Termini Imerese, alle origini del Santuario di Nostra Signora della Consolazione

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La chiesa di Nostra Signora della Consolazione in Termini Imerese, sin dalla seconda metà del Cinquecento è uno dei più importanti santuari mariani della Sicilia centro-occidentale.

Gli scriventi, già in precedenza si sono già ampiamente occupati di fornire nuovi riscontri documentari relativamente alle origini del santuario e della venerabile immagine dipinta da Costantino Boccaccio, unica opera sinora nota del pittore e scacchista termitano (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, il pittore dell’immagine della Madonna della Consolazione artista e scacchista tra Cinquecento e Seicento. “Esperonews”, Giovedì, 24 Giugno 2021, on-line su questa testata giornalistica).

Fulcro di partenza per la storia del Santuario mariano è la relatione manoscritta sulla Madonna della Consolatione, redatta nel 1608 dal sac. Francesco Nugnes e Zabatteri, rettore della detta chiesa parrocchiale, personaggio termitano di origine iberica per parte di padre (il patronimico Nuñez significa ‘figlio di Nuño’), ligure per parte di madre. Siamo di fronte, quindi, ad un originale d’autore che rende ancora più pregnante il rinvenimento del documento.

L’indiscusso merito della scoperta di tale relatione va allo studioso termitano Salvatore Mantia che nel novero delle ricerche archivistiche relative alla stesura della sua tesi di laurea in Lettere (discussa nel 1985) si è imbattuto nel detto prezioso documento. Tale tesi di Filologia Bizantina verteva sugli importanti manoscritti italo-greci della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace” di Palermo (d’ora in poi BCRS), con particolare attenzione alle fonti bizantine delle Vitae Sanctorum Siculorum del padre Ottavio Gaetani S. J. La trascrizione del documento, frutto dell’appassionata ricerca dell’allora giovane studioso, rimase inedita per  ben diciotto anni.

Nel 2003, Salvatore Mantia, sulla scorta di quanto trascritto negli anni 80’, è stato il primo curatore dell’edizione parziale del documento [cfr. S. Mantia, Il reverendo don Francesco Nugnes e Zabatteri da Termini Imerese invia a Palermo il giorno 1/1/1608 al padre Ottavio Caietano (Gaetani) S. J. una dettagliata relazione intorno l’origine e il culto della Madonna della Consolazione alias de li miraculi di Termini Imerese, in G. Catanzaro, Storia di un Santuario 1553-2003. La chiesa della Madonna della Consolazione di Termini Imerese a 450 anni dalla fondazione, GASM, Termini Imerese 2003,  pp. 109-111].  Innanzitutto, in tale edizione il testo della relatione appare mancante sia dell’incipit della lettera, sia della postilla finale, che costituiscono parte integrante della missiva indirizzata all’agiografo gesuita padre Ottavio Gaetani (Siracusa, 22 Aprile 1566 – Palermo, 8 Marzo 1620, cfr. M. Scaduto, Gaetani Ottavio, in “Dictionnaire d’Histoire et Géographie Ecclesiastique”, vol. 19, Paris 1981, coll. 632-635). La lettera appare inserita in un’ampia e corposa miscellanea che compone il manoscritto cartaceo della BCRS, ai segni XI. G. 3, ff. 38-39r.

Pertanto, nel 2019 abbiamo ritenuto opportuno intraprendere una nuova trascrizione della predetta relatione (cfr. appendice documentaria), comprensiva dell’incipit e della postilla finale, in modo da restituire l’originale con la massima completezza e fedeltà, adottando criteri, per quanto possibile, scrupolosamente conservativi, senza esercitare alcuna intromissione nel documento, a parte sciogliere le numerose abbreviazioni. Inoltre, abbiamo recuperato nella nostra trascrizione anche i capoversi che scandiscono la suddivisione originaria del testo, ogni andare a capo nella scrittura originale, nonché la numerazione che cadenza il cambio pagina dei fogli del manoscritto, dettagli omessi dal primo curatore. La relatione di Nugnes, infatti, appare ordinatamente divisa in 8 punti, che scandiscono la sequela delle informazioni diligentemente raccolte dal suo estensore.

La nuova trascrizione, infine, sopperisce anche ai punti deboli presenti nella precedente edizione (ad es. alcune omissioni di lemmi che, invece, sono presenti all’interno del testo originale, nonché alcuni fraintendimenti, affatto marginali).

