Ho scritto più volte, sulle pagine di questa stessa rivista, di come talvolta – più frequentemente di quanto si creda – la psichiatria debba confrontarsi con la cultura tradizionale, affrontando casi e situazioni che sembrano sfuggire del tutto al concetto di razionalità scientifica. Il caso che sto per descrivere, è esempio emblematico della attendibilità di questa affermazione.
Per il buon Saro, un aitante contadino e piccolo allevatore di un paese dell’entroterra palermitano, i problemi iniziarono nel 1988. Un giorno venne in visita il fratello con un’amica. La moglie di Saro (la chiameremo Vincenza) non sembra però apprezzare la visita di cortesia. Detesta infatti la compagna del cognato, perché le attribuisce la colpa di averla indotta a sposare Saro, un uomo che, nonostante il vincolo coniugale, detesta e disprezza. Inoltre il cognato era anche separato dalla moglie, e non le pareva dignitoso che venisse a trovare i parenti con l’amante. Fece allora in modo di non farsi trovare in casa, ed andò coi figli al mare, sobbarcandosi a chilometri di strada pur di non vedere la subdola artefice del suo matrimonio. Ma le cose non andarono così, Diede appuntamento al marito a casa intorno alle 13. Ma il marito andò a pranzo col fratello e con l’amante, e tornò verso solo verso le 15, insieme ad entrambi. Tanto per fare qualcosa di diplomatico, propose alla moglie di andare a fare una visita ad un cugino che veniva dall’America in vacanza. Vincenza non era ovviamente d’accordo proprio per la presenta dell’amante del cognato, ma fece buon viso a cattivo gioco. E fece male, perché durante la visita di cortesia il suo rancore esplose e di fronte a tutti i presenti. Disse al cognato che era una persona indegna, in quanto avrebbe dovuto trovarsi lì con la moglie legittima e non con l’amante. Successe un putiferio. Cognato e amante si recarono da un avvocato e la querelarono.
Per quanto di buon carattere, a questo punto Sarò si sentì in dovere di schierarsi dalla parte della moglie, cosa che fece con un inevitabile conflitto nei confronti del fratello. Arrivò persino a strapparne una foto, gesto che evidentemente ebbe per lui un significato simbolico di grande aggressività. Si sentì in colpa. Subito dopo iniziò a sentire uno strano malessere, inspiegabile e mai avuto prima. Si convinse che la spiegazione fosse semplicissima: l’atto di strappare la foto aveva attivato una fattura. Bisogna precisare che il suo contesto culturale giustificava questa possibilità, che non sembrava in alcun modo insolita. Il malessere persisteva, e per questo dopo qualche tempo Saro si rivolse ad un tizio di Palermo che aveva fama di agire su queste ‘cose’, mediante delle preghiere a fine liberatorio. Di fatto, dopo una seduta di preghiera, accompagnata dall’imposizione delle mani, i suoi strani disturbi passarono. Sembrava che tutto si fosse risolto, ma qualche tempo dopo Saro andando in un paese vicino per il funerale di una parente, incontrò un cugino della moglie. Si trattava di una persona alla quale la moglie era piuttosto legata da profondi sentimenti di stima. Saro ne era geloso, ne parlava come di una persona addirittura orribile, “una maravigghia” (Letteralmente ‘meraviglia’. E’ un termine che in certe zone della Sicilia si utilizza per evidenziare in maniera enfatica qualcosa di assolutamente fuori dal comune, sia in senso positivo, più presso forse in senso negativo). Questo cugino gli strinse la mano. Subito dopo, Saro iniziò di nuovo a stare male, ed anche in questo caso attribuì il malessere ad una fattura, un maleficio che gli era stato trasmesso dalla stretta di mano del cugino della moglie. Stiede tanto male che dovette ricorrere ancora una volta a quell’uomo di Palermo, che con una delle sue preghiere lo fece stare di nuovo bene.
Qualche tempo dopo Saro prestò ad un altro cugino della moglie, col quale comunque era in buoni rapporti, il suo mulo. Al ritorno a casa dai campi, la sera, andò a controllare nel ‘pagliaro’ (il ‘pagliaro’ è una costruzione di canne, legno e paglia, talvolta con basi di muratura, che viene ancora utilizzato dai contadini per depositarvi attrezzi, derrate alimentari, o per fungere da stalla) e vide che il cugino della moglie, all’atto della restituzione del mulo, l’aveva legato, per evitare che uscisse. La motivazione di questo controllo era che ‘ognuno lega il mulo a suo modo’. Sin qui nulla di strano. Ma appena entrato nel ‘pagliaro’, venne preso da un irresistibile prurito, alle mani, alla faccia, dappertutto. L’interpretazione del fenomeno gli fu subito chiara: era il segno evidente che era stata una fattura al mulo, magari tramite una polverina magica. Da allora ricominciò a stare male, il che gli parve normale visto che esisteva una forma di transitività, fondata sul possesso, tra lui e il suo mulo. Avevano attaccato una sua roba, evidentemente per attaccare lui. In famiglia non gli credettero. La moglie di Saro aveva un atteggiamento molto razionale, non credeva in queste cose, e cominciò a dirgli che era matto. L’unica soluzione pratica alla quale pensarono fu quella di togliere tutti i bardamenti a quel povero animale (perchè la polverina era sicuramente depositata proprio lì – e li buttarono via. La moglie Vincenza era gongolante. Ma a torto. Perché Saro comprese, che, per una misteriosa legge di transitività, il malevolo cugino aveva fatto passare, sempre con una polverina, la fattura dal mulo al trattore, sempre posteggiato di fronte alla cosa, e quindi nottetempo facilmente raggiungibile per l’effettuazione di riti magici.
