La famiglia in un mondo che cambia

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Se dovessimo fornire una definizione universale di famiglia ci troveremmo subito di fronte a tre difficoltà. La prima è quella di storicizzare la definizione: a quale periodo storico ci stiamo riferendo? La seconda è quella di tener conto dei fattori antropologico culturali – a quale cultura ci stiamo riferendo? La terza quella di dover necessariamente prendere in considerazione i fattori ideologici che sottendono la definizione stessa. Non si tratta di difficoltà irrilevanti.

Da una prospettiva storica l’immagine occidentale comune della famiglia nasce sicuramente nel tardo impero romano, in quel IV secolo d.C. che vide la completa affermazione del Cristianesimo. Il concetto europeo di famiglia si era fortemente differenziato sia da quelli del Medio Oriente e dell’Africa del nord, sia da quelli originari della Grecia e di Roma. Contrariamente alle culture orientali, per esempio, assunse, dopo il quarto secolo, una importanza determinante la linea di discendenza materna; la coppia viene considerata solida e indissolubile, la monogamia diventa una norma non eludibile. Di particolare rilevanza appare anche l’affermazione quasi incontrastata dell’esogamia, mentre dal punto di vista sociologico la separazione dei sessi diviene sempre meno rigida, tale da consentire anche alla donna professioni e incarichi pubblici o politici. Intorno all’anno 1000 questo modello di famiglia diventa la norma si è consolidato in tutto il continente europeo.

Nei secoli successivi, approssimativamente sino al 1300, l’idea di famiglia come “focolare domestico” e quindi come struttura essenziale della società viene ulteriormente rafforzata da una serie di regole, prescrizioni e divieti che, imposti dal cattolicesimo ormai imperante, creano l’idea del matrimonio come dilectio, espressione di una famiglia vista come nucleo sociale indistruttibile, all’interno, comunque, di un sistema parentale esteso che, in ogni caso continua ad essere predominante rispetto alla coppia.

E’ ovvio che all’interno di questo sistema, le individualità soggettive devono essere sacrificate agli obblighi sociali, irreggimentate nel contesto di una serie di precetti tendenti a rendere la coppia sempre più salda, e sempre più inserita in un modello di famiglia estesa, dove il lignaggio e l’appartenenza divengono stabili e indistruttibili, e dove l’individualità viene sempre sottoposta alla ragione sociale del proprio gruppo familiare.

Sarebbe comunque un errore credere che tutto ciò sia stato dovuto esclusivamente alle imposizioni del cattolicesimo integralista. Esiste un problema molto più legato a motivazioni biologiche e demografiche. Fra XIII e XV secolo si assiste in Europa ad un significativo peggioramento delle condizioni di mortalità infantile. Due terzi dei nati non superano l’infanzia, e, a causa delle condizioni di vita, meno della metà dei matrimoni dura dieci anni, o addirittura di più. Inoltre, catastrofi epocali, come la Peste Nera medioevale, falcidiano drammaticamente la popolazione.

Di fronte a queste condizioni è ovvio che la semplice coppia è molto più fragile del gruppo parentale esteso.

E’ la modernità (intervenuta fra il XVI e il XVIII secolo) che modifica, ma solo raffinandolo, questo modello di famiglia, fondando quello che è universalmente noto come ‘modello europeo’ di matrimonio, un ulteriore sviluppo della famiglia europea precedente.

E’ solo nell’Ottocento che subentrano alcuni fattori nuovi nel modello di famiglia: anzitutto si assiste all’affermazione progressiva delle individualità sul piano psicologico; poi il matrimonio avviene in età più tardiva e non più in modo universale. C’è, insomma, anche chi decide di non sposarsi (fra il 10 e il 20% della popolazione). Inoltre, la minaccia della sovrappopolazione e di un progressivo pauperismo, induce all’uso di metodi anticoncezionali, preconizzato da Malthus (prudential restraint). Un minor numero di gravidanze significa anche una minore mortalità sia femminile, sia infantile, con un miglioramento generale delle condizioni di vita. La famiglia, così, diventa per la prima volta economicamente valida. Si passa così da un funzionamento antieconomico ad un funzionamento economico, ma “a bassa pressione”.