La relatione del sac. Nugnes costituisce un emblematico modello di scrittura epistolare del primo Seicento, quale vero e proprio cardine dell’attività di scambio di informazioni e dei risultati di ricerca tra studiosi (per ulteriori approfondimenti rimandiamo ai saggi fondamentali: A. Petrucci, Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Laterza, Roma 2008, XI+238 pp.; M. L. Doglio, L’arte della lettera. Idea e pratica della scrittura epistolare tra Quattro e Seicento, il Mulino, Bologna 2000, 248 pp.; N. Cannata, M. A. Grignani, a cura di, Scrivere il volgare fra Medioevo e Rinascimento, atti del convegno di studi, Siena, 14-15 Maggio 2008, Pacini, Pisa 2009, 160 pp.). La missiva appare molto interessante anche dal punto di vista linguistico, esibendo uno spaccato dell’ambiente culturale della Termini degli inizi del Seicento e connotandosi per la presenza di una “patina meridionale” con una moderata interferenza derivata dalle varietà ispaniche legate, piuttosto che all’ascendenza familiare paterna del Nugnes, al predominio culturale iberico nei suoi domini (a tal proposito, cfr. A. D’Agostino, L’apporto spagnolo, portoghese e catalano, “Storia della lingua italiana”, vol. III, in particolare, pp. 791-824, pp. 801-803).

Il primo evento che viene descritto nella relatione, si lega alla committenza del dipinto raffigurante la Madonna della Consolazione, da parte dello speziale Cosmo d’Agra al pittore Costantino Boccaccio, allo scopo di adornare, come avveniva frequentemente a quel tempo, una parete esterna della sua bottega ubicata a Termini Bassa, come precisa il Gaetani «nella strada popolarmente denominata dai piccoli negozi, chiamata in siciliano delle Botteghelle» (vulgo dicitur in vico a tabernulis, sicula voce de le Botteghelle nuncupato, cfr., O. Cajetani S. J., Opusculum, ubi Origines Illustrium Ædium SS. Deiparæ Mariæ in Sicilia, ad promovendum illius cultum, & pietatem explicantur, in Idem (P. Salerno, a cura di), Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis Graecis Latinisque Monumentis, & ut plurimum ex M.S.S. Codicibus nondum editis collectæ, aut scriptæ, digeste iuxta seriem annorum Christianæ Epochæ, & Animadversionibus illustratæ, 2 voll., II, Thermis Himeraeorum D. Virgo in pariete picta plurimis miraculis inclaruit. 1553, Apud Cirillos, MDCLVII, 300 pp., nello specifico, p. 295, in realtà 297). L’odonimo Botteghelle non è esclusivo di Termini Imerese, dove persiste ancora a livello popolare (l’antica denominazione è stata soppiantata da quella di Via Porta Erculea, legata all’apertura nelle mura cinquecentesche dell’omonimo ingresso urbano completato nel 1637). A Trapani, infatti, sussiste la Via Botteghelle con l’omonima porta medievale (cfr. M. L. Famà, D. Scandariato, Trapani in un disegno a penna del Museo Pepoli, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, Dipartimento dei beni culturali e ambientali, della educazione permanente e dell’architettura e dell’arte contemporanea, 2009, 246 pp., in particolare, p. 64).

Le nostre pregresse ricerche d’archivio hanno permesso di documentare, per la prima volta, l’esistenza storica di entrambi i personaggi: il pittore Costantino Boccaccio e lo speziale Cosmo d’Agra (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, il pittore dell’immagine della Madonna della Consolazione…cit.). Infatti, Cosmo d’Agra, noto anche come «Mastro Cosimo lu spizialj», di probabile ascendenza ligure, appare menzionato negli atti contenuti nel più antico registro di battesimi della Maggior Chiesa di Termini Imerese, relativi agli anni indizionali 1543-44 e 1544-45 (cfr. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, d’ora in poi AME). Il pittore Costantino Boccaccio, invece, sempre grazie alle nostre indagini archivistiche e bibliografiche è documentato tra il 1565 ed 1616-17 e, curiosamente, fu un noto e talentuoso scacchista siciliano.

Il secondo evento, veramente straordinario, descritto nella relatione che diede conseguentemente origine al santuario, appare legato alla benigna intercessione della Vergine Maria, Mater consolationis in quanto Mater Consolatoris, cioè di Nostro Signore Gesù Cristo.

Tutto ciò avvenne addì 19 Giugno 1553 (non è noto se questa data riportata dal Nugnes sia quella originale, secondo il calendario Giuliano, oppure sia stata da lui corretta secondo il calendario Gregoriano). Il primo miracolo, infatti, fu la guarigione subitanea di un fanciullo all’incirca dodicenne che, secondo quanto ebbe a scrivere il sac. Nugnes, era figlio di «una donna devota di questa imagine» certa «Domenica la rossa» (nella versione latina del Gaetani: Dominica Russa, cfr. O. Cajetani S. J., Opusculum, ubi Origines Illustrium Ædium SS. Deiparæ Mariæ in Sicilia…cit.).