Il trattore con la fattura diventa la sua ossessione, che si estende anche ad altri oggetti, perché la fattura è contagiosa. Saro non stringe più la mano ad alcuno, e gira anzi per il paese con i guanti pesanti da lavoro, per proteggersi da eventuali influssi negativi veicolati dal contatto. Cambia le maniglie nelle porte, perché toccate e quindi ‘affatturate’. Non indossa più i vestiti per lo stesso motivo. Ha anche paura di entrare nella via dove è posteggiato il suo trattore, poichè esso può emanare il proprio malefico influsso anche a distanza. Chiude anche, per questo motivo, le porte, le finestre, tutte le imposte e si sigilla in casa. Riduce i contatti sociali. Accusa la moglie di non credere a quello che gli sta accadendo (il che è vero). Pretende che anche la moglie non usi vestiti che possono essere stati affatturati.
E’ chiaro che di fronte a questa situazione la moglie pretende che si faccia vedere da uno psichiatra. Lui accetta, remissivo, assolutamente convinto della verità delle sue convinzioni. La diagnosi che subisce è, ovviamente, quella di ‘sindrome delirante’ con personalità premorbosa schizotipica. Viene sottoposto ad intensa terapia psicofarmacologia (neurolettici, ansiolitici, anticolinergici). Non vi è alcun risultato clinico. Saro si allontana dai medici per un po’ di tempo, poi, sempre pressato dalla moglie, ritorna. Il quadro clinico non è cambiato, Saro non ha fatto nulla di pericoloso o nocivo alla comunità. E’ molto arrabbiato nei confronti di quelli che pensa siano gli artefici del suo malessere, ma non mette in atto alcun tentativo aggressivo. Continua ad indossare quotidianamente, per tutto il giorno, i suoi pesantissimi guanti da lavoro, a chiudere porte e finestre, a non stringere la mano ad alcuno. Un secondo psichiatra che lo vede dopo qualche mese, tenta una diagnosi un po’ più attenta della prima. Scrive in cartella: “Il paziente presenta una sintomatologia delirante a contenuto persecutorio, che si esprime secondo le modalità dell’influenzamento magico e della ‘fattura’. Presenta, di conseguenza, condotte di evitamento o atteggiamenti stenici nei confronti dei presunti persecutori, senza che tali atteggiamenti si siano mai tradotte in azioni aggressive palesi. Il paziente non presenta altri segni di psicopatologia, e vive in un contesto culturale che condivide almeno parzialmente le credenze magiche espresse dal paziente”.
E’ per queste componenti nella situazione di Saro che viene consultato un etnopsichiatria. La prima caratteristica che appare rilevante è che esiste un vero e proprio conflitto colturale con la moglie Vincenza. Più questa si intestardisce a volere una diagnosi e una terapia scientifica, più Saro sembra rifugiarsi nel suo mondo magico, e a negare qualunque dignità ed efficacia alla terapia stessa. Egli ha una sua precisa teoria di malattia: quando gli viene chiesto come fanno ad agire le fatture lui parla di ‘cose’, ma evidentemente si riferisce ad entità che “si attaccano ai nervi (mostra i polsi) e possono prosciugare anche il sangue”. Le medicine su queste cose non hanno alcun effetto. La strategia del lavoro è quella di mediare fra questi due modi di vedere il mondo, quello di Saro e quello di Vincenza, sostenendoli in questo difficile compromesso culturale, e dopo qualche tempo la cosa comincia a funzionare. Vincenza si convince che deve incoraggiare il marito a seguire anche le terapie che reputa più opportune, senza negare valore a quelle scientifiche. Saro ricomincia ad andare dall’uomo di Palermo, nel quale ripone tanta fiducia. Stavolta ci va una serie di volte. Migliora sensibilmente, sino a quando non è possibile togliere i farmaci. Ad un follow up di un anno Saro continua a stare bene. Usa il suo mulo, usa il suo trattore, e non chiude più in casa. Non indossa più costantemente i suoi pesanti guanti da lavoro. Crede sempre nelle fatture (anzi, sempre di più), ma questo non gli crea nessun problema. La loro esistenza fa parte del suo mondo culturale. Non parlategli però dei cugini della moglie…
Certo, si tratta di casi strani, ma che possono essere inseriti agilmente, io credo, in un modello di salute e malattia mentale che faccia di questi stati e condizioni qualcosa di strettamente legato al patrimonio tradizionale, e che in qualche modo contiene in se modelli di benessere psicologico, di disturbo mentale (una teoria di malattia) e di terapia che siano coerenti con la storia, le credenze e la visione del mondo esistenti all’interno di quella cultura. Così, la salute e il disagio mentale appaiono sempre meno ‘globali’ e sempre più legati a una molteplicità di fattori, alcuni comuni, altri assolutamente unici. L’ultima tessera si è andata ad aggiungere al nostro puzzle…
Giovanni Iannuzzo