L’accresciuta età media del matrimonio, inoltre, produce una maggiore maturità, atta a sganciare la famiglia dal proprio contesto esteso e cominciare a caratterizzarsi come famiglia nucleare e coniugale. E questo diventa il modello imperante fortemente incentivato da fattori economici (la nascita della società industriale e di mercato). Questa famiglia è infatti il motore della rivoluzione industriale. Poiché i giovani si sposano tardi, possono lavorare e accumulare capitale.

Quello di non sposarsi presto è uno dei precetti suggeriti da Thomas Robert Malthus nel 1817: “Se il costume di non sposarsi presto prevalesse diffusamente … un rapporto più familiare ed amichevole tra i sessi…potrebbe aver luogo senza pericolo…ed un’assai migliore opportunità sarebbe così fornita ad entrambi i sessi di scoprire affinità d’inclinazione e di formare quei forti e duraturi legami d’affetto senza i quali lo stato matrimoniale generalmente induce più felicità che gioia”.

Il capitale rende possibili scelte coniugali anche indipendenti dalla volontà delle famiglie; nasce il “matrimonio d’amore”, il rapporto fra uomo e donna diventa sempre più paritario, anche perché la differenza di età non è più eccessiva come un tempo. Inoltre, nasce il sentimento dell’infanzia, per cui per la prima volta i figli non sono solo un prodotto obbligato, o quasi, del matrimonio, ma parte integrante del nuovo nucleo familiare. Sono nuova forza lavoro, sono nuova forza demografica e sociale. E’ da questo momento che la famiglia diventa “interesse pubblico” e lo Stato comincia ad occuparsi della tutela di questo bene comune.

Naturalmente, lo stato crea regole, norme, fornisce indicazioni e legislazione. Nasce quello che viene definito “modello di famiglia coniugale europea”, modello che viene presto esportato ed imposto – grazie al colonialismo – un po’ dappertutto.

Si tratta di un modello forte, che viene presto incentivato e protetto. Si fonda su una serie di norme rigorosamente codificate: la prima ovviamente è la monogamia, rafforzata da arbitrari concetti di fedeltà, un tempo sanciti dalla Chiesa, poi tutelati dai clan familiari, ora dallo Stato. La famiglia è una struttura sociale ed economica troppo importante perché possa essere disfatta. La seconda norma è quella della “normalità etica”. La famiglia deve garantire un adeguato controllo morale su usi e consuetudini, deve essere normativa – e tale normatività segue i paradigmi della società occidentale nelle sue più alte espressioni, un po’ il grande modello della famiglia americana. La terza norma è la produttività. Una famiglia ideale deve produrre (lavoro, intelligenza, professioni) secondo i sacri modelli del sistema capitalistico. Messi assieme questi tre fattori (monogamia, normatività, produzione) sono i veri gendarmi della famiglia.

Il modello funziona abbastanza bene sino agli anni ’60 del Novecento. Si tratta di un modello artificioso, ma elastico, capace di assorbire gli enormi sbalzi sociali, e politici che caratterizzano la storia planetaria di quel periodo. Si ha un record di nuzialità e il cosiddetto baby boom (2.5 o 3 figli per coppia, in Italia), con grandi implicazioni demografiche: questo numero di figli per coppia garantisce un ragionevole incremento demografico. E’ il trionfo del matrimonio, della famiglia, della coppia forte che serve alle strutture produttive, a fronte di divorzi ancora piuttosto rari. Nonostante l’indiscutibile mancanza di pari opportunità per la donna, ed il suo ruolo sociale e politico assolutamente marginale, questo modello di famiglia – forse proprio per questo? – si afferma fortemente. Come ho già accennato è il modello americano, con papà che lavora (meglio se fa un lavoro intellettuale), la mamma che cresce i figli, prepara colazione, pranzo e cena, fa le crostate di mele, e benedice i figli quando vanno in guerra per servire la patria. Perverso, certo, ma è un modello che regge, che è enfatizzato dalla televisione, grande novità degli anni ’60. Perverso, certo, ma è un modello solido e tranquillizzante. Monogamia, normatività e produzione funzionano perfettamente da griglia di riferimento per l’ideale famiglia occidentale.