Il fanciullo in questione, prima del miracolo non solo era impossibilitato a deambulare, ma addirittura, a reggersi in piedi a causa di una terribile malattia congenita: «dalla sua nativita [sic, natività] havea le coscie [sic, cosce] / et le gambe quasi senza ossa, e le strascinava p[er] terra, et al spesso se li poneva sul collo». In base a quanto è possibile dedurre dalla scarna descrizione, la malattia sembra fosse contraddistinta da lassità dei legamenti, iperflessibilità delle articolazioni, iperelasticità della cute ed una ipotonia muscolare, soprattutto agli arti inferiori. La madre Domenica, con grande fede e perseveranza, ungeva frequentemente le gambe del figlio, utilizzando l’olio della lampada che lo speziale d’Agra, teneva accesa al cospetto della sacra immagine dipinta dal pittore Boccaccio. Ogni volta, l’inconsolabile madre pregava ardentemente la Vergine Maria di intercedere presso Dio al fine di vedere esaudita la richiesta di guarigione del proprio bambino. Dopo l’ennesima operazione serale di frizione corporale, l’indomani, di buon mattino, Domenica, ebbe finalmente l’ineffabile consolazione di vedere accordata la sua fervente supplica e la sua perseverante fede, assistendo alla straordinaria totale remissione dei sintomi e guarigione del figlio, che iniziò a muoversi e camminare tranquillamente come se mai avesse avuto alcuna malattia: «et una sera / fra gli [sic] altre havendolo onto [sic, unto], lo pose à [sic] dormire, e la mattina si levo [sic, levò] dal letto sano, come se mai havesse havuto / da[n]no alcuno, ne [sic] infermita [sic, infermità] veruna». Della figura di «Domenica la rossa» sinora non era noto alcun riscontro archivistico. Grazie alle nostre ricerche documentarie, invece, oggi abbiamo le prove tangibili non solo dell’esistenza della donna, ma anche della sua famiglia, compreso il figlio miracolato.

Al fine di rintracciare qualche possibile informazione su «Domenica la rossa» e sui suoi familiari, abbiamo ritenuto opportuno vagliare la corposa documentazione dei riveli di beni et anime della cittadina imerese, relativa alla fine degli anni 60’ del Cinquecento. Si tratta di una ponderosa silloge delle certificazioni relative ai censimenti ordinati dall’autorità sovrana, al fine di accertare la struttura familiare e lo stato patrimoniale della popolazione siciliana (salvo alcune eccezioni), con finalità sia militari, sia fiscali. Eravamo ben coscienti che la ricerca avrebbe potuto essere infruttuosa, visto che tale raccolta è pervenuta incompleta. Invece, consultando attentamente la documentazione superstite dei riveli di beni et anime di Termini Imerese datati 1569 (cfr. Archivio di Stato di Palermo, d’ora in poi ASP, fondo Tribunale del Real Patrimonio, vol.704), al foglio 1136, la nostra perseveranza è stata ampiamente ricompensata dalla scoperta di una dichiarazione sinora assolutamente inedita, fatta dal rivelante, che reca l’eloquente intestazione: Madonna Minica La Russa. La donna, evidentemente vedova in quanto facente funzione di capofamiglia, dichiarò di avere anni 55 (n. c. 1514), di abitare con un figlio maschio, Giovanni Pietro Russu di anni 29 (n. c. 1540), due figlie femmine ancora nubili: Filippa Caterina di anni 26 (n. c. 1543), Francesca di anni 24 (n. c. 1545). In più sono presenti due nipoti (figli del figlio maschio, probabilmente rimasto vedovo): una bambina Oridia di anni 9 (n. c. 1560) ed il piccolo Micheli di anni cinque (n. c. 1564).

