mai chiamato casa.

Nel 1917, l’anno si aprì con la morte del più anziano tra i caduti di Montemaggiore, Andrea Taravella, trentasei anni. Durante la battaglia dell’Ortigara, i corpi giovani di Giulio Salvatelli, Matteo Tasca, Cruciano Saletta, e Giuseppe Aguglia rimasero tra le rocce delle montagne, mai più restituiti al calore delle loro famiglie.

Poi venne Caporetto. Un urlo, un’onda, un disastro. Il fronte crollò, e con esso la speranza. Il 25 e 26 ottobre morirono Pietro Panzarella, Carmelo Parisi, Giuseppe Zizzo. Il più giovane tra loro aveva ventisei anni. Sembravano uomini, ma erano ancora ragazzi. Con l’inverno giunse Vincenzo Rizzo, diciannove anni. Aveva imparato appena a scrivere quando firmò la sua lettera d’addio.

Eppure il 1918 fu anche l’anno del riscatto. La battaglia del Solstizio d’estate vide l’Italia resistere, con i ragazzi del ’99 in prima linea. Tra loro Cruciano Faso, Angelo Di Gati, Stefano Centanni, Nicolò Parisi, morirono per tenere il Piave.

Il 24 ottobre cominciò l’ultima, ardita avanzata. Giuseppe Cavallaro, Calogero Stassi, Giovanni Nicosia, e tanti altri affrontarono il sacrificio estremo mentre l’Austria cedeva. Il bollettino della Vittoria fu accolto con lacrime, ma a Montemaggiore furono lacrime senza gioia.

Il paese contò i suoi figli perduti: trentanove nomi, ognuno un vuoto, ognuno una storia spezzata. Di Giuseppe Gullo e Pietro Mogavero, non si seppe più nulla. Svaniti, come l’eco degli spari, come l’inverno che aveva gelato i cuori di chi era rimasto.

Epilogo

La guerra era finita, ma per Montemaggiore Belsito la pace non fu mai davvero intera. Ogni pietra, ogni angolo, ogni muretto portava con sé una memoria. I racconti di quegli anni sopravvissero nei sussurri delle madri, nei silenzi dei padri, nei passi incerti dei fratelli rimasti.

E ancora oggi, quando l’aria di novembre s’increspa, sembra di udire quei nomi, di rivedere quei volti: giovani, fieri, caduti.

Non sono morti invano. Sono diventati il battito stesso della memoria.

Santi Licata

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