Ma già negli anni ’60 avviene qualcosa di nuovo, anzi una vera rivoluzione. Il perno intorno al quale questa rivoluzione gira intorno al sesso. Dopo le ricerche sessuologiche di Kinsey, negli anni ’50, si diffonde la consapevolezza, per quanto ancora modesta, del fatto che l’immagine e il modello occidentale di famiglia sono solo degli stereotipi asserviti al potere sia politico sia, soprattutto, religioso. La diversificazione dei costumi sessuali, ciò che uomini e donne fanno o non fanno nel privato delle loro camere da letto, costituisce una informazione determinante. Poi, con la pillola anticoncezionale di Pinkus, cambia totalmente la geografia dei rapporti nel contesto di un arbitrario modello di matrimonio. Torna la tentazione (puramente biologica, e quindi ovvia) della poligamia. Le donne scoprono che possono avere rapporti sessuali extramatrimoniali senza alcun rischio, come gli uomini. La fecondità, fra gli anni ’70 e gli ’80 si riduce almeno del 50%, in Italia addirittura si arriva alla crisi demografica, con un figlio per donna nel Nord, laddove ne occorrerebbero almeno 2.1 per assicurare la stabilità della popolazione e mantenere l’equilibrio fra le diverse classi di età.  Si riduce la nuzialità quasi quanto la fecondità; l’età al matrimonio cresce di almeno tre anni, mentre aumenta l’incidenza delle nascite al di fuori del matrimonio (da un quarto alla metà del totale, anche se non si tratta di dati italiani). Si accentua peraltro il fenomeno dell’instabilità familiare con il rapido incremento di separazioni e divorzi che nei Paesi dell’Europa Centrale e Nord-Occidentale riguardano ormai da un terzo alla metà dei matrimoni.

Col nuovo millennio, nascono nuovi modelli di famiglia: unipersonali, uni-genitoriali, di fatto, ricostituite e queste ultime a loro volta con una serie notevole di sottotipi. Quello che però sostanzialmente scompare è l’immagine di un modello unico normativo di famiglia, fondato su una particolare versione della morale o della religione. La famiglia nucleare classica non domina più nelle statistiche ufficiali e nell’immaginario collettivo. E’ una vera rivoluzione, della quale prendono atto i governi occidentali, varando una serie di principi giuridici e norme legislative che prendono semplicemente atto dei cambiamenti nel costume. Lo Stato, insomma, tende sempre più a ritirarsi in buon ordine dalla gestione della coppia, prendendo semplicemente atto di una sempre dimensione privata dei rapporti (un esempio tipico è il successo del divorzio incolpevole: due coniugi si separano semplicemente perché hanno così deciso, consensualmente). L’attenzione viene però rivolta all’interesse dei minori e quindi alla tutela dell’infanzia che diventa il cardine della legislazione familiare, e sottopone le famiglie ad un controllo più attento delle agenzie pubbliche, e sostituisce la tutela della coppia, ritenuta sempre più autonoma e libera delle sue scelte. Strettamente connesso a questo principio nasce quello della co-genitorialità dopo la fine del matrimonio. Si tratta di un principio estremamente generico, il suo fondamento reale consiste nel garantire, con metodi nuovi, l’indissolubilità della famiglia, che in virtù dell’esistenza dei figli resiste comunque all’instabilità della coppia. L’intervento dello Stato, pertanto, appare sempre più orientato alla relazione che lega genitori e figli, piuttosto che ai singoli membri della coppia.

Di fatto, oggi, il modello di matrimonio e di famiglia che aveva imperato in Europa per secoli e sul quale si era poi costruito lo stato sociale, centrato su una famiglia coniugale forte, è del tutto desueto. Nasce il principio del matrimonio come una relazione pura di cui fanno parte intrinseca rischio e ansia, come scelta non irreversibile in accordo con i postulati centrali dell’individualismo espressivo.