Dal rivelo appare evidente che Domenica era detta La Rossa in quanto il defunto marito aveva il cognome Russo o Rosso. Pertanto, viene così a cadere quanto ipotizzato da Giuseppe Catanzaro: «Domenica “la rossa”, forse per il colore dei capelli e non Russo come è stato più volte riportato» (cfr. G. Catanzaro, Storia di un Santuario 1553-2003…cit., p. 41). Ebbene, è proprio lei la sinora fantomatica Minica la rossa o Dominica Russa delle fonti agiografiche ed il figlio miracolato che  al momento dell’evento straordinario, risultava avere dodici anni incirca è proprio Giovanni Pietro Russo. La presenza del titolo onorifico di Madonna dato a Domenica nel rivelo, attesta che doveva essere donna di elevata condizione sociale (cfr., ad es., C. Manaresi, Le qualifiche di “don” e “donna” in Lombardia, “Archivio Storico Italiano”, vol. 87, Serie VII, vol. XI, n. 2, 1929, pp. 269-307), vedova di uno degli esponenti della nobile famiglia dei Rosso (latino Rubeo) o Russo. Infatti, i Rosso appaiono inseriti al n. 81 della Mastra de’ Nobili riportata dallo storico locale Vincenzo Solìto (cfr. V. Solìto, Termini Himerese etc., II, Bisagni, Messina 1671, pp. 154-157).

Da notare che, relativamente alla nipote di Madonna Minica, Oridia de Rubeo, sappiamo che sposò poi Giangiacomo Cinquemani, figlio del Magnifico Giuseppe, e dalla coppia nacque Urbano Cinquemani Russo (1608-1672), noto giurista che, come ricorda il Solìto, fu consultore del viceré Luigi Moncada duca di Montalto (cfr. V. Solìto, Termini Himerese…cit., t. II, p. 135).

Abbiamo voluto approfondire ulteriormente la ricerca effettuando un capillare controllo nel già citato primo registro di battesimo dell’AME, per vedere di scoprire ulteriori informazioni su questo ramo della casata dei Rubeo o Russo.

Nel detto registro (cfr. AME, Battesimi, vol. 1, 1542-1548, f. 18r n. 1) troviamo menzionata una Caterina (catrinj) figlia di Antonio Russo (di regola la maternità veniva allora omessa) che, il 19 Novembre Ia Indizione 1542, fu battezzata dal sacerdote (presti) Filippo di Lentini, alla presenza dei padrini i Magnifici Giovanni Antonio di Milana e Leonarduccio (narduzo) Gentile, appartenenti al locale patriziato, nonché della madrina Domenica La Grigola (Gregorio). Ancora il 18 Dicembre VIa Indizione 1547 (cfr. AME, Battesimi, vol. 1, 1542-1548, f. 114r n. 2), il sac. Stefano Spataro battezzò Giambattista figlio del Magnifico Antonio Russo, alla presenza dei padrini il Magnifico Vespasiano (ms. vispisiano) Cambiaso (ms. Canpaso) e Mastro Desiderino (ms. dilusirino) Genovese (Jinujsi), nonché della madrina Domenica La Grigola (di Gregorio). Da notare che i padrini appartenevano entrambi a famiglie di origini liguri (il primo alla casata nobiliare dei Cambiaso, originaria del castello di San Cipriano nella valle del Polcèvera, qui per la prima volta documentata a Termini Imerese).

La notizia della miracolosa guarigione del fanciullo, legata alla venerazione di Nostra Signora della Consolatione dovette avere una eco straordinaria. Inizialmente, attorno all’immagine si realizzò una struttura effimera di tavole lignee, probabilmente con tetto a spiovente (il documento infatti la designa con il nome di Capanella, piccola capanna, non di cappella come si legge nella prima edizione), direttamente addossata alla parete esterna dell’ex spezieria del De Agra. Ciò avvenne essendo arciprete di Termini il termitano sac. Silvestre La Tegèra, di famiglia d’antica ascendenza iberica.

Un secondo eclatante evento miracoloso, stavolta avvenuto coram populo, si aggiunse alla prima mirabile guarigione del fanciullo. Infatti, nel 1591, «fu fabricata [sic] una particolare Cappella nella istessa Chiesa dal Archiprete [sic] do[n] Pietro Scarpace, et è quella che si vede hoggidi [sic, oggidì] in detta chiesa» ed a tale scopo si dovette «voltare questa sua / imagine, tiratasi co[n] laccio da marinari, alla presenza di tutto il populo [sic, popolo], si ruppe il laccio, essendosi alzata l’imagine / quasi una ca[n]na [c. 2,065 m], e casco [sic, cascò] co[n] tutto l’artificio al proprio luogho [sic, luogo], onde fù [sic, fu] com[m]une parere che si fosse tutta guastata p[er] esser / il muro di fango, pero [sic, però] restò miracolosame[n]te come che era prima senza macchiarsi punto alcuno». Da notare che il sollevamento dell’immagine sino all’altezza di una canna (corrispondente ad otto palmi) è rammentato anche dal Gaetani: «octo pedes erecta», informazione riportata soprattutto proprio sulla scorta degli scritti del sac. Nugnes, dottore in entrambi i diritti:  «ex viris fide dignis, & litteris D. Francisci Nugnez U[triusque].I[uris].D[octor].» (cfr. O. Cajetani S. J., Opusculum, ubi Origines Illustrium Ædium SS. Deiparæ Mariæ in Sicilia…cit.). Pertanto. appare totalmente da rigettare la lettura «quasi una vara» della precedente edizione.

