Le fiabe… spiegate agli adulti

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Le fiabe da raccontare o leggere ai bambini, sono state – forse da sempre – una consuetudine pedagogica e uno strumento di comunicazione fra il mondo degli adulti e quello dell’infanzia. Oggi, purtroppo, sono state quasi del tutto soppiantate da altri strumenti e modalità di intrattenimento dei bambini. Seppure però con tutti i cambiamenti intercorsi nella prassi di narrare fiabe – compito prima delegato alla televisione, oggi in massima misura agli strumenti informatici – e nel contenuto delle stesse, esse continuano a fare parte comunque delle modalità di comunicazione con i bambini. Ma che cos’è una fiaba? In poche parole una fiaba è un racconto fantastico (per esempio Cappuccetto Rosso o Cenerentola), che implica sempre la presenza di una importante componente magica. A differenza della favola, (per esempio quella della volpe e dell’uva o quella del lupo e dell’agnello) non ha un necessario insegnamento morale da trasmettere. La fiaba è semplicemente una storia fantastica, piena di personaggi umani, creature fantastiche e tanta magia. Abitualmente si conclude con un lieto fine e il trionfo del bene sul male. In genere sono state considerate come delle storie ‘ipnotiche’ per bambini, utilizzate per favorirne il sonno o per intrattenerli, in sostituzione di altre attività. Eppure uno sguardo un po’ più attento alla struttura della fiaba e ai suoi contenuti psicologici, consente di intravedere in esse ben altri contenuti e significati, a cominciare dal fatto che le fiabe non sono affatto un espediente per impegnare o mettere a letto i bambini.

L’origine delle fiabe è antichissima e attraversa tutte le culture. Tramandate per secoli per via orale, appartengono alle tradizioni culturali più diverse, e sono legate a riti, miti, simboli e credenze arcaiche. Molte di esse risalgono, nella loro forma originaria, a miti del vicino oriente, indiani, cinesi, amerindi. In realtà le si potrebbe definire in qualche modo resti archeologici culturali che, sebbene nel corso dei secoli siano state riadattate in vari modi, anche per adeguarsi a nuovi contesti storici, sociali e culturali, hanno mantenuto lo stesso significato e soprattutto lo stesso potere simbolico. Se è vero che esse svolgano un importante ruolo nello sviluppo infantile, fornendo una immagine del mondo e contribuendo all’interiorizzazione di regole sociali, costumi e valori, sono anche una delle massime espressioni della vita psichica della nostra specie.

Esistono una realtà empirica, esteriore e una realtà psicologica profonda e fra esse non esiste di norma contatto, fin quando fra esse non venga lanciato un ponte. Questi ponti invisibili esistono. La fiaba è uno di essi. E’ un connettore, come nei computer, che consente di trasferire dati da una realtà all’altra, utilizzando il software che consente la decodificazione. E quel software si chiama coscienza. Funzione importante, perché la realtà simbolica espressa dalla fiaba corrisponde a quello che possiamo chiamare ‘immaginale’: evoca desideri, paure, desideri di avventura, ci rivela, i segreti della nostra anima, o se volete, del nostro inconscio, e in fondo da un significato profondo alle nostre azioni.

La fiaba racconta di percorsi iniziatici. Come afferma Vladimir Propp, la maggior parte gli elementi costitutivi delle fiabe risalgono a riti e miti che riguardano il ciclo d’iniziazione, specialmente quelle in odore di magia. Le fiabe popolari sono il ricordo dell’antica cerimonia del rito d’iniziazione, dei riti di passaggio che festeggiavano in modo solenne il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Bambini e bambine, o talvolta adolescenti, venivano sottoposti a numerose prove con le quali dovevano dimostrare di saper affrontare da soli le avversità dell’ambiente e di essere pertanto maturi per iniziare a far parte della comunità degli adulti. Dopo le prove i ragazzi e le ragazze, come in una rappresentazione teatrale guidata spesso da uno stregone, dovevano “morire” per celebrare la morte dell’infanzia. Morte e rinascita. La fiaba quindi in realtà non è una storia per bambini, è una metafora per adulti. I temi sono tipici, i personaggi e le situazioni ricorrenti: eroi coraggiosi, messaggeri magici, vecchie maghe o maghi saggi e potenti, strani compagni di viaggio in grado di alterare il proprio stato, cattivi, imbroglioni, giullari e tanti altri. Secondo Jung essi afferiscono al nostro inconscio collettivo. Alcune figure sono determinanti: il Mentore accorto, vecchio saggio (Merlino), l’Eroe, che diventerà a sua volta mentore se riuscirà ad affrontare le prove della vita – e che deve affrontare, senza un astratto concetto di virtù – fatte di fatica, dolore e sacrificio, come il Mentore suggerisce.  Poi c’è la vittima, il nemico… l’Ombra nel senso junghiano, la parte oscura presente in ciascuno di noi. E’ il contenitore di traumi emotivi o sensi di colpa, che, se ricacciati nell’oscurità dell’inconscio e rifiutati, possono trasformarsi in meccanismi distruttivi che possono arrivare ad annientarci. Nelle fiabe queste violente emozioni possono assumere la forma di esseri mostruosi, vampiri, lupi mannari, figure diaboliche, ma incarnano una potente energia che, se portata alla luce, può diventare fortemente positiva e condurci a superare paure e vecchie abitudini. La maschera dell’Ombra prende forma nei personaggi antagonisti, nel Nemico per eccellenza, nel Cattivo, che hanno per finalità la creazione del conflitto, la distruzione, l’annientamento dell’Eroe. Esse hanno il compito di sfidare l’Eroe al fine di dargli un degno rivale e metterlo in condizione di esprimere al meglio le proprie potenzialità. Anche un Eroe può manifestare degli aspetti Ombra, laddove sia estremamente cinico ed egoista, tormentato da sensi di colpa o si comporti in modo autolesionistico.