La coppia e la rivoluzione tecnologica

La coppia tradizionale, insomma, è ormai finita. Sopravvivono pochi residui. La coppia da telefilm americano è ormai un resto archeologico: mogli e mariti che stanno mano nella mano anche a ottant’anni, che condividono tutto, che guardano insieme la televisione o che non hanno reciprocamente segreti sono soltanto parte di un immaginario collettivo. In un arco di tempo di circa trent’anni la società è cambiata in modo totale. La grande rivoluzione informatica, soprattutto, ha messo a disposizione di tutti mezzi di comunicazione di massa e individuali che hanno consentito di aggirare facilmente i controlli interpersonali di un tempo, e le modalità di comunicazione collettiva. Qualunque comunicazione, nell’era analogica. era facilmente controllabile, il che poneva limiti non solo alla fantasia ma anche alla fattibilità di rapporti non duali. Oggi, in era digitale, in ogni medio gruppo familiare, esiste una serie enorme di modalità di comunicazioni private, non più controllabili. Internet, “la rete”, con le e-mail, gli SMS, le chat e il ‘social’, rende possibili vie di fuga e di espressione incontrollabili.

I ritmi del villaggio globale hanno, poi, sicuramente portato a vivere sempre di più in una realtà ricchissima di socialità virtuale, di nuovi modi di conoscere e di interagire, che dalla virtualità possono passare all’atto in men che non si dica. Stimoli, continui, intensi, frenetici rendono del tutto impraticabile un rapporto di coppia tradizionale. Perché un tempo il rapporto di coppia era fondato eminentemente sul controllo reciproco.

Diciamo pure tutte le romanticherie che vogliamo, ma, tranne che in casi rarissimi, la coppia tradizionale si fondava sulla politica della deterrenza. Il concetto di fondo è che l’immagine della coppietta felice, che allevava nidiate di figli, che si riuniva al desco familiare e quant’altro, era semplicemente dovuta al fatto che era molto più difficile fare diversamente. Il Gattopardo poteva trovare sfogo alle proprie fantasie sessuali, o alle proprie esigenze relazionali, solo andandosene a puttane a Palermo, così compensando il fatto di non avere mai visto in tanti anni di vita matrimoniale l’ombelico della moglie. Oggi il buon principe potrebbe semplicemente collegarsi a un sito qualsiasi per trovare donne bellissime, intriganti, vogliose e disponibili e lo stesso, ovviamente, vale per le donne. Emma Bovary, tanto per pareggiare i conti, avrebbe potuto fuggire dalla sua noiosissima vita matrimoniale, se avesse voluto, chattando con uomini disponibili, che magari le avrebbero inviato per e-mail non solo descrizioni del proprio carattere, ma i dettagli dei propri gusti sessuali.

In realtà, per quanto sia spoetizzante, deterrenza, controllo e privazione di stimoli erano gli unici, veri capisaldi della coppia tradizionale.

Ma com’è la famiglia oggi? Non esiste più un modello unico. La sua caratteristica fondamentale è la plasticità, nel senso che essa è sempre più modellata in base alle caratteristiche della coppia che decide di formarla. Essa è condizionata, quindi, dalle esigenze individuali all’interno della coppia, il che conduce inevitabilmente a modelli comportamentali che possono essere quanto mai fluidi, fondati su esigenze o aspirazioni lavorative, necessità economiche, bisogni sessuali e relazionali e, soprattutto, mancanza di norme comportamentali relative ai ruoli di ciascun membro della coppia.

Viene da chiedersi quanto una coppia simile possa ‘funzionare’ e continuare ad essere ‘mattone’ di un solido edificio sociale. E una domanda talmente difficile da eludere qualsiasi risposta attendibile. In una società sempre più ‘liquida’ – per usare un aggettivo del sociologo Baumann – il modello novecentesco tradizionale di famiglia si è liquefatto anch’esso. Se, quando e come si solidificherà nuovamente, ed in che forma, è una domanda che sfida persino la nostra capacità di immaginazione.

Giovanni Iannuzzo