Sulla scorta della relatione del Nugnes apprendiamo che nel 1591 vi furono lavori per la realizzazione della cappella dedicata alla Nostra Signora della Consolazione, che potrebbe essere stata progettata proprio dall’architetto e pittore palermitano Antonino Spatafora, artefice sia del modello cartaceo, sia di quello ligneo tridimensionale, della maggior chiesa di Termini Imerese (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini Imerese, Antonino Spatafora e il modello ligneo seicentesco della maggior chiesa, “Esperonews”, Sabato, 27 Novembre 2021, on-line su questa testata giornalistica).

Il 14 Gennaio VIIa Indizione 1609, a poco più di un anno dalla stesura della Relatione di Nugnes,  l’architetto e pittore termitano Vincenzo La Barbera, genero del detto Spatafora, si obbligò con un certo Filippo Piraino e dipingere una Maria Santissima di Monserrato con Santa Caterina Alessandrina e S. Michele Arcangelo. Il committente probabilmente era di origine iberica visto che La Mare de Déu de Montserrat, viene venerata ancor oggi nel santuario eponimo catalano (Montserrat, in latino Mons Serratus, dal caratteristico profilo seghettato del rilievo montuoso sovrastante, legato alla morfoselezione sulle rocce arenacee e conglomeratiche che lo costituiscono). Il culto della Vergine, patrona della Catalogna (detta anche la Moreneta da un antico simulacro annerito dalla patina del tempo), è documentato sin dal IX secolo d. C., prendendo nome dall’omonimo santuario benedettino (Monestir de Montserrat).

Il 14 Marzo VIIa Indizione 1610, come si evince dal testamento del detto Filippo Piraino agli atti del notar Sebastiano Bertòlo junior di Termini Imerese (cfr. Archivio di Stato di Palermo sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, 1608-10,  vol. 13092), il dipinto del La Barbera risulta già eseguito e collocato nella sua destinazione, cioè nella cappella di patronato del committente, sita in S. Maria della Consolazione, nella parte destra di detta chiesa, confinante con l’altare maggiore (secus altare majurj ex parte dextera dicte ecclesie), allora molto più piccola ed a diversa orientazione rispetto l’attuale edificio di culto. Infatti, la successiva riconfigurazione ed ingrandimento del santuario, finalmente dispose che il nuovo altare maggiore coincidesse con  quello della cappella di Nostra Signora della Consolazione, come appare ancor oggi. L’altare maggiore preesistente, appartenente alla chiesa cinquecentesca, secondo il detto dato documentario sarebbe stato  incorporato nel fianco destro del nuovo transetto dove precedentemente era la navata maggiore con il suo presbiterio. Pertanto, quello che nella chiesa cinquecentesca era l’antico altare maggiore sarebbe divenuto la cappella di patronato della casata emergente dei Di Michele, intitolata al SS. Crocifisso alias le Cinque Piaghe. Contigua con il transetto dell’attuale edificio di culto, in cornu epistolae, esiste sinora la cappella dedicata proprio a S. Michele Arcangelo, nella quale appaiono dei dipinti settecenteschi, realizzati sicuramente posteriormente al 21 Giugno 1714, anno in cui la Giuliana delli giugali ci attesta ancora in loco il dipinto labarberiano posto al di sopra dell’altare (cfr. A. Contino, S. Mantia, Architetti e Pittori a Termini Imerese tra il XVI ed il XVII secolo, Gasm, Termini Imerese 2001, p. 31). L’intestazione a S. Michele Arcangelo e la presenza, sino agli inizi del Settecento, del dipinto labarberiano fa propendere per una continuità d’uso del sito sin dal Cinquecento. Alla luce di tutto ciò, l’ipotesi proposta da Giuseppe Catanzaro, secondo cui l’ingresso della chiesa cinquecentesca sarebbe stato collocato in corrispondenza della predetta cappella delle Cinque Piaghe, appare decisamente discrepante con il dato documentario precitato (cfr. G. Catanzaro, Storia di un Santuario 1553-2003…cit., p. 30 e fig. 6 a p. 29). Prudenzialmente, riteniamo che, comunque, abbiamo ancora bisogno, non solo di ulteriori riscontri documentari per chiarire in maniera incontrovertibile la struttura dell’edificio chiesastico cinquecentesco, ma anche di indagini archeometriche sul costruito, magari supportate da una campagna di saggi di scavo opportunamente pianificata. A nostro avviso, invece, vi sono pochi dubbi che l’orientamento dell’edificio di culto cinquecentesco, ancora esistente al tempo del Nugnes, era stato fortemente pilotato dalla maglia del preesistente tessuto urbanistico e viario di questo settore della cittadina.