Per lo psicoanalista Bruno Bettelheim, che ha descritto, in modo suggestivo le più belle e conosciute fiabe: da Hansel e Gretel a Cappuccetto Rosso, da Biancaneve alla Bella Addormentata nel bosco, la fiaba dà spazio al gioco semantico e segnico. La fiaba semplifica tutte le situazioni, i suoi personaggi sono nettamente tratteggiati. È importante sottolineare che non è il trionfo finale della virtù a promuovere la moralità, bensì il fatto che sia l’eroe a risultare maggiormente esemplare, permettendogli di identificarsi con lui nelle sue lotte. Grazie a questa identificazione immaginiamo di sopportare con l’eroe prove e tribolazioni, e trionfiamo con lui quando la virtù coglie la vittoria. Faccio un esempio: con la figura della matrigna, o della nonna in Cappuccetto Rosso, o della strega, si scinde la madre buona da quella cattiva, permettendo al bambino di andare contro la madre cattiva senza che si instauri il senso di colpa. La fantasia della cattiva matrigna preserva l’immagine della madre buona. Conserviamo così l’immagine di una madre buona, interiore, aderendo così ad una importante idea morale. Ci dà la certezza che la vita può essere affrontata con la fiducia di poter sormontare le sue difficoltà o con la prospettiva della sconfitta: anche questo costituisce un importantissimo problema esistenziale. Superiamo così l’angoscia, otteniamo il nostro regno. Siamo in grado di affrontare il percorso verso l’individuazione.

Quando Cappuccetto Rosso (protagonista della fiaba la cui prima versione scritta è quella di Charles Perrault, nel 1697, poi riscritta dai Fratelli Grimm prima nel 1812 e in versione definitiva nel 1857, ma presente in tante tradizioni culturali), incontra il lupo che ha ormai divorato la nonna, la bambina comprende che per crescere deve affrontare gli eventi negativi che le si presentano e superare i propri limiti. Le fiabe popolari di magia, quelle tramandata oralmente e che soltanto da qualche secolo sono state narrate per iscritto, sono contenitori sfaccettati di sensi, propri alla intrinseca varietà di significati dei simboli che contengono.

La fiaba è in fondo simile al sogno, e come questo esige un’interpretazione e ci sprona ad un processo di svelamento e di recupero di quel linguaggio simbolico altrimenti inesplorato e dimenticato, che si proponga come collegamento e riconoscimento tra un passato altrimenti perduto ed un futuro, che sia promessa comprensibile e che discenda da un presente esplorato e quindi meno confuso ed ermetico. Così la fiaba è un meraviglioso palcoscenico di significati, che si rivela capace di più livelli di lettura e le sue immagini-simbolo, piene di significati, stimolano diverse comprensioni. La fiaba appare come una espressione simbolica, uguale nella sua struttura alla mentalità ed alla percezione del mondo del bambino, ma che si rivela al tempo stesso specchio del percorso psichico di ognuno di noi. Descrizione di un rito iniziatico universale per eccellenza, ogni fiaba è la riproposizione simbolica di una morte e di una rinascita ad un nuovo stato. E’ la mappa che indica la via che porta verso l’autorealizzazione. Tutto questo il bambino, ovviamente, non lo sa consapevolmente, ma, per le vie simboliche e oscure dell’inconscio, lo percepisce. E’ questo che ha fatto, per secoli, della fiaba uno straordinario strumento educativo, che oggi purtroppo sembra essere solo un ‘linguaggio dimenticato’, per parafrasare il titolo di un celebre libro di Erich Fromm. E i risultati di questo oblio, sono evidenti. La fiaba, principessa tradita, si è addormentata nella foresta oscura della società attuale. Siamo in attesa di un principe azzurro che la risvegli…

Giovanni Iannuzzo

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