Sigmund Freud e l’affare della cocaina

0
582

Per un giovane medico ebreo che, nella Vienna aristocratica a gaudente della fine del secolo scorso, avesse l’ambizione di una brillante carriera esisteva una sola possibilità di raggiungere questo obiettivo: e cioè effettuare una scoperta importante, che lo rendesse repentinamente celebre come clinico o come ricercatore.

Infatti, tranne che non disponesse di una certa larghezza di mezzi – o di appoggi – la carriera universitaria gli era preclusa, e l’inserimento professionale si presentava difficile in una capitale europea come Vienna, che vantava una delle più prestigiose scuole mediche d’Europa.

Sigmund Freud si rese perfettamente conto di questa situazione già immediatamente dopo il conseguimento (sofferto: avrebbe preferito laurearsi in filosofia e infatti per un certo periodo seguì i corsi universitari del filosofo Franz Brentano – il maestro di Husserl) della laurea in medicina; e poiché non aveva mezzi, ma non mancava certo di ambizioni, cominciò a darsi da fare per scoprire “qualcosa” che gli consentisse di diventare un medico e uno scienziato di successo. Questo, oltretutto, gli avrebbe consentito di disporre dei mezzi economici per sposarsi con Marta Bernays; ed è proprio alla fidanzata che, il 21 aprile del 1884, il giovane Sigmund parla per la prima di un progetto che, pur senza eccessive illusioni, gli avrebbe forse consentito di raggiungere il suo obiettivo. Freud aveva letto un rapporto di un medico tedesco, Theodor Aschenbrandt, sugli effetti della cocaina, una sostanza estratta da una pianta sudamericana, la Erythoxilon Coca, che gli indigeni andini utilizzavano da secoli come vero e proprio “antidoto” alla fatica ed euforizzante. Il principio attivo era stato estratto da Niemann nel 1860, e, all’incirca in quel periodo, erano iniziati alcuni studi, per quanto approssimativi, sugli effetti della droga. Effetti che venivano quasi ritenuti una panacea universale per tutti i mali: soprattutto, come sottolineato da Aschenbrandt, per combattere la fatica, in accordo con quanto empiricamente rilevato dagli indios sudamericani che masticavano le foglie di coca (frammiste e calce) per ottenere proprio questo effetto. Freud ritiene di aver trovato la strada giusta per una scoperta esaltante. Studiò tutta la letteratura disponibile, sperimentò l’effetto della sostanza su se stesso e su altri soggetti e infine espose i risultati dei suoi studi e dei suoi esperimenti in un ampio articolo: Uber Coca, sulla coca, pubblicato sulla “Centralblatt fur die gesammte Therapie” (una nota rivista di clinica e terapia di Vienna), sul secondo numero del 1884.

Nel suo articolo Freud descrive i prodigiosi effetti terapeutici della cocaina, talvolta in tono francamente entusiastico. Ne illustra le possibili applicazioni come stimolante, come farmaco contro le dispepsie, nelle cachessie, nell’asma, come afrodisiaco, e accenna al suo uso come anestetico locale. In realtà si trattava dell’unico uso possibile della cocaina in medicina, ma Freud none ne approfondì le implicazioni, lasciando il merito della scoperta della cocaina nell’anestesia locale a Karl Koller, qualche tempo dopo. Tra i tanti usi della cocaina Freud accenna alla possibilità che questa sostanza possa essere utilizzata con successo nella dissuefazione della morfina e dall’alcool: partiva infatti dal presupposto (confermato da altri entusiasti sostenitori) che la cocaina fornisse al tossicodipendente gli stessi effetti euforizzanti e stimolanti della morfina e dell’alcool, ma non causasse dipendenza: l’uso della cocaina “non trasforma il morfinomane in un coquero”. Per cui la sua utilizzazione era considerata priva di rischi, efficace e sicura. Il suo articolo – che fu seguito da altri studi, anche sperimentali – suscitò un grande interesse, fu recensito anche da autorevoli riviste americane, e per un po’ Freud fu convinto di avere finalmente trovato la sua agognata scoperta. Era tanto sicuro della validità di quanto aveva sostenuto che si diede da fare per recare sollievo ad un suo caro e stimatissimo amico, brillante medico anch’egli: Ernst von Fleisch-Marxow, verso il quale aveva un profondo attaccamento. Questo soffriva da anni di violente nevralgie a causa di un neurinoma, e per lenirle era ricorso a dosi progressivamente crescenti di morfina, diventando un morfinomane. Freud volle provare su di lui la sua nuova panacea, sicuro di ottenere un risultato strabiliante. E infatti l’ottenne: dopo iniziali, effimeri successi, von Fleisch-Marxow divenne il primo soggetto della storia della medicina affetto da doppia tossicomania: da morfina e da cocaina.

D’altra parte, proprio in quel periodo, dopo gli iniziali entusiasmi, l’opinione scientifica cominciava a guardare con preoccupato scetticismo al trattamento cocainico, proprio per il notevole numero di casi di dipendenza dall’alcaloide della coca che erano stati osservati. Erlenmayer definì la cocaina “il terzo flagello del genere umano” (dopo l’oppio e l’alcool), anche se la polemica sui reali effetti della droga continuava. Sta di fatto che Freud abbandonò ben presto l’argomento, non senza una grossa delusione. L’unico effetto realmente fruibile della cocaina, quello anestetico locale, era stato evidenziato da Koller, e a lui restava solo l’onere delle critiche per aver sottovalutato gli effetti collaterali della cocaina. D’altra parte, come clinico e terapeuta, egli era stato coerente: egli stesso si serviva largamente della sostanza, arrivando a consigliarne l’uso, come ricostituente, a parenti, amici e persino alla fidanzata. D’altra parte, in quel periodo storico, la coca era diventata una moda: come diremmo oggi era molto in. Non tutti, forse, sanno, per esempio, che la Coca-Cola fu chiamata così proprio perché conteneva inizialmente cocaina, che fu tolta solo nel 1903, quando gli effetti deleteri della droga erano divenuti ampiamente noti.

L’episodio della cocaina mostra un aspetto inconsueto e poco noto di Freud: quello dei suoi interessi psicofarmacologici. Anche se commise un errore marchiano, i suoi studi sulla coca sono molto ben fatti, e probabilmente tra i migliori di quel periodo storico, e gli assegnano un posto non irrilevante tra i pionieri di questo campo di studi. Egli stesso annota nel suo articolo Uber Coca: “E’ un fatto ben noto che gli psichiatri hanno a disposizione un vasto arsenale di farmaci per ridurre l’eccitazione dei centri nervosi, ma nemmeno uno che potrebbe servire ad aumentarne il ridotto funzionamento”. Emerge, da questa affermazione, il Freud biologo, pre-psicoanalitico, che in un momento storico come quello attuale, che vede proporre una coesistenza tra teorie biologiche e psicologiche delle malattie mentali, va sicuramente apprezzato. D’altronde, senza l’affare della cocaina probabilmente Freud non si sarebbe dedicato alle sue ricerche psicologiche – e non avrebbe fondato la psicoanalisi. E lasciamo immaginare al lettore le conseguenze che ciò avrebbe avuto sul pensiero medico e psichiatrico moderno.

Giovanni Iannuzzo