La relatione, infine, rammenta la miracolosa intercessione di Nostra Signora della Consolazione in favore di una donna «detta la scardina», moglie del gentiluomo Signor Vincenzo Brandici, nobile termitano. Quest’ultimo, spinto dalla grande devozione nei confronti della Vergine Maria, avendo saputo della mirabile guarigione del fanciullo, volle che il ventre pregnante della propria moglie fosse anch’esso unto con l’olio della lampada. La donna, finalmente, partorì sana e salva una bambina «assai bella» che, in onore della Vergine, fu battezzata con il nome di Maria e, che al tempo del Nugnes, era vivente ed era andata in sposa a Pietro Arena. Quest’ultimo è documentato nell’anno indizionale 1593-1594, in qualità di Governatore della Cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini Imerese, assieme al Magnifico Andrea di Marino, al Magnifico Giuseppe Bonafede, al Magnifico Antonino Arnolfini, a Nicolò Aglieri alias Rinella ed a Secondo Battaglia.

Concludendo, i risultati delle nostre nuove dettagliate indagini d’archivio, hanno finalmente permesso di ricostruire un secondo corpus documentario. che si aggiunge al primo precedentemente pubblicato, costituendo entrambi un importante contributo alla storia del santuario mariano di Nostra Signora della Consolazione e della sincera devozione alla Vergine tributata nei secoli dal popolo termitano.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, rispettivamente, ai direttori ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo, della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese e della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana. Un ringraziamento particolare va a don Francesco Anfuso e a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare basilari ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.

Appendice documentaria

Premessa metodologica. L’accurata nuova trascrizione documentaria della Relatione di Nugnes è stata da noi intrapresa, lavorando direttamente sull’originale. Il documento viene finalmente trascritto nella sua interezza (contrariamente all’edizione precedente che ometteva la parte iniziale del testo, che invece noi riteniamo altamente significativa, sia perché riporta il destinatario, sia per evidenziare il percorso di ricerca delle fonti, scritte ed orali, seguito dal Nugnes). La trascrizione, infatti, è stata effettuata nella forma originaria in cui fu indirizzata al Gaetani, con tutti i riferimenti soddisfacenti le caratteristiche della topica epistolare del primo Seicento siciliano, al fine di recuperare la valenza scientifica di tutti i tratti (linguistici, grafematici/paragrafematici, paleografici, culturali etc.), nella convinzione dell’importanza semiotica dei fenomeni della scrittura e delle convenzioni grafiche. La trascrizione, pertanto, riproduce fedelmente l’originale rispettando integralmente il sistema linguistico e grafico, l’usus scribendi: minuscole/maiuscole, ortografia, interpunzione, scriptio continua, errori di ortografia e sintassi (dove necessitava seguiti da sic in parentesi quadra e da qualche esplicazione, ritenuta utile alla comprensione del testo), la punteggiatura originale, le sottolineature, mentre gli a capo sono stati indicati con la barretta (/). Solo in pochi casi siamo stati costretti ad intervenire in maniera congetturale per migliorare il senso della frase, racchiudendo tali integrazioni tra i segni < >. Relativamente alle sigle che non presentano segni abbreviativi, ma che vanno certamente rese per esteso in espressioni codificate e convenzionali, ben riconoscibili, si è opportunamente proceduto al loro scioglimento (ad es. Vs. o Vs, cioé Vossignoria, forma sincopata di vostra signoria). Le aggiunte interlineari o marginali sono state richiamate specificando la loro collocazione all’interno di parentesi quadre.  La numerazione originale delle pagine del testo è stata altresì trascritta tra parentesi quadre. Eventuali parole di lettura incerta, ubicate in prossimità della rilegatura, sono accompagnate da un punto interrogativo sempre all’interno di parentesi quadre.
La presenza di parole o frasi cancellate, illeggibili, è stata evidenziata con la simboleggiatura: (<[…]>).
Nella trascrizione, infine, ci si è attenuti ai seguenti principi di fedeltà assoluta al testo, mantenendo:
la diffusa h etimologica o pseudo-etimologica (havealuogho, Archiprete ecc.);
la lettera j, anche quando essa non abbia valore semiconsonantico (si è quindi sempre rispettato anche ij come in palij);
l’uso della doppia nei vocaboli che non l’hanno e viceversa (Capanella, erettione, sudeto, inforata ecc.) nonché l’alternanza della resa variabile;
l’accentazione finale mancante (poiche,  gia, nativita, ne, levo, hoggidi etc.) o aggiunta ();
i nessi di tipo latineggiante: ti + vocale (ad es. relatione, Consolatione, gratia) dove la lettera t corrisponde alla z italiana.

[38r] Mi credevo che facilmente si fosse potuto servire il P[adro]n nostro Ottavio Caietano e che nelle carte / del nostro vicario furaneo [sic, foraneo] si fossero trovate queste informationi, però no[n] si truova [sic, trova] scrittura alcuna / salvo che da dieci a[n]ni in quà [sic, qua], si che [sic] ho [sic] andato à [sic] relatione di diverse persone cavando alcuna cosa / per poterlo servire <cosicché> per adesso gli ma[n]do la relatione della Mado[n]na della Consolatione, appresso gli mandaro [sic, manderò] / l’altre, ne [sic, nè] mi tenghi V[os]s[ignoria]. p[er] malcreato se no[n] gli ho risposto prima, poiche [sic, poichè] ho voluto mandarci prima questa / informatione et n[on] scriverci solamente della sua ricevuta, e gli ma[n]do secondo li suoi capi lasciatomi cosi [sic, così] / disposta detta relatione / Relatione della Mado[n]na della Consolatione / p[rim]o. [a margine sinistro] Il luogho [sic] dove è situata questa Chiesa della Mado[n]na della Consolatione si doma[n]da la Piazza delle Botte/ghelle, et il titulo [sic, titolo] della chiesa è la Mado[n]na della Consolatione Chiesa Parrocchiale. / 2°. [a margine sinistro] Circa l’origine di questa chiesa, era in questa Piazza delle Botteghelle una bottega di spetiale, ove habitava [sic] / Cosmo d’Agra Spetiale, et havea [sic] fatto depingere nel di fuori della Bottega questa imagine della Mado[n]na da / un pittore detto Constantino Boccaccio, et nelli giorni festivi della Madonna, et nel sabbato se gli accendeva una / lampada, avenne [sic] che una donna devota di questa imagine detta Domenica la rossa havea partorito un figlio, / et era gia [sic, già] arrivato à [sic] dodici anni incirca, e mai puote [sic, potè] caminare, essendo che dalla sua nativita [sic, natività] havea le coscie [sic, cosce] / et le gambe quasi senza ossa, e le strascinava p[er] terra, et al spesso se li poneva sul collo, la madre desiderosa della / salute del figlio gli ungeva dette parti del corpo co[n] l’oglio della lampada di questa Mado[n]na, et una sera / fra gli [sic] altre havendolo onto [sic, unto], lo pose à [sic] dormire, e la mattina si levo [sic, levò] dal letto sano, come se mai havesse havuto / da[n]no alcuno, ne [sic] infermita [sic, infermità] veruna; cio [sic, ciò] sentitosi dalla Citta [sic, Città] et moltipicandosi li miracoli si caccio [sic, cacciò] ivi il [sic, lo] Spetia/le, e segli fece come una Capanella [sic, Capannella] di tavole, si co[m]pro  [sic, comprò] co[n] elemosine di diversi detta bottega, e si co[n]sacro [sic, consacrò] p[er] Chiesa, / et questo fù [sic, fu] co[n] cura del Archiprete [sic] detto Don Silvestro la Tegera, q[uest]o inquanto [sic] all’origine della erettione [sic] di / detta chiesa. /  [38v] 3°. [a margine sinistro] Del tempo fù [sic, fu] questo miracolo fatto dalla Madon[n]a s[anti]s[si]ma alli .19. del mese di giugno, l’anno 1553. secondo la / relatione di piu [sic, più] persone, et all’istesso te[m]po fù [sic, fu] cominciata, la fabrica [sic]. Dapoi l’anno del signore 1591. / fù [sic, fu] co[n] grandis[si]mo artificio levata da quel luogho [sic], e gli fu fabricata [sic] una particolare Cappella nella istessa Chiesa dal Archiprete [sic] do[n] Pietro Scarpace, et è quella che si vede hoggidi [sic, oggidì] in detta chiesa. / 4°. [a margine sinistro] Questa Chiesa stà sotto la casa del Archiprete [sic] di detta Città, et egli vi trattiene duoi preti, accio [sic, a ciò] ordinariam[en]te attendano à [sic] celebrar messe, e ministrar sacrame[n]ti, essendo che detta chiesa è chiesa Parrochiale [sic, Parrocchiale]. / 5°. [a margine sinistro] E [sic. è] questa imagine depinta al muro, et il muro è di fango, ora è degno di nota che volendosi voltare questa sua / imagine, tiratasi co[n] laccio da marinari, alla presenza di tutto il populo [sic, popolo], si ruppe il laccio, essendosi alzata l’imagine / quasi una ca[n]na [c. 2,065 m], e casco [sic, cascò] co[n] tutto l’artificio al proprio luogho [sic, luogo], onde fù [sic, fu] com[m]une parere che si fosse tutta guastata p[er] esser / il muro di fango, pero [sic, però] restò miracolosame[n]te come che era prima senza macchiarsi punto alcuno. / 6°. [a margine sinistro] E’ vestita la Madon[n]a d’una veste rossa inforata [o inforrata, cioè foderata] di sotto, e scollata da capo, la manta che dal capo gli scende / per coprire tutta la persona è di color celeste nel di fuori stellata, nel di dentro è foderata di color di taffitano [sic, taffetà] / verde. Il Christo trattenuto da lei nel braccio destro, acco[m]pagnandovi la man sinistra alle coscie [sic, cosce] è vestito d’una / veste scollata, il cui colore è di rosso incarnatino con una rosa in mano destra avanti il petto. / 7°. [a margine sinistro] Quando cominciò a far miracoli questa Imagine della Madon[n]a vi si trovò una don[n]a, che stava p[er] partorire detta la / scardina moglie del S[ignor].[sopra rigo] Vin[cen]co [sic] Brandici, costei havea più volte ingravidatosi, e vene[n]do al parto pativa dolori inesp[licabi]li / et tutti i figli, quali partoriva, li partoriva morti, aven[n]e [sic] che si pose al parto, e suo marito have[n]do all’hora iunto [sic, giunto] [?] / da viaggio, poiche [sic, poichè] era (<[…]>) andato fuori [sopra rigo], e sente[n]do che questa Madon[n]a faceva miracoli, se né [sic, ne] andò à [sic] casa con gran co[n]tento e, / trovando la moglie che stava p[er] partorire, gli disse, moglie mia sta di buona voglia, poiche [sic, poiché] adesso si dice che una ima/gine della Madon[n]a della spetialia di Cosmo d’Agra fà miracoli, io andero [sic, andrò], e pigliero [sic, piglierò] un poco d’oglio della lampa / che innanzi a lei sta accesa, e cosi [sic, così] sanza [sic, senza] pericolo co[n] l’aiuto di Maria Ve[r]g[i]ne partorirai, corse il marito à [sic] la / Mado[n]na, e preso del [sic] oglio, e portalo [sic, portatolo] à [sic] casa, se ne ungi [sic, unse] il ventre della moglie partorente, e subbito [sic] partori [sic, partorì] una figlia / [39r] assai bella, e gli [sic] fu posto nome Maria, dal nome di Maria che gli havea fatta la gratia, et è hoggidi [sic] vivente / moglie di Pietro d’Arena, et ha fatti molti figli molto differenti dalla madre senza alcuno di loro esser nato morto. 8°. [a margine sinistro] Si celebra la festa di questa gloriosa imagine alli .19. di giugno, in memoria di quel giorno che comincio [sic, cominciò] à [sic] far / miracoli, e la citta [sic, città] gli fa correre i palij, et è festa solenne di detta citta [sic, città].  hoggidi [sic] anco fiorisce in miracoli. / et no[n] è un mese che guari [sic, guarì] un figliolino d’una rottura. / Godasi questo p[u]re p[er] adesso questa relatione, che appresso si mandera [sic, manderà] l’altra, et avisami se gli piace questo / modo, e se gli manca cosa alcuna, che me ne informero [sic, informerò], e subbito [sic] lo farro [sic, farò] avisato [sic], tra tanto V[os]s[ignoria] mi tenghi [sic] in sua / buona gr[ati]a, e mi coma[n]di, e Dio n[ost]ro s[igno].re gli dia il buon capo d’anno, e quelle gr[ati]e che desia. di Termine à [sic] di [sic] / p[rim].o di gen[n]aio 1608. / D[i]: V[os]s[ignoria]. molto sp[ettabi]le e molto R[everen].do / Aff[ezionatissi].mo servitore / Don Fran[ces]co Nugnes e Zabbatteri. / [postilla:] Il sudeto [sic] Vin[cen]co [sic] Brandici era gent[il]h[uom].o nobile di detta citta [sic, città].